3.3.23

Vicenza Gli studenti di un liceo ritrovano dopo 40 anni il loro ex professore di filosofia malato e solo e lo "adottano"

Hanno scandagliato tutti i reparti ospedalieri di Vicenza, sentito i vicini di casa, ricreato contatti scolastici persi nel tempo, con un solo obiettivo: aiutare, dopo oltre quarant'anni, il loro professore di filosofia del liceo, anziano e malato. Protagonisti della gara di solidarietà sono stati gli ex alunni della quinta D del liceo Scientifico Gobetti di Torino, che hanno sostenuto l'esame di maturità nel 1980, e il loro insegnante, Umberto Gastaldi, oggi 82enne





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La ricerca dell'ex professore

Una volta lasciate alle spalle le aule scolastiche, il docente si era trasferito nella città veneta, mantenendo sempre uno stretto contatto con gli ex alunni, quasi dei figli per lui. A dicembre, prima il ricovero all'ospedale San Bortolo, e al successivo trasferimento in una residenza sanitaria assistenziale, hanno sospeso il dialogo a distanza. A preoccuparsi per prima, sapendolo solo e fragile, è stata Nicoletta Bertorelli, oggi docente romana di Filosofia, notando che l'anziano da tempo non dava più notizie. La donna ha allertato i vecchi compagni, ricostruito la rete social degli ex allievi, scovandoli a Torino, Roma, in Inghilterra e perfino negli Stati Uniti. Insieme hanno speso decine di telefonate fino alla svolta: "E' qui, ricoverato dal 6 dicembre" ha risposto un infermiere del San Bortolo.

L'insegnante dalle riflessioni profonde

"Ho mollato tutto e sono partita - racconta Bertorelli -. Tra Roma e Vicenza è accaduto di tutto, la mia macchina si è rotta a Orvieto. Nel frattempo ho ricevuto decine di messaggi, tutti si sono attivati". Incancellabile il ricordo di quell'insegnante dai modi austeri ma dalla riflessioni profonde, capace di coinvolgere nell'amore per la filosofia. Lo testimonia la stessa docente, raccontando un episodio del passato. "Venne chiesto al prof da qualche imbelle collega come avesse fatto a suscitare in me, cavallo sfrenato, l'interesse per la sua materia - rivela -. Rispose: 'mi sono limitato a non spegnere quello che c'era'. Questa risposta è rimasta scolpita lungo tutta una vita passata a fare altro, fino a diventare, oggi che la metto in pratica altrove, la più importante lezione di pedagogia (e di filosofia) da me ricevuta".

 da     open  
Si dice «commosso e felice» Umberto Gastaldi, 82, anni, dopo che la sua storia e quella dei suoi ex alunni che lo hanno ritrovato in ospedale a Vicenza ha appassionato tanti attraverso il racconto di una di loro, Nicoletta Bertorelli, a sua volta diventata insegnante di filosofia, la materia che l’uomo insegnava in un liceo a Torino ai maturandi del ’79-’80. Intervistato da La Stampa, Gastaldi spiega di essere «immensamente grato a tutti» per l’affetto ricevuto, ma non sorpreso: «Platone diceva che l’insegnamento è un rapporto d’amore. E aveva ragione: è un rapporto di conoscenza, e conoscersi è un esercizio d’amore». La sua storia, il legame che è riuscito a creare con i suoi studenti e che è durato nel corso dei decenni sembra appartenere a un’epoca ormai passata. A proposito del futuro della scuola, lui appassionato di tecnologia, teme però che «per dar spazio a queste cose, se ne tolga all’umanità, all’improvvisazione, alla creazione. La scuola è e deve rimaner il luogo dell’invenzione di se stessi, perché è lì che avviene il nostro primo incontro tra noi e mondi sconosciuti».


«Mi sono messo da parte per loro»

Gastaldi racconta l’effetto che gli ha fatto rivedere quei ragazzi dopo tanti anni, ripensando a come ha sempre pensato all’insegnamento e al rapporto con loro, durato così tanto: «Ho pensato immediatamente a don Bosco, che diceva: stare con i giovani significa rinunciare a se stessi, acquisendo qualcosa che si è perso e non si è mai avuto. Imparai questa frase quando andavo a scuola, al liceo ginnasio di Lanzo Torinese, e non l’ho mai dimenticata: mi è tornata utilissima tyante volte durante tutta la mia vita. Ora so più di prima che è stato giusto lasciare che mi guidasse. E che niente come l’insegnamento offre questa chance di ridursi per poi arricchirsi e allargare il cuore, lo sguardo».


Il ricovero

Durante il ricovero che lo ha allontanato dai social dallo scorso dicembre, allarmando i suoi ex allievi, Gastaldi racconta che una delle cose che più gli è mancata è stata proprio il computer «e le cose che facevo con lui. Ho sempre amato scrivere, e nelle fasi peggiori della malattia ho tenuto che non avrei più potuto farlo. L’informatica ha un valore relativo, ma è più relativo se si è soli, malati, in un letto di ospedale». Il prof è consapevole che i tempi di recupero per poter tornare alle sue passioni sono ancora lunghi, ma a consolarlo ora ci sono i suoi ragazzi: «Però aspetto. Comincio le giornate malissimo e le finisco ridendo a crepapelle. Ho i miei ragazzi con me, chi lo avrebbe mai detto?». E svela un segreto che neanche ai suoi studenti finora aveva mai confessato: «Quando facevo lezione con loro, mi batteva sempre il cuore. Forte. Fortissimo».

Per rispondere anche alle domande più stupide:Perché gli immigrati non restano a casa loro e fuggono dal loro paese ? di Saverio Tommasi

Quelle bare bianche, in fila, una più piccola dell'altra. Alcune senza nome, perché essendo morti anche i genitori non si conoscono i nomi dei più piccoli. Meloni, Piantedosi, Salvini, io vorrei sapere come fate a dormire con un naufragio nel petto. Se riuscite a guardare un'altalena senza pensarci. Vorrei sapere se poi, stamani, avete inzuppato i biscotti nel latte come sempre, se vi siete fatti la
barba. Se poi siete andati a cercarle, le foto di quei bambini con la faccia
gonfia come un bambolotto che ha bevuto l'acqua. Sembravano di porcellana quei volti lisci, a cui neanche i denti di latte hanno fatto in tempo a spuntare, e si sono fermati fra le gengive in un giorno feriale, in mezzo al mare, ma non così tanto nel mezzo da non poter essere salvati. Meloni, Piantedosi, Salvini, come fate a dormire la notte? Perché a me danno fastidio le zanzare intorno all'orecchio e non ci riuscirei mai, con un naufragio nel petto.
Saverio Tommasi



Per rispondere anche alle domande più stupide:

2.3.23

[ le cause della fuga in europa dall' Africa parte II ] Le bandierine colorate sull'Africa del prof raffaele simonicini

[ le cause della fuga in europa dall' Africa parte I

Utilizzo questo inciso significativo che mi ha offerto l'amica Erica, commentando il mio post di ieri sera.
Gli anni della colonizzazione sono stati lunghi e difficili, per il mondo del continente africano.
Dal Sud Africa - ove i Boeri riuscirono a imporre con la forza e la repressione il loro potere e a dettare le dure, ferree e violente leggi dell'apartheid, della segregazione razziale - fino ai Paesi del nord Africa che avevano le coste sul Mediterraneo, per intenderci, Algeria, Tunisia, Marocco, la

colonizzazione ebbe un volto identico: intervento, governi fantoccio, corruzione, sfruttamento sistematico di risorse naturali, gas, petrolio, miniere estrattive di ogni minerale, da quelli più facilmente accessibili e di minor valore, a quelli preziosi come diamanti, litio, cobalto etc.
L'impatto fu terribile.
Milioni di persone, abituate da sempre a modelli economici rudimentali, essenziali alla sopravvivenza ed alla gestione delle piccole comunità, sedentarie per lo più, con modelli abitativi e organizzazioni endocentriche (termine oscuro ad indicare modelli abitativi correlati ad approvvigionamenti dall'esterno verso l'interno (con tutte le debite differenze, si tratta dell'identico modello delle città medioevali, chiuse entro le mura e con i prodotti del contado introdotti all'interno, per la distribuzione del cibo ai residenti. Penso, ad esempio, a Lucca, alle sue mura che oggi sono una bella passeggiata intorno alla città, e penso a molti paesi pedemontani dell'Italia centrale, alcuni dei quali veramente incantevoli, ad ese nelle colline marchigiane).
questa economia africana è facile definirla, secondo i nostri parametri di approvvigionamento del cibo, di prima necessità, se non di sopravvivenza, nei casi in cui la raccolta dell'acqua è collocata a distanze ragguardevoli, considerato che si facevano camminate di chilometri, tra l' andata e il ritorno.
Questo lungo inciso mi riconduce alla colonizzazione e ai suoi danni. Gli europei, con l'invasione dell'Africa tutta, importano anche scale di bisogni che in Africa erano sconosciute. dalle residenze abitative, alle strade, ai vestiti, ai mezzi per trasferimento (auto, autobus - con segregazione automatica, un po' come i cartelli a Torino e Milano : non si affitta ai meridionali..-), alle comodità, agli agi dell'alta borghesia.
Non sembri un paradosso: anche l'acqua cambia ragione sociale: non serve solo da bere o da lavare in modo approssimativo corpi o vettovaglie, ma diviene necessità primaria per i residenti invasori.
Dunque, si generano dal nulla i"facchini delle fonti", copyright sempre i civilissimi inglesi.
Ultima, decisiva notazione: in questa folle corsa alla spartizione dell'Africa assume un ruolo decisivo l'intervento degli Usa che, fiancheggiando i colonizzatori - soprattutto gli inglesi - collaborano in modo decisivo a rapinare quanto più possibile gli africani.
Insomma, il reticolato dei nuovi schiavisti sarebbe da rappresentare con le bandierine di cui parlava l'amica Erica.
Mi soffermo sul necessario. detto del Sud Africa e dei Paesi mediterranei (MAGHREB o territori dell'Occidente). occupati dai francesi c'è da aggiungere:
la dominazione inglese su quella che sarà, a decolonizzazione avvenuta, la LEGA ARABA, comprendente Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Siria, Arabia Saudita, Yemen. Una vasta regione, all'interno della quale si colloca la Palestina e sarà il nodo irrisolto dai colonizzatori (gli inglesi avevano il protettorato su questi luoghi, ma, a guerra finita, se ne lavarono le mani, scaricando sulla neonata Onu la ricerca di una soluzione di convivenza tra Palestinesi ed ebrei-israeliani; ne derivo' la ben nota RISOLUZIONE 181, due stati su un unico territorio. accettato dagli israeliani, il piano fu rifiutato dagli arabi. ne conosciamo le conseguenze;
Ghana, Sierra Leone, Guinea (area subsahariana) sotto dominio di più potenze;
il Congo (enorme territorio dell'Africa occidentale) fu detto belga, per la dominazione dello Stato europeo, oggi, ha cambiato nome ed è lo Zaire;
il Kenia, sotto dominio inglese;
Sud Africa e Rhodesia, sotto il controllo di anglofoni e boeri; la Rhodesia (oggi Zambia) introdusse le stesse leggi della segregazione razziale;
Malawi e Zimbabwe sotto dominazione inglese.
I processi di decolonizzazione presentarono queste prevalenti caratteristiche:
Movimenti di liberazione, con lotte dure con il paese colonizzatore (esempio tra i più clamorosi quello dell'Algeria, con morti, eccidi, massacri. attentati e distruzioni: celebre la Battaglia di Algeri, durata oltre nove mesi, con la città spaccata in due - francesi, nei loro moderni quartieri, algerini nei quartieri arabi vecchi della città; la cosa più raccapricciante fu che i francesi, non riuscendo a battere gli algerini che avevano creato il FLN (Fronte di Liberazione Nazionale), si diedero a rappresaglie e e ricorsero a rastrellamenti della popolazione civile e all'eliminazione fisica e spesso pubblica degli avversari politici;
passaggi "morbidi" tra decolonizzazione e autonomia, grazie alla funzione di una classe dirigente autoctona, formatasi nelle università locali o in quelle del paese colonizzatore, e quindi capace di gestire il trapasso ad una libera organizzazione di un paese decolonizzato;
passaggio non veramente tale, con classi dirigenti autoctone collegate al o ai Pesi colonizzatori, molto più inclini a favorire le potenze economiche e lo sfruttamento sistematico delle ricchezze del sottosuolo. In questo caso, le vicende della Libia sono un esempio eclatante e tragico per le conseguenze generate: lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di petrolio ha generato oligarchie o tirannie e il caso abbastanza recente di Gheddafi è emblematico;
permanenza di dominanti colonizzatori e governi repressivi, razzisti e segregazionisti, come quello del Sud Africa, con movimenti di liberazione, lotte, repressioni, carcere e assassinii. anche in questo caso, le vicende legate alla biografia di Nelson Mandela sono esemplari.
Che resta dopo la decolonizzazione? Niente, se riferito a ciò che è rimasto agli africani: sangue, morte, rapine, sottrazione di ogni ricchezza e di ogni bene, peggioramento complessivo e in gran parte non rimediabile delle condizioni di vita, per risorse, per tradizioni, culture, usi, costumi.
Vita approssimativa. morte precoce di bambini, malattie da deprivazione (nell'Africa subsahariana si muore ancora di sete e sui barconi che portano questi disgraziati verso il sogno di una vita migliore, qualche giorno fa, è morto un altro bambino di sete).
Le città, enormi, sovraffollate, prive di beni di prima necessità, inquinate, con quartieri in cui la povertà si tocca con mano.
la mancanza di lavoro e di prospettive di vita.
L'Africa non è la Mia Africa, come nel film famoso. L'Africa è, al momento, scenario di continue lotte tribali, cruente e senza limiti, spesso fomentate dai paesi ex coloniali, che continuano a depredare le ultime o le nuove ricchezze dell'Africa (nuovi minerali.
Mi ricordava l'amica Settimia, questa mattina, che il signor Bill Gates ha acquistato una miniera per estrarne minerali utili alla produzione di batterie elettriche.
Ci sono condizioni invivibili: si può morire di malattie, ma si può morire per niente, perchè manca tutto e gli europei hanno insegnato anche l'uso di armi di sterminio, quindi nelle lotte tribali accade di tutto.
Se vogliamo cogliere anche quest'ultimo e provvisorio aspetto, anche la scomparsa notevole di una religiosità primitiva ha sciolto i legami e i vincoli con la tradizione e con il vero retroterra socioculturale degli africani.
il loro mondo non è più il loro mondo: è diventato il mondo degli invasori (l'ENI continua a fare affari notevoli in Africa..), dei potenti, dei ricchi, dei predatori, degli assassini, dei corruttori.
Che fare? Scriveva Lenin, in un suo scritto che ha fatto storia.
Che fare? come uscire, fuggire, scappare dalla povertà assoluta e dalla costante precarietà esistenziale?
Cercare di andare a vivere meglio, ove c'è pace e speranza in una vita migliore.
il mio paradigma molto pragmatico: avete preso tutto, avete massacrato, ucciso, corrotto, violentato le nostre terre, avete abusato di ogni cosa, a vostro totale benessere.
Ora, voi colonizzatori vi stupite se veniamo a chiedervi ragione della nostra condizione, che ci costringe a fuggire dalle nostre terre, inquinate dalla vostra presenza di morte?
Questo flusso migratorio non lo fermerà nessuno.
La storia presenta sempre i suoi conti.
Sempre.
Concludo sommariamente un argomento che avrebbe bisogno di intere settimane per essere chiarito abbastanza.
Ma non mi fermo qui.
Intanto, vado a letto con quel biberon sulla sabbia della spiaggia di Crotone.

Nicoletta Parisi, ha 80 anni, calabrese, vive a Botricello (Catanzaro),offre la cappella di famiglia per i bambinbi morti nel naufragio di Crotone



Questa donna straordinaria si chiama Nicoletta Parisi, ha 80 anni, calabrese, vive a Botricello (Catanzaro), e quello che ha fatto è una autentica boccata di ossigeno e di umanità, dopo tanto orrore.Quando ha visto

le immagini strazianti dei 67 migranti morti sulle coste di Crotone, ha compiuto un gesto commovente: ha offerto la propria cappella di famiglia per dare una degna sepoltura a ognuno dei bambini morti così lontani da casa, accanto a suo marito.
Si è chiesta solo una cosa:
"Cosa posso fare io per queste piccole creature morte in mare senza aver potuto capire il gesto delle loro madri che era quello di portarli via da una civiltà crudele?
Mi è tornato alla mente mio zio disperso in Russia, che non ha mai potuto essere sepolto. Voglio che a questi bambini sia data questa possibilità. Noi fondamentalmente su questa terra siamo tutti profughi e tutti abbiamo necessità di avere la Misericordia divina. A mio marito ho detto: non sei più solo, avrai tanti bambini a farti compagnia”.
Ecco cosa significa essere cristiani veri, in un Paese di gente che brandisce rosari, va a messa la domenica e poi lascerebbe annegare donne e bambini in mare.
Questa donna la abbraccerei forte forte, solo questo.

ci definiamo cristiani ma non sappiamo mettere in pratica gli insegnamenti del cristianesimo

 Da  Avvenire     Storia di Rosanna Virgili • 12 h fa

«Non bisogna farli partire», dice il potente di turno con una solennità sicura e sufficiente. Come se si dicesse a un bambino malato che muore per mancanza di cure: « Non dovevi nascere». Invece di paventare il morso di un eventuale delitto di omissione della cura, primo diritto al mondo di ogni creatura che si affacci alla vita.


Non possiamo dirci cristiani

© Fornito da Avvenire


Il coro dei profeti di partito corona d’enfasi retorica l’argomento del primo violino: l’Europa ha perso il suo altruismo, dicono, perché qualcuno non vuole mandare armi all’Ucraina. L’altruismo è il nome di quanto l’Europa occidentale dovrebbe fare verso l’Ucraina – poco importa se accogliendo donne e bambini profughi o collaborando a che sangue sia sparso – mentre lasciar morire i migranti che vengono da Sud questo si chiama giustizia, sapienza politica, custodia dei confini. Questo merita il giudizio paternalistico di chi regge il Paese.

Ma è la storia a smentire le false verità, a togliere qualsiasi, credibile dignità morale ai proclami di chi oggi governa in Europa. Gente che sembra non conoscere il passato che, appunto, sarebbe un maestro di vita. Difetto ancor più grave in chi si fa eleggere dicendosi cristiano o cristiana e, magari, non ha mai aperto una pagina dei testi “rivelati” e comunque non ne frequenta. Se l’avesse fatto, saprebbe che, anche qualche millennio, fa c’era tanta povera gente che era sottoposta alla schiavitù, proprio in quel Sud del mondo da dove ancor oggi salgono, su illeciti barconi, i profughi e i migranti, ritenuti i potenziali delinquenti, pericolosi nemici del benessere e della pace in Europa.

Ebbene, tra loro, c’erano anche tanti uomini e donne che erano rimasti per quattrocento anni nel meraviglioso Paese dov’erano cresciuti felici sino a diventare un popolo grandissimo. Non avrebbero mai voluto andare via, mettersi su una strada o su un barcone diretto in terra straniera, verso un mondo che avevano conosciuto a malapena e solo per sentito dire. Ma, a un certo punto, la vita era divenuta invivibile per loro, erano derubati dei loro beni primari, vessati giorno e notte con violenze e lavori forzati, non avevano diritto né a un giorno né a una notte di riposo, i figli maschi gli venivano uccisi mentre le madri li mettevano al mondo. Per questo iniziarono a gridare e a cercare una via d’uscita, foss’anche quella di abbandonare la “mamma Africa”, il grande Paese dove erano stati allevati e che, senz’altro, amavano.

Al principe-oppressore fu Dio stesso a mandare a dire: « Lascia partire il mio popolo »! E quello la pensava come i nostri governanti e rispondeva: «Chi è il Signore, perché io debba ascoltare la sua voce e lasciare partire Israele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele! » (Es 5,1-2). E anche per quelli che erano impauriti e titubanti a partire, temendo un peggiore destino, anche per loro ci fu l’incoraggiante parola di Dio che usciva dalla bocca di Mosè: « Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai lavori forzati ..vi libererò dalla schiavitù… vi riscatterò con braccio teso… io sono il vostro Dio che vi sottrae ai lavori forzati… vi farò entrare in una terra» bella, spaziosa e dolce! (Es 6,6-8). Il Dio della Bibbia è Lui il “colpevole” delle grandi migrazioni.

Fu lui a mettere in testa a quel povero Mosè di far partire il popolo che stava soffrendo e morendo in Egitto. È Lui che apre le menti degli schiavi alle aurore possibili della libertà. È Lui che stabilisce l’unico lecito, universale Codice: che di Dio è la terra per cui ogni creatura ha diritto di camminarvi sopra e di condividerne fraternamente i frutti. Di vivere, di muoversi, di partire per trovare uno spazio dove fissare una tenda, coltivare un giardino, costruire cortili dove possano giocare i bambini.

Di sognare la gloria della vita e non di rassegnarsi alla vergogna della morte. E a chi, come diverse donne al potere, oggi, in Europa si fa eleggere, magari proclamandosi politicamente “madre”, vorrei suggerire una lettura: il primo capitolo del libro dell’Esodo, pochi versetti inondati di “Splendore” e “Bellezza” (in ebraico: “ Sifra” e “ Pua”); sono le levatrici dell’Egitto che, invece di ubbidire al decreto reale che ordinava di soffocare sul nascere i bambini maschi delle donne ebree, dissero: “No”! consegnandoli al viaggio della vita. Che tutte le madri, che tutte le donne, cristiane e non cristiane, e tutti i nobili, stimati cittadini d’Europa abbiano il coraggio di fare obiezione di coscienza a quanto è fonte del respingimento cieco, dell’inazione colpevole e dell’orrore delle migliaia di cadaveri sommersi nelle acque o esposti al sole sulle coste del grembo che ci ha partorito: il Mar Mediterraneo.

Uomini maltrattanti e come recuperarli





N.B non sto giustificando ma sto solo invitando a non generalizzare . Ma fare politica di prevenzione dei femminicidi
da
Uomini maltrattanti e come recuperarli
Uomini violenti, serve un lavoro di sistema per trattamenti efficaci; cresce il numero degli accessi ai centri antiviolenza. In un Paese, l’Italia, dove siamo a quasi un femminicidio


(https://buff.ly/3EPmD4A) ogni tre giorni, è il caso di farsi, tutti e senza semplificazioni, una domanda preventiva: Si può riconoscere in anticipo un uomo tendenzialmente violento? Le donne hanno la possibilità di rendersi conto, da alcuni segnali inequivocabili (https://buff.ly/3miaONU), i rischi che possono correre con un certo tipo di uomini? Sono in grado, sempre attraverso gesti espliciti, di capire che stanno sprecando la salute, i sentimenti, e in qualche caso anche la vita? Sì, è possibile. E hanno indicato alcune spie forti e chiare (https://buff.ly/3mhVPn7), perfino semplici da decifrare in chiave anti-violenza. Dall’intolleranza del linguaggio alla tendenza al vittimismo, dalla gelosia ossessiva, indice di un’idea di “possesso” della donna, a paranoie di vario genere, dall’abuso di alcol, o droghe, all’abitudine di denigrare, in modo esplicito, la propria compagna ed è all’interno della vischiosità di questi comportamenti che cova, per poi esplodere, la violenza contro le donne, fino al gesto estremo del femminicidio (https://buff.ly/3y2BXXR). infatti come si evidenzia dall'intervista a Su Unica Radio ne parliamo con Ilaria Bonucelli, giornalista del Tirreno e autrice di diverse inchieste giornalistiche e ( la trovate qui Uomini maltrattanti e come recuperarli (unicaradio.it) quest'articolo sempre dallo stesso articolo

Uomini violenti, serve un lavoro di sistema per trattamenti efficaci; cresce il numero degli accessi ai centri antiviolenza.

In un Paese, l’Italia, dove siamo a quasi un femminicidio ogni tre giorni, è il caso di farsi, tutti e senza semplificazioni, una domanda preventiva: Si può riconoscere in anticipo un uomo tendenzialmente violento? Le donne hanno la possibilità di rendersi conto, da alcuni segnali inequivocabili, i rischi che possono correre con un certo tipo di uomini? Sono in grado, sempre attraverso gesti espliciti, di capire che stanno sprecando la salute, i sentimenti, e in qualche caso anche la vita? Sì, è possibile. E hanno indicato alcune spie forti e chiare, perfino semplici da decifrare in chiave anti-violenza.Dall’intolleranza del linguaggio alla tendenza al vittimismo, dalla gelosia ossessiva, indice di un’idea di “possesso” della donna, a paranoie di vario genere, dall’abuso di alcol, o droghe, all’abitudine di denigrare, in modo esplicito, la propria compagna ed è all’interno della vischiosità di questi comportamenti che cova, per poi esplodere, la violenza contro le donne, fino al gesto estremo del femminicidio.Su Unica Radio ne parliamo con Ilaria Bonucelli, giornalista del Tirreno e autrice di diverse inchieste giornalistiche. Una di queste inchieste ha portato alla modifica del Codice Penale. Autrice di best seller come per “Per ammazzarti meglio” e per ultimo “Violenzissima”. Intervistare Ilaria Bonucelli è stato straordinariamente prezioso e consiglierei ad ogni uomo di ascoltarla. Ci sono ben pochi commenti da fare se non ascoltare le parole illuminanti di Ilaria Bonuccelli.

Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere

La violenza sulle donne è un problema degli uomini, di cui le donne pagano un prezzo altissimo. Ecco perché cresce l’attenzione sui trattamenti dedicati agli uomini maltrattanti: nella “Relazione sui percorsi trattamentali per uomini autori di violenza nelle relazioni affettive e di genere”, approvata dalla Commissione parlamentare sul femminicidio, si mette in evidenza che in assenza di un intervento, l’85% degli uomini maltrattanti tornano a commettere violenze contro le donne. In Italia i centri che si occupano di trattare gli autori di violenza esistono da più di 10 anni, ma la strada da fare perché gli interventi siano organici è ancora lunga. Uno spunto di riflessione su cui discutere è sulle origini culturali alla base di questo fenomeno. Infatti la “natura” funge spesso, consapevolmente o inconsciamente, da giustificazione: i maschi sarebbero “naturalmente” violenti.

Gli uomini non nascono violenti, lo diventano

Ma la scienza ha ampiamente dimostrato che non c’è nulla di biologico nell’esprimersi con comportamenti violenti e di prevaricazione. Gli uomini non sono affatto predestinati a essere più aggressivi o ad assumere più rischi delle donne. Gli uomini non nascono violenti, lo diventano. Per questo bisogna agire sugli schemi culturali predefiniti per fermare questi comportamenti virili. Ovvero sull’educazione e sui modelli che si vogliono trasmettere ai bambini. Ma per farlo, genitori, nonni, amici di famiglia, insegnanti delle scuole, educatori sportivi, tutti devono collaborare per far crescere uomini diversi, insegnando fin da piccoli che la virilità non è la valorizzazione del dominio sugli altri, la forza e la mancanza di empatia.
I segnali sono chiari. L’importante è non sprecarli, non sottovalutarli. Anche quando sembrano banali, piccoli. Un uomo violento si riconosce dai primi gesti, dai primi approcci, che nascondono un’idea di possesso della donna. Lo schiaffo viene dopo: prima, per esempio, ci può essere una gelosia ingiustificata e ossessiva, oppure l’auto-rappresentazione di un uomo che si vuole mostrare senza difetti, ma in realtà ne è pieno. Un uomo che per il tono, gli argomenti, e il modo con il quale si relaziona mostra già il nervo scoperto della sua tendenza alla violenza.

Le richieste ai centri antiviolenza si sono moltiplicate esponenzialmente

Un’altra cosa importante, per avere aiuti e sostegni concreti, anche psicologici, è informarsi dove si trova il centro antiviolenza più vicino alla vostra abitazione. In questo caso è il primo passo a cui rivolgersi. Un’ultima, ma importante raccomandazione è che bisogna uscire dalla solitudine del problema, senza timidezza e vergogna. La violenza degli uomini è un dramma collettivo di cui dovrebbero vergognarsi e non le donne che la subiscono.
Le richieste a queste strutture si sono moltiplicate, anche perché sono cambiate le modalità di accesso: volontarie, fino a qualche anno fa, sempre più “indotte” oggi. Il trattamento è infatti previsto dal Protocollo Zeus, cioè a seguito dell’ammonimento del questore, oppure su segnalazione dei servizi sociali o, ancora, del giudice, secondo quanto disposto dal Codice rosso. Il tema della motivazione degli uomini è diventato così un punto centrale: «Il fatto che in questo modo si agganci l’uomo è un aspetto positivo, ma è fondamentale che i programmi siano ben integrati e che sia possibile studiare e valutarne l’efficacia, per evitare una possibile motivazione strumentale, magari per uno sconto di pena», dice Pietro De Murtas, sociologo e ricercatore all’IRPPS.

I requisiti minimi per i centri per uomini autori o potenziali autori di violenza di genere

Un primo passo per inquadrare in maniera organica gli interventi sugli uomini è stato fatto con l’intesa tra le Regioni e il Dipartimento Pari Opportunità che, a settembre 2022, ha fissato i requisiti minimi per i centri per uomini autori o potenziali autori di violenza di genere, ora denominati CUAV. Nell’intesa, che stila anche i requisiti minimi dei centri antiviolenza, sono previsti 40 milioni di euro di finanziamenti per centri antiviolenza e case rifugio e 9 milioni per i CUAV. Per Alessandra Pauncz, presidente del Centro Uomini Maltrattanti di Firenze e alla guida dell’associazione nazionale Relive, si tratta di un «accordo fondamentale». Ma sul documento è mancata la necessaria consultazione con i centri antiviolenza, che hanno fortemente criticato alcuni dei passaggi approvati (come quello del contatto previsto tra il CUAV e la donna maltrattata) e, soprattutto, la mancata concertazione e hanno chiesto una revisione dei requisiti e una apertura a un maggiore dialogo e collaborazione.




Boom di commenti vergognosiantisemiti contro Schlein dopo la vittoria alle primarie

 premetto   che questa  volta  non  ho votato  alle primarie    perché  :  condivido   quanto  detto  da  Rosy  Bindi 

  da  https://www.iltempo.it/personaggi/2023/01/24/news/cosa-fa-ora-rosy-bindi-pd-perche-non-partecipo-primarie-candidati-34636766/


ha ribadito con fermezza che un conto è la forza politica, un conto è il prossimo segretario. In pratica la pensa come il filosofo Massimo Cacciari: “Non parteciperò perché non sono stata convinta da nessuno dei candidati. – ha detto con sorriso sornione Bindi -. Avrei voluto una capacità maggiore di evidenziare le loro differenze. I finti unanimismi non restituiscono una linea e un’identità alle forze politiche. Temo che anche questa volta andrà così”. E ha chiuso il suo intervento con una puntura più velenosa che sarcastica: “Tutti hanno detto che cacceranno la vecchia classe dirigente fermo restando che quella stessa classe dirigente sta tutta dietro ai candidati, quindi non so come faranno, una volta che hanno vinto, a far fuori i loro sostenitori…”.


 sono  critico   verso lo  stato  d'Israele  scadendo  (  ora  non più  o  quasi    )  nell'antisionismo  .  Ma   qui   si  scade     ed   ha  già  fatto  danni   immani   nella  storia   nel becero ed  odioso  antisemitismo ovvero   odio  allo stato puro 

Repubblica  del 1\3\2023



(ansa)
L'osservatorio antisemitismo del centro di documentazione ebraica di Milano ha rilevato una serie di post e tweet sulla nuova segretaria del Pd ribattezzata "Elly Shloma" e "garante dell'ebraismo internazionale"

Elly Schlein ribattezzata 'Elly Shloma', definita 'garante dell'ebraismo internazionale', una ebrea o 'direttamente collegata a loro'. La vittoria alle primarie della candidata emiliana è stata accompagnata da tutta una serie di commenti e riferimenti di natura antisemita pubblicati sui social e segnalati dall'Osservatorio antisemitismo del Centro di documentazione ebraica di Milano. "Alcuni utenti - si legge nel report del Cdec - riprendono il mito accusatorio dell''ebraismo internazionale', degli 'ebrei ashkenaziti e di Soros, sempre legando tutto alle sue origini ebraiche paterne per alimentare l'idea che tutto faccia parte di un complotto ebraico. Una utente sostiene che gli ebrei, dopo 2.000 anni, si stanno vendicando degli italiani che 'li hanno cacciatì da Israele, mentre un altro sostiene di cominciare a comprendere Hitler'". La 'colpa' di Schlein per l'appunto sarebbe quella di avere un papà ebreo, nonostante lei stessa nella campagna elettorale abbia specificato di non essere tale. L'Unione Giovani Ebrei d'Italia (Ugei) denuncia poi che questo tipo di contenuti sono stati condivisi anche da alcuni politici: Chiara Bonomi, assessore alla sicurezza urbana del comune di Abbiategrasso (Mi) e Nella Corrado, consigliere comunale ad Arluno (Mi), che nel fare un un elenco dei 'difetti' di Schlein hanno menzionato l'essere 'ebrea ashkenazita'. Oppure vedi in forma indiretta l'ex senatore e ultracattolico della Lega Simone Pillon, su Twitter. Un misto degli stilemi classici affibbiati agli ebrei o presunti tali, magari in virtù non tanto della loro adesione religiosa ma per la propria origine familiare: e quindi ricchi per antonomasia, cosmopoliti, degli sradicati senza Patria, potenziali traditori della nazione.

Ora   può    anche    piacere  o   non piacere    .  Ma   un conto è combatterla   con le  idee   un  altro   con ideologie   vergognose    che  ormai  dovrebbero    essere  condannate  ed  abbattute  dalla storia    e  quindi  estinte    visti  i  danni    ed  le  aberrazioni    portate   con  se  . Infatti    sempre  secondo repubblica   

Come ricorda il Cdec, la teoria cospirativista ebraica è divenuta oggetto di grande popolarità nei primi decenni del XX secolo, con la pubblicazione dei Protocolli dei Savi di Sion: un pamphlet redatto dalla polizia segreta russa che contiene relazioni totalmente false e pretende di svelare i particolari di una presunta cospirazione internazionale degli ebrei volta alla progressiva conquista e dominio del mondo. Negli ultimi anni i continui riferimenti al finanziere (o 'usuraio', altro stilema ancora) George Soros seguono la scia di questa narrazione, antica ma purtroppo sempre al passo coi tempi.


 concludo facendo mie  queste parole  di  Lorenzo Tosa

Ah, e ancora una cosa.
A quegli orfani di cultura e dignità che in queste ore ripetono a pappagallo che Elly Schlein non può parlare di ultimi, di migranti e di privilegi perché è nata in Svizzera da una famiglia di origini ebraiche (il tocco antisemita non manca mai…), ricordo sommessamente che non bisogna essere per forza nati poveri per parlare di povertà, come non bisogna necessariamente aver vissuto guerra, fame e miseria per sentire il dolore di chi rischia la vita su un barchino per dare ai propri figli fosse anche una sola chance per sfuggire a tutto questo.
Che anche Enrico Berlinguer discendeva da una famiglia nobile ed era figlio di un avvocato, ma questo non gli ha impedito di essere per decenni una delle figure più ascoltate, rispettate e amate fino alle lacrime da 12 milioni di lavoratrici e lavoratori.
Basta avere una cosa che in moltissimi politicanti da strapazzo e privilegiati verissimi che fingono di appartenere al popolo non sanno neanche dove stia di casa e che nessun certificato di nascita, origine, classe sociale ti garantisce. Si chiama Umanità. Ed empatia.
E questa donna qui, consentitemelo, ha dato dimostrazione, per anni e anni, di averne entrambe da vendere.
Ora tornate pure a ragliare, che giusto questo.




1.3.23

cause delle migrazioni dall'Africa in Europa parte 1 del prof , Raffaele Simoncini


Raffaele Simoncini

 Pessima nottata. Cattivi pensieri. Nessuna voglia di scherzare, di far uso di ironie, di satire sorridenti, di pensieri da strapazzo, tanto per farsi due risate o per farsi leggere e commentare e sentirsi


bene, perchè sei, 18, 37, 102 amici etc. ti hanno messo un pollice o un emoticon o un cuore o altro e tu, soddisfatto, dai sfogo ed estro al tuo ego ipertrofico e sai che il tuo passaggio, attraverso le parole, non è parso da non considerare.
Insomma, quello che faccio da mesi, con i miei 150 e più post scritti e pubblicati. Mi sono fatto una serie di amicizie non fittizie o episodiche e sto bene con esse e credo di essere ricambiato in questa condizione di benessere. No. Questa notte no. Non è possibile fare tutto ciò. Allora, faccio la persona seria e lo studioso e il docente di storia e comincio a delineare un quadro per lo più preciso, entro il quale collocare il fenomeno annoso e spesso drammatico delle migrazioni dall'Africa. Discorso lungo e complesso, che cerco di divulgare e non potrò certo concludere e inserire tutto in un solo post.

Introduzione

Non c'è manuale di storia dei licei, più complessi ed articolati di quelli delle medie o degli istituti professionali, che non tratti del fenomeno della DECOLONIZZAZIONE. DECOLONIZZARE è verbo plurisemantico: significa più cose in un tempo. Innanzitutto, che c'è stato un fenomeno precedente, nel tempo e nei fatti e nelle conseguenze, che si chiama o definisce COLONIZZAZIONE.

Il termine, di per sè, è già carico di negatività, di implicazioni innanzitutto sociali e, in simbiosi, culturali.
Colonizzare somiglia molto, nel suo peso semantico, a quello che noi, al presente, definiamo ESPORTARE LA DEMOCRAZIA:
Colonizzare è: invadere fisicamente un territorio, invaderlo illegalmente, invaderlo sottomettendo la popolazione autoctona, invaderlo e usurparne tutte le ricchezze, naturali e fisiche, per trarne vantaggi e per strapparle dalle ipotetiche mani dei colonizzati e sottomessi.
E' un drammatico FURTO, è una RAPINA, è una DISTRUZIONE senza alcuna vergogna, delle radici culturali e sociali, patrimonio di quella popolazione e caratterizzante la sua presenza, nel contesto di altre realtà autonome e con propri usi e costumi.
Almeno visivamente, questo processo è sempre deflagrante, esplosivo: il radicale rinnovamento introdotto dalla prima rivoluzione industriale fu esplosivo e mutò radicalmente un tessuto socioeconomico ultrasecolare.
La colonizzazione arriva in Africa (non solo: anche nei Paesi arabi, in Israele - sì, anche in Israele: chiedere ai signori britannici, per avere una conferma) e qui si caratterizza in due tragici modi:
- la gestione politica (o stabilizzazione della colonizzazione), basata sulla formazione di un potere locale, di solito sanguinario, che è retto, sovvenzionato, protetto dalla potenza coloniale.
Direbbe Manzoni: l'uno e l'altro sul capo vi sta: Proprio cosi.
- I colonizzatori sono spietati, indifferenti, cinici, crudeli, capaci di massacri - e ce ne saranno tanti, ovunque, nelle colonie; loro unico fine è sottrarre e utilizzare le materie prime e le ricchezze, in genere, di un territorio.
L'Africa, così, viene invasa, occupata, devastata, derubata, resa un'entità territoriale e socioeconomica neutra, senza più tradizioni, cultura, usi, modelli comportamentali, rapporti sociali codificati e identitari, senza neppure più una lingua: i colonizzati si trovano a dover apprendere anche la lingua del colonizzatore. gli idiomi locali, molto ricchi e diversificati, legati ad una tradizione culturale millenaria (l'Africa è fonte primaria di saperi, conoscenze, culture, lingue, scoperte etc).
Un processo tanto rapido, quanto violento, produce in tempi molto brevi, rispetto alle ere o agli evi del passato, dei mutamenti radicali.
Cambia la cultura, cambiano i costumi, cambiano i rapporti sociali, cambiano le organizzazioni dei gruppi sociali - molti ancora tribali, stanziali, con rituali protoreligiosi che hanno alto valore di coesione nei gruppi, con l'autorità religiosa accanto a quella politico-sociale.
Queste forme sono ritenute primitive, irrazionali, esoteriche, bizzarre, quasi spettacoli vivaci ed attraenti, spogliati della loro storicità e della loro funzione di collante sociale.
Insomma, il colonizzatore non si ferma a derubare i colonizzati, stravolge anche la loro vita, anche il loro quotidiano, la loro pace e serenità, la loro laboriosità.
Dispersi in ampi territori, gli auotoctoni impiegano tempo a capire, a conoscere, a provare sulla loro pelle cosa significhi un processo di colonizzazione.
Non esiste una data, un periodo, un inizio certo della colonizzazione, ad opera dei Paesi europei..
Quando, per volontà di Bismarck, si riunisce a Berlino una conferenza (1884-1885) internazionale, uno dei temi fondamentali è quello che gli inglesi chiameranno, con squallido umorismo, scramble for Africa, una corsa verso l'Africa.
A tavolino, le potenze future coloniali si spartiscono zone d'influenza e sfruttamento: gli ultimi quindici anni dell'Ottocento diventano proprio una corsa all'Africa.
Inglesi, francesi - in particolar modo - ma anche tedeschi, belgi, olandesi e perfino italiani (la Libia, la scatola di sabbia, come sarà denominata, con scherno dai critici dell'impresa di Libia - in Italia è tutto una impresa..), si dilettano nella pratica della colonizzazione e, come galli nel pollaio, arrivano quasi a scontri militari, per una priorità contesa su certe aree d'Africa (ad esempio, il Sudan).
Inglesi e francesi si distinguono anche per queste velleità belliche.
La corsa verso l'Africa.
Dobbiamo tenere bene a mente quello che accade in tutto il Novecento, per arrivare a capire quello che non si conosce e non si può capire o si può capire e far finta di non conoscere.
L'Africa, enorme continente, viene invaso, depredato, distrutto, occupato, condizionato, urbanizzato, europeizzato, nel peggiore dei modi.

28.2.23

Le amputano gambe e braccia per un tumore, ma la diagnosi era sbagliata: Bebe Vio la aiuta con le protesi Storia di Elena Del Mastro




da  https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/


Quella di Anna Leonori, ternana, mamma di due ragazzi di 13 e 17 anni, è una storia incredibile di dolore ma anche di amicizia. Si porta addosso i segni indelebili e irrimediabili di un gravissimo errore che le ha stravolto la vita. Per una diagnosi sbagliata di tumore le sono state amputate gambe e braccia, la sua vita stravolta per sempre. Proprio quando tutto sembrava più buio in suo supporto è arrivata Bebe Vio che l’ha supportata in questo difficilissimo momento: “Imparerai a spostarti da un posto all’altro e nelle valigie avrai solo protesi. Farai una vita che si avvicina il più possibile alla normalità”, le disse. Anna ha postato su Instagram la foto di quel momento: “L’incontro decisivo che ha segnato tutto il mio percorso, grazie Bebe Vio #forza #nuovavita #amputeegirl #incontro”.


                                     bebe vio  ed  anna leonori © Fornito da Il Riformista


Il calvario di Anna è iniziato nel 2014 quando riceve una diagnosi agghiacciante: un tumore maligno che richiede un intervento molto invasivo. A raccontare l’assurda vicenda è il Messaggero. Viene operata a Roma con l’asportazione di utero, ovaie, 40 linfonodi e della vescica sostituita con una ortotopica. Ma il referto dell’esame istologico non rileverà alcuna formazione maligna: non era un tumore. Sono seguiti 4 anni di inferno: infezioni, febbre, dolori lancinanti, ricoveri. Fino al 7 ottobre 2017, quando viene ricoverata in ospedale e operata per una “peritonite acuta generalizzata causata dalla perforazione della neo vescica” che le è stata fatta dopo la diagnosi di tumore. Ne è seguito un mese e mezzo di coma profondo, il trasferimento a Cesena e la terribile necessità di tagliarle gambe e braccia. Ora chiede giustizia: “Sono stata costretta a rivivere il mio calvario, a sottopormi a una visita di fronte ad una quindicina di periti. Tutto questo in attesa di avere giustizia per i danni che ho subito. La cosa che mi addolora è che l’ospedale di Terni, la mia città, in tutti questi anni non mi ha neppure chiamato a visita”, ha raccontato al Messaggero. La sua vita è distrutta ma ha reagito a tutto grazie alla forza che le hanno dato i suoi figli. Al Messaggero racconta anche i sui avvocati avevano già inviato una richiesta di apertura di sinistro per il risarcimento del danno patito dalla donna. Ma non aveva avuto nessuna risposta da parte delle strutture che hanno avuto in cura la donna. Così i due avvocati si sono dovuti rivolgere al tribunale civile. “I periti concluderanno il loro lavoro a giugno. Non so come andrà a finire questa fase ma so con certezza che non si libereranno di me in alcun modo. Se sarà necessario affronterò anche il processo”, ha detto Anna.
Ma c’è un motivo preciso per il quale Anna non ha intenzione di mollare: “Le costosissime protesi acquistate grazie alle raccolte fondi di associazioni di volontariato e privati mi hanno cambiato la vita – ha raccontato Anna -. So bene che non avrò mai più l’autonomia ma mi hanno restituito un minimo di dignità nella vita di tutti i giorni. La quotidianità è fatta di tante cose, alcune non potrò farle mai più da sola, altre grazie alle protesi sì. Il problema è che si deteriorano e che sono garantite solo per due anni. Non è un capriccio la necessità di avere un risarcimento per quello che ho subito. Vivo ogni giorno con la preoccupazione che si possa rompere un pezzo, cosa che mi costringerebbe a tornare sulla sedia a rotelle”. Anna da un anno utilizza protesi di ultima generazione grazie ai consigli di Bebe Vio la sua vita è migliorata drasticamente ma il riconoscimento del danno subito per lei è fondamentale.


Entrerò in classe e leggerò ai miei studenti le dichiarazioni del ministro che ha detto: «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità»

     anche  se  voi   crede  assolti  siete  per  sempre  coinvolti  



Il post di Facebook del professore di Pordenone e scrittore per la casa editrice Garzanti Enrico Galiano è un duro attacco alle dichiarazioni del ministro degli Interni Matteo Piantedosi sulla strage di migranti avvenuta a Crotone. Il numero uno del Viminale, tra le altre cose, aveva infatti detto: "Colpa di genitori irresponsabili". parole sui migranti, che nulla hanno di umano.


Entrerò in classe e leggerò ai miei studenti le dichiarazioni del ministro che ha detto: « Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità» .Le leggerò e mi siederò lì ad ascoltare cos'hanno da dire. Hanno dodici anni, i miei studenti. Ed è giusto che sappiano. Lo vedranno da soli che avete fatto arrestare chi voleva salvare delle persone. Che avete scritto e detto cose orrende, che avete l'anima sporca di parole che nessuno potrà cancellare. Glielo dirò che avete costretto in porto le navi che avrebbero potuto salvarli. Glielo dirò che sono anni che usate la vita delle persone per raccattare quattro voti in più. Glielo dirò che cosa avete fatto. Cosa abbiamo fatto, in realtà. Perché siamo tutti responsabili. Glielo dirò che quelli che c'erano prima non erano così diversi, solo che sapevano nasconderlo meglio. E mandatemi la Digos, mandate chi volete, toglietemi la cattedra, la classe. Alla fine è tutto quello che sapete fare: usare la forza con i più deboli. Con quelli davvero forti non ci provate neanche. Sospendetemi pure: voglio poter dire a mia figlia, quando sarà grande e vedrà cosa stava succedendo in questi giorni, in questi anni, quando mi chiederà dov'ero, voglio l'orgoglio di poterle rispondere, a testa alta: dall'altra parte”

una lettera che sembra Le Déserteur ('il disertore') una   canzone francese conosciuta in tutto il mondo, scritta da Boris Vian nel 1954 e pubblicata nell'esecuzione di Marcel Mouloudji il 27 maggio di quello stesso anno, giorno della disfatta della Francia nella Battaglia di Dien Bien Phu, che segna la fine della guerra d'Indocina. . 

LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...