4.11.10

camminate d'autunno

Mentre aspetta  che finisca  questo " lungo " inverno  sia da punto astronomico \ meteorologico  ma anche dal punto di vsta culturale \ politico 

me ne vado  per cercare  d'allontanare  la mia  fame  nervosa \  da stress   ed evitare  di  mangiare fuori pasto  (  vedere gli effetti  nell'autoscatto    sotto  a destra )  magari gli avanzi del pranzo per  la  sua " mania  etica  "  di non buttare o far guastare   il cibo che avanza  .                                                  Ed è  proprio durante  una camminata  lungo la vecchia linea   ferroviaria Tempio-Sassari  , mentre osservavo  il paesaggio d'un autunno ormai prossimo all'inverno , e nel silenzio interrotto a  tratti dai rumori della  periferia cittadina  ho trovato    questo fungo  e  scambiandolo per  commestibile \  buono  melo portavo a casa  .



 Ma   casa  l'amara scoperta , mio padre  agronomo mi dice  ch'è velenoso .

Le prime reazioni  sono  di sfiducia  e  scontentezza  del tipo : << ma perché capitano tutte  a me  , che  sfiga  ,mio fratello anche lui agronomo  ne trova  tanti  e buoni   ecc >> , ma  poi mi riprendo  e vado avanti  , smettendo di rosicare  ed  accettando  i miei limiti visivi e uditivi  e dicendomi almeno mi sono distratto   e scoperto la natura  che anche in autunno ( vedere post  precedente  sul  blog  gemello ) è bella  e piena di vita  anche se al tramonto per poi rinascere  nella sua bellezza a primavera .
E ora  ributtiamoci nello  studio

3.11.10

Diego Fusaro, "Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita" Bompiani

Diego Fusaro, "Essere senza tempo. Accelerazione della storia e della vita" (Bompiani, 2010, 410 pagg., 12 euro, con prefazione di Andrea Tagliapietra): http://www.filosofico.net/esseresenzatempo.htm

Viviamo nell'epoca della fretta, un "tempo senza tempo" in cui tutto corre scompostamente, impedendoci non soltanto di vivere pienamente gli istanti presenti, ma anche di riflettere serenamente su quanto accade intorno a noi. L'endiadi di essere e tempo a cui Martin Heidegger aveva consacrato il suo capolavoro del '27 sembra oggi riconfigurarsi nell'inquietante forma di un perenne essere senza tempo. Figlio legittimo dell'accelerazione della storia inaugurala dalla Rivoluzione industriale e da quella francese, il fenomeno della fretta fu promosso dalla passione illuministica per il futuro come luogo di realizzazione di progetti di emancipazione e di perfezionamento, la nostra epoca "postmoderna", che pure ha smesso di credere nell'avvenire, non ha per questo cessato di affrettarsi, dando vita a una versione del tutto autoreferenziale della fretta: una versione nichilistica, perché svuotata dai progetti di emancipazione universale e dalle promesse di colonizzazione del futuro. Nella cornice dell'eternizzazione dell'oggi resa possibile dalla glaciale desertificazione dell'avvenire determinata dal capitalismo globale, il motto dell'uomo contemporaneo - mi affretto, dunque sono - sembra accompagnarsi a una assoluta mancanza di consapevolezza dei fini e delle destinazioni verso cui accelerare il processo di trascendimento del presente.
INDICE

Prefazione di Andrea Tagliapietra
1. Non c’è tempo! Modernità irrequieta.
1. Mi affretto dunque sono. Fenomenologia della fretta.
2. L’impazienza della storia: cenni sul moderno regime di temporalità.
3. Tutto corre. Ipertrofia dell’aspettativa e «futuro-centrismo» dei concetti.
4. The time is out of joint: tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria.


2. Che fretta c’era? Genealogia dell’«essere-senza-tempo».
1. Rivoluzione industriale e velocizzazione della tecnica, della scienza e della produzione.
2. Dialettica dell’impazienza. Rivoluzione francese e accelerazione del mutamento socio-politico.
3. Lotte per il tempo. Accelerazione dei ritmi di vita e sindrome della fretta.
4. Le «locomotive della storia»: il treno come simbolo della temporalità moderna.

3. Sempre più veloce. Testimonianze moderne del tempo rapido.
1. Carpe diem. Tempo che stringe e passione per il futuro.
2. Il più veloce dei mondi possibili. Fretta e utopie del tempo nella letteratura.
3. «Come se la storiografia non riuscisse più a tenere il passo della storia»: il punto di vista degli storici.
4. «Verrò presto!»: la fretta come secolarizzazione di un’idea ebraica e cristiana.
5. La genesi dell’idea di «abbreviazione dei tempi» tra religione e scienza.

4. Tempus fugit. Filosofie della fretta.
1. Riguadagnare il tempo perduto: strategie dell’alta velocità.
2. Kant e l’accelerazione del progresso come imperativo categorico dell’umanità.
3. Hegel e lo «Spirito del mondo» con gli stivali delle sette leghe.
4. Il tempo delle merci: Marx e la concezione materialistica dell’accelerazione.
5. Time is money. Capitalismo e astuzia dell’accelerazione.
6. Lenin, Hitler e le «cronopolitiche» della fretta.

5. Accelerazione senza futuro e nichilismo della fretta.
1. Il disagio della velocità e la tirannia dell’istante.
2. Niente tempi morti, per favore! Internet e la fretta globalizzata.
3. Dal «futuro passato» all’«eterno presente»: accelerazione postmoderna.
4. Elogio della tartaruga. Cairologia consumistica e nuove emorragie di tempo.
5. Eternizzazione del presente, desertificazione dell’avvenire.

Acqua del rubinetto: una bottiglia di design per sensibilizzare

da  
http://www.greenme.it/ leggo  questo interessante articolo   che sotto riporto

L’acqua del rubinetto fa bene, perché controllata e sicura, ed è anche buona. Per questo gli italiani scelgono sempre più spesso di bere acqua a chilometri zero: quella del rubinetto, che arriva dritta dritta a casa. In questo modo, non solo si beve acqua sana e buona, ma si contribuisce concretamente a diminuire le emissioni di CO2, date dal trasporto su gomma, e la produzione di plastica che serve per le bottiglie.


acqua_del_rubinetto_Bottle

L’acqua – specie in rapporto all’ambiente e all’inquinamento  – è un tema trattato sempre più spesso dai media sia cartacei che online, soprattutto perché le iniziative per sponsorizzare l’acqua pubblica e i suoi benefici si stanno moltiplicando in ogni parte d’Italia.  
Tuttavia, gli italiani – in Europa - sono ancora i primi consumatori di acqua minerale in bottiglia e i terzi al mondo. Un dato allarmante, soprattutto se consideriamo che solo il 18% delle bottiglie prodotte vengono trasportate con i treni: un fenomeno che produce ben 910.000 tonnellate di CO2.D’altro canto, sta crescendo la sensibilità dell’opinione pubblica verso questo tema, che si è rafforzata anche in seguito ai preoccupanti dati, resi noti dal WWF, nel suo “Living Planet Report”, uno studio che fa presente come nel 2030 i ritmi di consumo dell’acqua aumenteranno vertiginosamente, tanto da rendere indispensabile aumentare del doppio le risorse idriche attualmente disponibili.


 concorso_bottiglia
Proprio per incoraggiare il consumo dell’acqua del rubinetto, è nato il concorso  "The Message is the bottle" all'interno del Festival della Creatività 2010, che ha invita artisti e creativi a realizzare una bottiglia in vetro dedicata a raccogliere e servire l’acqua del rubinetto in tavola.  In palio un iPad e l'iscrizione gratuita allo IED di Firenze.
L'iniziativa, promossa da Publiacqua, Controradio, Legambiente, IED (Istituto Europeo di Design- Firenze) e Casa della Creatività, ha raccolto 220 progetti in tutta Europa, ma i vincitori sono tutti italiani: Matteo Calosi e Francesco Bortone. La bottiglia da loro creata sarà messa in produzione e dai vetrai di Assovetro 

                                          Verdiana Amorosi

2.11.10

Davide contro golia . Il Cagliaritano Filippo Candido contro i grandi del poker ce la farà ?

 dall'unione sarda del 31\10\2010 
Alla conquista del mondo Il  Cagliaritano Filippo Candido
sfida i re del poke

Da qualche anno è entrato nell'élite dei giocatori professionisti del poker, ma ora il cagliaritano Filippo Candio (26 anni foto  sotto ) 
gioca la sfida più importante. Sabato parteciperà al November nine di Las Vegas.
«Sono un ragazzo di 26 anni. Mi piace ballare, mi piace andare in discoteca, mi piace conoscere gente». Non vuole sentirsi troppo diverso dai suoi coetanei, ma Filippo Candio, cagliaritano, sta per entrare nell'olimpo dei giocatori professionisti di poker: per la prima volta un italiano, parteciperà ai november nine, il prestigioso tavolo con nove giocatori che sabato prossimo si contenderanno il titolo di campione del mondo di poker. Il primo premio è da brividi, con quasi 9 milioni di dollari al tavolo finale delle World Series of Poker a Las Vegas. Anche l'ultimo posto non sarebbe certo da buttar via, visto che assicurerà un premio di oltre 800mila dollari.
ALLA TV PokerItalia24, il primo canale tv italiano dedicato interamente al poker sportivo (in onda in chiaro sul digitale terrestre e sul canale 222 di Sky) ha realizzato un'intervista esclusiva con Filippo Candio che andrà in onda in prima visione in due puntate. La prima è oggi alle 19, la seconda domani alla stessa ora. L'intervista conterrà il racconto delle imprese pokeristiche di Filippo Candio e delle sue esperienze personali: le origini, gli amici, l'amore e la passione per la sua Sardegna, le difficoltà incontrate nella carriera di giocatore professionista, il sostegno della famiglia. Un viaggio attraverso il personaggio che sta diventando uno dei protagonisti assoluti del gioco che appassiona milioni di italiani su internet, nei grandi tornei live e anche davanti al televisore.
L'AMORE PER LA SARDEGNA «Quando nasci in un posto - racconta Filippo - è inutile cercare la felicità altrove, sarebbe come scappare da se stessi. A Cagliari sono cresciuto, questo posto è importante per me. Mi dà la forza di andare avanti nelle mie scelte. Mi ricorda che, se tutto dovesse andare male, c'è sempre un posto dove la gente mi vuole bene e da cui ricominciare da capo». La dichiarazione d'amore di Candio per la Sardegna viene ripetuta spesso durante l'intervista: «Amo questa città, ha un centro storico fantastico, il mare, il colle. Poi ci sono le coste come Villasimius, Santa Margherita, Chia Laguna e tante altre. Anche la Costa Smeralda è uno dei posti più belli del mondo. Secondo me potrebbe essere fonte di buona economia per la Sardegna se ci fosse la possibilità per i sardi di fare cose anche lì». Fuori dal giro turistico più evoluto, «la zona dell'Ogliastra è stupenda, ma anche l'entroterra». Il Nuorese e l'Oristanese sono zone fantastiche dove si mangia benissimo». Questo «è il posto più bello del mondo per vivere ma non per lavorare», sottolinea Candio. «Viaggiando tanto grazie al poker, mi sono reso conto che è possibile tutelare l'ambiente e nello stesso tempo migliorare tecnologicamente un luogo. Esistono sistemi per conciliare il progresso e la creazione di nuove strutture e contemporaneamente salvaguardare l'ambiente».
IL GRANDE APPUNTAMENTO Filippo Candio è già concentrato sul suo grande appuntamento del 6 novembre, e racconta anche la situazione del poker nel nostro Paese. «Il poker in Italia - racconta - è stato sottoposto a molte limitazioni. Al contrario di giochi come il Bingo o il Gratta e Vinci, che possono ugualmente generare la dipendenza dal gioco. Solo che il poker, a differenza degli altri, è un gioco di abilità, in cui si può migliorare, mentre nel Bingo conta solo la fortuna».
LA MARCIA VERSO LAS VEGAS Non manca il racconto delle emozioni più grandi del torneo tenutosi a luglio che ha portato Candio a questo grande traguardo: lo studio del poker sui forum, sui libri di poker, ma anche quelli di matematica. E poi le mani giocate contro avversari fortissimi come Michael Mizrachi e Greg Duhamel, con il segreto della mano decisiva con 5 e 7, e tutto quello che c'è dietro un torneo di poker. Anche il calcolo delle probabilità, la differenza tra ogni tipo di giocata, le differenze tra il gioco online e il poker live, le differenze tra i tornei e il gioco cash, per arrivare ai rapporti che si instaurano tra i giocatori: «Io e Duhamel abbiamo fatto una scommessa. Se avessimo raggiunto entrambi il final table, ci saremmo scontrati in un match di lotta libera in dodici riprese. Abbiamo realizzato lo scontro in una stanza dell'Hotel. L'Italia ha vinto 12 a 0!».
I GIORNI DIFFICILI Nell'intervista tanti momenti divertenti. Filippo ricorda di quando faceva il cantante in una piccola band con gli amici ma ricorda anche le difficoltà, come l'estromissione dal team pro di PokerStars.it per un incidente di percorso legato all'utilizzo dell'account. «Mi hanno sospeso l'account di gioco, mi hanno detto che la mia carriera era finita. Per un attimo ci ho anche creduto, ma il giorno dopo ho affittato una macchina e ho fatto il giro di tutti i casinò d'Italia per giocare a Poker. È stato il momento più difficile della mia carriera. Poi sono arrivate le Wsop e direi che mi sono ripreso bene».
LA FAMIGLIA E GLI AMICI Filippo parla anche degli amici e soprattutto della famiglia. «I miei genitori, mio padre Roberto, mia madre Maria, ma anche mia sorella Marta mi hanno sempre appoggiato in tutto, È stata la mia più grande fortuna, hanno visto che il poker poteva essere seriamente un lavoro. E mi hanno sempre sostenuto».
LA GRANDE SFIDA Come arriverà Filippo Candio al tanto sospirato tavolo finale? «Sarò concentrato e rilassato. Le mosse possibili sono poche e vanno studiate bene. Con i soldi che vincerò non cambierò la mia vita. Già guadagno bene con il poker, forse cercherò più stabilità, cercando di giocare più online e rimanere di più a casa e magari sistemarmi. Se a Las Vegas dovessi vincere il braccialetto , lo dedicherei a tutti i ragazzi che vorrebbero affrontare il poker come una professione e incontrano tanti ostacoli in famiglia e nella vita sociale. Se tu ci credi, devi andare in fondo. Io non credo di essere un talento assoluto, però sono uno che si è applicato tanto e si impegna ogni giorno per farcela».
GIUSEPPE CATALANO

quando il potere in crisi non avendo argomenti insulta



chi non l'hai mai detto almeno  una   volta   scagli  la prima pietra   vero   ma  un conto e che lo si dica o continuamente  allora  si  è  omofobi  oppure  da uno che  non ha  argomenti  per  replicare   e che dovrebbe  fare l'interesse  di tutti noi . E poi Punto primo,secondo  un mio  utente  di fb <<  "Meglio essere appassionati delle belle ragazze che Gay" NON E' una cosa che "chiunque ha detto almeno una volta"; i GAY sicuramente non l'hanno mai detto. La sessualità è un elemento completamente soggettivo.Punto secondo, lui... non è "appassionato delle belle ragazze", è uno squallidone che va con le p*****e e con le minorenni, meglio se le due cose coincidono. >>. Non è  omosessualità latente  come dico  a caldo sul blog gemelllo  , ma  è terrore e rifiuto dell'invecchiamento. Lui ha costruito la sua immagine sulla sua immagine sull'idea di uomo giovanile, moderno, dinamico... e probabilmente lo ha fatto perché intimamente convinto di esserlo sul serio!

1.11.10

intervista Laura Laghi autrice di Eyes

Premetto  che  a causa   sono sbadato  avevo perso il titolo  che m'ero segnato da qualche parte   ( poi ritrovato in giro per la rete ) , e  poi ho fra lavoro , fisioterapia , e studio ( mi dovrei laureare a maggio )  , facebook e  il doppio blog  ho poco tempo. Ma e qui mi ricollego  alla  mia  esperienza personale ,  che  parlare \ chiaccherare e\o intervistare come nel caso di vari autori (  trovate le interviste  su blog gemello http://cdv.splinder.com/)  carolina cutolo pornoromantica   , Emiliano Morone la società sparente di  da me intervistati per il mio blog , o altri\ea autori " intervistati "  - subbissati  di  domande a pubbliche presentazioni o una domanda lapidaria sia i senso buono   sorprendendo ed  entusiasmando  l'autore  come   Sepulvera e  Travaglio   sia facendo o incazzare \ scocciare   come   come nel caso  cento colpi di spazzola di prima d'andare a dormire  di Melissa p  , solo per citare  i principali \quelli che mi vengono a mente , per  conoscere  meglio un libro e o un autore è non averlo mai letto ( o letto tardi  dopo che l'autore      di un libro che si leggerà se va bene successivamente  dopo averne parlato con l'autore con  a mici  o averne visto  opere derivate   ( come film , opere teatrali , fumetti  , ecc )    se lo conoscessi . Questa è la mia esperienza personale  che applico a qusto linro di Laura  laghi ( foto a destra  e sotto al centro dell'autrice  ) . Dopo le buone  recensioni della sua opera precedente Life in Paris fra cui quella del roberto , .<< c'è voglia di vita. di crescere. di essere capiti quando si sbaglia. di amare.
questo mi rimane dalla lettura del primo dei libri degli autori emergenti di cui farò incetta, che ne ho le palle piene di perdermi il mondo solo perchè le librerie sono piene dei Bruni Vespa e dei soliti noti che non hanno più nulla da dire e lo dicono pure male.
Laura Laghi ( Laurawriter http://frammentidilucieombre.splinder.com/ ) e il suo "Life in Paris" si legge d'un fiato. come il suo blog. ci si innamora dei suoi personaggi, ancora veri data la giovane erà, si tifa per loro, si spera trovino conforto nelle tribolazioni l'uno fra le braccia dell'altro. belli ed emozionanti, semplici e complicati, affannati nel tentativo di capire la vita cercando di non perderne il meglio.(....) CONTINUA QUI   >> lo si puo' acquistare qui ecco il suo secondo romanzo Eyes .
Ma facciamocelo raccontare dalla stessa Laura

1) corrisponde al vero quanto affermato da http://zebuk.it/2010/06/eyes-laura-laghi/ :<< un romanzo che nasce in un giorno particolarmente negativo, in cui, appena laureata in scienze della mediazione linguistica con il massimo dei voti, mi vedo rifiutare all’ennesimo colloquio di lavoro perché troppo giovane e soprattutto perché donna. Quindi potenziale persona che prima o poi abbandonerà la scrivania per occuparsi della famiglia.Quel pomeriggio, dopo una ventina di sigarette fumate con il nodo alla gola e la bile gonfia, ho acceso il Mac e senza uno schema preciso ho iniziato a buttare giù le prime idee che mi passavano per la testa. Ed è così che è nato il personaggio di Elvira Rosberg, per tutti Eyes nel libro .>> oppure la nascita del personaggio è un altra ?
 No, la nascita del personaggio in sé è proprio questa: Eyes, l'eroina dell'omonimo romanzo, è di primo acchito lo stereotipo della giovane in carriera, avvocato rampante e apparentemente senza scrupoli, né interesse nel voler avere legami, una famiglia, dei figli. Di primo acchito però, poiché questa era proprio l'idea di donna che volevo fare a pezzi, raccontando di Eyes e del suo percorso: a mio avviso è detestabile il fatto che nel 2010 una ragazza debba ancora fare LA SCELTA per eccellenza, ossia che sia costretta a scegliere o la famiglia o la realizzazione professionale, senza poter nemmeno provare a conciliare le due cose.
2) come mai esso è ambientato negli Usa e non Italia , c'è forse paura di non riuscire a concentrarsi o avicinarti troppo alla realtà del nostro paese vista sia la trama che non sveliamo per non togliere suspence sia il clima sociale e culturale in questo periodo è strano particolare visto che i politici vengono scambiati per comici e i comici ma anchje tutti gli intellettuali per politici ?
No, in realtà ho scelto di ambientarlo negli USA perché, essendoci di mezzo un processo, se l'avessi ambientato nel nostro paese avrei dovuto scrivere un tomo di mille pagine, facendo durare la narrazione decenni interi, vista la "velocità" della giustizia italiana!
3 ) ti riconosci in Eyes una di quelle donne che si dice spaventino gli uomini di oggi: è una che porta i pantaloni, che raramente crolla e che sa sempre da che parte andare, quando la strada si biforca in un bivio, ma che mantiene sempre quella fragilità e quella insicurezza quasi infantili, quando si parla d’amore. Quindi potenziale persona che prima o poi abbandonerà la scrivania per occuparsi della famiglia. ?
aimé si, lo ammetto, c'è molto di me in Eyes. Anche se personalmente non credo che siano donne come lei a spaventare gli uomini di oggi: è vero che molte di noi portano i pantaloni, ma questo non significa necessariamente che non abbiamo bisogno di una figura maschile di riferimento, di una spalla, di un compagno di vita e di viaggio. Ci sono dinamiche, nei rapporti umani, che non penso riusciranno mai ad essere sovvertite: ogni donna cova dentro di sé quella voglia di tenerezza e abbandono quasi infantili, come le hai giustamente definite tu, che solo un uomo può appagare.

4) ogni scrittore ha dovuto leggere dei libri prima d'iniziae a scivere e ue opere , quali sono stati i tuoi ?
Tanti, io sono prima di tutto una lettrice accanita! I due da cui ho sempre tratto più ispirazione sono Margaret Mazzantini e Ian McEwan.
5) nei tuoi libri in particolare questo c'è qualcosa di quello che scrivi nel tuo blog ?  
No, nel blog tendenzialmente parlo di me, del mio vissuto, mentre nei miei libri ho sempre inventato situazioni di sana pianta. Per ogni libro che ho scritto a monte c'era sempre una voglia di evasione da quella che era la mia realtà in quel momento.

6) cuore & mente o solo uno dei due e quale ?
Cerco di metterci entrambi, sia nella vita che quando scrivo. Ma a farla da padrone è sempre il cuore.
7) nicchia , salotto oppure compromesso ?
Un salotto con una nicchia nella quale appartarsi per i momenti migliori non sarebbe male... scherzi a parte, i compromessi non mi sono mai piaciuti, fondamentalmente scrivo per soddisfare un'esigenza personale.
7) libro nel cassetto ?
 Scrivere della mia stramba, complessa e bellissima famiglia. Prima o poi mi sono promessa di farlo, chissà come la prenderanno...
8) oltre a quello di fare la mamma altri progetti in ambito letterario per il futuro ?
 per ora il mio bellissimo nanetto occupa il 99 % dei miei pensieri e il 110% delle mie energie... ma non si sa mai, la vita è sempre piena di sorprese e imprevisti!
9) qualcosa d'aggiungere , retificare ?
No.
10) c'è qualcosa che vorresti chiedermi ?
Per il momento no (causa figlioletto sono un po' stravolta), però vorrei farti i miei complimenti per il blog !!! Mi piacciono le persone piene di interessi !! E grazie per avermi dato la possibilità di esprimermi!

Lavoro c'è chi resta e resiste oltre a lottare \ chi è costretto ad emigrare -perchè racconto storie

sottofondo  Suzanne (Live 1988) e Hallelujah di LEONARD COHEN

Prima  d'iniziare  a raccontare le  storie  d'oggi  vorrei rispndere  a delle domande  che mi giungono o via email a voce da compaesani  e non (  nipoti   d'amici e a mici d'amici  )  o da facebook  e  fare delle precisazioni  ed eventuali aggiute  alle  faq  precedenti  .
Lo so , potrei anche farne  a meno , in quanto dovrebbero  ( per chi le vuole leggere )   essere sufficenti sia le Faq  con il relativi  aggiornamenti  che  il maifesto del blog  riportato sulla parte  destra del template. Ma , lnon  è per  fare  ( almeno non solo :-) )  la vittima o del vittimismo  , per  far riavvicinare gente  che ha  smesso di scrivere  e di commentare  , ecc ,  perchè l'attualità li annoia e prefriscono leggere  post  dove si parla solo  e direttamente  di me  e   non posyt  contaminati   fra le mie  opinioni e sensazioni  ed il mondo circostante   e le mie letture  ,  la mia musica  , ecc . Ecco che   rispondendo  ( ovviamente quando le domande   e le  critiche  non sono assurde  o  da risposta scontata )   ogni volta in maniera diversa  alle faq  è come se parlassi di me, allo stesso modo raccontando storie poco note ai margini o quasi  .
Infatti   ma uno  dei motivi per  cui racconto storie è perché la storia non è  solo quello accademica  , in quell'anno  successe  quello   le cause  di quellavvenimento sono dovute  a .X  o  Y ha fatto questo perché X   gli impedi di fare  cosi  o gli si  ribello' perché lu i o loro .....  , ecc   la storia la fa  (  è recentemente   , nl nostro pase  ,  lo si è capito \  approfondito ) anche la gente  - le persone con le lro idee  le loro creazioni  e  gli sforzi e lotte per realizzare   metterle  pratica  o di come hanno ottenuto oltre  gli insulti anche apprezzamenti in vita   e  post mortem . Infatti  La storia è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite l'uso di fonti, cioè tutto ciò che possa trasmettere del sapere. Più precisamente, la storia è la ricerca e la narrazione continua e sistematica di eventi nel passato di importanza per la specie umana, compreso lo studio degli eventi nel corso del tempo e la loro relazione con l'umanità.
Il termine storia in italiano e in altre lingue ha anche il significato di racconto letterario o comunque narrazione (orale o scritta) di vicende immaginarie. In questa accezione il termine non sarà discusso in questa voce, anche se la storia di per sé è anche una narrazione elaborata tramite l'immaginazione e proposta a un pubblico interessato di lettori. Ed  io  con  le mie storie     voglio insistere specie sul secondo  significato  .
E poi come dice questa  canzone di F.Moro di cui riporto Il videoclip ufficiale di Pensa   canzone contro la mafia  che lo vide  vincitore di Sanremo Giovani 2007 ed in particolare questo verso 



(...)
Ci sono stati uomini che sono morti giovani
Ma consapevoli che le loro idee
Sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole
Intatte e reali come piccoli miracoli
Idee di uguaglianza idee di educazione
Contro ogni uomo che eserciti oppressione
Contro ogni suo simile contro chi è più debole
Contro chi sotterra la coscienza nel cemento
Pensa prima di sparare
Pensa prima di dire e di giudicare prova a pensare
Pensa che puoi decidere tu
Resta un attimo soltanto un attimo di più
Con la testa fra le mani
Ci sono stati uomini che hanno continuato
Nonostante intorno fosse tutto bruciato
(...)

praticamente  cerco   (  anche  con interviste  video  e via email\ via rete le trovate online  )  di far ivivere  la canzone la storia siamo noi  di De Gregori in quanto a fare  la storia  è anche la gente comune o  gli  sconfitti dalla storia  cronologica  degli eventi ,o che stavano dalla parte sbagliata    E poi dare  fare  arrivare al grande  pubblico  le storie  di quelle persone   che  pur  facendo  la storia   sono  poco sconosciute  perché trascurate dai media  ( salvo che non  siano   coinvolti  in maniera  indiretta   o di striscio  infatti importanti ) che  in prativa  sono o senza voce . Concludo con la risposta  a queste due ultime email , arrivate proprio in questo momento  :<< come ami non parli di  bambini e  adolescenti anche loro fanno a " storia "  intesa  come l'intend tu ala maniera  di Verga  cioè il ciclo dei vinti
Ecco le due  storie  d'esse la prima al  femminle 

da LA  NUOVA SARDEGNA  ONLINE DEL 31\10\2010
Minatrici con orgoglio: Patrizia e Valentina, il cuore di Carbosulcis

Sveglia all'alba e poi nel buio delle gallerie dove esperienza e capacità fanno la differenza. Le trovi sempre in prima linea, ai controlli, al bullonamento o ai sistemi di sicurezza

                           di Giuseppe Centore

NURAXI FIGUS. Valentina e Patrizia non l'hanno scelta. È lei che ha scelto loro, come i padri e i nonni. Un abbraccio non più opprimente come cinquanta anni fa, ma forte e deciso, che ti toglie il fiato, perché sotto c'è buio e fango. L'aria, i colori, e il sole sono fuori, in alto, e sono da cercare in ogni momento libero, per ricaricare occhi e mente. Se non fosse per le loro intense pupille che bucherebbero una parete di roccia, sarebbero due quarantenni impegnate nei turni in fabbrica. E invece sono donne speciali; sono le uniche due minatrici d'Italia, "operative" in sottosuolo. Scendono con protezioni, stivali speciali, casco, respiratore ed erogatore d'ossigeno d'emergenza, ma sotto i guanti hanno le unghie smaltate e case ricche di vezzi femminili, quasi a compensare l'ipocrita mascolinità del loro lavoro. Hanno il cuore a Nuraxi Figus, Carbosulcis, la miniera che resiste al passato scommettendo sulle nuove tecnologie.
Valentina Zurru e Patrizia Saias
Un ritratto. A Valentina Zurru, 43 anni, padre minatore, ultima di sette figli, piace la campagna, il nuoto e correre in bici. Patrizia Saias, 49enne, divorziata con due figlie di 19 e 13 anni (Eleonora e Francesca) divisa tra famiglia e lavoro, ha tempo solo per riposarsi. Le loro storie, diverse come non mai, hanno solo un punto in comune: la voglia di vivere normalmente ciò che normale ancora oggi non è. «È un lavoro come tanti, con qualche disagio in più ma con mille soddisfazioni. Forse dobbiamo sfatare qualche luogo comune, ci guardiamo intorno, vediamo tanti uomini che manifestano tutte le debolezze possibili in miniera».
Gli inizi. Valentina, lunghissimi capelli neri, tenuti dentro al casco con una elaboratissima crocchia, è arrivata in Carbosulcis due anni dopo il diploma. «Mi sono diplomata nell'85 al minerario Asproni, già allora ero l'unica donna nella mia classe, e dopo ho fatto tante domande, per le piattaforme Agip, persino in banca. Ma un anno dopo mi ha chiamato Carbosulcis e ho subito accettato». Suo padre, come quello di Patrizia ha fatto il minatore, ma non c'è stato in questi casi alcun passaggio di testimone. «Difficile trovare famiglie del Sulcis-Iglesiente che non abbiano avuto rapporti con le miniere». Negli anni Sessanta, decine di migliaia di operai, oggi meno di cinquecento. Valentina è stata assunta come grisouista, addetta ai controlli ambientali, poi è passata ad occuparsi di bullonatura, il sistema che consente di mantenere in piedi le volte della miniera senza armarle.
«Si sostengono con bulloni di acciaio lunghi due metri che vengono inseriti nella roccia, con una certa velocità di rotazione e accompagnati da una speciale resina: se si sbagliano i tempi e le procedure, l'inserimento è fallito e va ripetuto. Io verifico che le attività siano corrette e indico ai colleghi se devono o meno ripetere l'intervento». Patrizia è un tecnico di gestione ambientale, espressione riduttiva per indicare chi si occupa di tante cose: ventilazione, polveri, sistemi di sicurezza nelle diverse fasi e aree di lavorazione, responsabilità da far perdere il sonno. «Qualche anno dopo essere stata assunta ho avuto problemi di salute e mi hanno fatto salire negli uffici, sino alla Presidenza, ma poi ho chiesto io di tornare sotto, mi ero affezionata, l'ho fatto un anno dopo la nascita di Francesca e dopo ho capito che i sacrifici erano più che compensati dalla bellezza di questo lavoro».
I colleghi. Gelosia? Invidia? Patrizia risponde diplomaticamente. «I miei colleghi non amano essere governati o consigliati da una donna; vedono le gerarchie come muri, da non valicare mai. Per me non è così. Se c'è da portare un tubo pesante, non mi tiro indietro, se non altro per dimostrare che non siamo un battito di ciglia o un filo di rossetto. Il mio incarico mi obbliga a girare tutta la miniera, anche le zone non più coltivate, per verificare che sia tutto in regola, qualche volta forse sembro antipatica, ma è fondamentale, soprattutto quando sei sotto, dire quello che pensi, senza giri di parole. In galleria non si deve discutere, si deve fare ciò che è previsto, e se non lo sai o puoi fare, devi salire, per te e per i tuoi compagni».



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 dall'unione UNIONE SARDA DEL 31\10\2010
Goiorgio Pisano  ( pisano@unionesarda.it )



tutte  quelle persone Negli ospedali esiste una strana specie di schiavo. Indossa il camice bianco, tiene lo stetoscopio appeso al collo e un campionario di penne nel taschino. Segue il capo (primario o direttore di clinica che chiama ossequiosamente professore) con la stessa composta devozione delle pie donne a Sant'Efisio. Se interrogato, risponde muovendo la testolina come un giocattolo a molle, le mani preferibilmente dietro la schiena perché dà un tocco di autorevolezza. Aria assorta, sorrisetto distaccato. E una speranza: conquistare la libertà.                                                   Marco valerio Melis, 40 anni ( foto a destra ) chirurgo oncologo alla New York University School of Medicine, conosce bene quel tipo di vita perché l'ha sperimentato subito dopo la laurea, 1994 a Cagliari. «Gli specializzandi vengono usati quasi esclusivamente come scribacchini in reparto o come divaricatori in sala operatoria. L'insegnamento di fatto non esiste. Qualunque forma di crescita professionale è ostacolata a tutti i livelli». Dopo quattro anni di questo tran tran si è accorto di «andare incontro a un processo semi-irreversibile di atrofia cerebrale». Ed è stato allora che ha cercato un'uscita d'emergenza, la via di fuga. «Lasciare la mia città non era una scelta pianificata, voluta. Non m'interessava raggiungere chissà quale posizione accademica od ospedaliera. Volevo semplicemente diventare un buon chirurgo e mi vergognavo di farmi chiamare così visto che fino a quel momento non avevo mai operato in vita mia».

Prima alla University of Chicago, poi a Tampa (in Florida) e infine nella Grande Mela. «Ritmi pazzeschi. In una settimana imparavo quello che in Italia richiedeva un anno». Oggi si occupa di chirurgia laparoscopica dei tumori dell'esofago, del fegato e del pancreas. Ha anche realizzato uno dei pochi centri americani per la chemioterapia ipertermica intraoperatoria. «Qui chi lavora viene premiato, chi non lavora viene allontanato oppure resta per sempre al primo gradino della carriera».
Abitare a New York, dove una scuola elementare privata di livello medio costa fino 2.500 dollari al mese, non è semplice. Per l'affitto di un appartamento a Manhattan serve il doppio. Quello di Marcovalerio Melis era un bilocale che una parete di cartongesso ha miracolosamente trasformato in tri vano. Così c'è posto per tutta la famiglia: moglie e due figli. «A parte scuola e casa, la vita non è carissima. Si può risparmiare su alcune cose: l'automobile, per esempio, è assolutamente inutile in una città come questa».
C'è un'aggravante: Melis non vuol rientrare, non gli interessa. Dalla Sardegna gli hanno proposto un incarico di prestigio e lui ha risposto no. Sta meglio in un mondo che pure non è il suo, vuole crescere i figli in una società che ignora la «mentalità italiana di sentirsi sempre un po' più furbi degli altri, oppure campare cercando scorciatoie». La conclusione, che stranamente non prevede le tradizionali lacrime d'emigrato, è disarmante: «Di sicuro è triste accorgersi d'essere felici in un'altra nazione ma mi consolo pensando che sarebbe ancora più triste essere infelici a Cagliari».
Non c'era neppure un briciolo di speranza?
«Dipende da cosa si vuole fare nella vita. In Italia, con una specializzazione di chirurgo in tasca non ci sono difficoltà ad avere uno stipendio magari non altissimo e la prospettiva di un'esistenza senza scosse. Però a me non interessava».
Invece lei?
«Io volevo fare il chirurgo sul serio. A Cagliari, strada tutta in salita. Non ci sono maestri e i pochi che sanno non insegnano. È un sistema, il nostro, che tarpa le ali anche ai più volenterosi».
Si rischia, secondo il suo parere, l'atrofia cerebrale.
«In Italia il compito degli specializzandi consiste solo nel compilare le cartelle cliniche o tenere i divaricatori in sala operatoria, mansioni che non richiedono una laurea e tantomeno una specializzazione. Io ambivo a qualcosa di più stimolante».
È vero che i medici italiani sono in qualche caso leggermente analfabeti?
«Nella sanità italiana ci sono alcuni centri di eccellenza che non hanno nulla da invidiare ai migliori ospedali americani, e anche a Cagliari ci sono degli ottimi professionisti. Ma si tratta di eccezioni, la regola è un'altra. Purtroppo. Gli avanzamenti di carriera sono legati ad anzianità di servizio o a clientelismo, dunque mancano gli stimoli a migliorarsi».
Negli Stati Uniti?
«L'amore per la professione ha un risvolto economico che spinge ad aggiornarsi continuamente. Il medico incompetente non ha scampo: viene bombardato di denunce, perde molto danaro e spesso anche il posto di lavoro. Quello competente ha più consulenze, più pazienti: essere bravi, da queste parti, è davvero un affare. Poi, ci sono gli esami».
Che esami?
«In Usa bisogna sottoporsi periodicamente a verifiche per confermare non solo la specializzazione ma addirittura l'abilitazione medica. Vale per tutti, capi inclusi. E si tratta di prove tutt'altro che formali».
Ha detto d'aver imparato in un giorno quello che in Sardegna...
«...mi insegnavano in un anno. Esatto. In Italia ho frequentato per cinque anni sempre lo stesso reparto senza mai fare nulla in prima persona. Ho osservato sempre lo stesso chirurgo fare sempre le stesse cose».
In Usa è diverso?
«Ogni mese cambiavo servizio chirurgico (chirurgia generale, toracica, pediatrica, cardiochirurgica, traumi, trapianti eccetera) e ad ogni rotazione mi trovavo di fronte a casi totalmente diversi. Come chirurgo italiano non avevo la più pallida idea di come interpretare un elettrocardiogramma, tantomeno come gestire un'aritmia. A Chicago, nel secondo mese di specializzazione, lavoravo di giorno in chirurgia vascolare e la notte facevo la guardia anche nella terapia intensiva di cardiochirurgia».
In caso di difficoltà?
«Potevo chiedere aiuto a un medico strutturato o a uno specializzando anziano. La differenza, rispetto all'Italia, è che in prima battuta dovevo cavarmela da solo e non stare a guardare quello che facevano altri».
O nuoti o affoghi: è questa la logica?
«Esattamente questa. Ma avevo la possibilità di imparare moltissimo, macinare ore e ore di lavoro che diventavano poi determinanti al momento delle selezioni».
Non c'è un pizzico di rancore in quel che dice?
«Non ho motivo di serbare rancore. In Italia non ho subìto torti o ingiustizie, nessuno mi ha costretto ad andarmene. Sappiamo tutti come funziona il nostro sistema sanitario: chi vuole restare deve anche accettarne le regole; l'unica alternativa è fare le valigie. Certo, resta il dispiacere di vedere premiare i mediocri e ignorare i meritevoli. Ma questo vale in molte professioni, non solo nella mia».
Gli esterni, in America, sono ben accetti?
«Che domanda: qui sono tutti outsider. Io ho lavorato con chirurghi italiani, australiani, camerunensi, canadesi, egiziani, indiani, kuwaitiani, tedeschi, per non parlare dei tantissimi con passaporto statunitense ma arrivati da immigrati».
Scintille, mai?
«Questo è un Paese aperto. Certo però che mi riesce difficile immaginare un australiano direttore della clinica chirurgica a Cagliari».
Cosa le piace della vita in Usa?
«Il dinamismo. Qui tutto è possibile, nulla è definitivo, qualsiasi cosa può migliorare. Mi piace l'etica del lavorare duro e onestamente, mi piace l'idea che ognuno sia artefice del proprio destino. C'è più tolleranza e più senso civico. L'amicizia non è mai così profonda come lo è per noi italiani. Gli americani sono più individualisti e cementano i rapporti personali con maggiore difficoltà».
Ha vissuto anche in quartieri malfamati, giusto?
«A Chicago. In Usa i confini fra quartieri sicuri e quartieri a rischio sono abbastanza netti. Noi abitavamo in una brutta zona, seppure vicinissimo alla University of Chicago. A volte si sentivano degli spari oppure vedevi un'ambulanza che portava via il tuo vicino in overdose. Ho visto colleghi stupirsi di trovarmi ogni giorno al lavoro tutto intero. Ho cambiato cinque case in dieci anni: anche questa è l'America».
Cosa rimpiange?
«Non mi piace guardarmi indietro. Vorrei condividere con la mia famiglia rimasta in Italia le tappe importanti e la quotidianità. Mi mancano le serate con gli amici di sempre, la pausa-pranzo al Poetto con caffè, sole e mirto».
La figura del capo.
«Negli Stati Uniti deve sfruttare al meglio le potenzialità dei suoi collaboratori, risponde di successi e insuccessi del suo staff. In Italia mi pare una figura più propensa a sfruttare il lavoro della sua squadra per tornaconto personale, tipo mettere la firma su relazioni fatte preparare a specializzandi e cose del genere. In sintesi: in Italia il compito del capo è rendere difficile la vita dei dipendenti, negli Stati Uniti è risolvere problemi creati dai sottoposti».
Cosa bisogna fare per conquistare la benevolenza del capo?
«In Italia non lo so. In America contano i risultati e quelli soltanto, contano le persone concrete e affidabili».
Sbagliato dire che in campo medico i rapporti gerarchici sono medievali ?
«Perché sbagliato? Se consideriamo schiavo chi è sottoposto alla volontà altrui senza alcuna possibilità di affermare il proprio pensiero e la propria dignità, allora gli specializzandi sono da considerare assolutamente schiavi. Il problema è che in Italia a volte si rimane succubi del proprio primario per tutta una carriera».
Si sente realizzato?
«In un settore come il mio, chirurgia oncologica, non mancano i momenti di depressione. Altra faccia della medaglia sono le tante storie a lieto fine oppure accorgersi che per farsi vedere da te arrivano non solo da tutto lo Stato di New York ma anche dal New Jersey e dalla Pennsylvania».
Chirurgo per chirurgo, non era meglio ricostruire tette e chiappe?
«Tutti facciamo scelte sbagliate. Scherzo, ma francamente credo che alla lunga sia piuttosto noioso passare le giornate a impiantare protesi».
Le hanno proposto di rientrare: perché ha rifiutato?
«Devo ammettere che fino a poco tempo fa il mio sogno era proprio quello di tornare, magari aiutare a crescere colleghi più giovani. Alla lunga ci ho ragionato sopra e alla fine ho cambiato idea: mi intristisce la guerra sanitar-giudiziaria contro chirurghi che hanno la sola colpa di essere bravi ma non sardi. Mi intristisce l'idea di lavorare guardandomi sempre alle spalle. Mi intristisce l'obbligo di dover appartenere per forza a questa o quella conventicola altrimenti non ti fanno vivere».
Dunque è un no definitivo?
«Nella vita credo di essermi messo in gioco molte volte, saltando spesso senza rete. Oggi ho due figli, più precisamente due diavoletti mimetizzati da angeli di quattro e sei anni: insieme a mia moglie, alla quale debbo davvero tantissimo, sono loro la mia priorità assoluta».
Che c'entra, i suoi figli non possono crescere in Italia?
«Preferisco che stiano qui. Intanto perché un padre che svolge un lavoro appagante in un ambiente tranquillo è certamente un padre più presente e meno nevrotico. Poi, penso anche che in questo Paese possano avere una educazione più solida e, più in là, maggiori opportunità di lavoro. La mia è un'opinione del tutto personale ma ritengo che al giorno d'oggi la società americana sia più sana ed integra di quella italiana».
Avvilente scoprire la vita lontano dalle radici.
«Cagliari è una città bellissima. Ci sono nato e cresciuto, ci ho conosciuto mia moglie. La mia famiglia, i miei amici - che ritrovo ogni estate - sono lì. D'altra parte, a pensarci bene, la casa non è necessariamente quella in cui si nasce. Io, per esempio, l'ho trovata in una città fantastica che è diventata la mia vita».


31.10.10

gli animali sono meglio dell'uomo ? quel cane randagio vero amico di Sarah scazzi



Lo scritto d'oggi nasce da una mia incoerenza  con quanto scrissi    recentemente  riguardo al mio rifiuto di parlare   ancora del cazzo d'Avetrana .
Ma   dopo aver : 1) letto  tale lettera , da cui nascerà tale discussone , successiva   a repubblica  di Anna Maria Quattromini aquattromini@tiscali.it :
<< 
Nella  triste vicenda di Avetrana c' è un personaggio di cui nessuno si occupa o, almeno, non tanto quanto meriterebbe. Parlo del cane randagio amico di Sarah, che la seguiva dappertutto e che ancora si preoccupa per la sua piccola amica. Da quel 26 agosto staziona vicino a quel maledetto garage dove, forse, ha visto scomparire la sua Sarah e non l' ha più vista uscire. Lui è lì che aspetta, dovrà pure uscire da lì sembra dirci con questa attesa. L' innocenza di un cane non può entrare nella traviata mentalità umana, nelle perversioni umane. Lui pensa solo alla sua piccola amica. Quanto ci insegna quel cane!
>>
2) l'aver   cliccato   su tale  Url presente  insieme al video sulla mia "comunity" di facebook  ( d'altronde  nelle grandifamiglie , non puoi sempre  imporre la tua linea  , ma devi fare i conti \ tener  conto   anche con il dissenso e con la diversità   degli altri\e  )  dove  riporta  la lettera integrale della mamma  di Scazzi un'appello  di una donna che   è stata  , e   ,  ritornerà a  farlo   vista  la sua riservtezza  ,  lontana da partecipare  ai salotti mediatici  dai media tv  ) fatto nella  trasmissione Matrix (  finalmente    ameno da  questo scorcio   una dele trasmissioni  pacate  in mezzo al  fango  e sciacallaggio mediatico  su  questa  vicenda  )   lo trovate  sotto 


è troppo   importante e significativo  per il suo contenuto  in mezzzo a tanta  spazzatura e fatti  insignificanti  riportati  dai giornali e tv  sul caso  della povera Sarah .
Ma il post  d'oggi  non verte  sul commento  al  tale video e a tale intervento  ( ci sarà tempo  maghari  per parlare  di perdonismo  o perdono  in generale  ovviamente  ) . Quindi  no comment, i motivi li sapete  , non partecipo ai giochi al massacro o  le  " doppie  uccisioni " delle  vittime  e  poi  : <<  (...) cos'altro ti serve da queste vite \ ora che il cielo al centro le ha colpite \ ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.  (...)   >> 
Ecco quindi che preferisco  concentrarmi  Sul primo  fatto .Esso  è  " una continuazione "  dei posta volte  provocatori  di Danny ( alias  per  Danilo Pilato ) uno   degli ex confondatori del blog gemello    che  poi  a causa  d'incompresoni sulla  strada  e sul viaggio    e caratteri che hanno  iniziato a divergere e ad  andare incotrasto lui  dopo quasi  5 anni  ha  fatto cosi  : 
<<
(...)
Abbiamo girato insieme
e ascoltato le voci dei matti
incontrato la gente più strana
e imbarcato compagni di viaggio
qualcuno è rimasto
qualcuno è andato e non s'è più sentito
un giorno anche tu hai deciso
un abbraccio e poi sei partito.
Buon viaggio hermano querido
e buon cammino ovunque tu vada
forse un giorno potremo incontrarci
di nuovo lungo la strada.
(...)
>>  
 citazione musicale  ( videotesto )  beh a volte  capita  come dimostra il film  di cuik sotto riporto il finale  sia  l'omonimo racconto 




  in quanto  a volte penso e  condivido con lui che noi uomini ( intendo a scando d'equivoci   entrambi i sessi ) siamo come  animali nè più ne meno  cosi   siamo stati rapressentati  come   nelle allegorie della letteratura  Greco\ Latina   come  Fedro o questo  brano del filosofo Aristotele  ( e poi medievali  e seguenti  e nella   cultura popolare   ( tipo   lavora  come  una   formica  ,  è un grillo , si comporta come una cicala  , sei  forte  come u leone  , se dormi come un ghiro , ecc  ) .
Oppure  che altre  volte  lo diventiamo  nella  nostra  brutalsu questa pagina del loro sito ità , efferatezza ( vedere    certi delitti o certe vecchie  ma ancora pericolose  ideologie degenerate * ), cinismo , indifferenza   in cui siamo homo hminis lupis  e togliamo fuori , non necessariamente  ammazziamo fisicamente ma  moralmente \  psicologicamente   il peggio (  a volte  è capitato al sottoscritto  nel  suo passato  in cui si toglieva  i pesi dela coscienza    con  la vendetta  ,  a vote  fatta   nel mucchio ed  a casaccio  o peggio per un non nulla  ) di noi dele nostre  bruttezze   fatte dell'abuso dell'istinto e dell'orgoglio . M  allo stesso tempo siamo anche  dolci , teneroni  , mammoni , tanto da  sconfinare  nel nel melenso , stucchevole  , "  buonismo   d'accatto cioè  a tutti i costi con tutti\o   "  , sdolcinato all'eccesso  , ecc .
Inoltre  << L'aspetto umano non implica intelligenza umana e, viceversa, l'intelligenza umana non implica necessariamente che si debba avere un corpo umano. Ai sapienti importa solo
l'intelligenza,  poco essi si curano dell'apparenza,mentre al contrario gli uomini del volgo badano solo all'aspetto esteriore e non si danno pensiero dell'intelligenza".
(Lìeh Tze -  autore  e saggio cinese).>> . La lettura   di un articolo su donna moderna    non ricordo se  sul cartaceo  letto  da qualche parte   o comoprato  (   (  se  in ospedale  o sala d'aspetto dela fisiatra  o  del   o oppure da qualche altra parte magari durante  un viaggio a Sassari  ) oppure  sul sitop dela rivista  stessa , un mediocre  articolo  artiolo doi Donna  moderna  . L'editoriale   il cui titolo  : che meraviglia riscoprirsi animali. , di cui mi ricordo più o meno l'inizio  <<  L’uomo è un animale. Lo diceva Aristotele. E vale ancora oggi. [...] >>  e avanti ad esaltare tutto ciò che c’è di animale nell’uomo, fino alle passioni e agli istinti. Peccato che ( vedere  url prima citato )  Aristotele dicesse altro ingfatti dai miei ricordi  di studente  liceale  prima  e poi uiversitatio  egli  utilizzava la famosissima formula del “zoon politicon”, ossia l’uomo è un “animale politico” – è uomo solo all’interno di un organismo politicamente organizzato (come una polis, ad esempio).
Complimenti a Donna Moderna, nella speranza che le sue lettrici, sul filo dell’ignoranza ed  immprecisioni  dell'articolo  (  consapevoli o  incosapevoli  che  siano )  che assorbono, possano evitare di intralciare le persone che invece la testa la usano o almeno ci provano . che, forse, è un tantino differente. O no? .   secondo il parere del sottoscritto l’articolo di Donna Moderna è sintomatico e dice tutto sulla nostra società d’oggi. Si cercano emozioni forti, non si cercano più ideali alti. Troppa fatica. E chi ce la fa fare?!? .

Conludo questo post  con le note in sottofondo  radiofonico  di  un battito animale di rafe con  per chi volesse  approfondire tali tematiche   ecco  una bibliografia parziale    degli amici del http://www.uaar.it  ( unione atei  agnostici razionalisti  ) 
  • Desmond Morris. L’animale uomo. Una visione personale della specie umana (titolo originale: The Human Animal). Mondadori, Milano 1994, pp. 224, € 14,46. ISBN 8804451467
  • Massimo Recalcati. Sull'odio  B. Mondadori, ©2004.
  •  Dal dolore alla violenza : le origini traumatiche dell'aggressività / Felicity de Zulueta. - Milano : R. Cortina, 1999. - X, 388 p. ; 23 cm.((Trad. di Cristiana Pessina Azzoni.
  • L'aggressività femminile / Marina Valcarenghi. -Milano : B. Mondadori, [2003].
  • Maschi bestiali : basi biologiche della violenza umana / Richard Wrangham, Dale Peterson ;introduzione di Enrico Alleva e Francesca Matteucci. – Roma :Muzzio, [2005].
  • L''aggressività : psicologia e metodi di valutazione / Carmelo Masala,Antonio Preti, Donatella Rita Petretto. - Roma : Carocci, 2002. - 238 p.
  • Gli dei dentro l'uomo : una nuova psicologia dell'uomo / Jean Shinoda Bolen. - Roma : Astrolabio, 1994. - 328 p.
  • L'empatia / Edith Stein ; a cura di Michele Nicoletti ; presentazione di Achille Ardigo.- 4. ed. - Milano : Angeli, 1999. - 202 p.
  • Saggio sull'uomo : introduzione ad una filosofia della cultura umana / Ernst Cassirer. - Roma : Armando, stampa 1996. - 431 p. ; 22 cm. ((In appendice: Lo strutturalismo nella linguistica moderna ) .
  • Uomo, natura, mondo : il problema antropologico in filosofia / Riccardo Martinelli. - Bologna : Il mulino, [2004]. - 339 p.

  e altri che trovate  qui  su questa pagina del loro sito

30.10.10

la vita è una scatola di cioccolatini detto da un ex con tendenze suicidie


la prima  




 storie   speciali per  gente  normale    e  normali  per gente  speciale  .

  dall'unione sarda  del 30\102010
la prima   dalla cronaca Italiana  . Una   storia  che  potrebbe essetre inclusa  nella rubrica dela settoimana enigmistica  Forse tutti non sanno che... e Strano ma vero, rassegna di brevi notizie sui campi più disparati, storici e scientifici inclusi, non sempre però autentici - spesso dei palesi falsi - ma affascinanti abbastanza per soddisfare la generica curiosità di un pubblico italiano.

Mezzo secolo per conoscersi
Per 43 anni si sono scritte senza mai incontra
LORENZO PAOLINI

SAN NICOLÒ D'ARCIDANO Colpo d'occhio: sei tu? E giù abbracci, lacrime, carezze. Sciolto il voto: dopo 43 anni ci conosciamo. Il figlio (di Erika Compagnoni) in un angolo a riprendere la scena con la telecamera, il marito (di Luciana Deidda) nell'altro a fare da spettatore silenzioso. Una carrambata con i controfiocchi. Amiche di penna per quarant'anni, e pace se il concetto sembrava sepolto. Bambine curiose, poi adolescenti in confidenza, donne complici. Siamo al tempo delle lettere, ieri l'altro anche se pare un secolo fa. Quando si sceglievano con cura inchiostro e carta, si poneva attenzione alle sbavature, c'era perfino la gomma bicolor per rimediare agli errori. Mentre sms ed email volteggiavano fra i misteri del futuro. Bambine di due zone diverse, praticamente opposti emisferi. Una nel Terralbese più piatto, l'altra in Valtellina. Unite da una maestra, la signora Adelaide , di cui non si scrive il cognome perché le ex alunne non lo ricordano.


IL CASO La donna insegnava a Bormio, quinta elementare, a inizio anno le annunciano il trasferimento in Sardegna, un'altra quinta. Qualche pianto di commozione, poi il viaggio verso casa. Fra la felicità di esser tornata e una punta di nostalgia per i boschi dello Stelvio, si fa strada l'idea: mettere in comunicazione le due classi, una sorta di ponte ideale fra vite della medesima età eppure diversissime. Vengono scritti tutti i nomi sui bigliettini, come la riffa del santo patrono, qui Sardegna lì Lombardia. Le coppie di amiche le crea il destino. Qualche ambo si scioglie in un lampo, altre coppie resistono all'usura del tempo. Nessuna come Luciana ed Erika però che, per poco meno di mezzo secolo, si erano promesse di darsi un volto. E alla fine ce l'hanno fatta.

LA DECISIONE Un sabato mattina di fine agosto. Luciana Deidda - 53 anni, un bella signora mora che lavora nella disinfestazione a Oristano, micro-yorkshire di nome Camilla - si è alzata dal letto con un brutto presentimento. Ci ha rimuginato un po', poi è tornata dal marito. «Io parto. Se tu venissi, sarei felice. Ma io vado comunque, mi sono scocciata di aspettare». Sembra niente, Bormio. Marito e moglie ne parlano dal giorno del matrimonio. Giampaolo ha imparato presto che dietro quelle lettere, quelle fotografie che arrivano ogni tanto nella buca delle lettere, c'è un'amicizia a prova di bomba nucleare. Dopo centinaia di cartoline, le amiche sconosciute vorrebbero vedersi in faccia. «Prima non avevamo una lira, ci siamo sposati ma dovevamo metter su casa. Poi sono arrivati i figli. Poi gli impegni di lavoro, lui ha un'agenzia di security a Cagliari. Poi dove mettiamo il cane. Avevamo rinunciato a partire anche quando Erika ci aveva offerto di ospitarci per il viaggio di nozze». Quel giorno però Luciana aveva nel petto un'angoscia: «Mi sentivo strana, pensavo che se non fossi andata per abbracciarla non l'avrei potuto più fare». Un presentimento infausto, tempo scaduto. Comunque l'atteggiamento buca ogni obiezione: si parte.
MESSAGGI IN BOTTIGLIA Le malattie terribili dei genitori, gli amori che vanno e quelli che finiscono, le speranze per i figli, l'ansia del lavoro. Ma anni prima si parlava di voti presi a scuola, com'è il tuo paese? , beati voi che vivete vicino al mare , a me piacerebbe conoscere la montagna . «Ci siamo incontrate per caso ma col tempo avevamo imparato a riconoscerci reciprocamente come la mia migliore amica . Mi ricordo quando Erika aveva scritto che si sarebbe sposata a 16 anni, aspettava Davide che per tanti anni ha fatto il calciatore nel Lecco. Poi quando si è separata dal marito a 21 anni mantenendo ottimi rapporti, lui oggi fa lo chef nell'albergo che lei dirige». A 18 anni, otto dopo la prima lettera, il grande passo: «Ci siamo fatte una telefonata e, una volta rotto il ghiaccio, non abbiamo più smesso». Da una stagione all'altra ci si promette reciprocamente una visita, ma la sorte congiura. A dir la verità, Erika fa un passo in più: dodici anni fa suona alla porta della casa di San Nicolò d'Arcidano, sorpresa. È arrivata fin lì per conoscere la sua amica di penna. Ma Luciana, nello stesso giorno, è partita per andare dalla figlia a Roma. Salta l'incontro, potenza del destino avverso.

NESSUN BISTICCIO Sarà che un litigio per via epistolare è più complicato. Maurizio Costanzo, che le ha avute ospiti qualche giorno fa in radio, ha chiesto: mai una discussione? «No, in 43 anni nessun bisticcio. Solo una volta qualche frizione, quando ha deciso di sposarsi. A 16 anni sei troppo giovane, non si deve fare una scelta così da ragazzi. Me l'ha insegnato mia figlia Valentina: mamma, i matrimoni costano, i divorzi pure. Ma Erika la pensava diversamente». Sull'aereo che la portava a Linate non ha avuto perplessità. «Lei sì, temeva che dopo quarant'anni di vita da sorelle senza conoscerci, potessimo non esserci simpatiche. O perlomeno diverse da quello che immaginavamo». Ad aspettare lei e il marito in aeroporto c'era un taxista di Bormio, tutto a carico dell'albergatrice, andata e ritorno e ospitalità e il resto. Ma una coppia sarda non parte a mani vuote: «Avevamo una valigia piena di alimentari, dalle seadas al pane, dalla bottarga ai dolci a ogni salume possibile». In borsetta, un collier d'oro bianco. Un incontro importante, un appuntamento con un affetto finora senza volto. Mentre i rispettivi figli, amici su Facebook, esultavano per il colpaccio. Neanche le curve di Sondalo e Tirano l'hanno piegata e quando sono arrivati davanti all'albergo, racconta di avere urlato: ecco Erika . Il marito si sentiva quasi di troppo, è rimasto defilato per tutto il lunghissimo abbraccio. «In realtà senza di lui non sarei mai andata, è tutte le mie certezze, un uomo che ha capito il mio desiderio e appena ha potuto mi ha accontentata». Il resto è storia di una vacanza troppo breve, il ristorante, la funivia, le foto. «Ma non sono neanche voluta andare alle terme per non perdere minuti preziosi, sono andata lì per conoscerla e quello volevo fare». Nel frattempo la Rai le ha dedicato un servizio, i quotidiani lombardi pure. Quand'è rientrata in paese era giorno di festa, tutti a farsi raccontare questa bella storia d'autunno. Un'amica l'ha accolta in lacrime: «Era una mia compagna di scuola, anche lei aveva una compagna di penna, si sono perse negli ultimi anni. Piangeva e mi diceva: beata te che ce l'hai fatta a incontrarla». Non si esclude nuovo tour, nuove lacrime. Arcidano-Bormio, linea affollata. Chi l'avrebbe detto.
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seconda tratta  dalla cronaca di tempio  è la cotinuazione  è la contiuazioe  one della storia  della  vincitrice deki 130 mila €  al quiz  l'eredità (  chi vuole rleggersi l'articolo  o saperne di più  può oltre che leggere l'articolo sotto  rillegersi  qui il precedente ) 

Luras.
Giacomina Satta ha vinto 130mila euro a “L'eredità” su Rai1 per curare suo figlio «Vi presento Michael, ho vinto per lui» Il ragazzo ha 16 anni e ha una grave tetraparesi spastica . «So che la malattia di mio figlio non lascia molta speranza - spiega- ma vado avanti da lurese con la mia indole granitica».Ha vinto un tesoretto. 130mila euro in gettoni d'oro partecipando al quiz televisivo di Raiuno, "L'eredità", condotto nel preserale da Carlo Conti. Ma per Giacomina Satta il tesoro più grande quello che non ha prezzo: suo figlio Michael. Michael compirà sedici anni tra qualche settimana e, dalla nascita, è affetto da una grave forma di tetra paresi spastica, che lo costringe a stare su una sedia a rotelle e che, in questi ultimi anni, si sta aggravando perché legata al presentarsi di altre patologie. «Con questi soldi porterò mio figlio negli Stati Uniti, a Boston. So che sarà difficile ma, come mamma, ho il dovere di provarci». La quarantatreenne, lurese doc, trapiantata da sedici anni a Sassari, è stata ormai ribattezzata mamma coraggio . E di coraggio e tempra Giacomina Satta ne ha da vendere. «So che la malattia della quale è affetto mio figlio non lascia molta speranza - continua la donna - ma questa vincita ha alimentato nel mio cuore quella piccola fiammella che giaceva sopita: ora, voglio farla diventare un grande falò di speranza». Questo viaggio della speranza verso l'America per il piccolo Michael è il primo. In Italia è già stato visitato in diversi ospedali (Genova, Torino e Ferrara). «A Boston faremo una visita specialistica e, solo allora, vedremo cosa si potrà fare», continua la mamma. Giacomina e il marito Saverio sono arrivati ad avere contatti con il Massachusset General Hospital, grazie ad un medico italiano Riccardo Camoriano, che li ha messi in comunicazione con la struttura ospedaliera statunitense. «Il dottor Camoriano, purtroppo, non c'è più. Sarebbe stato felicissimo per questo nostro viaggio negli States». L'emozione si legge, chiaramente, negli occhi di Michael che, guardando la puntata del gioco si è commosso più volte. «Mamma, allora, mi vuoi veramente bene? - ha commentato a freddo il ragazzo - tutto questo per me? Andando a Boston avremo almeno qualche piccola speranza di miglioramento?». A sentire le parole del figlio, a Giacomina Satta gli occhi gli si riempiono di lacrime e sta realizzando, piano piano, che quel sogno che ha cullato per anni, si potrà trasformare in realtà. «Sono andata a L'eredità con il chiaro intento di vincere - spiega la Satta - la mia tensione saliva, ogni volta che superavo una prova. Solo ora che mi sono vista in tv, sto realizzando il tutto. Vincere per mio figlio è stata la mia soddisfazione più grande. Ora ci prepareremo per partire per l'America». Mamma coraggio, fino alla partenza, continuerà a colorare le giornate del figlio con colori allegri, come ha sempre fatto, come è nel suo carattere e, come dice lei, «da buona lurese, tiro avanti con la mia indole granitica».»
A Boston Michael farà una visita specialistica e, solo allora, si potrà capire il da farsi. Giacomina Satta (foto di Piergiacomo Pala) e il marito Saverio sono arrivati ad avere contatti con il Massachusset General Hospital, grazie ad un medico italiano Riccardo Camoriano, che li ha messi in comunicazione con la struttura ospedaliera statunitense. «La mia speranza -dice la mamma coraggio- non si è mai sopita»


SEBASTIANO DEPPERU








le solte cazzate razzistiche . dal novecento non abbiamo imparato niente

Mentre  cazzeggiavou Facebook  un mio amico  sulla mia bacheca mette    la news  del  pompiee .. ehm...  corriere  della sera   che trovate  sotto  . Ora Leggendo tali assurdità non sò che  ..... dire  se non quello che ho   detto nel titolo e perchè  non  si dice  ( ovviamente   sto parlando in senso metaforico e saarcastico ) che  queli del  nord  sono  barbari  perchè hanno avuto incroci con i celti ed i Germani o altre popolazioni del'est  europeo ?
 
 
 


Redazione corriere  della sera  online
16 febbraio 2010 (ultima modifica: 17 febbraio 2010) 

«I meridionali sono meno intelligenti»
Nuova teoria di Richard Lynn: «La causa è mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e dell'Africa»


Richard LynnCome dice  sempre  il  titolo  del corriere  Richard Lynn ( foto a sinistra  )  è autore di discusse ricerche sulle differenze mentali in base a razza e sesso.

«I meridionali sono meno intelligenti»
Nuova teoria di Richard Lynn: «La causa è mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e dell'Africa»



MILANO - Richard Lynn, docente emerito di psicologia all'università dell'Ulster a Coleraine, in Irlanda del Nord, è famoso per le sue teorie a dir poco provocatorie. Ritiene che esistano differenze nell'intelligenza degli individui in base alla razza e al sesso: una ricerca lo ha portato a dire che le donne sono meno intelligenti perché hanno il cranio più piccolo dei maschi, un'altra che la pelle più chiara corrisponde a una maggiore capacità mentale.
MENO INTELLIGENTI - L'anno scorso lo studioso ha pubblicato uno studio sulla rivista Intelligence che chiama in causa direttamente il nostro Paese. Il titolo è: «In Italy, north-south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature and literacy» («Le differenze nel QI tra nord e sud Italia corrispondono a differenze nel reddito, educazione, mortalità infantile, statura e alfabetizzazione»). Ecco la teoria: il sud Italia è meno sviluppato del nord perché i meridionali sono meno intelligenti dei settentrionali. Anzi, mentre nel nord Italia il quoziente intellettivo è pari a quello di altri Paesi dell'Europa centrale e settentrionale, più si va verso sud più il coefficiente si abbassa. La causa, spiega Lynn, è «con ogni probabilità da attribuire alla mescolanza genetica con popolazioni del Medio Oriente e del nord Africa». Osservazioni che non sfigurerebbero in un pamphlet razzista.
«GRAVI LIMITI» - Lynn liquida secoli di studi sulla questione meridionale teorizzando che al pari della statura, dell'istruzione e del reddito, da nord a sud l'intelligenza media della popolazione scenda fino a toccare il punto più basso in Sicilia. I più intelligenti d'Italia, secondo Lynn, sono concentrati in Friuli. Roberto Cubelli, presidente dell'Associazione italiana di psicologia, ha criticato lo studio per i «gravi limiti teorici, metodologici e psicometrici (inadeguatezza degli strumenti di misura, arbitrarietà della procedura di analisi, mancata definizione di intelligenza), attualmente in discussione presso la comunità scientifica». Inoltre Cubelli attacca lo studioso irlandese per l'uso di «modelli teorici che si sono già rivelati falsi e ingiustificati e che possono legittimare comportamenti individuali e scelte politiche di impronta razzista e di discriminazione sociale».
TEORIE DISCUTIBILI - Lynn non è nuovo a teorie discutibili: negli anni '70 sostenne che gli abitanti dell'Estremo Oriente sono più intelligenti dei bianchi e nel 1994 nel libro «La curva a campana» teorizzò che nella popolazione di colore, una pigmentazione più chiara corrisponde a un quoziente intellettivo più alto, derivato proprio dal mix con i geni caucasici. Nello studio pubblicato da Intelligence, afferma che «il grosso della differenza nello sviluppo economico tra nord e sud può essere spiegato con la variabilità del QI» e che, in sintesi, nel sud Italia la qualità del cibo è più scadente, si studia meno, ci si prende meno cura dei figli e che almeno dal 1400 il Meridione non partorisce «figure di spicco» nelle arti e nella politica


 con questo vi lascio   perchè due parole sono poche  ed una è troppo