7.3.21

donne coraggio





Lei è una di quelle che resta. Lo fa per amore della sua terra. Per amore della sua gente. Per amore di chi si trova a vivere sulla sua stessa terra, ma senza avere diritti. Lo fa perché ama la Calabria, la piana di Gioia Tauro con tutte
le sue contraddizioni. Lo fa contro le ingiustizie. Celeste Logiacco, sindacalista di strada e Segretario Generale della Cgil della Piana, lo fa perché è cresciuta così e non può essere diversa da se stessa. 
Perché restare?
«Scegliere di restare in Calabria vuol dire non rinunciare a costruire il tuo futuro nella terra in cui sei nata e cresciuta, vuol dire senza alcun dubbio preferire una sfida, con te stessa e con l’ambiente che ti circonda. Una sfida al presente, che diventa una speranza per il futuro. La speranza che questa terra, nella quale è più difficile restare che andar via, cambi, affinché i giovani non siano più costretti a cercare altrove prospettive e lavoro. Una terra, ricca di cultura, arte, storia e di bellezze naturali, che ha in sé le potenzialità necessarie per risollevarsi, migliorare, cambiare. Ma anche la speranza di “servire” a qualcosa, di contribuire a far andar meglio le cose, rifiutandone la semplice accettazione, la rassegnazione, o peggio ancora l’incapacità di cambiare. Sono i calabresi a dover cambiare la Calabria. Perché ci sono cresciuti, perché la conoscono, perché come me la amano in modo viscerale. So perfettamente che il cambiamento non avviene dall’oggi al domani, che niente migliora da sé, ma ciascuno di noi, decidendo da che parte stare, ha una sua, seppur piccola, ma indispensabile, parte nella storia della nostra regione, del nostro Paese. Sta a noi prenderci cura della Calabria e fare in modo che questa speranza non si trasformi in rassegnazione».







Quando hai preso la decisione di seguire le orme di tuo padre? 
«In Cgil dal 2006, dopo un anno di Servizio Civile e l’avvio dello sportello immigrazione, a febbraio del 2014 vengo eletta Segretario Generale della Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro, a luglio del 2017 Segretario Generale della CGIL della Piana di Gioia Tauro, riconfermata il 20 ottobre 2018. Prima donna segretaria sia della Flai che della Cgil territoriale della Piana. Sono cresciuta in una famiglia di lavoratori, per me “luogo” assoluto di confronto e ricarica, in cui si respira la cultura del lavoro, la fatica insieme alla rivendicazione di migliori condizioni, la difesa dei diritti collettivi prima ancora di quelli personali. Il mio percorso di studi era ben lontano dal sindacato, ho studiato arte, prima al Liceo Artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, ma fin da piccola i miei genitori e in particolare mio padre, ferroviere iscritto Cgil da oltre quarant'anni, mi hanno fatto crescere secondo i valori della legalità e della giustizia; mi hanno fatto capire quanto è importante esserci e lottare per l'affermazione dei diritti di tutti; quanto sia necessario spendersi, ognuno per le proprie competenze, per provare a cambiare ciò che non va».


Donna in trincea in Calabria: più difficoltà in una scelta sola. Quanti ostacoli hai trovato? 
«Lavorare per la Cgil e nella Cgil non è un mestiere come un altro, ma è, e per me è diventata, una ragione di vita. Nel 1957, nel suo ultimo discorso alla Camera del lavoro di Lecco, Giuseppe Di Vittorio affermava: “La nostra causa è veramente giusta, serve gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici”. Per questo quando si ha la piena consapevolezza di servire una grande causa, una causa giusta, le difficoltà passano in secondo piano. È la causa che ti dà la forza e ti spinge a continuare, l’amore viscerale per questa terra, l’orgoglio di essere una donna calabrese, una donna del Sud, così come la convinzione, la visione e la certezza di poter ricostruire a piccoli passi un percorso collettivo di consapevolezza, di rivendicazione e dignità del lavoro; i risultati si ottengono con fatica e determinazione, è questo che importa, malgrado in tanti e in molte occasioni mi abbiano chiesto “ma chi te lo fa fare?”. Ovviamente sono consapevole dei rischi ai quali posso andare incontro, ma la determinazione e la voglia di lottare per riaffermare il diritto ad un lavoro ed ad una vita dignitosa di tutti, anche di tutti coloro che al di là del colore della pelle e dalla provenienza vivono nella Piana di Gioia Tauro mi porta a continuare. Non smetterò di sostenere, insieme alla CGIL, le ragioni del lavoro, della dignità sociale e della legalità, convinta che legalità significhi lavoro e di conseguenza normali condizioni di vita e inclusione».

Qual è stata la vittoria più bella?
«Da quando ho l’onore, oltre che l’onere, di dedicarmi alla difesa dei lavoratori, di chi spesso non ha voce, degli ultimi del territorio che rappresento, tante sono state le difficoltà incontrate, ma ancor più numerose le vittorie ottenute: dare piena applicazione al valore dell’uguaglianza, del rispetto delle regole e della legalità significa far prevalere le ragioni del lavoro e dei bisogni reali delle persone. Unire il mondo del lavoro, organizzare i disorganizzati vuol dire rendere visibili gli invisibili, soprattutto in un territorio difficile come la Piana di Gioia Tauro. Per questo la nostra attività si avvale del sindacato di strada, uno strumento d'azione sul campo essenziale per l'affermazione dei diritti e delle libertà, una pratica allo stesso tempo innovativa quanto antica. Una modalità e una sperimentazione fortemente voluta dalla FLAI CGIL e dalla CGIL per entrare sempre più a contatto con i lavoratori, in particolare con quelli che si muovono ai margini del sistema economico, affinché possano conoscere i propri diritti, le tutele di cui possono beneficiare e godere di più servizi. Tra le finalità prioritarie della nostra azione l'impegno costante per la riaffermazione della legalità nel mondo del lavoro quale presupposto per il riconoscimento dei diritti essenziali di cittadinanza. Per queste motivazioni, uscendo dalle sedi tradizionali del sindacato, numerose sono state nel corso degli anni le attività sul territorio, tra queste quella dello sportello informativo itinerante, punto d’ascolto e tutela su servizi, occupazione e famiglia rivolto alle donne migranti con la volontà di promuovere le politiche di genere e la realizzazione del principio di parità e non discriminazione. L'obiettivo è quello di prevenire e contrastare i fenomeni di emarginazione sociale, discriminazione e violenza sulle donne, potenziando l’attività CGIL con i servizi territoriali e le istituzioni al fine di garantire un sistema integrato di intervento. Partendo dalla Camera del Lavoro, tutto questo nasce anche dalla volontà di aprire nuovi spazi di socialità e di partecipazione per le donne: spazi reali dove potersi incontrare, “prendere parola”, restituire valore ai propri vissuti diventando parte attiva della vita del territorio in quanto cittadine pienamente titolari di diritti».

Qual è il tuo sogno? 
«Stiamo perdendo la capacità di sognare eppure l’Italia è costellata di straordinarie esperienze di cambiamento. Vorrei che dalla Piana di Gioia Tauro, dalla Calabria, arrivasse un messaggio diverso, di fiducia e speranza, di una regione bellissima, ma dalle mille contraddizioni, che cerca riscatto. Una terra fatta anche di esperienze concrete di chi è riuscito a ritornare, di giovani che, come me, hanno deciso di rimanere, di non lasciare la propria terra».

Di cosa c'è bisogno ora nella tua terra?
«Siamo la punta dello stivale, in cui la stratificazione delle disuguaglianze, aggravate ora ancor di più dalla pandemia, rappresenta il consolidamento di situazioni di estrema marginalità e povertà. Ciò che prevale è la percezione dell’abbandono e del disimpegno della politica da troppo tempo distratta e lontana dai reali problemi che caratterizzano questo territorio. Una terra dove l’agricoltura e il porto, snodo chiave nel cuore del Mediterraneo e del Mezzogiorno, rappresentano due realtà di primaria importanza all’interno del tessuto economico, sociale e lavorativo. Qui, dove giorno dopo giorno si perde qualcosa, dove il diritto all’istruzione, alla mobilità, alla salute e alle cure non è garantito in modo uniforme ed equo, i giovani, fuori dal processo produttivo e senza alcuna prospettiva, sono costretti ad andare via. Questa “emorragia sociale” causa il crescente spopolamento dell’intera Piana e ne impoverisce ancor di più le aree interne. Adesso per evitare che la crisi sanitaria, ora crisi sociale ed economica, non accresca ulteriormente le disuguaglianze, bisogna agire con responsabilità e determinazione, rimettendo al centro le persone e i loro bisogni. Ora più che mai abbiamo bisogno di una visione comune, di prospettive, di esperienze positive, dell’impegno di tutti e per far sì che questo avvenga è necessario che la rete delle realtà sane del territorio diventi sempre più stretta e ricca. Le forme di resilienza e creatività messe in campo negli anni sono la prova delle enormi potenzialità del nostro territorio.  Lo sviluppo e il riscatto della Piana di Gioia Tauro si concretizza, infatti, anche attraverso il sostegno agli imprenditori sani,  quali ad esempio Nino De Masi e Gaetano Saffioti, di giornalisti come Michele Albanese, di preti coraggiosi come Don Pino Demasi e tanti altri, figli di questa terra, compagni di viaggio, simboli di legalità della società che resiste e che testardamente ha deciso di dire no alla ‘ndrangheta e alla criminalità organizzata. Abbiamo bisogno di lavoro che si crea costruendo una cultura alternativa a quella mafiosa, non cancellando tutele e negando diritti. Solo con il contributo di tutti, ognuno per le proprie responsabilità, capaci di non rassegnarci, ma promotori di un’idea di Piana e città metropolitana che guardi al Mediterraneo, questa parte estrema del Sud potrà essere protagonista del cambiamento e del rinnovamento del Mezzogiorno e del Paese. Citando le parole del Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, sono convinta che quella contro la ’ndrangheta è una battaglia che è possibile vincere, nella speranza di trovare una forte convergenza sociale e politica su una battaglia di civiltà contro mafie e corruzione, due mali endemici che costituiscono una gravissima minaccia per il presente e il futuro di questa terra e del nostro Paese».                                                              




C’era una volta un paese fantasma...

Un borgo fantasma rinasce grazie all’audacia di un gruppo di donne legate alla propria terra

Gio 26 Nov 2020 | di Marzia Pomponio | sezione  Bella Italia




Un borgo medievale di circa duecentocinquanta anime, in gran parte anziani, con esercizi commerciali chiusi da oltre dieci anni, neanche un bar dove accogliere i turisti per un caffè, le abitazioni abbandonate da chi ha pensato di cercare fortuna altrove. Montelaterone, frazione di Arcidosso in provincia di Grosseto, alle pendici del Monte Amiata, in Toscana, sembrava ormai un paese fantasma a causa dello spopolamento iniziato tra gli Anni ’60 e ’70, destinato
a fare scomparire le radici della prima infanzia e giovinezza dei suoi abitanti, che lì da generazioni sono nati e cresciuti. Tra questi Stefania Cassani, 61 anni, tecnico radiologo presso l’ospedale di Grosseto, mamma di due ragazzi, che con otto donne di età e formazione diverse, ma unite dallo stesso legame alla propria terra, per contrastare lo spopolamento ha dato vita nel 2019 alla cooperativa di comunità “Il Borgo”, di cui è presidente. 



Una realtà imprenditoriale nata grazie ai fondi della Regione Toscana e l’Unione Europea, progettata dagli abitanti che sono produttori e fruitori di beni e servizi pensati per la promozione economica e sociale del territorio, insieme ad aziende e produttori locali. La cooperativa, che opera in collaborazione con il comune di Arcidosso, ha sede in un
immobile concesso dalla Curia, dove è stato aperto un ostello con 21 posti letto. Il cuore pulsante è il circolino “La Brizza”, un bar, l’unico nel paese, che è anche uno spaccio alimentare in cui trovare i prodotti tipici del posto, come olio e castagne, e un luogo dove gli anziani possono trascorre il tempo in compagnia, le mamme lasciare i propri bambini per brevi periodi, ognuno può accedere ai servizi internet grazie a una postazione digitale o svolgere attività culturali come presentazione di libri e mostre. 
«Montelaterone  era diventato un paese fantasma, ma avevo promesso agli anziani che ora non ci sono più che avremmo fatto qualcosa per salvarlo. Siamo partiti da piccole cose: lo spaccio alimentare, il pagamento delle bollette, sostituendoci a quei servizi che nel tempo sono scomparsi, come le Poste», ha dichiarato la presidente e promotrice del progetto, Stefania Cassani. La cooperativa in poco più di un anno di vita sta crescendo e al progetto dell’ostello si sono affiancate altre piccole realtà imprenditoriali, come l’Albergo diffuso, case messe a disposizione dai proprietari per l’affitto turistico, 






e la Bottega della Salute, per rispondere alle esigenze sanitarie, soprattutto dei più anziani, con servizi quali il ritiro dei referti medici, la prenotazione al cup di visite specialistiche, l’acquisto di farmaci, la convalida della tessera sanitaria, il pagamento del ticket, servizi che si sono intensificati in tempi di Covid con la distribuzione delle mascherine e la consegna degli ordini dei medicinali e della spesa alimentare . 
« Dopo tanti anni di vuoto è stata una grande scommessa, in cui però credevamo. Spesso chi veniva da fuori ci diceva che eravamo un po’ pazze. Effettivamente per scegliere un percorso del genere ci vuole un po’ di follia», dichiara la presidente, alla quale si deve la rinascita del piccolo borgo dove è tornata l’occupazione e soprattutto i turisti, attratti dai caratteristici vicoli stretti, i castagneti, l’offerta di un turismo escursionistico, archeologico, sportivo, attento alla sostenibilità e alla tutela ambientale. Montelaterone racconta la storia di una comunità che ha saputo fare squadra per sopravvivere ed è diventata ormai un unico nucleo familiare.          





quattro volte Mahmood di ©Daniela Tuscano

 


6.3.21

perchè da uomo festeggio l'8 marzo . esso non è solo mimose ma anche donne che hanno svecchiato l'italia e i suoi costumi come Rosita Lanza di Scalea

Alcuni miei lettori   , leggendo miei post  sul'8  marzo mi dicono  : <<  ma come  odi le giornate   palla  e  poi  celebri  l'8 marzo >>   se  si  fanno ,   anche   [ SIC ] delle  donne    la  rai non lom fa  incorporare  . lo    trovate  qui   .
"Per lei era fondamentale e prioritario “liberare” le donne dei quartieri popolari da sudditanza maschile e pesanti discriminazioni da genere. Nel 1961 trasformò la sua casa in una sorta di Consultorio dove insegnava alle sue concittadine le nozioni fondamentali di educazione sessuale. Insegnò loro l’uso del diaframma e di altri metodi contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate e per sottrarle ad eventuali rudimentali aborti praticati dalle cosiddette “mammane”."
nota introduttiva Katia Menchetti utente del gruppo Facebook I-Dee da cui ho preso l'articolo , sotto riportato di https://vitaminevaganti.com/2021/02/27

L’EDUCAZIONE SESSUALE DI ROSITA LANZA DI SCALEA

Istruzioni cannula vaginale 

Tra queste, in Sicilia, ricordiamo Rosita Lanza di Scalea, che,inoltre, si impegnò quotidianamente per eliminare i tanti tabù che costituivano forti ostacoli all’emancipazione femminile .
Era nata a Palermo, il 3 Febbraio 1909, da Valentine Rousseau Portalis, di nobile discendenza e da Giuseppe Lanza di Scalea che fu l’ultimo sindaco della città, prima dell’avvento del fascismo. Come si usava a quei tempi, suoi insegnanti furono dei precettori privati e ciò costituì un grave rammarico per Rosita che avrebbe voluto frequentare la scuola pubblica. Dopo gli studi partecipò a un corso di formazione per crocerossina e in quell’occasione incontrò un giovane medico Filippo Fiorentino con cui convolerà a nozze nonostante l’ostilità della sua famiglia che avrebbe desiderato un genero aristocratico e non di estrazione borghese. Non fu un matrimonio felice e lei, per allontanarsi dal marito, per un paio di anni spostò la sua residenza in Nord Italia. Rosita era una donna molto colta che parlava perfettamente l’inglese. Sin da giovanissima, aveva uno spiccato senso di solidarietà e, dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia, ottenne dalle Forze Alleate vari incarichi tra cui quello all’assistenza all’infanzia nella sua città. Nel 1953 la troviamo militante nell’Alleanza Democratica Nazionale e poi nel Partito Socialista Italiano. Si iscrisse anche all’UDI partecipando attivamente. Per lei era fondamentale e prioritario “liberare” le donne dei quartieri popolari da sudditanza maschile e pesanti discriminazioni da genere. Nel 1961 trasformò la sua casa in una sorta di Consultorio dove insegnava alle sue concittadine le nozioni fondamentali di educazione sessuale. Insegnò loro l’uso del diaframma e di altri metodi contraccettivi per evitare gravidanze indesiderate e per sottrarle ad eventuali rudimentali aborti praticati dalle cosiddette “mammane”.  

Set di diaframmi prodotto dalla ditta Larré di Denver, Colorado (1950 circa) 

Le battaglie di Rosita continuarono, insieme a tante altre, per ottenere il referendum sul divorzio e quello sull’aborto. Sfidò dunque la legge allora vigente che fu in seguito abrogata molti anni dopo. Anche l’istituzione dei consultori avvenne soltanto nel 1975, ben quattordici anni dopo la costituzione del suo “privato e informale” consultorio. Una vita spesa interamente a favore delle donne ed anche della pace. Infatti già alla fine degli anni Cinquanta aveva partecipato ad Helsinki al Convegno dei Partigiani della Pace e nel 1961 alla prima” Marcia della Pace” a Perugia. Sempre nel 1961 fondò a Palermo un’associazione che aderiva alla ”Associazione Italiana per L’Educazione Demografica” (AIED), organizzando convegni e seminari. Questa sua attività la portò in giro per il mondo arricchendola di competenze specifiche che metterà a disposizione di tutti e tutte. La sua vita si spegne il 7 Settembre del 1984. Rosanna Morozzo della Rocca e Vincenzo Borruso ne hanno tratteggiato il profilo nel dizionario “Siciliane” a cura di Marinella Fiume. A Palermo una via porta il nome di suo padre ma per lei nessuna intitolazione.

concludo con questa  vignetta   presa   da fb 






è possibile che un caffe costi meno di 1.10 € ? il caso bar Ideal di Alia, paesino a 80 km di curve da Palermo dimostra di Si . basta volerlo

   è  possibile   che  un caffe costi  meno  di  1.10 €   ?  questa  storia      presa  dal  settimanale www.oggi.it     del  4\3\2021    dimostra  di  Si  . basta    volerlo  


  •                                    di Andrea Greco

    Persino il commissario Montalbano farebbe fatica a scoprire il segreto dei prezzi del bar Ideal di Alia, paesino a 80 km di curve da Palermo. Un caffè costa 30 centesimi; un’arancina 1 euro, come un trancio di pizza; una torta da un chilo 12. Prezzi che chi vive in una grande città non vede sui listini da quando in tv il sabato si guardava Fantastico e in strada i parcheggi erano pieni di 127 Fiat.

    «NOI CI SIAMO PER TUTTI»


    LA TITOLARE Alia (Palermo). La signora Maria D’Amico, 56, al bancone del bar Ideal, in cui lavora col marito Giuseppe.

    Persino il commissario Montalbano farebbe fatica a scoprire il segreto dei prezzi del bar Ideal di Alia, paesino a 80 km di curve da Palermo. Un caffè costa 30 centesimi; un’arancina 1 euro, come un trancio di pizza; una torta da un chilo 12. Prezzi che chi vive in una grande città non vede sui listini da quando in tv il sabato si guardava Fantastico e in strada i parcheggi erano pieni di 127 Fiat.

    «NOI CI SIAMO PER TUTTI»

    Eppure, la signora Maria D’Amico, che da 30 anni non si muove da dietro il bancone, giura che non ci sono segreti né magie, e riassume tutto in poche parole: «Io, mio marito e i miei figli, per far quadrare i conti lavoriamo per otto: far quadrare i conti tenendo i prezzi bassi è possibile solo se si fanno sacrifici e non ci si risparmia, ma le soddisfazioni sono tante». Senza dubbio, ma se con spirito meneghino chiediamo perché non alzano un po’ i prezzi per avere margine, la signora Maria quasi si offende: «Quando mio suocero aprì questo bar/pasticceria, negli Anni 60, decise che tutto doveva essere di qualità ma economico. La filosofia era rinunciare a un po’ di margine ma permettere a tutti di entrare nel nostro bar e passare cinque minuti di relax. Il bar in un paese ha anche una funzione sociale, tenere i prezzi alti significa rinunciare a una parte di clientela, escludere chi guadagna poco, e io questo sgarbo ai miei paesani non lo voglio fare». Una battaglia ideale, ma faticosissima da combattere. Ogni mattina Giuseppe Perrone e il figlio Benny iniziano a impastare alle quattro. La signora Maria e la figlia Santina
    dormono un paio di ore in più, ma alle 6 e mezza aprono. E poi avanti fino a sera. «A volte, d’estate, chiudiamo alle 2 di notte. Saliamo a casa, che è sopra il bar, una doccia, qualche ora di sonno e poi suona la sveglia e si ricomincia. Io ormai il sole lo vedo così di rado che basta un solo raggio per scottarmi la pelle». Il “bar più economico d’Italia” sta diventando famoso. Qualcuno arriva dai paesi vicini, sia per i dolci rinomati nella zona, sia per vedere da vicino questo piccolo portento, realizzato a colpi di sacrifici. Ai titolari tutto questo non può che fare piacere, e quando alla fine gli facciamo la domanda più ovvia, ossia se sono loro ad avere i prezzi troppo bassi o sono gli altri ad averli troppo alti, la risposta è secca: «Che vi devo dire? Penso che tanti prima di alzare i prezzi dovrebbero provare ad alzarsi un po’ prima alla mattina e mettersi al lavoro. Anche quello è un modo di far tornare i conti».

    5.3.21

    gli idioti ed i rosiconi davanti al covid . il caso di alessia bonari ed la proposta scema e provocazione ad minchiam Il direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Professor Matteo Bassetti, che vuole prima vaccinare i giocatori della serie A

    in   sottofondo 
    Redemption Song - Joe Strummer 

    lo so che avevo detto che non avrei parlato di San Remo

    "Non seguire o blocca più per 30 giorni" chi parla dell'evento canzonettaro tipico di questo periodo.
    E vedi come ti si rimette in sesto la homepage semplice

    e che sono abituato essendo cresciuto in un tempo in cui i "settori " erano separati  e distinti  e quindi ragiono ancora in parte (sto lottando per sradicare questa mia abitudine   retrograda   ormai superata  dai mutamenti del costume  ed di provare  a mettere in atto questa frase : <<  soltanto
    uno stolto conservatore giudica il presente con le idee del passato e soltanto uno stolto liberale giudica il passato con le idee del presente >> Lord Acton 1895 ) per categorie cioè  gli sportivi devono fare gli sportivi non  le soubrette .   Ma tali commenti  idioti ( è  a dir poco  ) e sessisti  proprio non mi vanno giù  e mi fanno venir meno a  quanto promesso nelle righe precedenti .
    Infatti   

    Ma quanto livore c’è in giro sui social? Quanta frustrazione e invidia? Perché sfogare la propria rabbia così nei confronti di una persona che porta ancora i segni di una tragedia. Segni che non vediamo più al volto, ma sono ancora più indelebili perché la giovane infermiera simbolo della lotta al Covid li porta tutti dentro. Nel cuore.
    Perché ricoprire di tonnellate di insulti Alessia Bonari solo perché ha accolto l’invito di Amadeus a salire sul palco del festival di Sanremo? Alessia il giorno dopo era già al lavoro, il suo lavoro, quella missione che ha onorato sin dall’inizio della pandemia, con coraggio, umiltà e abnegazione. È salita sul palco e ha lanciato, ancora una volta, un messaggio di speranza che è arrivato nelle case degli italiani. È stata pagata? Sì, perché qualcuno ha cominciato a far circolare fake news sull’ingente cachet che avrebbe intascato. La più bella risposta è arrivata proprio da lei. Alle bestie che conoscono solo l’aggressività come unica modalità
    Io ringrazio Alessia per averci rappresentato , e per essersi presentata come infermiera senza fregiarsi del titolo di dottore, così, come si presenta un avvocato o un ingegnere, senza titoli aggiuntivi, perché non ce ne è bisogno . Siamo infermieri."
    di comunicazione ha spiegato di aver devoluto tutto il suo compenso a un'associazione che si occupa di cure palliative per i malati terminali. Una donazione. Perché Alessia anche se non era in corsia, da quel palco non ha dimenticato neppure per un secondo la sua missione. Aiutare gli altri.


    Ma poi scusate ciascuno/a di noi è libero di fare quello che vuole purché non danneggi gli altri ?     Ma cosa ha fatto di osceno, scandaloso, offensivo ?? Nulla! E se pure fosse andata per viversi un'esperienza unica, rara, che molti desidererebbero, ma bene  saranno  .... !! Meritatissima visibilità, rappresenta una categoria che è stata fondamentale per la nostra sopravvivenza!! Non vediamo sempre il marcio e mettiamo da parte le invidie !! 
    Ora come dice  questo post di  Lorena Boccali "Tra i tanti commenti contrariati uno ha scritto ' ed ora è pronta ad abbassarsi le mutandine " un altro invece ha scritto che si è aperta la strada per diventare escort.
    Commenti sessisti, mortificanti, e discriminativi ad opera di : uomini, donne, e anche di infermieri, che da censori moralisti hanno attaccato questa ragazza che ha diverse colpe : essere donna, giovane, bella, e che di professione fa l'infermiera, ed è qui la discriminazione, perché il primo incipit è la professione, come può un'infermiera presidiare il palco dell'Ariston? Non è mica Burioni, non è mica Bassetti o la Capua? L'infermiera dovrebbe essere in corsia a prestare cure ai malati, che ci sta a fare in tv? Non è mica il suo posto? Del resto da Lucia Annunziata a Vittorio Sgarbi, fino alla gente comune , il pensiero generale è che quello dell'infermiere sia un ruolo ausiliario, una mezza missione, una professione al ribasso, e quindi, Alessia indigna perché delude l'immaginario collettivo, perché scoperchia una pentola di pregiudizi, perché l'infermiera nell'opinione comune la si dovrebbe fare in silenzio, un po' come la beneficenza, perché l'infermiera non ha il dovere di visibilità, mica è un medico? Mica è una giornalista? Mica è una soubrette?
    E poi perché lei e non un'altra? Perché è bella? E i segni della mascherina mica li ha portati solo lei? Non importa che Alessia abbia rappresentato un'intera categoria, quello che importa all'opinione pubblica e non solo, è che quello non era il posto di Alessia, perché nell'immaginario collettivo l'infermiera ha ruolo ambiguo, che va dalla padella , alla soddisfazione sessuale confinata al dolore, lo cantava pure De Gregori su generale no? l'infermiera che cura il dolore e il piacere, senza necessariamente togliersi la divisa, come nei film della Fenech, senza uscire dal confine che ne delimita il territorio.
    Non siamo ancora pronti per accettare che Alessia è una professionista della salute, che è una donna, giovane e bella e ritengo giusto che come testimonial sia stata scelta una ragazza di gradevole aspetto fisico, è giusto al pari di una parrucchiera che sceglie la capigliatura più bella per farsi pubblicità, e non una testa spelacchiata , o come è giusto che un negozio per bambini scelga come testimonial i bambini più belli senza dover mortificare gli altri bambini. Perché funziona così .
    E come   lei  anch' Io ringrazio Alessia per averci rappresentato , e per essersi presentata come infermiera senza fregiarsi del titolo di dottore, così, come si presenta un avvocato o un ingegnere, senza titoli aggiuntivi, perché non ce ne è bisogno .


      da  https://www.fanpage.it/sport/calcio/la-proposta-di-bassetti-vaccino-per-i-calciatori-di-serie-a-sono-meno-di-600/

     3 MARZO 2021  9:33di Alessio Pediglieri

    La proposta di Bassetti: “Vaccino per i calciatori di Serie A, sono meno di 600”
     
    Il direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, Professor Matteo Bassetti, sui social ha aperto all’idea di vaccinare tutti i giocatori di Serie A, per evitare nuovi focolai di contagio e soprattutto dare un segnale agli scettici. Non sono mancate forti polemiche: “Alla fine sarebbero solo 555 e sarebbe un messaggio forte, anche se le priorità restano le categorie a rischio”.


    Vaccinare i giocatori di calcio di Serie A. L'ultima idea per dare scacco matto al Covid 19 è arrivata dal direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, il Professor Matteo
    Bassetti che ha espresso il proprio pensiero via Instagram, divulgandone i motivi che lo hanno portato a tale riflessione. Per l'infettivologo ci sarebbero più pro che contro nell'accettare la possibilità di una vaccinazione di massa nei confronti dei campioni di calcio, soprattutto con l'intento di cacciare lontano pregiudizi e perplessità sull'efficacia dei vaccini.
    Il post del Prof. Bassetti e che riguarda da vicino il mondo del calcio arriva in un momento molto particolare del nostro campionato, a poche ore dall'ultimo caso che ha spaccato in due nuovamente il settore a causa della mancata disputa della gara tra Torino e Lazio. Martedì pomeriggio alle 18 era in programma il turno infrasettimanale tra i granata e i capitolini, ma la squadra del club di Cairo non si è presentata a causa di un focolaio da variante inglese che ha fermato diversi giocatori del gruppo squadra. Con la pronuncia dell'Asl piemontese che vietava qualsiasi forma di possibili contatti, il Torino  – dopo aver saltato per lo stesso motivo il match contro il Sassuolo – non è sceso in campo, riaprendo il medesimo dibattito (anche se con differenze sostanziali) che per mesi ha tenuto banco attorno al mancato incontro tra Juventus e Napoli.
    La tesi del Porf. Bassetti è fondata su un triplice pensiero: vaccinare i giocatori permetterebbe di frenare l'epidemia nel ondo del calcio, creando a quel punto un ‘effetto bolla‘ attorno ai gruppi squadra evitando ulteriori situazioni come l'ultima descritta. Far sì che i beniamini di migliaia di tifosi prendano il vaccino avrebbe anche un effetto a catena sulla popolazione, non solo per spirito di emulazione ma anche per il convincimento che sia necessario, al di là di dubbi e perplessità: "Faccio un esempio – scrive il Pord. Bassetti su Instagram – se si vaccinasse Cristiano Ronaldo un campione assoluto e amatissimo, chissà quanti tifosi seguirebbero l’esempio…"
    L'idea non è del tutto nuova, perché il tema vaccini nel mondo del pallone era stato già affrontato tempo fa anche se i soggetti cui era riferito non erano i calciatori e i tesserati dei club bensì i tifosi. Infatti, si era prospettato – e sottoposto al Ministro della Salute Speranza – l'idea di riaprire gli stadi, in modo contingentato e con le procedure sanitarie adeguate, ai tifosi vaccinati. Una proposta che poi è andata a spegnersi di fronte alla complessa e delicata campagna vaccinale che sta avendo più di un contrattempo. Dopotutto, come scrive ancora il Prof. Bassetti "ovviamente la priorità restano gli anziani e i fragili in prima battuta, ma per fare tutto questo occorrono molti vaccini".
    La polemica social e il nuovo post del Prof. Bassetti
    Una chiosa a fine post che però non ha spento le critiche e le polemiche davanti a questa proposta per molti divenuta provocazione e mancanza di rispetto verso chi i vaccini li attende da tempo perché tra le categorie più esposte al contagio. Tanto che lo stesso Prof. Bassetti si è visto costretto ad approfondire il concetto: "La mia proposta di vaccinare i giocatori di serie A, che sono in tutto 555, voleva essere un messaggio per chi è ancora scettico ( e ahimè sono tanti) e utile per evitare molti problemi di contagio nelle squadre che sono all’ordine del giorno. Quindi  – scrive sempre su Instagram l'infettivologo – mi spiace aver urtato la sensibilità di chi giustamente sta aspettando il vaccino da chi avrebbe già dovuto fornirglielo. Chiunque ha diritto al vaccino a ogni eta’ e situazione e io mi sto battendo per questo. Solo vaccinandoci tutti potremo vincere la battaglia". Per molti, comunque, il calcio, i suoi tifosi e i suoi campioni possono aspettare il proprio turno.

    1.3.21

    Al 41 bis è vietato anche scegliere come morire Un detenuto ha chiesto i moduli per depositare il proprio testamento biologico, ma il magistrato di sorveglianza glieli ha negati. Il motivo? Surreale: avrebbe potuto veicolare messaggi criminali

      va  bene  la legge  è legge . Ma  questo  è un arbitrio .

    Leggi  

    https://it.wikipedia.org/wiki/Articolo_41-bis

    da

  • Il Riformista (Italy)
  • Maria Brucale *Membro del Comitato di giuristi dell’Associazione Luca Coscioni



  • Al 41 bis è vietato anche scegliere come morire

    Un detenuto ha chiesto i moduli per depositare il proprio testamento biologico, ma il magistrato di sorveglianza glieli ha negati. Il motivo? Surreale: avrebbe potuto veicolare messaggi criminali. E il suo diritto all’autodeterminazione che fine fa?




    La legge “in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento, n. 219/2017, entra in vigore dal 31.01.2018. Nel rispetto dei princìpi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tutela il diritto alla vita,

    alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge.” Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la propria volontà, l’accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.

    È un approdo importante che si nutre delle battaglie storiche di Marco Pannella e di quanti, come l’Associazione Luca Coscioni, fondata da Luca Coscioni nel 2002, hanno posto la libertà di scelta individuale, in particolare per quel che concerne il fine vita (ma ogni libertà di scelta, dall’inizio alla fine della vita, per tutti) al centro della propria azione politica. Un cammino ancora incompiuto, una materia certamente difficile che raccoglie in sé l’evoluzione del sentire collettivo rispetto al concetto della dignità della vita e della dignità della morte e, soprattutto, alla lenta affermazione del principio che le scelte sulla propria vita sono personalissime e che c’è, nella malattia, una soglia del dolore tanto insopportabile da mutare la stessa semantica della parola suicidio che diventa fine di una non vita. Accade allora che un detenuto in 41 bis immagini di contrarre il virus in tempo di pandemia e decida di depositare il proprio testamento biologico. I familiari, allora, su sua richiesta, gli mandano i moduli dell’Associazione Luca Coscioni. La corrispondenza è soggetta, come sempre, a censura ma

    Proibito pensare

    Oltre alla feroce violazione di un diritto garantito a tutti dalla legge, si trova nell’assurdo provvedimento la negazione per il ristretto di scrivere alcunché restando aperta la possibilità che trasmetta il proprio comando oltre le sbarre

    dovrebbe essere legale un modello del tutto asettico da compilare con le proprie disposizioni, ai sensi della legge 219/2017. Già, perché è per tutti “il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona”. Anche per i detenuti, perfino per i ristretti nel luogo di silenzio trattamentale ed emozionale del 41 bis. E invece no! Perché un magistrato di sorveglianza di Roma decide di non consegnare la corrispondenza al ristretto. La motivazione è che, ritenuto ancora di alto spessore criminale (in 41 bis da 24 anni!) “attraverso eventuali interpolazioni del testo, lo stesso potrebbe veicolare messaggi illeciti.” [...] “Occorre contemperare il principio dell’efficienza dell’attività amministrativa con le esigenze poste alla base della sicurezza interna ed esterna che si concretizza attraverso la puntuale verifica di contenuti criptici eventualmente inseriti mediante la possibilità di interpolare i documenti inviati”.

    Non c’è (ovviamente) nulla di criptico, indebito, fraintendibile nel modulo che non viene consegnato, ma nel compilarlo il recluso potrebbe veicolare messaggi criminali. È surreale, abominevole, tanto assurdamente in violazione di legge da sembrare una burla. E, invece, è proprio scritto, nero su bianco. È una censura all’ipotesi di intenzione, una aberrazione del sospetto sulla eventuale e futuribile possibilità che la persona detenuta, per comunicare un volere delittuoso all’esterno, si faccia mandare un modulo per le disposizioni anticipate di trattamento e nel compilarlo introduca indicazioni per i sodali che saranno sempre filtrate dall’ufficio censura del carcere che ogni scritto, in entrata o in uscita, capillarmente analizza. Oltre alla feroce violazione di un diritto garantito a tutti dalla legge che involge principi fondamentali di rango costituzionale - la libertà, la salute, la vita si trova nell’assurdo provvedimento, la negazione per il ristretto di scrivere alcunché restando aperta la possibilità che trasmetta il proprio comando oltre le sbarre. Vietato pensare, sperare, desiderare. Perfino scegliere come morire.