dal mio account di facebook
Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
30.10.11
Le due storie (
e ce ne
sono tantissime di situazioni
del genere ) che
voglio raccontare oggi sono
tratte da http://urladalsilenzio.wordpress.com/category/sullergastolo-ostativo/
La prima
è quella di Salvatore Liga raccontata con le parole di Carmelo Musumeci.detenuto nel carcere di Spoleto in Alta Sicurezza, 80 anni
compiuti l’estate scorsa, vecchio malato e stanco. E destinato con certezza
a morire in carcere perché è stato
condannato alla pena dell’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio, se al suo posto non ci mette un altro. L’ultima
volta che l’ho visto era questa estate e si muoveva a malapena nel cortile del
carcere con due stampelle sotto le ascelle.Stava sotto il sole seduto in una
panchina di cemento armato tutto l’orario del passeggio a prendersi l’ultimo
sole della sua vita Poi un giorno non l’avevo più visto. In seguito avevo
saputo che gli avevano trovato un tumore maligno allo stomaco e l’avevano
trasferito d’urgenza in un centro clinico carcerario. Proprio l’altro giorno ho
saputo che era ritornato, l’avevano operato,
ma che adesso non riusciva più a camminare e gli hanno dato una sedia a
rotelle. Oggi, da un suo paesano, ho saputo che per Salvatore Liga le disgrazie
non sono finite perché gli hanno applicato un residuo d’isolamento diurno. A
che serve e a chi serve applicare ad un povero vecchio in fin di vita una
misura così sadica e vessatoria?Molti forse non sanno che l’isolamento diurno è
una pena che si dà normalmente quando si è condannati alla pena dell’ergastolo
e che ti costringe a non fare vita comune con i tuoi compagni. Che altro
aggiungere, se non che il carcere non dovrebbe essere uno strumento di tortura,
mortificazione, un luogo di violenza istituzionale e una fabbrica di
emarginazione. E se siete dei credenti, aggiungo solamente che Gesù nelle sue
predicazioni non chiedeva giustizia ma perdono.Visto però i risultati, credo
che Gesù abbia perso solo tempo a venire su questa terra.
La seconda
di Mario Trudu, un pastore sardo condannato
all’ergastolo e in carcere dal 1979. Quella di Mario Trudu è una delle storie
più emblematiche, più drammatiche, che, esclusi i 10 mesi di latitanza tra ’86
e l’87, vive in carcere da 32 anni. Senza nessuna prospettiva di non morire lì
dentro. Mario Trudu è un uomo rassegnato, ma non abbastanza, forse è la rabbia
a tenerlo ancora vivo. Eppure anche lui ha chiesto la morte al posto
dell’ergastolo ostativo e ha chiesto di
essere fucilato in piazza a Spoleto (città dove sta attualmente scontando
l’ergastolo) per dare soddisfazione a tutti coloro che i delinquenti li
vogliono vedere morti, anche dopo 32 anni di carcere… Invece il Tribunale gli
ha risposto che la pena di morte non è prevista dall’Ordinamento Penitenziario,
nè dalla Costituzione. Bel Paese il nostro,
ci battiamo per abolire la pena di morte negli altri Stati ma nelle
nostre prigioni ci si suicida e si muore come mosche e se sei ergastolano e non
scegli di usare la giustizia per tirarti fuori, morirai di sicuro in carcere. Ma lo Stato non vuole la parte del boia: o lo
fai da solo o muori ogni giorno in attesa della fine dei tuoi giorni.
Vi lascio a questa drammatica testimonianza di Mario Trudu
A scrivere è Mario Trudu. Nato l’undici marzo del 1950 ad
Arzana. Mi trovo in carcere dal maggio del 1979 con una condanna all’ergastolo.
Scrivendo questo testo non lo faccio pensando di poter ottenere qualcosa, ma
per informare, perché qualcuno in più venga a conoscenza della situazione in
cui si trovano le persone che sono recluse, come me, con una condanna all’ergastolo ostativo.
Siamo coloro che ogni giorno affrontiamo la nostra tragedia, la nostra vita
senza speranza, eppure, lottiamo e combattiamo per una vita migliore. Mi preme
dire a coloro che si trovano nella mia medesima situazione, e verso coloro che
eventualmente vi si troveranno in futuro, che bisogna fare qualcosa.
Troppo spesso si sente parlare di certezza della pena, ma
occorrerebbe parlare di certezza della morte, perché in Italia chi è condannato
alla pena dell’ergastolo ostativo può essere certo che la propria morte avverrà
in carcere. Spesso si sente nei salotti televisivi qualche politico che batte i
pugni sul tavolo inneggiando alla certezza della pena. A questi vorrei
gridargli in faccia che la mia pena è talmente certa da giungere fino alla
morte. Solo certe menti malate e distorte possono riuscire a superare
l’insuperabile. Non si può introdurre come è stato fatto nel 1992 la norma dell’art.
4 bis O.P. (che nega i benefici penitenziari se non metti un altro in cella al
posto tuo) e renderla retroattiva, applicarla cioè a reati commessi diversi
lustri prima. Lo stesso vale per l’art. 58 ter O.P.(persone che collaborano con
la giustizia), uno scempio per uno stato
che si definisce di diritto. Da quando nell’Ordinamento Penitenziario è stato
introdotto questo articolo, se vuoi ottenere i benefici penitenziari, sei
obbligato a “pentirti”, lasciando in questo modo che si dimentichi che rieducarsi
(se errori ci sono stati in passato) non significa accusare altri, ma cambiare
dentro di sé. Il pentimento che pretendono loro è l’umiliazione. Per loro
collaborazione significa perdita di dignità, fuoriuscire dalla sfera umana.
Come può collaborare chi ha è stato vittima di processi compiuti con la roncola
nei cosiddetti periodi di “emergenza” in cui contava solo la parola dell’accusa
e dove i testimoni della difesa venivano sistematicamente arrestati e
processati anche loro? L’Italia, dagli anni ottanta ad oggi, pare essere un
paese in emergenza perenne.
Si può negare ad un condannato all’ergastolo, dopo che ha scontato già trent’anni di
carcerazione, la possibilità di ottenere un permesso? Il due settembre del 2009
il Tribunale di Sorveglianza d Perugia, a una mia richiesta di tramutare la mia
condanna all’ergastolo in pena di morte (da consumarsi con fucilazione in
piazza Duomo a Spoleto) ha risposto così: “Poiché la pena di morte non è
prevista dall’Ordinamento né ammessa dalla costituzione, si dichiara
inammissibile l’istanza in oggetto”. All’ergastolano, viene dunque proibito
anche di scegliere di morire perché si vuole che affronti la vendetta dello
Stato fino all’ultimo dei suoi giorni.
Io ho sempre creduto che gli unici che avrebbero potuto pretendere
vendetta nei miei confronti fossero la famiglia Gazzotti, l’uomo che ho
sequestrato e che a causa di quella mia azione quel povero uomo morì. Solo loro
credo che possano fare e dire tutto ciò che vogliono nei miei confronti, ne
hanno tutti i diritti. Sicuramente trent’anni di carcere formano un altro uomo,
perché oltre ai valori ed abitudini che già possiedi, ne assorbi altri e
rielaborandoli ne ricavi una ricchezza. La pena dell’ergastolo per chi la vive
come me, è crudele e più disumana della pena di morte, perchè quest’ultima dura
un istante ed ha bisogno di un attimo di coraggio, mentre la pena
dell’ergastolo ha bisogno di coraggio per tutta la durata dell’esistenza di un
individuo, un’esistenza disumana che rende l’uomo “schiavo a vita”.
Occorre prendere coscienza che l’ergastolano ha una vita
uguale al nulla e anche volendo spingere la fantasia verso previsioni
future, resta tutto più cupo del nulla.
Si parla spesso del problema delle carceri, ma non cambia mai nulla (o forse
qualcosa cambia in peggio e il problema del sovraffollamento delle carceri lo
dimostra). I suicidi nelle carceri sono proporzionalmente in numero maggiore di
diciassette volte rispetto a quelli che avvengono nel “mondo esterno”. I
“signori” politici dovrebbero pensare veramente per un attimo al disgraziato
detenuto che non può morire in carcere per vecchiaia. Parlo dei politici perché
la responsabilità è loro, perché se la legge del 4 bis non viene cambiata siano
consapevoli che noi ergastolani ostativi dal carcere non potremo uscire mai:
che diano risposta a questa domanda questi “signori”!.
Sto sognando, lo so! Purtroppo un ergastolano può solo
sognare.
Fino ad oggi la mia trentennale carcerazione è stata
interrotta da soli dieci mesi di latitanza ( periodo che va da giugno del 1986
ad aprile del 1987). Venti anni fa entrai nei termini per poter usufruire dei
benefici penitenziari e da allora ho iniziato a presentare diverse richieste
per poterli ottenere, ma sono state respinte sistematicamente tutte fino a
quando nel2004 mivenne concesso un permesso con l’art- 30 O.p. (otto ore
libero, senza scorta) per partecipare alla presentazione di un CD-ROM sulle
fontane di Spoleto, realizzato in
carcere da noi alunni del quarto anno dellIistituto d’arte. Trascorsi quelle
ore di permesso a Spoleto insieme ai miei familiari venuti appositamente dalla
Sardegna, ed in compagnia di alcuni
professori. Nel novembre del2005 mifu concesso un altro permesso, questa volta
di sette ore, per la presentazione di una rivista sui vecchi palazzi di
Spoleto, che avevamo prodotto in
carcere. Trascorsi quelle ore a Perugia sempre con i miei familiari. A questo
punto mi ero convinto che il fattore di pericolosità sociale attribuitomi fosse
oramai decaduto e di conseguenza mi illusi che, di tanto in tanto, mi sarebbe
stato concesso qualche permesso utile a curare gli affetti familiari. Purtroppo
non fu così, perché dopo quell’ultimo permesso tutte le mie richieste furono
respinte. Inizia a questo punto a chiedere con insistenza un trasferimento in
un carcere della mia regione di appartenenza, affinché i miei familiari
potessero avere meno disagi ad ogni nostro incontro, ma nulla da fare: la prima
richiesta fu rifiutata e le successive non ebbero mai risposta. Ho presentato a
più riprese richieste di permesso necessità per poter andare a far visita a mia
sorella Raffaella che non vedo dal 2004 e che non si trova in condizioni per
poter affrontare lunghi viaggi, ma anche queste vengono negate motivando che
lei non si trova in pericolo di vita. Sono contento che mia sorella non sia in
pericolo di vita. Sono state tante le mie richieste per un avvicinamento a
colloquio al carcere di Nuoro, dove mi sarebbe stato possibile incontrare mia
sorella, l’ultima l’ho presentata il due maggio 2011. Ma non mi hanno ancora
risposto.
Mario Trudu
con queste due storie spero di promuovere ( sperando che non degeneri in scazzi e discorsi forcali che poi come spesso accade allontanino dall'argomento in questione )un dibattito riflessione sulla condizione carceraria che a causa dell'inerzia ( paura d'impopolarità perdita di voti da familiari dell vittime ) pr non dire peggio di nostri governanti legislatori porta a quei processi di disumanizzazione, disperazione e di suicidi.
Concludo , rispondendo in anticipo alle eventuali repliche prevedibili quanto scontate d'eventuali forcaioli , che qui non voglio tutti liberi o tutti assolti , perchè chi è colpevole è giusto che paghi sconti la sua pena , ma che tale condanna non sia vendicativa e solo punitiva , ma serva al rieducamento e alla reintegrare il condannato nella società Infatti s'è davvero questo ( anzi mglio dovrebb ma in realtà non lo è ) è lo scopo della reclusione, oltre alla pena di morte andrebbe abolito anche il carcere a vita,perché non è vita quella che trascorre in celle dove in pochi metri quadrati sono ammassate troppe persone che trascorrono le loro giornate nell’inedia, con conseguente degrado delle proprie capacità intellettuali, emotive e sentimentali, dimenticate non solo da Dio e dagli uomini, ma anche dalla speranza di poter uscire un giorno da quelle mura potersi rifar una vita .
<>, sostiene il discusso Umberto Garimberti ,<< dopo la condanna di reclusione, dei carcerati più nessuno si occupa, e alle loro richieste, anche modeste, dettate dall’assenza di speranza e quindi dalla disperazione, si risponde con un linguaggio burocratico, dietro il quale si fatica a pensare che ci sia un uomo che abbia ancora qualche tratto di umanità? >>
Ovviamente non tutte le prigioni versano in questa situazione. In alcune i carcerati possono studiare e anche laurearsi, in altre apprendono un lavoro che un domani possono esercitare, ma troppi sono ancora i luoghi di reclusione in cui tutto questo non accade, e i giorni trascorrono nell’inedia, nel degrado, nella disperazione che, quando si fa troppo acuta, conduce al gesto estremo come a una liberazione. Non ho alcuna difficoltà a chiamare questi suicidi “delitti”, determinati non dalla ferocia della legge, ma dall’ignavia, dall’inerzia dei legislatori, la cui indifferenza per queste situazioni, più crudele della ferocia,non li esonera dalla colpa di creare condizioni di vita tali da rendere la vita stessa impossibile.
Ma ora basta altrimenti finisce tutto io . Adesso tocca a voi
Questo nostro amore
Questo nostro amore
è fatto di deserti
di case insanguinate
di filtri di persiane
di chicchi di caffè.
Questo nostro amore
fiorisce sorpassato
nel cuore di città
spossate, informi,
in spenti meriggi
d’un rosa futurista.
Questo nostro amore
si pasce di silenzi,
d’albe ricreate,
di carezze di lino.
Delicato, suadente
nella lieve fralezza,
un fremito commosso
nel buio del mondo.
28.10.11
un politico sardo , miracolo rinuncia a 3884 euro d'indennità Altolà degli uffici contabil della regione i: "Non si può"
18.10 | CRONACHE DALLA SARDEGNA - Rinunciare all'indennità di carica, anche per chi ne fa richiesta, non sembra possibile almeno nel Consiglio regionale della Sardegna, dove da settembre scorso è stato avviato il percorso per dimezzare le indennità con una proposta che sembra essere rimasta nei cassetti e dove il Governatore Ugo Cappellacci, con una delibera, ha azzerato la propria di indennità.
finalmente arriva l'autunno
in sottofondo L'Autunno de Le quattro stagioni di Vivaldi.
Yuk a tutti blogghisti e
bloggarole !
Ci siamo
ormai , il tempo ha smesso ( almeno cosi sembra
) di fare il pazzerello , e arriva
l’autunno stagione a meta strada
fra il letargo invernale e la laboriosità
dell’estate non fa
ne troppo caldo ne troppo freddo!!
.Qui da me , siamo a
800 metri sopra il livello del
mare e a piedi del 3 monte
della Sardegna soffia un vento pazzesco e la mattina presto
fa freddissimo ieri alle
7.00 c’erano 8\9 gradi
! Le giornate inizia
ad accorciarsi e Le
prime foglie iniziano a cadere dagli alberi danzando leggere e gli alberi ad essere
sfogli
Il gelso
che abbiamo nel
giardino del nuovo negozio
e io non so resiste e spesso al lavoro o camminando per le vie
del paese mi distraggo ad osservare gli alberi sfogli
o in via d’esserlo
. E quando non ho fretta se ne vedo un mucchietto in mezzo alla
strada mi ci lancio sopra e le sparpaglio qua e là! L'autunno è arrivato e sono
contento... vi sembrerà strano ma, è proprio così: è bello vedere gli alberi
che cambiano colore, passare le prime serate in casa a ad arrostir
e sgranocchiare le castagne o
se non fa troppo freddo dai caldarrostai dei
banchetti delle classi
per le feste patronali
dell’anno prossimo .Oggi mi sento
particolarmente goloso (visto che in autunno
ed inverno ci sono i miei
frutti e verdure preferiti ) e allegro
perché riesco ad essere mno solo
in quanto la mia greffa
\ comitiva ha meno impegni : per me l'autunno è questo e per voi? Che
cosa amate di questa stagione di passaggio e che cosa invece proprio non
sopportate? Raccontatemi! Vi lascio con questa poesia di Giovanni
pascoli
La
nebbia agli irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
27.10.11
La fine d'un mondo
Era proprio Finisterre. Un suono, prima d’un luogo. La brughiera di Liguria, là dove si congiungeva, tra rigagnoli cinerei e mari in tempesta, con la parte alta della Toscana, luogo misterioso e battuto dai venti, selvaggio, impenetrabile. Luogo di frontiera, dalla lingua sconosciuta. Lo splendore delle Cinqueterre. Ma anche, per me che l’attraversavo di rado, una terra incognita, in cui la ruvidezza spartana dei liguri si confondeva con la grazia scapigliata degl’ignoti, leggeri toscani del Nord.
Zona di passaggio, d’immigrazione. La mia bisnonna vi era salita dalla Lunigiana, anche questo un nome rarefatto, quasi spettrale. Dietro code di bauli, schiene, carri. E s’era poi insediata nel rigoglioso Ponente, concluso un matrimonio borghese, vissuta - poco tempo - felice.
Luogo di pietra e di storia. Da pochi giorni cancellato, travolto, assorbito da una colata di fanghiglia e liquame. Una storia sgretolata, assieme con le code di bauli, i frantoi, la grazia mediterranea, le poesie di Montale, l’ansia scalpitante di vita. Un mondo intero è stato distrutto e sepolto, per l’oblio d’un paese di montagna convinto d’essere un paese di pianura (Ascanio Paolini). Per la sciatta dimenticanza della nostra storia impervia e onerosa.
E la chiesa settecentesca di Monterosso rimembrava quella, inerpicata e inagibile, di Bussana vecchia: anch’essa distrutta, da un terremoto, centocinquant’anni fa. In una disgrazia, però, telluricamente “normale”. Qui no, qui la natura sembra essere impazzita, disfatta e ribelle di fronte allo scialo di cemento, oggetti, bitume, grattacieli ammassati per avidità, incuria, e - anche in tal caso - oblio.
Lo strazio si è ripetuto a Pompei. Ancora una volta. La città campana sembra essersi sciolta nel pianto. Il suo è un lungo, straziato “basta”. Anneghi il rosso pompeiano, le Ville dei Misteri, quella nostra antichità pagana e orientale che ci ricapitolava come uno scrigno prezioso. Crolla qui l‘Italia: nell’asettica indifferenza d’un popolo smemorato, infisso nell’indifferente pianura dell’oggi, e che si ritroverà un giorno del tutto scalzato, e demotivato, e nullo, senza capir perché.
Zona di passaggio, d’immigrazione. La mia bisnonna vi era salita dalla Lunigiana, anche questo un nome rarefatto, quasi spettrale. Dietro code di bauli, schiene, carri. E s’era poi insediata nel rigoglioso Ponente, concluso un matrimonio borghese, vissuta - poco tempo - felice.
Luogo di pietra e di storia. Da pochi giorni cancellato, travolto, assorbito da una colata di fanghiglia e liquame. Una storia sgretolata, assieme con le code di bauli, i frantoi, la grazia mediterranea, le poesie di Montale, l’ansia scalpitante di vita. Un mondo intero è stato distrutto e sepolto, per l’oblio d’un paese di montagna convinto d’essere un paese di pianura (Ascanio Paolini). Per la sciatta dimenticanza della nostra storia impervia e onerosa.
E la chiesa settecentesca di Monterosso rimembrava quella, inerpicata e inagibile, di Bussana vecchia: anch’essa distrutta, da un terremoto, centocinquant’anni fa. In una disgrazia, però, telluricamente “normale”. Qui no, qui la natura sembra essere impazzita, disfatta e ribelle di fronte allo scialo di cemento, oggetti, bitume, grattacieli ammassati per avidità, incuria, e - anche in tal caso - oblio.
Lo strazio si è ripetuto a Pompei. Ancora una volta. La città campana sembra essersi sciolta nel pianto. Il suo è un lungo, straziato “basta”. Anneghi il rosso pompeiano, le Ville dei Misteri, quella nostra antichità pagana e orientale che ci ricapitolava come uno scrigno prezioso. Crolla qui l‘Italia: nell’asettica indifferenza d’un popolo smemorato, infisso nell’indifferente pianura dell’oggi, e che si ritroverà un giorno del tutto scalzato, e demotivato, e nullo, senza capir perché.
24.10.11
Pellegrini per passione
- da http://www.sardegna24.net/ del 24\10 2011
-
Una francese sta concludendo in queste ore il cammino di Santu Jacu, a piedi da Sant’Antioco, nel Sulcis, a Orosei. Ha percorso trenta chilometri al giorno in media, un sacco in spalla, due bastoni. Viaggia di giorno, la notte dorme, dove capita, anche all’aperto. Tiene un diario. Giovedì era nelle campagne di Pattada, è sorpresa dagli spari dei cacciatori, incredula sugli uccelli («sono colombe?» si interroga nel blog) ai quali sparano. Ieri era a Ittireddu, prenderà la strada per Lula, finirà a Orosei. Campionessa di marcia, vincitrice nel 1993 della Parigi-Colmar (Strasburgo, 334 chilometri in 42 ore e 59 minuti), Isabelle Duchene ha dato ascolto a un amico italiano e si è avventurata in Sardegna Le chemin de Santu Jacu, estensione, imitazione, di quello franco-iberico, sembra un’invenzione, anche se pellegrini europei e forse nordafricani hanno attraversato la Sardegna nel Medioevo per raggiungere la tomba (ipotetica) di San Giacomo Maggiore nel nord della Spagna.
Ci lavorano da anni alcuni sindaci, e l’idea è di Umberto Oppus, sindaco (Udc) di Mandas: mettere insieme i paesi che hanno la parrocchia intitolata all’apostolo così venerato, e tracciare un sentiero. E provare a stare in questa corrente di moda, nel crescente business del turismo religioso, con il seguito di illusioni che esso crea, di scimmiottamenti. Il modello, le aree marginali dei Paesi Baschi rianimate da questa strana economia dell’attraversamento. E’ una declinazione del turismo lento, chenonnasce oggi. L’andare dei romantici, viaggiatori alla Lawrence, a piedi, a cavallo, con imezzi pubblici. Incrocia le pratiche popolari dei sardi, su quegli stessi sentieri: il pellegrinaggio verso i novenari di paese, o quelli più lunghi, e le transumanze, truvèras e tràmudas, l’andare dei carbonai, dei minatori, ladri di bestiame.... «La suggestione c’è», dice Luigi Crisponi.
«E’ un prodotto turistico». Giovedì mattina a Cagliari l’assessore regionale ha presieduto una riunione dei sindaci dei paesi attraversati da questo cammino, e lo ha benedetto, facendo felice Oppus e altri ai quali promette un riconoscimento ufficiale e risorse, risorse, anche europee..... «Per fare che cosa?», chiede uno. «Ma per esempio i cippi lungo il sentiero». Ce n’è un’infinità, di sentieri turistici. Le strade dei vini, le ippovie, le vie del gusto, dalle miniere al mare, pezzi di sentieri delle transumanze. In ciascuno, cippi diversi, cartellonistica autonoma. Una Babele. Ormai ricoperti di frasche, interrotti da filo spinato, riconquistati da pastori e fatti mandra, angolo per la mungitura. Restano le mappe, le cartine, opuscoletti.
Un opuscolo dell’Opera romana pellegrinaggi, vera grande madre del business, la sola ad averci guadagnato sinora, senza fatica, in questo inizio sardo, conterrà sei pagine di quest’ultimo cammino. E’ costato 200mila euro. E non si sa cosa ci finirà dentro, salvo qualche mappa. Non c’è nulla, di reale, quasi nemmeno il sentiero, esperimenta la Duchene. La sola pratica del genere è fra Suelli e l’Ogliastra, lungo il cammino di San Giorgio vescovo. Ci vanno camminatori veri, anti-consumisti. «Matutto ha un inizio, il fenomeno Santiago ha inizio nel 1989, con i finanziamenti europei», dice Oppus.
quando la satira non è satira ma ci cinismo nonenciclopedia su Marco Simoncelli
stavolta non difendo il sito in questione come ho fatto contro vasco rossi , quella era , seppur vicino alla diffamazione satNonciclopedia,il siira .Questa che il sitosatirico,sta facendo satira sulla morte di Marco Simoncelli in modo molto orrendo e cinico ..E' una vergogna!La satira nasce dal teatro..e come tale è un'arte ma nelle loro notizie pubblicate,sin da ieri,di artistico non c'è nulla..c'è solo tanta disumanità.Neanche la morte riesce a dare sensibilità e rispetto ad un ragazzo di 24 anni che ha perso la vita per lo sport e la passione che ha sempre avuto.Si Vergognassero!
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