Cerco una risposta a qiuesta mia domanda a quando celebrazioni senza la nauseante e stucchevole retorica nazionalistica ? Credo d' ver trovato una risposta negli articoli ed i link sopra al post che riporto oggi , su cui vorrei impostare la discussione \ dibattito , dimostrano su come la data ( di cui quest'anno ricorre il centenario ) del 4 novembre dimostrano dicome sia ancora vivo l'evento della fine della grande guerra .
Esso fa parte nolenti e non della nostra storia nazionale su cui ancora non abbiamo saputo fare i conti . Infatti nonostante siano passati 100 anni è come testimonia l'uso strumentale ed ideologico che la Meloni , in questo caso , si vuole fare ovveroil tentativo illussorio ed forzato visto che si vuole fare ciioè farne forzatamente una menoria condivisa . Tentativo che rimane solo utopistico ed evanescente fin quando si ricorda solo parte della storia ,
Dopo questo pistolone veniamo agli articoli
il primo è una lettera pubblicata su http://invececoncita.blogautore.repubblica.it/ d'oggi 4.11.2018
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Carlo Montini in una foto inviata dal fronte
Grazie a Orlando Astuti e a Carlo Montini
"Cara Concita, il 2 novembre mio papà, Carlo Astuti, compie 97 anni (e rimane vostro fedele lettore). Il 4 novembre ricorre poi il centenario della fine della Prima Guerra Mondiale. I due anniversari sono, per la nostra famiglia, legati, perché mio papà si chiama Carlo in memoria dello zio, Carlo Montini, anche lui nato il 2 novembre, nel 1896"."Zio Carlo, proveniente da una famiglia molto patriottica (il padre, mio bisnonno Gino, era colonnello della Territoriale), scoppiata la guerra, partì volontario poco più che diciottenne. Fu promosso sotto-tenente, mandato al fronte e morì, colpito da una granata sul Veliki-Kribak (fronte del Carso), il 4 ottobre del 1916, quando non aveva ancora compiuto vent’anni. Fu insignito della medaglia di bronzo ed è ora sepolto nel Sacrario vicino a Sant’Ambrogio a Milano"."In famiglia si sono conservate le sue lettere dal fronte, prima entusiastiche, per la convinzione di stare servendo la patria, e poi sempre più drammaticamente consapevoli del massacro a cui stava partecipando. In memoria di quei giovani che in guerra morirono, e a dimostrazione che anche cent’anni fa si poteva morire da eroi ed odiare la guerra, ho pensato di condividere con i lettori della tua rubrica una lettera scritta da Zio Carlo alla famiglia il 30 marzo del 1916, durante una breve licenza nelle retrovie, lontano dalle trincee:
'Carissimi tutti,
Pace e tranquillità! Una quiete, una calma di tempo e di spirito semplicemente stupefacente! Che beatitudine mai provata, non sentire più quelle pallottole fischianti passare rasenti al buco che ci salva, non aver più quella dolorosa tensione dei nervi, non vivere più come esseri primordiali, come cani, badare a non sporgere il capo per non essere colpito e chinare la testa sulla spallina con gli occhi chiusi... fulminato! Trattenere tutto per non essere ucciso!Nulla più di tutto questo! Che bellezza! Figuratevi che ho una cameretta, s’intende di contadini, ma a me sembra una reggia e ci sono sempre dentro guardandola e ammirandola per rimanere a bocca aperta alla vista di … un … letto … lenzuola … comodini, parole che io pronuncio a scatti per l’emozione di fronte a tanta grazia di Dio! Comincio a persuadermi che questo personaggio esiste!Figuratevi, almeno figuratevelo non potendo aver un’ombra d’idea della realtà, pensate che di questo lungo periodo di prima linea il mio battaglione era nel punto più avanzato e la mia compagnia d’avamposto era ancora nel punto più avanzato di tutta la linea.Eravamo a 150 metri dalla trincea nemica e le vedette a circa 90. Si vedevano … e si parlavano! Una sera durante una mia ispezione alle vedette del mio plotone scivolai sul ghiaccio ed andai a finire nei reticolati austriaci. La vedetta nemica a dieci passi non sentì o forse intirizzito mi lasciò tranquillo e tornai… facendomi il segno della croce al ritorno alla mia trincea! Ho dunque ragione d’essere felice del nostro soggiorno attuale. Tanto più pensando… che non sono morto.
Baci. Carlo
Il secondo un articolo sul fattoquotidiano del 2\11\2018 di Sergio Lima
Ventotto volumi, pomposamente chiamati “albo d’oro”, contengono i nomi degli oltre 600mila morti per cause belliche. A questi vanno aggiunti, e non c’è neppure una statistica ufficiale, centinaia di migliaia di civili morti per “avversità belliche”, che tradotto significa fame e malattia. Intere generazioni spazzate vie sulle trincee e sugli altopiani, migliaia di uomini fucilati per mantenere la disciplina su ordine di tribunali militari speciali. Interi reggimenti sottoposti alla pratica della decimazione. Questa è statala guerra italiana ’15-’18. Questa e non l’eroico racconto di chi la guerra l’ha raccontata, dopo, da comode e calde case. O dai “letti di lana” come recita un verso della vera cantata della guerra, che non è la “canzone del Piave”, ma “Gorizia tu sei maledetta”.Per questo il 4 novembre non è tanto la data della vittoria, quanto la data che segna la fine dell’inutile strage. Non un trionfo ma una data che ricorda la follia della guerra e l’orrore del militarismo frutto esasperato del nazionalismo.La proposta di Giorgia Meloni
100 anni fa vincemmo la Prima Guerra Mondiale. I nostri Eroi ci fecero liberi e sovrani. 100 anni dopo ricordiamo il loro sacrificio combattendo la stessa battaglia contro i nuovi invasori. Questo è il nostro omaggio, questa è la nostra sfida. #NonPassaLoStraniero
di fare del 4 novembre la data della festa nazionale è, quindi, non solo un modo per occupare qualche spazietto sui giornali ma, ed è peggio, un affronto al senso stesso che quella data ha occupato nella memoria del paese.
E non casualmente la proposta è infarcita di richiami alla vittoria, al Sacro Piave, all’eroismo. Le stesse parole e la stessa narrazione di chi mandava, in folli strategie, i soldati a crepare davanti le mitragliatrici e fucilava chi riusciva a tornare indietro. Se il 4 novembre ha un significato è esattamente il contrario, a 100 anni dalla fine di quel massacro dovrebbe ricordarci altro. Dovrebbe essere un monito, terribile. Un monumento alla follia umana. Ma questo significherebbe abbandonare il terreno della propaganda, che per ironia della sorte proprio nella prima guerra mondiale diventa arma al pari di cannoni e gas tossici, e incamminarsi su un terreno più accidentato, quello della
riflessione e della comprensione. Terreni ostici di questi tempi.Sulle trincee e sui luoghi delle carneficine e delle fucilazioni di massa bisognerebbe tornare, per vedere per capire. Un esercizio di memoria utile non per celebrazioni di confini ma per evitare che un domani un paese senza memoria, un mondo senza memoria, possa pensare di ripiombare in quell’orrore chiamato guerra. Sarebbe il modo giusto per celebrare il 4 novembre e, magari, chiedere scusa.
Allora si aggiungo io a questo articolo che si potra parlare di memoria condivisa per il momento è solo fuffa . Quindi spettabile Giorgia Meloni si occupi se proprio vuole onorare ( io preferisco il termnine ricordare ) e i caduti in guerra si preoccupi ( vedere primo url sopra ) di curarne i monumenti ed il patrimonio ad esso dedicato .
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