6.2.24

[settimana del ricordo ]10 febbraio 2024 ANNIVERSARI E POLEMICHE . Ieri uccisi nelle foibe, oggi ostaggi dell’uso politico della storia. La doppia condanna degli italiani d’Istria

  La retorica   della  memoria  \ de ricordo    è  un esercizio   vano  ed  inutile    finendo  per  diventare mezzo di propaganda  ed  arma  \  strument idelogico    da  usare   contro  il  tuo  nemico ed  arma di diastrazione di massa   (  vedere il  video di  Caterina  Guzzanti   ed  allora le  foibe  )  . Infatti   Nella storia di queste  terre  di confine   intrise     di contaminazioni etniche    fino  all'inzio del  ventesimo secolo  e  poi    di sangue, ed  odi etnici  e  di nazionalismi  è  raro che nei talk televisivi (a parte gli studiosi  seri  e qualche giornalista informato  e  non    troppo fazioso  ) qualcuno citi con cognizione di causa i “fatti” che precedono e accompagnano la carneficina in atto per farne comprendere genesi e conseguenze possibili. Molto più semplice (ed efficace per la resa dello “show”) dare fuoco alle polveri delle curve contrapposte in discussioni del tutto avulse dalla concatenazione degli eventi (perlopiù bellamente ignorati o  usati a  proprio  uso  e  consumo ). Utili più che altro (gli scazzi) a regolare i soliti conti nel cortile delle fazioni: un po’ come schierarsi pro o contro Robespierre senza sapere una cippa della Rivoluzione francese  e  sulle  sue  cause  .  Ed  in questo  clima  , oltre  che   per  problemi  personali che  l'ano scorso    ho   dimenticato di parlare     e  ricordare  l'80 esimo  anniversario della scoperta  delle  foibe  del  1943 cioè quelle che avvennnero       a cavallo  del 25 luglio  e  del  8 settembre    e  che certa  storiografia  considera   tutt'une con quelle   del 1945\7  pur  di  non  parlare   e  far passare  in secondo   piano   le responsabilità  del fascismo   e della sua collaborazione con il nazismo nel commettere crimini ed  alimentare ulteriormente l'odio anti italiano    delle popolazioni slave attribuendole   solo  ai comunisti  di Tito . 


Ieri uccisi nelle foibe, oggi ostaggi dell’uso politico della storia. La doppia condanna degli italiani d’Istria  Il lungo silenzio della sinistra   salvo eccezioni e la chiassosa rivalsa ideologica della destra oltre il recente sdoganamento  non permettono di costruire sempre che sia possibile ( vedere mio post : << 10  febbraio (  e  non  solo  )  e impossibilità della memoria  condivisa   >> una  memoria    conivisa    su tali eventi  . E  proprio  di  questo     che  parla    l'interesante   articolo   di Gigi Riva   del settimanale   l'espresso dell'anno scorso    

Dopo le solite discussioni furibonde e tutte ideologiche che hanno coinvolto persino il festival di Sanremo in occasione del Giorno del Ricordo (10 febbraio), è il caso di aprire una riflessione pacata sulle foibe, senza semplificazioni di parte e tenendo conto della complessa e tormentata storia del nostro confine orientale. C’è un presupposto imprescindibile per qualunque analisi serena e mondata da interessi partitici: la Venezia Giulia, l’Istria tutta, avevano storicamente tre radici: italiana, slovena e croata. 

I tre gruppi etnici convissero più o meno pacificamente fino a metà Ottocento quando cominciarono ad affiorare sentimenti di appartenenza che sfoceranno nella formazione degli Stati nazione. La regione faceva allora parte dell'impero austro-ungarico che, dopo la perdita del Veneto nella Terza guerra d'indipendenza, temendo l’irredentismo italiano e la volontà di riunire quei territori al neonato Regno d’Italia, ne favorì la slavizzazione «con energia e senza riguardo alcuno» per usare una frase dell'imperatore Francesco Giuseppe al Consiglio della Corona del 12 novembre 1866. Si può far risalire a quell'epoca l’inizio di tensioni, odi e vendette che si protrarranno per quasi un secolo. Dopo la sconfitta dell’Austria-Ungheria nella Prima guerra mondiale, l’Italia con il Trattato di Rapallo del 1920 ebbe il controllo di una larga fetta dell’Istria e di una parte del litorale, in cui abitavano circa 356 mila italiani e 490 mila slavi. Benito Mussolini, anche prima di arrivare al potere, aveva idee chiare su come risolvere per le vie spicce il rapporto con le altre popolazioni. A Pola, il 22 settembre 1920, disse: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone. Io credo che si possano più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani». E bastone fu. Squadre in camicia nera si occuparono di dare contenuti alle parole del duce. Fu proibito l’uso delle lingue slovena e croata, fino all’episodio estremo di un anziano di 92 anni impiccato al campanile di una chiesa perché parlava nel suo idioma non conoscendone altri. L’opera di pulizia culturale fu spietata. Case del popolo bruciate, così come le scuole degli slavi, italianizzati i cognomi persino sulle lapidi dei cimiteri, abolite le associazioni culturali, sociali e sportive. Italianizzazione forzata (leggi il libro “Il martire fascista”, di Adriano Sofri, Sellerio).Interi paesi bruciati, contadini espropriati delle loro terre a favore dei coloni italiani mandati a mutare la composizione demografica della regione, pestaggi e arresti indiscriminati, centinaia di processi sommari a chi si opponeva al regime. Omicidi, ovviamente. E il gerarca Cobolli Gigli che minacciava chi si ostinava a usare la propria lingua: «Corre il pericolo di trovare sepoltura nella foiba». Si calcola che almeno centomila persone furono internate nei campi di concentramento. Ancora Mussolini: «Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia è l’etnia che deve muoversi; gli scambi di popolazione e l’esodo di parti di esse sono provvidenziali perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali». Una prassi diffusa nel Ventesimo secolo che usò anche Stalin.L situazione peggiorò con l'invasione dell’Italia fascista del 1941 e la creazione della provincia di Lubiana, quando crebbero fucilazioni e deportazioni. Per fare un esempio, il 12 luglio del 1942 su ordine del prefetto della provincia di Fiume Temistocle Testa tutti i 91 uomini del villaggio di Podhum di età compresa tra i 16 e i 64 anni furono fucilati. Questo il quadro prima del 1943, dell’armistizio, dell’operazione Nubifragio con cui i nazisti volevano assumere il controllo della Venezia Giulia, della controffensiva dei partigiani di Tito che toccò il suo apice di crudeltà con gli infoibamenti.  Le  foibe sono cavità carsiche profonde fino a 200 metri in cui furono gettati i corpi di migliaia di italiani. Alcuni ancora vivi e che morirono dopo un’indicibile agonia. Migliaia di italiani. Già ma quanti? Gli storici più prudenti accreditano una cifra tra i 3 e i 5 mila, altri arrivano a quattro volte tanto, 20 mila. Fra di loro non solo fascisti, ma innocenti uccisi perché italiani. Seguì più tardi l’esodo verso l’Italia di 250-350 mila italiani che non volevano restare nella Jugoslavia comunista. La nostra sinistra ebbe l’indiscussa colpa di coprire per lungo tempo con un velo di silenzio queste tragiche vicende in nome dei buoni rapporti tra Palmiro Togliatti e Tito e per il timore che l’intera questione fosse decrittata con la lente dell’ideologia: una vendetta comunista contro gli italiani fascisti. Mentre, se è innegabile che esistesse anche questa componente, la vendetta scaturiva anche dai torti subiti nel ventennio fascista e dunque era piuttosto una rivincita etnica. La destra, all’opposto, ha voluto usare solo la lente ideologica, come se si potesse racchiudere il problema del confine orientale limitandosi all’analisi del periodo 1943-45 e senza mai rammentare i nostri misfatti precedenti. Un uso della storia à la carte, a seconda del proprio interesse elettorale. Ogni anno, per il Giorno del Ricordo, istituito dal governo Berlusconi nel 2004, riemergono queste tendenze e contrapposizioni a causa delle quali risulta impossibile creare una memoria condivisa. E questo nonostante gli sforzi soprattutto dei presidenti della Repubblica Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella di leggere i fatti con uno sguardo mondato dai pregiudizi. Per quanto li si possa contraffare, i fatti sono ostinati e, alla lunga, riemergono come un fiume carsico.


  con questo  è  tutto  buon 10 febbraio

4.2.24

Annulla 850 Matrimoni Precoci e Rimanda Le Spose Bambine a Scuola, La Storia del Capotribù Theresa Kachindamoto

la  news    riportata  sotto   presa  da     https://www.youreduaction.it/   è senza  data  ma   da  alcune  ricerchè  la news  risalirebbe al   novembre    2023  ma  è semre attuale    perchè dimostra     come  l'africasta  cambiando   ed  come le  donne    quando  vogliono  sanno   governare   meglio  di noi uomuni  


 Da un’indagine svolta nel 2012 risulta che in Malawi, uno dei paesi più poveri del mondo, più della metà della popolazione femminile si sposa prima dei 18 anni.A
cercare di dissuadere i genitori delle giovani ragazze dal farle sposare così giovani sono molte organizzazioni; ma purtroppo la povertà spinge le famiglie a pensare di non poter fare altrimenti, poichè comunque i compensi economici derivanti da un matrimonio infantile sono anche molto alti.Ma da quando in un villaggio del Malawi, la più piccola di 12 fratelli, Theresa Kachindamoto, è diventata capotribù, molte cose sono cambiate. La sua reputazione positiva ha fatto sì che le venisse attribuito questo importante ruolo e, ‘volente o nolente’, le dissero, avrebbe dovuto accettare il lavoro affidatole.
Così Theresa Kachindamoto ha pensato bene di porre termine a questa pratica del matrimonio infantile, dichiarata illegale nel 2015, ma ancora molto presente. Viaggiando nella regione Theresa ha incontrato una bambina di 12 anni con il marito e i figli ed ha detto loro: ‘che vi piaccia o no, questo matrimonio sarà annullato‘.


È iniziata la serie di matrimoni annullati: nel suo villaggio composto da più di 900mila persone, Theresa Kachindamoto ha annullato 850 matrimoni di spose bambine e ha rimandato le ragazze a scuola. Purtroppo la mentalità delle persone non è però facile da cambiare e così diversi genitori hanno iniziato a protestare, ma lei si è rifiutata di ascoltarli. Ha piuttosto deciso di cambiare le leggi, così, stipulando un accordo con altri capitribù, ha abolito i matrimoni tra adulti e bambini e annullato quelli già esistenti.

Ciò ovviamente non è bastato, i genitori continuavano a dare le loro figlie in sposa, ma Theresa Kachindamoto ha licenziato i leader di quattro posti in cui ancora venivano effettuate queste pratiche. Sta anche tentando di sovvenzionare l’istruzione delle bambine quando i genitori non possono permetterselo e, nonostante le minacce di morte, lei va dritta per la sua strada.

Racconta: “Non mi importa. Dico che possiamo parlarne, ma che queste bambine devono tornare a scuola. Istruire le bambine, istruire l’intera regione… istruire il mondo”. È così che, senza paura, Theresa Kachindamoto fa del bene al Malawi e, in fondo, al mondo intero. Non sempre gli eroi indossano un mantello.

DIARIO DI BORDO N°34 ANNO II Non c’è più religione! Ci mancava proprio un prete esibisce sui social il suo fisico palestrato ., falso giustizionalismo della destra ., crisi matrimoniale


Non c’è più religione! Ci mancava proprio un prete esibisce sui social il suo fisico palestrato che fa eccitare gentili donzelle da ogni parte del globo
IL BRACCIO MUSCOLOSO DI DIO – SU TIKTOK È DIVENTATO FAMOSO DON GIUSEPPE FUSARI, SOPRANNOMINATO “IL PRETE CULTURISTA”, PARROCO DI BRESCIA CHE SOTTO LA TONACA NASCONDE UNA FISICO DA PALESTRATO – IL PRETE, 57 ANNI BEN PORTATI, È SUI SOCIAL PER PORTARE LA PAROLA DI DIO MA, DAI COMMENTI, SEMBRA CHE LE FOLLOWER GRADISCANO BEN ALTRO: “MI FAREI CONSACRARE” – “INCENSAMI TUTTA” – “MI SENTO MOLTO PIÙ VICINA ALLA RELIGIONE” – E MOLTE NOTANO UNA CERTA SOMIGLIANZA CON GIANLUCA VACCHI




Ora non è per far il moralista , il bachettone , ecc ma qui si tratta di coerenza ed etica ed rispetto verso
l'abito talare ed i suoi valor di dignità , umiltà morigeratezza , spesso violata ipocritamente da chissà
 quanti preti morigerati, umili e discreti conosco con figli e relazioni segre . Lo  so che Magari è un buon
 sacerdote! L' abito e in questo caso ,il fisico, non fa il monaco !!  Ma  un o' di discrezione  e  meno
 esibizionismo non guasterebbe  

Giuliano Cocco per www.leggo.it

Le vie del Signore sono infinite, dicono i fedeli. E allora, in chiesa c’è spazio anche per figure non convenzionali, come Don Giuseppe Fusari, soprannominato “il prete culturista”. Su TikTok esiste un proflilo (non gestito dall’interessato), con quasi 20mila follower, dove appaiono video del don che parla di Dio ai più giovani e non solo. Appare con un look curato, con barba e capelli sempre in ordine.

A spiccare però, è il fisico scolpito, che svela l’attività parallela di culturista. Davanti alla telecamere posa con una camicia attillata, che non contiene le braccia muscolose sulle quali sono impressi alcuni tatuaggi.Don Giuseppe Fusari ha 57 anni. È stato ordinato nel 1991, ormai 32 anni fa, ed è presbitero della diocesi di Brescia. Sul suo profilo LinkedIn spiega di essere anche insegnante all’Università Cattolica del Sacro Cuore da 25 anni. Sui social il profilo che pubblica i suoi video ha attirato le attenzioni di migliaia di utenti: merito del suo look, decisamente particolare per un don.

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Ragazzina di 13 anni stuprata da 7 giovani clandestini, anche oggi Alessia Morani riesce a fare schifo: condanna il gesto, dimenticando di citare l’origine delle bestie

da : << Ragazzina di 13 anni stuprata da 7 giovani clandestini, anche oggi Alessia Morani riesce a fare schifo: condanna il gesto, dimenticando di citare l’origine delle bestie >> di https://www.dcnews.it del 4\2\2024




mi fa ridere il giustizialismo d'accatto di questi destronzi che s'eccittano quando a commettere una barbarie come lo stupro è uno straniero a prescindere se di prima o di seconda generazione , se regolare o clandestino . Per poi diventare pecorelle ( con rispetto per esse ) garantiste quando fra gli stupratori ( veri o presunti che siano ) ci sono figli del pesidente del senato . Beee... Beeee

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«Mia moglie ha tradito il suo ex con me e ora
sono io ad avere le corna. Lei è stufa della routine ma non vuole lasciarmi. Che devo fare?»



Un marito disperato e in preda alla confusione non sa proprio più che fare con la moglie. Lei lo ha tradito ma non vuole che lui la lasci e non vuole nemmeno lasciarlo. La storia è un po' complicata perché lei si sarebbe stancata della solita routine, mentre lui non si fida più. Come risolvere la situazione? Puo seguire quanto gli ha risposto l'esperta dell'amore, Bel Mooney, che dà consigli sentimentali sul Daily Mail a cui il protagonista s'era rivolto : : << instaura un dialogo vero e sincero: ditevi tutto e ricominciate da capo. So che è difficile, ma devi cercare di ridarle fiducia e di farla sentire come una regina, anche se ha sbagliato. Se la ami davvero ci riuscirai e se lei ti ama davvero, non sbaglierà più perché la sua routine le piacerà così tanto che non avrà bisogno di cercare nulla altrove >> oppure accordatevi per uno scambio di coppia o il triangolo cioè rapporto a tre








non sapevo che le poesie fossero anche filosofia .Quel che resta di niente di Cristian porcino

non pensavo che con la filosofia si potesse fare poesia   . Cristian Porcino  Ferrara   Attraverso ricercate metafore, Cristian A. Porcino Ferrara ci traghetta, come un navigato Caronte, attraverso i sentimenti umani. Anche in questo ventottesimo libro, nel viaggio tra le emozioni dell’anima ci accompagnano

musicisti come Mozart e Battiato, musa ispiratrice del nostro Autore, ma anche personaggi come Jung, Dante, Diogene, i Belletristi, la Bella e la Bestia, e figure come la madre dispensatrice d’amore, oppure la minuta nonna al balcone.In un altalenarsi di trepidazioni, smarrimenti, turbamenti, suggestioni, paure, amori, inquietudini, zone erogene ed ansie, Cristian A. Porcino Ferrara ci guida in questa danza Lakota che lo unisce – e ci unisce - al corpo pulsante da cui tutto ebbe origine.Infatti leggere  i cobntenuti  di  questo  libro  di  poesie  , anche per chi  ha letto i suoi preceentiu lavori e  lo segue  d'anni  ,  è come  immergersi  in un caledoscopio  di   : emozioni , umori  , odori    di un universo  variegato  e complesso . Infatti <<  [...]    Cristian.A. Porcino ferrara  non insegue certezze  ma   ci donna  piccole  chicche  brevi  perle di sagezza  che  descrivono , a volte   con  lucida  crudeltà e  disillusa  consapevolezza [...] (  introduzione  di  Stefano  Benaglia )   esplora  i  nostri stati  'animo   contradittori   che  coiascuno\a   di noi   prova o  ha  provato  nel corso   della vita  e nella  sua  opera  d'arte  . Infatti   tale  caratteristica   trova  conferma  nella  pregebvole e bellissima   nota  critica      della   poliedrica Barbara  Cavazzana   che  riporto  integralmente  sotto    e  vi consiglio  di leggere  







consiglio le poesie :

Io e io dove è riuscito a dare un senso positivo all'orgoglio
il patto violato dove ha ucciso il proprio grillo parlente o io interiore
arcipelaghi di nuvole dove sembra sia riuscito ad avarcare le porte della percezione
un magnifico niente dove mi sembra palese l'ispirazione a La storia infinita (titolo originale tedesco Die unendliche Geschichte) è un romanzo fantastico dello scrittore tedesco Michael Ende, pubblicatonel 1979 dalla Thienemann Verlag e ai primi due film (la storia infiita uno 1984 del produttore Bernd Eichinge con la sceneggiatura del regista Wolfgang Petersen una trasposizione della prima parte del romanzo — corrispondente al viaggio di Atreiu ., La storia infinita 2 1990, diretto da George Trumbull Miller) della triologia omonima

3.2.24

I fatti e la disinformazione sul caso di Ilaria Salis

 di  cosa  stiamo parlando   \  leggi  anche  





In questi ultimi giorni le foto di Ilaria Salis, ritratta  con una catena legata alla vita (che ricorda un guinzaglio) e le manette ai polsi e alle caviglie in un’aula di tribunale in Ungheria, hanno attirato l’attenzione del dibattito pubblico italiano sul caso. Salis, che è un’insegnante italiana di 39 anni, è reclusa nelle carceri ungheresi da quasi un anno con l’accusa di aver aggredito a febbraio 2023 tre persone durante il periodo delle celebrazioni del  Tag der Ehre , “becsület napja” in ungherese, il “Giorno dell’onore” dedicato ai soldati nazisti tedeschi e ungheresi che fino alla metà di febbraio del 1945 tentarono di impedire l’assedio di Budapest da parte dell’Armata Rossa. Il processo giudiziario nei confronti di Salis è appena iniziato, e la sua presunta colpevolezza deve essere ancora provata, ma sui media e sulle piattaforme di social network c’è chi ha già condannato l’insegnante definendola una «
persona che delinque
»     e 
che deve restare
 «in galera a scontare la pena fino all’ ultimo giorno». Questi giudizi frettolosi e approssimativi sono figli anche e soprattutto di un dibattito inquinato dalla disinformazione e dalla scarsa conoscenza del caso che ha coinvolto la cittadina italiana detenuta in Ungheria.

Di cosa è accusata Ilaria Salis
Secondo il 
rapporto
 della polizia ungherese, tra il 9 e l’11 febbraio 2023 a Budapest si sono verificati quattro attacchi durante i quali un gruppo di uomini e donne ha aggredito otto persone, tre delle quali hanno riportato ferite gravi e cinque lievi. Secondo quantoriportato dalla stampa italiana, la prognosi per le vittime sarebbe stata tra i 5 e gli 8 giorni. Per la polizia, tutti gli autori avrebbero utilizzato lo stesso metodo: avrebbero attaccato alle spalle, colpendo le vittime con aste metalliche telescopiche e altri dispositivi, per poi spruzzargli addosso uno spray al peperoncino. Le vittime sarebbero state scelte in base al loro abbigliamento, spiegano ancora le forze dell’ordine ungheresi: abiti che richiamano uno stile militare. A poche ore dagli incidenti sono state arrestate quattro persone: una donna ungherese, due cittadini tedeschi, e una cittadina italiana, ossia Ilaria Salis. L’insegnante è stata fermata nel pomeriggio dell’11 febbraio, il giorno dopo i fatti che le sono contestati, mentre si trovava a bordodi un taxi in compagnia di due cittadini tedeschi e con in tasca un manganello retrattile, riportano diversimedia italiani. 
Secondo
 il padre Roberto, lo «aveva portato con sé per un’eventuale difesa personale» e su di esso non è stata rilevata «alcuna traccia delle vittime». La zia Carla Rovelli 
ha spiegato
 che la nipote si trovava a Budapest perché «ha sentito il bisogno di unirsi» alla contromanifestazione di protesta organizzata dai movimenti antifascisti contro il Tag der Ehre. Questa giornata viene celebrata dalla fine degli anni Novanta da militanti neofascisti a Budapest per ricordare l’impegno dei militari nazisti durante la Seconda Guerra mondiale per fermare l’Armata Rossa. Fino a pochi anni fa venivano organizzaticortei, concerti ed eventivari, mentre ora la polizia ungherese non autorizza più grandi parate a causa del pericolo di scontri e disordine pubblico. Oltre a militanti di estrema destra, infatti, a Budapest si recano annualmente anche gruppi pacifisti e antifascisti che organizzano contro manifestazioni di protesta, con il concreto rischio di scontri tra le due fazioni. Ad oggi Ilaria Salis è accusata dalla procura ungherese di aver partecipato a due aggressioni e rischia un massimo di 24 anni di carcere. L’ipotesi dell’accusa è che abbia agito come membro di 
Hammerbande
, un’organizzazione di antifascisti tedeschi fondata nel 2017 a Lipsia in Germania con l’intento di 
rintracciare e attaccare
 esponenti e militanti fascisti. Gli avvocati di Salis 
hanno  spiegato
 che l’insegnante non risulta fra i membri dell’organizzazione, e il padre Roberto ha dichiarato  a repubblica  di non aver mai sentito la figlia parlarne. Le tre vittime che Salis avrebbe colpito non hanno sporto denuncia, 
in base a quanto dichiarato
 alla Stampa dal padre della donna. Le prove dell’accusa si basano sulle immagini delle telecamere di sorveglianza in cui le autorità ungheresi l’avrebbero riconosciuta, ma gli avvocati dell’imputata 
hanno denunciato
 l’impossibilità di visionare il filmato in questione. Salis, comunque, sostiene di non aver partecipato alle aggressioni, motivo per cui 
ha rifiutato
 una proposta di patteggiamento a 11 anni e all’udienza preliminare del 29 gennaio 2024 si è dichiarata innocente.  

La condizioni carcerarie
Ciò che ha scatenato così tanto interesse sul caso Salis, come dicevamo, sono state le foto scattate durante l’udienza preliminare del 29 gennaio, dove Salis è stata fatta entrare in aula con «un guinzaglio collegato a un dispositivo alle caviglie e uno ai polsi», come 
definito
 da uno dei suoi avvocati, Mauro Straini. Già nel 2018 l’Ungheria 
era stata richiamata
 dal comitato anti-tortura (
CPT
) del Consiglio d’Europa per l’uso inappropriato della manette in determinate situazioni, ad esempio alla vista del pubblico mentre vengono trasferite dalle strutture di detenzione ad altri luoghi come gli edifici giudiziari. Quelle stesse foto sono state utilizzate da una parte dell’opinione pubblica per screditare le pessime condizioni carcerarie a cui è sottoposta Salis. Su X ci sono post che dipingono l’insegnante come in buona salute, sorridente, 
«non sofferente
», che 
«non presenta segni di maltrattamento
». Ma chi era in aula quel giorno racconta una storia diversa. Contattato da Facta, Alessandro Grimaldi, che vive in Ungheria dal 2005, lavora nel campo dei media ed era presente all’udienza, ha spiegato che «Salis ha sorriso perché era contenta di vedere amici presenti» che erano lì a Budapest proprio per il processo. «Sembrava un sorriso forzato, e solo da vicino ti potevi accorgere che era visibilmente stanca», ha aggiunto. Il padre Roberto ha 
più volte
 
ribadito
 che la figlia è «molto forte» e cerca di sollevare il morale dei genitori il più possibile, ma nei primi mesi di carcere ha vissuto in condizioni difficili. Nei primi otto giorni, 
ha  raccontato
 il padre in 
diverse occasioni
, Salis sarebbe stata spogliata e lasciata solo con gli indumenti intimi, e le sarebbero stati dati dei vestiti sporchi e degli stivali con il tacco non della sua misura. Non le sarebbe stato consegnato nemmeno il kit igienico, e in quel periodo aveva anche le mestruazioni, afferma ancora Roberto Salis. Solo dopo 35 giorni dall’arresto l’ambasciata italiana le avrebbe consegnato dei vestiti di ricambio e un asciugamano.Inoltre, in base a quanto comunicato dalla stessa Salis 
in una lettera
 recapitata lo scorso 2 ottobre al consolato italiano di Budapest, per sei mesi non ha potuto comunicare con la sua famiglia. «Il primo settembre (dopo 6 mesi di detenzione) ho ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i miei!», ha scritto la donna. Nello stessa lettera, Salis, denunciava le pessime condizioni in cui era detenuta. «Per i primi tre mesi sono stata tormentata dalle punture delle cimici da letto, che mi creavano una reazione allergica. Nonostante le mie ripetute richieste e i segni visibili che avevo anche in volto, non ho ricevuto per tutto il periodo né gli antistaminici né la crema», si legge. Le pessime condizioni di detenzione nelle carceri ungheresi sono da tempo  denunciate  da vari comitati ungheresi, tra cui  Comitato Helsinki Ungherese
. Sulla tematica era intervenuta anche la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) che nel 2015 aveva 
condannato 
 l’Ungheria per le gravi violazioni dei diritti dei detenuti. Anche l’Unione europea 
ha espresso
 in passato 
le  sue preoccupazioni
 sullo stato di diritto dell’Ungheria, sottolineando come il governo ungherese abbia messo a repentaglio il funzionamento del sistema costituzionale ed elettorale, l’indipendenza della magistratura e il pluralismo dei media. Anche varie organizzazioni, come Amnesty International, sono intervenute 
denunciando
 il 
mancato rispetto
 dei diritti umani nel Paese, come la libertà di religione, di associazione, il diritto alla parità di trattamento, i diritti delle minoranze, della comunità Lgbt+, dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Ilaria Salis al momento dovrà continuare a restare in carcere, dove però le condizioni sembrano essere 
migliorate
, ha raccontato il padre Roberto. Con l’udienza del 29 gennaio il giudice ungherese ha confermato la misura cautelare della detenzione in carcere per Ilaria Salis e ha fissato la prossima udienza al 24 maggio. L’obiettivo dei legali di Salis, al momento, è farla trasferire agli arresti domiciliari in Italia. 

La disinformazione che circola sul caso

In questi giorni sui social network sta circolando un 
filmato
 in cui un uomo viene picchiato da un gruppo di persone a volto coperto. L’uomo aggredito, 
stando
 ai 
commenti
 che si leggono, sarebbe László Dudog, musicista rock ungherese che come 
immagine del profilo
 di Instagram ha il busto di Mussolini accanto a una bandiera della Lazio. A febbraio 2023, nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti, l’uomo aveva dichiarato alla stampa ungherese che gli era stata «spaccata la testa, che poi è stata ricucita in ospedale», e rotto uno zigomo.Tuttavia il video non sembra combaciare con la scena descritta da Dudog per diversi motivi: innanzitutto nelle immagini si vede solo un uomo, e la vittima ha dichiarato di essere stato aggredito mentre si trovava insieme alla compagnia. Inoltre, il filmato ritrae una scena ripresa di giorno, ma lui è stato picchiato in tarda notte. La persona ripresa nel filmato 
sarebbe
 
invece
 T. Zoltàn, un tabaccaio che lavora in un punto vendita vicino a 
piazza Gazdagréti
luogo dell’aggressione
 avvenuta il 10 febbraio, intorno alle 12:30. Secondo quanto riportato dalla polizia il fatto rientra nelle aggressioni legate al gruppo antifascista.Questo non è l’unico caso di disinformazione che circola sui social. Ad esempio, su X vengono accostate due foto (attenzione: si tratta di immagini forti) di un volto tumefatto e di una testa con profondi tagli. Secondo chi ha condiviso il contenuto, entrambe le foto mostrerebbero le conseguenze dell’aggressione a László Dudog. In realtà si tratta di due persone diverse. Una mostra effettivamente Dudog, ma l’altra persona 
è invece
 un cittadino tedesco che, insieme alla ragazza, è stato aggredito davanti al proprio alloggio sempre nel contesto delle aggressioni imputate a militanti antifascisti.Contenuti disinformativi sono arrivati anche da importanti partiti politici italiani al governo. Il ministro degli Interni e leader della Lega Matteo Salvini il 31 gennaio su X 
si è scagliato contro
 l’insegnante accusandola di essere stata presente in occasione di un attacco al gazebo del partito italiano Lega Nord nel 2017, a Monza. In realtà Salis non ha partecipato agli attacchi al gazebo della Lega, come stabilito dal processo avviato in seguito a quei fatti. La giudice Maria Letizia Borlone il 1° dicembre del 2023 
ha infattiaccolto
 la richiesta di assoluzione avanzata sia dalla difesa che dal pubblico ministero, spiegando che «la mera partecipazione al corteo senza partecipazione o istigazione all’azione delittuosa non può costituire un’ipotesi concorsuale neanche morale». Inoltre, risulta che Salis all’epoca avesse addirittura tentato di fermare l’attacco al banchetto, come si può vedere in un 
filmato
 e come scritto dalla giudice nelle motivazioni. Ilaria Salis mise «il braccio dietro la schiena ad un giovane che aveva appena buttato a terra la bandiera leghista, come ad invitarlo a proseguire nel corteo», ha scritto la giudice.Le dichiarazioni di Salvini non sono passate inosservate, e il padre Roberto Salis 
ha dichiarato
 di aver deciso di querelare il leader della Lega «a seguito delle dichiarazione lesive» della reputazione della figlia «per quanto riguarda il presunto assalto al chiosco della Lega a Monza».


1.2.24

altri casi di nostri connazionaliche come Ilaria Salis ( Da Chico Forti a El Qaisi: 2 mila detenuti all’estero) sono o sono stati in carcere al'estero e in condizioni disumane ma al ministro degli esteri non importa

 da il fq  di oggi   1\II\024 

Secondo l’ultimo Annuario statistico della Farnesina, a novembre 2022 i detenuti italiani all’estero erano 2.058 fra quelli in attesa di giudizio, i condannati e quelli in attesa di estradizione. La grande maggioranza, 1.526, si trova nell’unione europea: oltre 700 in Germania, 230 in Francia, 229 in Spagna; altri 200 sono nelle Americhe. Ilaria Salis, insomma, non è l’unica italiana detenuta all’estero. E

nemmeno in Ungheria, dove ci sono 5 condannati e 12 in attesa di giudizio. Rita Bernardini, presidente dell’associazione Nessuno tocchi Caino, ha raccontato all’adnkronos di un caso analogo in Romania: “Filippo Mosca, un italiano di Caltanissetta, a maggio 2023 era andato a un festival musicale: con un processo farsa è stato accusato di traffico internazionale di stupefacenti e condannato a 8 anni e 6 mesi. Ora si trova nel carcere di Porta Alba di Costanza, 24 detenuti in una cella di 30 mq”. Mosca, 29 anni, è seguito dalla madre Ornella Matraxia, che vive a Londra e che denuncia condizioni carcerarie irrispettose della dignità umana: “Mio figlio vive in una cella di circa 30 mq con altri 24 detenuti. Hanno a disposizione un buco sul pavimento come bagno. Non un bagno alla turca, ma un buco, usato da tutti, sempre intasato e che non viene mai pulito. Le condizioni igienico-sanitarie sono a dir poco disastrose”. La Farnesina è al corrente del caso, oggetto di una interrogazione parlamentare di Iv.Un caso molto noto è quello di Chico Forti, ex produttore televisivo ed ex velista, condannato all’ergastolo nel 2000 in Florida per frode, circonvenzione di incapace e concorso in omicidio. Da allora è in un istituto di massima sicurezza. Si è sempre detto innocente.NEL 2020 l’allora ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ne aveva annunciato l’imminente ritorno in Italia, in applicazione della Convenzione di Strasburgo che consente ai condannati all’estero di scontare la pena in Italia, richiesta dei legali di Forti accolta dal governatore della Florida. Sono passati tre anni ma Forti è ancora in carcere, malgrado l’interessamento dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia.Un caso recente, andato a buon fine, è quello dello studente italo-palestinese Khaled El Qaisi, arrestato il 31 agosto 2023 al confine tra la Giordania e la Cisgiordania mentre tornava da una vacanza a Betlemme con sua moglie e il figlio di 4 anni e detenuto dalle autorità israeliane per oltre un mese nel carcere di Ashkelon, in regime di arresto amministrativo, senza essere stato incriminato. Al momento dell’arresto, si legge in una interrogazione al Parlamento europeo, “la moglie FrancescaAntinucci era stata allontanata con suo figlio nel territorio giordano senza telefono o contanti ed era riuscita a contattare l’ambasciata italiana solo grazie all’aiuto della popolazione locale”. Scarcerato il 1 ottobre con il divieto di lasciare il Paese per sette giorni e l’obbligo di consegnare il passaporto alle autorità mentre l’inchiesta era in corso, disposizioni poi prorogate, è potuto tornare in Italia solo ai primi di dicembre.