21.2.20

Revenge porn , chat polizia e licenziamento del datore di lavoro : se una donna è vittima due volte. la vicenda di una dottoressa di Brescia





Non bastava l'umiliazione subita: il datore di lavoro di una 40enne di Brescia ha deciso cacciarla dall'azienda per danno d'immagine. Sottoponendola a un doppio abuso. Ma non possiamo dimenticare che siamo tutti responsabili. Ricordate Tiziana Cantone?






Revenge pornImmaginate     una  donna   che     fidandosi  perchè   convinta  che  tutto   rimanesse  tra le quattro mura della  camera da letto, d’accordo che non sarebbe mai uscito da lì ,  ha   realizzato un video hot   erotico  con il compagno, marito, amante o chiunque sia.  Invece  le  cose    sono  invece   andate    come   accade     purtroppo spesso   viene inoltrato a centinaia di numeri di cellulare e finisce online.  Fin qui   niente  di   nuovo \  normale  (   OVVIAMENTE  SON SARCASTICO    non fraintendetemi   in quanto  considero il  fatto già   grave di per sè. Ma se quei video finiscono nelle chat di cui fanno parte poliziotti e carabinieri che non fermano la cosa, ma anzi, ci ridono su e alimentano la cosa, la faccenda diventa più preoccupante.  La sua diffusione è inarrestabile, come qualsiasi contenuto gettato in Rete. Infatti  La vergogna, 
umiliazione e la rabbia sono  ancora   più indescrivibili. Sopratutto  quando   : 1)  esso circola  e  viene  diffuso   da   coloro   dovrebbero   tutelarti       come  le  forze  dell'ordine  .  .2)    o  quando   dopo aver sporto denuncia il vostro datore di lavoro vi licenzi. Sì, avete capito bene. Per «danno d’immagine». La sua. Sembra una beffa, ed è quello che è realmente accaduto a una donna bresciana.

[....] 

TELFONATE

Qualche giorno dopo l’inizio dell’indagine, la donna, già vittima di revenge porn, ha subito un altro abuso: è stata licenziata da uno degli studi per i quali lavorava. Il licenziamento sarebbe scattato per un danno di immagine e il datore di lavoro ha spiegato di aver ricevuto chiamate da uomini che volevano un appuntamento con la professionista «senza far riferimento alla problematica da affrontare e senza lasciare recapito telefonico».

IL REVENG PORN È REATO SOLO DAL 2019

Risultato immagini per revenge pornIl reveng porn, diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti, in Italia è reato da luglio 2019, grazie all’articolo 10 della legge numero 69. Un delitto introdotto per contrastare legalmente la moda di diffondere foto e video hard realizzate con il consenso dell’interessato e diffuse senza nessuna autorizzazione, ledendo privacyreputazione dignità della vittima. Il termine revenge porn è nato alla fine degli Anni 90 negli Stati Uniti, dove un sito omonimo già allora pubblicava materiali intimi con lo scopo dichiarato di consentire «vendetta» («revenge») a chi si ritenesse offeso o vilipeso dal comportamento altrui. Di solito chi usa il revenge porn come arma è un ex offeso per un tradimento o semplicemente arrabbiato. Un fenomeno grave e per fortuna da pochi mesi punibile, ma di ancora più grave in questa storia c’è un passaggio ulteriore: il licenziamento della donna offesa.

ABBIAMO GIÀ DIMENTICATO TIZIANA CANTONE?

Come è possibile che un datore di lavoro anziché capire la delicata posizione della dipendente decida di tagliarla fuori per danno di immagine? Come può sentirsi una donna violata per mano di una persona di cui si fidava, esposta alla pubblica gogna con viso e corpo esposti, e poi persino licenziata, quindi vittima due volte? Ci siamo dimenticati di Tiziana Cantone, la 30enne che si tolse la vita per smettere di dover sopportare l’umiliazione continua di un video hard finito sulle chat WhatsApp di tutta Italia? Ci siamo dimenticati di quanto sia pericoloso vivere un oltraggio del genere ed essere derise e chiamate troie senza che a tutto questo venga messa la parola «fine»? Tiziana Cantone la parola «fine» purtroppo ha scelto di scriverla da sola. Ma a nessun’altra donna e nessun altro uomo deve ricapitare. E tutti noi siamo responsabili. [  o aggiungo    per quanto voi vi crediate assolti\siete per sempre coinvolti. ] Datori di lavoro e non solo.


ma i creativi ( o pseudo tali ) sanno fare pubblicità sesso infarcirla di sesso o sfruttare il corpo della donna ? l'ennesimo Un cartellone quasi pornografico a Ragusa

  Leggendo questo    post      su Lettera43.it  del 20 febbraio 2020 13:14
Un cartellone quasi pornografico a Ragusa ha scatenato l'indignazione sui social. Voleva sponsorizzare una moto elettrica con un'allusione sessuale. Lubrificanti, compro oro, persino le campagne di sensibilizzazione sull'alcol: sulla mercificazione del corpo delle donne non impariamo mai.
Ci risiamo. L’ennesima donna nuda di fianco a un’allusione sessuale decisamente poco fraintendibile campeggia su un cartellone pubblicitario a Ragusa. Una ragazza di spalle a bordo di uno scooter intenta a mettersi un casco. Segni particolari: indossa soltanto un perizoma. Il claim della pubblicità: «Vienimi dietro. Sono elettrica».
L’AMBIENTE VA RISPETTATO, LE DONNE NO
Siamo nel 2020 e nella ridente cittadina siciliana qualcuno ha ancora il coraggio di sedersi in un ufficio e partorire una porcheria del genere, che incarna all’ennesima potenza la più becera mercificazione del corpo femminile per vendere un prodotto assieme a una volgare allusione sessuale. Nessuna informazione sul prodotto da sponsorizzare, solo lei con il suo invito quasi pornografico. Dell’azienda in questione sappiamo solo che la sua mobilità elettrica è sostenibile. Perché l’ambiente va rispettato, il genere femminile invece no, calpestiamolo pure. [ .....  continua  qui sul sito   ]




Ma queste metafore sono un invito a farlo per certe menti fragili e influenzabili .... o ormai  schiavi  \   della pornografia  .Quindi  care  donne che partecipate o  accettate passivamente ed  rassegnate  tale uso del vostro corpi con queste pubblicità a tali provini  di ditte che  ancora    sono  convinte  o  che  assumono   pseudo creativi pubblicitari , privi di fantasia che non sanno più cosa inventarsi per pubblicizzare il prodotto e ricorrono al fatto che tira di più il corpo della donna che il prodotto stesso   che    si vuole  promuovere  sappiate  (  sempre  che  lo sappiate  già  ignorandolo  )    che   cosi    vi   "autorovinate" la reputazione (se ancora ne avete un po') 🤮🤮🤮🤮🤮 e poi fate le manifestazioni contro il femminicidio .  Pensateci  mentre e  scendete  in piazza  o protestate  in rete  o  sui  social  ,  io non ne ho visto   e  ne  ha  visto  poche  di voi   agire  veramente   , poi magari ce ne saranno anche , scendete in piazza o sui social per  combattere    il femminicidio   , perchè     ciò' è   l'anticamera del femminicidio e della violenza.  

 datemi pure   e   bacchettone  .  Ma  qui  si tratta   di  buon senso   non c'è niente    di erotico o sensuale   od trasgressivo  ma  solo mercificazione di corpi  ed  volgarità gratuita   .  Capisco   tale  uso    se  si tratta di   : un profumo,  intimo   femminile  ,   trucchi   , e volendo  anche    igiene intima  ma  ......   qui  si  tratta  di    un oggetto   unisex  


concludo     sulle   prime note di  Nostra  signora  dell'ipocrisia di  Francesco  Guccini 
  

19.2.20

Quando un maschio adulto, lobotomizzato e alla ricerca di consensi non sa a cosa attaccarsi, s'attacca all'aborto.

 Molti mi dirano  ma  che  te  frega     son argomenti donne ,  non sapevo  che  ti fossi convertito    al femminismo   .

 È  vero     quanto dice 
Bianchi Elisabetta Non si parla di stupro. Non si parla di eventi ..straordinari. Non si menziona una gravidanza con una creatura eventualmente affetta da gravi danni fisici o celebrale Si parla di Vita. Si Potrebbe cogliere e gestire il senso di Donne costrette ad abortire per problemi personali gravi. Però. Però Però. Quando si fa sesso....Siamo tranne in casi violenti tutti coscienti di eventualità naturali quali concepimento. Non si può accettare la leggerezza di gesti . Usate metodi contraccettivi. Eviterete indubbiamente di vivere poi l aborto. L.Egoismo. la Stupidità. La Leggerezza fa male a tutti
Ho vissuto una conoscente con 4 aborti per non usare metodi possibili. E di Donne così ce ne sono a migliaia. Per cui a me queste donne non mi fanno pena. Non le stimo. Non le amo e le disapprovo pienamente. L aborto deve essere non una liberazione fisica. Ma una scelta necessaria dove sia davvero importante.




Ma poi  come   giustamente affermano   la nostra   utente  Daniela  Tuscano  :
1) non si abortisce al pronto soccorso;
2) se una donna pratica sette aborti non lo fa perché ricca e viziosa, ma piuttosto il contrario: perché disperata, sola, molto probabilmente in balia d'un partner violento che prima si serve di lei poi la obbliga a disfarsi del "peso" importuno. Una donna che non conosce, o forse le è Impedito, di accedere ai metodi contraccettivi.
e  l'altra    mia utente   facebookiana da    cui , ho  trattato per  il titolo  del post  le  prime righe   

Quando un maschio adulto, lobotomizzato e alla ricerca di consensi non sa a cosa attaccarsi, s'attacca all'aborto.
Aborto, contraccezione, pillola del giorno dopo, utero, cose su cui non dovrebbe proferire parola, tanta è l'ignoranza che regna sovrana (e sovranista) in materia.Peraltro, il suddetto maschio adulto, parla di questa roba come se le donne si riproducessero per partenogenesi, come se facessero tutto loro e non ci fosse a monte un maschio ugualmente responsabile. Responsabile molto spesso di rinunciare totalmente alle proprie responsabilità condannando quindi la donna ad una solitaria, disperata, inevitabile scelta.Il suddetto maschio adulto ovviamente è persona spregevole, violenta, così come quelli che lo seguono che avallano un sistema di disuguaglianza e prepotenza che condanna le donne al rogo.Questo maschio adulto, non è quindi il solo responsabile di tanta miserabile aberrazione: ci sono complici, donne e uomini che gli fanno da grancassa e che sostanzialmente giustificano, propagano, ingrassano la violenza sulle donne.Le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Infatti trovo propagandistico   l'intervento  di Salvini  , per i motivi suddetti . Ma  allo stesso non biasimo   quantoi dice   Elena  ,  ma   non me  la  sento di giudicarle  ed  condannarle perchè

    

18.2.20

lotta contro gli haters e gli insulti .la normalità del bene . la stolria di allenatore di una squadra di basket under 13 lombarda che decise di ritirare i suoi ragazzi dal campo quando sentì che i genitori sugli spalti stavano insultando l’arbitro 14enne.

Questa  è  storia  di  di un 26enne di Castiglione delle Stiviere e coach dell'under 13 "Amico basket CarpenedoloGli “eroi” civili di Mattarella, la storia di Marco Giazzi: l’allenatore di basket che ha ritirato la squadra dopo gli insulti dei genitori all’arbitro


 aveva deciso di abbandonare il parquet (causando l'automatica sconfitta a tavolino) per fermare le offese di mamme e papà sugli spalti nei confronti del giudice di gara di 14 anni . qui il resto  l'antefatto    alla base  della medaglia  di   Mattarella


-1:20
HD
Apri in una nuova tab
‘PER ME È STATO UN GESTO NORMALE’
Tra gli ‘eroi civili’ premiati oggi dal presidente Mattarella c’era anche Marco, allenatore di una squadra di basket under 13 lombarda che decise di ritirare i suoi ragazzi dal campo quando sentì che i genitori sugli spalti stavano insultando l’arbitro 14enne.
Servizio di Maria Teresa Palamà, Tg3 ore 14.20 del 17/02/2020


 le  motivazioni    sono  “Per il suo esempio e l’ammirevole contributo nell’affermazione dei valori della correttezza sportiva e della sana competizione nel mondo dello sport”.
Infatti   « per » --   secondo  quanto  dice  il  sito  https://primabrescia.it/ --  « questa grande dimostrazione si senso civico il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha insignito il 26enne di Castiglione delle Stiviere Marco Giazzi del titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica. Rappresentante dell’associazione sportiva dilettantistica Alto Mantovano e allenatore della squadra under 13 “Amico Basket” di Carpenedolo, Giazzi si è distinto per il suo comportamento eccellente. Durante una partita in casa contro la squadra Negrini Quistello, in seguito a proteste e insulti dei genitori della squadra avversaria nei confronti dell’arbitro (di soli 14 anni), ha chiamato il time out chiedendo ai genitori di smettere di protestare. Non avendo ottenuto i risultati sperati ha ritirato i propri ragazzi nonostante il vantaggio di 10 punti.Un gesto che non è passato inosservato e il cui eco è arrivato nella Capitale. Da qui il grande riconoscimento. ».
Ce ne fossero di più   di  persone  cosi ci sarebbe  una  situazione  migliore  di  in Italia  ed i  clima sarebbe migliore 

17.2.20

storie di vita e di morte

in sottofondo
Simone Cristicchi - Lo chiederemo agli alberi
respirare l'aria,da Foglie d'erba di Walt Whitman



Inizio dalla morte non perchè sia cinico , ma perchè l'anoressia   non  è  solo    come ci fanno credere i media   e internet    un fenomeno  solo  femminile  , ma   purtroppo   anche  maschile (  come testimonia  questo articolo di repubblica  purtroppo a € pagamento )  ,  anche  se  a differenza   le  donne come dimostra il libro  , vedere   questo  articolo con informazioni su di lei e sulla casa editrice del libro   da  cui  ho preso la  foto  che  riporto qui  a  sinistra    e  questo mio reportage scritto per il  blog   sulla  sua presentazione  a tempio  p   ,  di Silvia Piga   hanno più coraggio nel parlarne    .
La Prima   storia è quella di   Lorenzo  studente del "Majorana" di Moncalieri, morto due settimane fa  proprio per  l'anoressia .  Non  riuscendo  a  trovare le parole per  raccontare io la storia     preferisco   usare    questi due  articoli    di repubblica  del  16    e  del  17   febbraio  


il  primo

"I sogni del nostro Lorenzo, ucciso a vent'anni dall'anoressia e dalla legge"
La lettera dei genitori del giovane, studente del "Majorana" di Moncalieri, morto due settimane fa: "Siamo stati lasciati soli in mezzo a norme sbagliate"



                                               di CRISTINA PALAZZO

Lorenzo con la mamma 
Un foglio bianco con una lista di sogni, come "essere più fiero di me stesso", ma anche di cose da fare. Come "offrire la colazione a papà": fatto. O come "viaggiare". Questo obiettivo, però, non è mai stato raggiunto. Perché Lorenzo, che aveva steso l'elenco meno di un mese fa, è morto consumato a 20 anni dall'anoressia.
 Lorenzo  con la madre Francesca Lazzari
" Ci aveva stupito quel gesto, lo avevamo interpretato come un segno di speranza: in quell'elenco vedevamo la sua voglia di combattere ancora. Neanche un mese dopo è morto", ricordano Fabio Seminatore e Francesca Lazzari, papà e mamma di Lorenzo, lo studente del "Majorana" di Moncalieri morto due settimane fa. "Di anoressia si può morire e i genitori dei ragazzi che ne soffrono lo devono sapere. Bisogna parlarne e affrontare il fenomeno. A partire dalla legge: non si può dimettere una persona nelle condizioni di nostro figlio solo perché maggiorenne. È una vergogna nazionale" . Sono durissimi: "Non ci sono abbastanza strutture pubbliche, non c'è un sistema che sappia dirti a chi rivolgerti - segnalano - È necessario mettere mano alla normativa, perché c'è un vuoto".
Dal giorno della morte continuano ad ascoltare le canzoni di Oncethekllr, il nome d'arte del loro Lorenzo, e rileggono continuamente le parole delle ultime, pubblicate a fine gennaio: "Forse ho dato troppo e tutto troppo presto", cantava.
L'incubo è cominciato al primo anno del liceo scientifico Gobetti di Torino. Aveva iniziato a mangiare sempre meno, poi la diagnosi della depressione: " Era esigente, doveva cercare di fare tutto al meglio, dal calcio alla scuola. Studiava tanto perché voleva essere bravo ma forse nessuno glielo ha mai detto " , ragiona la mamma. Lorenzo si è trasferito al Majorana di Moncalieri. Grazie alla disponibilità del preside Gianni Oliva e del corpo docente ha conseguito il diploma non perdendo nessun anno, neanche quando era ricoverato nella piccola struttura aostana " Residenza Dahu". "Furono splendidi, gli inviavano il materiale e per le interrogazioni li accompagnavamo fino a Brusson, anche sotto la neve. Lì era seguito da specialisti sempre ed era impegnato tutto il giorno - raccontano Fabio e Francesca - Quando terminò l'anno in struttura era felice, aveva ripreso 20 chili: tornò a scuola, si fidanzò e sembrava volesse riprendersi quel tempo perduto".
Poi l'ansia del diploma: Lorenzo aveva iniziato a mangiare meno. Non dormiva. All'Università frequentò due giornate di lezioni a Filosofia, un'altra a Scienze della Comunicazione, ma niente: "Forse non riusciva ad accettare l'idea di ritrovarsi a essere un numero. Lui voleva aiutare gli altri, era quello il suo futuro e lo faceva nel suo piccolo".
Ha iniziato a perdere di nuovo peso: "Perché non mangi?", gli domandavano. Una volta rispose in questo modo: "Perché so che prima o poi così muoio". Poi sono seguiti i ricoveri all'ospedale Molinette: il primo a maggio, in psichiatria, poi di nuovo a dicembre. "Ma quando vedevano che il livello di potassio rientrava lui firmava e tornava a casa. Ci aveva vietato di parlare con i medici" , raccontano i genitori. E spiegano: " Abbiamo supplicato che gli facessero il Tso. Ci aveva confidato che era arrivato a vomitare anche 20 volte al giorno, ma era come se non fosse lui a farlo. Era uno spettatore, era la malattia ad agire per lui. E ci rassicurava che stava bene, che insieme ce l'avremmo fatta, senza ricovero". Il 3 febbraio l'ultima telefonata al 112, ma non c'era più nulla da fare.
"È necessario parlarne, soprattutto nelle scuole, dove possono manifestarsi i primi segnali, e bisogna aiutare le famiglie che vivono situazioni simili. Noi abbiamo fatto di tutto, ci siamo detti che a costo di mangiare pane e cipolla avremmo provato ogni strada, abbiamo scelto esperti e strutture private, pagando di tasca nostra. Ma quando i figli sono maggiorenni, i genitori non possono fare nulla " , dicono la mamma e il papà di Lorenzo. E proseguono: "C'è carenza di conoscenza reale della malattia, mancano strutture adeguate e personale che sappia gestire questi pazienti, che sono in grado di fare di tutto pur di tornarsene a casa". Nelle loro menti risuona spesso quell'ultima frase pronunciata dal figlio: "Tranquilli, sono magro ma sono in forza".

Il   secondo 

Torino -
Un male dentro l’ha consumato per sei anni. Fino a morire, due settimane fa, di anoressia a 20 anni, lasciando ai genitori un macigno sul cuore: «Lorenzo, cosa potevamo fare di più per aiutarti?». Francesca Lazzari e Fabio Seminatore raccontano di averle provate tutte. E cercano adesso di trasformare l’agonia vissuta accanto al loro figlio maggiore, in un’esperienza che sia di aiuto per chi sta vivendo lo stesso dramma: «Il sistema non funziona, le famiglie vengono lasciate sole, si tagliano i fondi e non ci sono abbastanza strutture adeguate». 
La morte di un figlio è inaccettabile per una madre. Sente che non avete fatto abbastanza? 
«Sono sincera: stiamo soffrendo il peso del fallimento. Anche oggi sono tornata al cimitero e gli ho chiesto “Lollo cosa potevo fare per aiutarti e averti ancora con me? Ma quella malattia è un mostro dell’anima. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per aiutarlo, anche perché a livello economico potevamo permettercelo: l’abbiamo affidato a strutture private e fatto seguire da super esperti. Ma il problema è diventato insormontabile quando ha compiuto 18 anni e poteva firmare le dimissioni».
Quando vi siete accorti della malattia di Lorenzo?
«In prima liceo. Aveva iniziato a mangiare meno. Sembrava un disagio legato alla scuola in cui non si trovava bene. Al secondo anno l’abbiamo iscritto al Majorana di Moncalieri dove è stato accolto e supportato in ogni modo. Ma a un certo punto non usciva più di casa, restava chiuso in camera tutto il giorno».
Cosa avete fatto?
«Ci siamo allarmati quando alla neuropsichiatra che era riuscita ad “agganciarlo” e a farlo aprire ha dato una risposta terribile. “Perché non mangi?”, lui ha ammesso: “Perché so che così muoio”».
Come avete reagito?
«L’abbiamo portato in una struttura specializzata a Brusson, in Valle d’Aosta. C’erano pochi posti, ma qualcuno era dedicato ai privati. Per i primi tre mesi non abbiamo potuto avere alcun contatto con lui: è stato molto doloroso. Ma in quella struttura era rinato, facevano laboratori di teatro, cucina e aveva un’equipe specializzata che lo seguiva».
Come ha fatto con la scuola?
«Il preside Gianni Oliva e gli insegnanti sono stati meravigliosi: gli mandavano compiti e appunti. Io portavo le docenti da lui anche sotto la neve. Lorenzo non ha perso l’anno: è stato molto importante per lui che era così esigente con sé».
Come era il suo carattere?
«Lui aveva tanto, ma voleva essere apprezzato per ciò che era. Aiutava gli altri ed era un perfezionista. Questa è una caratteristica comune nell’anoressia sia femminile che maschile». 
L’anoressia maschile è meno conosciuta. Ci sono differenze?
«A Brusson c’era solo un altro ragazzo. Tuttavia non ci sono differenze: si tratta di anime ipersensibili, esigenti con se stesse e che si fanno carico dei problemi degli altri. Non è solo cercare la magrezza per essere come le soubrette. Non si sentono compresi perché non sanno spiegare quello che hanno dentro. Eppure c’era chi pensava: “Ma come Lorenzo? Hai 20 anni, mangia di più, esci e divertiti”. Ma lui si sentiva “un vaso crepato”, come ha scritto in una canzone. Eppure era così amato, anche dalla sua fidanzata».
Cosa non ha funzionato?
«A dicembre mi ha detto: “Mamma aiutami, non sto in piedi”. L’ho portato di nuovo al pronto soccorso. Mio figlio era alto un metro e 90, ai medici ha detto di pesare 60 chili, ma non sarà stato più di 50 e non l’hanno nemmeno pesato. Aveva il potassio a 2, e 33 battiti. L’hanno portato in terapia intensiva e mi hanno detto che sarebbe potuto morire per uno scalino. Ma poi quando i valori sono tornati a posto, lui ha firmato le dimissioni e deciso che i medici non parlassero con noi. È stata una condanna a morte: eppure siamo in Italia. Chiediamo più risorse e aiuti. Da me lui non tornerà più, ma noi ci batteremo perché altre famiglie non siano lasciate sole».
 

l'altra storia      tratta  da   : 
 1) https://www.lettera43.it/daniel-bullo-educatore/ 
 2)  https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/


È  quella di   Daniel Zaccaro, 27 anni  che da bullo che aveva commesso il primo reato poco più che adolescente, finendo anche in carcere prima al Beccaria, poi a San Vittore,  ha  aveva ottenuto l’affidamento in prova presso la comunità Kayròs di don Claudio Burgio. E ieri, come riporta il Corriere della Sera, si è laureato all’Università Cattolica, in Scienze della formazione, e vuole diventare educatore.Daniel era un bullo, ora farà l'educatore. Alla sua laurea, anche la pm che lo
Daniel ha già cominciato a darsi da fare e a lavorare con un ragazzo difficile, proprio come era lui da giovanissimo, nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro. Ad applaudirlo il giorno della laurea c’era anche la pm del tribunale per i minorenni che l’ha processato e fatto condannare in tutti i processi in cui era imputato. «È una grande vittoria di tutti noi, questa», ha detto il magistrato nella cronaca riportata dal quotidiano, dandogli una carezza sulla corona d’alloro: «Daniel racconta agli adolescenti come è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi. Ma io glielo dico sempre, a costo di sembrare pedante: attento a non farti sedurre dal lato oscuro della forza», ha scherzato il pm. Presente alla discussione anche Fiorella, docente in pensione che a San Vittore gli ha fatto studiare il suo primo libro di scuola: l’Inferno di Dante. Hanno voluto essere accanto a Daniele lo stesso don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria insieme a don Gino Rigoldi, storicamente impegnato nel recupero di giovani difficili. «La brutalità è indice di povertà di pensiero» – ha raccontato Daniele -. «È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome, ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».
Una storia   di riscatto    e di   cambiamento  .  Infatti il corriere  della sera  

Daniel, da bullo a educatore: la pm che lo portò al processo va alla sua laurea
Oggi ha 27 anni e ha completato il corso di studi in Scienze della formazione. Ad applaudirlo all’Università Cattolica c’era anche la Pm del Tribunale per i minorenni che all’epoca rappresentò la pubblica accusa in tutte le udienze

                                 di Elisabetta Andreis


Daniel Zaccaro alla sua laurea in Scienze della Formazione






Rapine, violenza, furiosi pestaggi. Questa è la storia di un ragazzo che è profondamente cambiato. Da adolescente pareva refrattario non solo a qualunque regola, ma anche a qualunque affetto. Una vita allo sbando a Quarto Oggiaro, nonostante due genitori presenti che ce la mettevano tutta. Il carcere, tra il Beccaria e San Vittore, poi — dal 2015 –—l’affidamento in prova presso la comunità Kayròs di don Claudio Burgio. Daniel Zaccaro adesso ha 27 anni, è diventato grande. Ieri si è laureato brillantemente all’università Cattolica, in Scienze della formazione. Vuole diventare educatore, ha già iniziato a lavorare con un ragazzo difficile, proprio come era lui. Ad applaudirlo alla laurea, tra le persone importanti della sua vita, c’era anche la Pm del Tribunale per i minorenni che l’ha fatto condannare in tutte le udienze in cui era imputato.
Negli occhi di quella Pm — severissima e dalla grande umanità — si leggevano orgoglio e soddisfazione. L’ha mandato in galera per il suo bene «prima», ora lo accompagna nelle scuole, per parlare con i bulli e raccontare la sua storia personale. «È una grande vittoria di tutti noi, questa», diceva dandogli una carezza sulla corona d’alloro: «Daniel racconta agli adolescenti come è riuscito a trovare dentro di sé la forza del cavaliere Jedi. Ma io glielo dico sempre, a costo di sembrare pedante: attento a non farti sedurre dal lato oscuro della forza». Gli vuole bene, come gliene vuole Fiorella, docente in pensione che a San Vittore gli ha fatto studiare il suo primo libro di scuola, l’Inferno di Dante. Lo applaudiva anche lei, ieri, di fianco a don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria insieme a don Gino Rigoldi ed eccezionale nell’agganciare certi ragazzi. «Dietro questo bellissimo traguardo, oltre alla bravura di Daniel, ci sono tante persone e molte istituzioni civili ed ecclesiali che insieme hanno saputo collaborare in questi anni. È la storia di un lavoro di squadra — si schermisce don Claudio —. Questa è la città che mi piace e che ispira il mio impegno educativo quotidiano. Ora toccherà a Daniel raccogliere questo impegno e trasmetterlo ad altri giovani con tutta l’esperienza e la competenza maturati in questo percorso».
Quando Daniel ha commesso il primo reato, era «per fare la vita bella, facile, ed essere stimato dal quartiere». Eppure i suoi genitori gli avevano insegnato il valore del lavoro e del rispetto. In carcere continuava a prendere punizioni per cattiva disciplina. Oggi, maturo e attento, si guarda indietro. Ragiona sulla violenza che a volte, specie in gruppo, prende il sopravvento. «La brutalità è indice di povertà di pensiero — dice —. È l’espressione di chi non sa comunicare in altro modo. I violenti hanno profondissimi problemi di linguaggio. Quando non sai chiamare il dolore e la rabbia con il loro nome ti scateni così, come un animale. Io l’ho capito, e lo voglio spiegare al maggior numero di ragazzi possibile».


per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...