dalla cdv esterna Daniela Tuscano ( dimelaltra.blogspot.com/ )
Ha compiuto ottant'anni lo scorso 19 marzo, Hans Küng. Ma il piglio vivo e alacre con cui affronta la platea dell'Università della Bicocca sgombera subito il campo da equivoci: il primo volume della sua monumentale autobiografia, La mia battaglia per la libertà (Diabasis), non è un punto d'arrivo, e lui non intende "ricapitolare" nulla. "Mettere al centro l'idea di libertà - spiega l'illustre teologo - significa guardare avanti". La vita, continua Küng, scrive sempre le storie più interessanti. E per questo le vicende che racconta sono vere. Uno scorcio manzoniano in queste parole e, forse, non potrebbe essere altrimenti. Squarci d'una religiosità severa, vissuta con austera passione, ma esigente mistica.Libertà, verità: per Küng l'una non sussiste senza l'altra. E gli è stato chiaro fin dalla giovinezza, pur se la libertà è crescita e sviluppo: "All'inizio, per me svizzero di famiglia conservatrice, la libertà si declinava necessariamente con la lotta contro il fascismo e il nazismo". In seguito si è configurata come libertà interiore, ossia della coscienza. Più oltre ancora, è divenuta la libertà del Concilio Vaticano II - "l'evento più significativo nella storia della Chiesa non solo contemporanea, la cui portata dirompente oggi si cerca di ridimensionare" - e infine la libertà della teologia e della Chiesa.
Per comprendere il dono e la successiva banalizzazione del concetto di libertà, Küng ha osservato che le giovani generazioni, alcune delle quali affascinate da nostalgie temporaliste, non si rendono conto di come realmente fosse la cristianità occidentale prima del Concilio. "Era ancora il Medioevo", commenta lapidario.Medioevo che si concretizzava nel gelo d'una liturgia ingessata e immutabile, nei "fedeli" del tutto passivi, ridotti a gregge nel senso deteriore del termine, con un sacerdote-sciamano portatore di un insegnamento incontestabile, cui bisognava solo obbedire tacitamente. L'esaltazione del laicato contro una Chiesa clericale, il dialogo tra le diverse culture e religioni, l'apertura al "mondo" sono passi irrinunciabili che, malgrado i tentativi in tal senso, nessuno potrà mai cancellare. Non dimentichiamo, in questo senso, che anche il papa Pio XII aveva in mente un Concilio: ma, secondo lui, la costituzione La Chiesa nel mondo contemporaneo avrebbe dovuto recare un titolo leggermente ma significativamente diverso: al posto della preposizione, una congiunzione, però con significato disgiuntivo. La Chiesa "e" il mondo contemporaneo, a siglare una differenza e una distinzione incolmabili, un confine tra le due sfere, tra la città di Dio e la città dell'uomo, l'una perfetta e irriformabile, l'altra incompleta e fragile, soggetta al peccato. La Chiesa del Sillabo.
C. Urbino, La Pentecoste (sec. XVII), Milano, chiesa di San Marco.
l'apparizione inaspettata che sovvertì una Chiesa museale e asfittica. Ma le resistenze al rinnovamento, pur minoritarie, si sono rivelate forte e potenti. "Hanno abolito l'Indice dei libri proibiti, ma quest'ultimo funziona in modo indiretto nella condanna dei teologi e dei pensatori che osano affrontare temi considerati tabù: celibato dei preti, elezione dei vescovi, ruolo del papato. Le questioni irrisolte restano così le stesse di quarant'anni fa: il controllo delle nascite, la validità del matrimonio, la riforma della curia romana, i rapporti con le altre religioni, l'infallibilità papale. E tutto ciò ha un effetto pratico devastante, perché questa concezione autoritaria si riflette sull'azione della gerarchia ecclesiastica nella politica interna e mondiale. Küng, autore qualche anno fa d'un severo documento sul pontificato di Wojtyla, non esita ad additare come responsabile indiretta della fame e della diffusione del virus dell'Aids la lotta contro i metodi anti-concezionali portata avanti con pertinacia dal Vaticano.
Nemmeno il Protestantesimo, a cui Küng ha pure dedicato molta attenzione, è il suo modello: "Anche presso quella confessione sussistono problemi: talora troppe divisioni interne, poca sostanza". Non si tratta, insomma, di denunciare solo i propri mali, o di considerare perfette altre confessioni o credi. Rimarcare le differenze può essere salutare: Küng dice no a inutili e sincretisti sensi d'inferiorità, ma si oppone pure a un'autosufficienza perniciosa. "Credo che, col famoso discorso di Ratisbona, Ratzinger intendesse più che altro dimostrare la validità delle differenze. Ma, per operare in tal modo, occorre un'informazione politica seria: non si può portare come teste un imperatore bizantino, e ridimensionare le violenze operate dai cristiani. La reazione dei musulmani, comunque, è stata equilibrata: hanno creato una commissione di 138 saggi in dialogo col Vaticano e il mondo moderno, di recente anche gli sciiti hanno inviato a Roma una delegazione esplorativa. Ratzinger ha almeno dimostrato una capacità di correggersi cui gli va dato atto".