14.11.23

Da più di 55 anni chiuso in casa per paura delle donne: «Non voglio che si avvicinino a me»

Non con tutte le  paure  ci si  può convivere   a meno  che  tu   non  scelga  la solitudine    da  https://www.chenotizia.net/

Da più di 55 anni chiuso in casa per paura delle donne: «Non voglio che si avvicinino a me» l'uomo soffre di ginecofobia vive chiuso in casa da 55 anni, per paura che una donna possa avvicinarsi a lui.


Esistono diverse fobie e milioni di persone hanno delle paure ancestrali, che non riescono decisamente a giustificare. Una di queste persone è Callitxe Nzamwita, un uomo 71enne che da oltre 2/3 della sua vita vive segregato in casa, per la sua paura delle donne.

credit by Twitter/Jambo FM Radio Tanzania

Callitxe ha scelto di rimanere lontano dal genere femminile quando era appena un sedicenne. La sua famiglia non riusciva a comprendere cosa il ragazzo trovasse di così terrorizzante nelle donne, ma hanno rispettato la sua scelta.

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In passato aveva sempre provato un forte disagio quando era in presenza di una donna e non riusciva a restare sereno accanto a loro. Anche la sola idea di poter parlare con una donna gli creava una terrificante sensazione di panico.
Alla fine, la sola soluzione che Callitxe è riuscito ad escogitare è stata quella di chiudersi in casa e costruire una recinzione di legno attorno all’edificio, per impedire che qualunque donna potesse avvicinarsi a lui.

credit by Twitter/Jambo FM Radio Tanzania

Da quel giorno sono trascorsi più di 55 anni e per tutto il tempo questo signore è rimasto rinchiuso, abbandonando i contatti con l’esterno.Questo anziano signore del Ruanda, tuttavia, approfitta dell’aiuto di alcune donne, che lo riforniscono di cibo e di altri beni necessari, anche senza avvicinarsi a lui. Queste persone portano ciò di cui Callitxe ha bisogno davanti alla sua porta e poi si allontanano, per permettergli di raccogliere il tutto.La sua storia ha attirato talmente tanta attenzione, che ha persino interessato i media locali, che hanno raccontato al mondo la vicenda. Questa fobia, secondo gli esperti, è un disturbo d’ansia legato ad un trauma del suo passato.

credit by Twitter/Jambo FM Radio Tanzania

Alcuni esperti collegano tale fobia all’impossibilità di godere di una relazione intima e in casi elevati questa sfocia in una sorta di paranoia incontrollabile, come quella provata da Callitxe.Quest’uomo non ha voluto provare a comprendere la sua paura e piuttosto che affrontarla preferisce di gran lunga vivere una vita ritirata, e lontana da tutte quelle persone che gli creano solamente una intollerabile ondata di panico.

13.11.23

Nassyria 12\11\2003-12\11\2023 parte II si può ricordare anche in maniera non retorica . il casoi del libro e film 20 sigarette a Nassyria di Aureliano amadei e francesco trento

 per  sfuggire   alla  solita  retorica   belliccista  , nazionalista     mi  sono riletto    dopo anni  il libricino  20 sigarettea  Nassirya (  copertina     sinistra  )  . Esso   è  anche   un film del 2010 diretto da Aureliano Amadei, tratto dal romanzo Venti sigarette a Nassirya scritto dallo stesso Amadei con Francesco Trento.Il film narra   come   il  romanzo \  reportage  la vicenda autobiografica dello scrittore-regista, coinvolto nell'attentato del 12 novembre 2003 contro la base militare italiana di Nāṣiriya: «Ho cercato di raccontare l'umanità delle persone, anche dei militari, senza retorica. In Iraq mi ci sono trovato per caso e non ci tornerei mai», ha raccontato Amadei.Mi ricordo  che  quando   gli autori   lo presentarono nel mio paese  ,  avevo le lacrime   agli occhi   più  di quanto vedevo  in tv   le  immagini  della    strage  e  dei funerali di  stato  . 
Aureliano è un giovane che sogna il cinema. In attesa della vera occasione, si diletta facendo il filmmaker nei centri sociali, lontano dalle responsabilità degli adulti, finché il regista Stefano Rolla chiede a sua madre i fondi per girare un film ambientato in Iraq e gli propone il ruolo di assistente. Aureliano accetta frettolosamente la proposta contro il volere di tutti, genitori e amici, tra cui la sua ex Claudia, di cui è ancora innamorato.All'indomani del suo arrivo a Nāṣiriya, si trova vittima di un attentato terroristico

Il vero Aureliano Amadei all'indomani dell'attentato del 2003, assieme a Carlo Azeglio Ciampi
Gravemente ferito riesce, diversamente dall'amico Rolla e dei militari della loro scorta, a scampare alla morte, venendo curato in un ospedale da campo dell'esercito statunitense, facendo ritorno a Roma dopo aver fumato l'ultima delle venti sigarette del pacchetto comprato prima della partenza.Una volta rientrato in Italia viene ricoverato all'ospedale militare del Celio, dove è soggetto all'assalto dei giornalisti, in cerca di scoop, e anche alle fredde visite ufficiali, reagendo sdegnato alla ricostruzione ufficiale dell'attentato, di cui contesta la versione ufficiale data inizialmente alle stampe.Due anni dopo, rimasto invalido alla gamba sinistra, soggetto a sordità all'orecchio sinistro e perseguitato dagli atroci ricordi della strage, che si manifestano attraverso attacchi di panico, trova il coraggio di raccontare la sua storia nel romanzo Venti sigarette a Nasiriyya, anche grazie al supporto di Claudia, nel frattempo divenuta madre di sua figlia.

Un  libro intenso   fiero ed  indigesto  . Cruo se  vogliamo  ed  diretto   che  refugge  da  iogni retorica   . Ed  unisce  il linguasgio giornalistico a  quello letterario  

Beppe Grillo da Strazio ops Fazio "Bongiorno? Inopportuni i comizietti davanti ai tribunali".

L'ex comico e fondatore del MoVimento Cinque Stelle è tornato in televisione a nove anni di distanza dall'ultima volta. "Sono qui per sapere chi sono e cosa pensate di me e chi siete voi", ha detto intervistato da Fabio Fazio a "Che tempo che fa".
 Egli   ha parlato di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e anche di Giulia Bongiorno, attuale legale della ragazza che ha accusato suo figlio, Ciro Grillo, di violenza sessuale. Ed   proprio    quello  che  ha  detto   sulla  Bongiorno    che dovrebbe   far  indignare  di  più .  Infatti  d0istinto  \  a  caldo  mi vine  da    scrivergli  :  



Grillo  ma che  ....    dici


"Bongiorno? Inopportuni i comizietti davanti ai tribunali"
"È un avvocato, presidente della commissione Giustizia, è una senatrice della Lega che fa comizietti davanti ai tribunali, dove c'è una causa a porte chiuse... È inopportuno. Così si mischia tutto

Ancora  continui  a  giustificare ed  a difendere  tuo figlio   senza  aspettare  neppure la sentenza  ?    La  B non  ha preso  posizione    sul processo  in corso    ha  solo  rilasciato per i media    ,  come  gli  avocati difensori  di tuo  figlio e  dei  suoi amici  delle  dichiarazioni , dicendo   semplicemente ,   senza   entrare  nel merito  ,  che  la  sua   cliente  (   la  ragazza  che   avrebbe     subito  violenza   )   appena  ha  visto il  video   era  rimasta  scossa   . Tutto qui  .  Ora       caro   Grillo   fai  i  pure  il  comico   o il politicante visto  che      sei  ancora    Garante  dei  5stelle     ma   finiscila di intimorire  i giudici e  fare pressioni   ed  abbi  la decenza    ed il pudore  d'aspettare  almeno la setenza  definitiva . Forse  ci tieni tanto  a fare  figure  del  ...   come quella  dell'altra  volta ?  Ha  ragione  la Bongiorno   quando   dice  :  <<  «Il signor Grillo quindi - la parlamentare al Gazzettino  ( qui  l'articolo completo  )  - ha cercato di trasformare in show persino il dramma che questa ragazza sta vivendo, ridacchiando, gridando e definendo "comizietto" il mio intervento. Forse ha usato il diminutivo "comizietto" perché non mi ritiene in grado, in quanto donna, di tenere un vero comizio, ma quel che è davvero grave è che con questa tecnica della ridicolizzazione si finisce per massacrare per la seconda volta chi ha denunciato»



12.11.23

Nassiriya 12\11\2003 -nassyria 12\11\2023 parte 1 L’intervista al vicebrigadiere Pietro Sini: «La strage si poteva evitare» Fu il primo a prestare soccorso: «Io eroe? Macché, per 16 anni sono stato soprannominato "il milite ignoto"»

Oggi nel silenzio mediatico  quasi totale  s'è  celebrato  il  20  anno    dell'attentato  di nassyria  . In realtà bisogna  parlare   degli attentati di Nassiriya furono alcuni attacchi avvenuti dal 2003 al 2006 durante la guerra d'Iraq nella città di Nāṣiriya appunto  , contro le forze armate italiane partecipanti alla missione militare denominata "Operazione Antica Babilonia". IL l più grave  ed  il  più noto \  ricordato  dei quali fu la strage del 12 novembre 2003 che provocò 28 morti (19 italiani).   Tra  gli articoli più ineressanti    che ho letto   c'è  questo   preso    da  la  nuova  sardegna  12\11\2023

 L’intervista al vicebrigadiere Pietro Sini: «La strage si poteva evitare» Fu il primo a prestare soccorso: «Io eroe? Macché, per 16 anni sono stato soprannominato "il milite ignoto"»

Porto Torres «Sono passati vent’anni ma io non ho più il senso del tempo, ogni giorno mi riporta a quel 12 novembre del 2003. Le esplosioni, le urla strazianti, i pianti disperati ti restano dentro la testa per sempre. Ti lacerano nel profondo dell’anima. Piano piano ho
lavorato su me stesso e ho fatto un percorso per recuperare la serenità perché ho scelto di stare dalla parte della verità. Sono tra coloro che hanno reso testimonianze - considerate “scomode” - anche in sede di Procura militare, ho detto che quella strage si poteva evitare che l’allarme è stato sottovalutato. E forse per quello sono indicato tra le mele marce, una condizione simile ad altri che sono tornati vivi dall’Iraq. Per 16 anni sono stato soprannominato “il milite ignoto”, le vedove, i figli e i familiari dei caduti a Nassiriya non conoscevano il mio nome e i contatti ufficiali che avevano cercato per sapere chi fosse quel carabiniere che ha portato in spalla i loro cari fuori dall’inferno della base Maestrale non avevano dato esito»
.
Pietro Sini, 59 anni, si ferma qualche secondo dopo avere raccontato la prima parte della storia tutta d’un fiato. Vicebrigadiere dei carabinieri in congedo, riformato per invalidità dopo la tragedia di Nassiriya, non ha mai smesso di difenderla quella verità, a costo anche di pagarne le conseguenze. «In tutti questi anni non ho mai ricevuto una telefonata per dire “come stai?” da parte dei vertici dell’Arma, non mi hanno invitato alle manifestazioni ufficiali. Ho contestato il trattamento, ho inscenato anche la protesta della restituzione della medaglia della presidenza della Repubblica quale vittima del terrorismo. E oggi sono ancora qua».Caminetto acceso nella sua casa alla periferia della città, i nipotini che corrono, la musica in sottofondo. Sulla poltrona due bustoni pieni di foto e di medaglie. C’è anche il tricolore ancora macchiato di sangue: «L’ho messo da parte così, non c’è niente da ripulire, solo da conservare». Pietro Sini prova a mettere in fila i minuti drammatici di quella mattina del 12 novembre del 2003.«Bisogna tornare indietro di un paio di giorni: avevano dei segnali chiari che qualcosa doveva accadere a Nassiriya. Si parlava di un camion di fabbricazione russa che vagava. Il ponte degli ulivi diventato a senso unico, una ulteriore conferma del clima di allarme». Il mezzo (del quale erano stato segnalato anche il colore) imbottito di esplosivo era stato messo in vendita a 30mila dollari, poi sarebbe stato ceduto a 300 dollari. Era entrato a ottobre, pare dal Pakistan, sequestrato in un’altra provincia.

Vent'anni dalla strage di Nassiriya, il racconto del vicebrigadiere Pietro Sini: fu il primo a entrare nella base in fiamme

«Sicuramente è stato tenuto in zona fiume Eufrate, in una stradina dove noi non passavamo perché era minata. Lo hanno tenuto lì». Poi la mattina alle 10,30: «Non passava nessuno da parecchi minuti. Prima di uscire dalla base ho salutato Andrea Filippa, il carabiniere che si trovava all’ingresso. Poi i quattro marescialli sull’altro veicolo. Il tempo di partire e percorrere meno di cento metri. Non avevo neppure innestato la terza marcia: abbiamo sentito una esplosione incredibile. Il nostro “Defender” si è sollevato da terra, si è spento tutto, le centraline non davano più alcun segnale. Abbiamo pensato di avere preso una mina ma non avevamo danni a bordo, nessuno era ferito. Mi sono voltato e ho visto la base Maestrale in fiamme, piegata su un lato. Ho capito che ci avevano colpito».
Pochi attimi per decidere, per fare ripartire il mezzo militare. «Sono entrato nella base in fiamme, il compound dei paracadutisti era una esplosione continua, solo dopo parecchio, spente le fiamme è apparso come una sagoma di ferro deformata. Fiamme, fumo, ci pioveva addosso di tutto. Io ho cominciato a girare, in quei momenti ho fatto la scelta di fermarmi dove c’erano colleghi vivi. Prima il maresciallo Lucchesi che aveva accanto un altro collega ferito gravemente alla gamba. L’ho caricato sulle spalle e portato verso l’esterno per affidarlo ai soccorsi. Si camminava in mezzo a corpi dilaniati. All’uscita del piano superiore c’era Vittorio De Rasis , un omone alto un metro e 90 per 120 chili di peso: in qualche modo sono riuscito a portarlo fuori e adagiarlo sul cassone di un pickup per farlo trasferire verso il centro sanitario. Avanti e indietro, non riuscivo a fermarmi. Sul tetto c’era la guardia, svenuta. Gli ho dato la mia maschera antigas e l’ho accompagnato ai piani inferiori». Doveva essere l’ultimo giorno della missione, quello dei saluti. É diventato quello della tragedia, della missione macchiata di sangue, totalmente diversa da quelle dei Balcani. Con mille problemi: «Lì a Nassiriya la politica viaggia di pari passo con la loro religione. Da subito era chiaro che non sarebbe stato possibile tornare indietro».
«Come mi sento oggi? Non sono un reduce o un miracolato, ma neppure un eroe come dicono. Rifarei tutto da capo perché sono un carabiniere. Stellette e alamari, ideali di giustizia. Sempre. Non sono cambiato. Padre Mariano Asunis ha detto che gli eroi vanno ricordati da vivi perché da morti non potranno mai sentirsi tali. Ho dentro una grande amarezza e penso che forse quella mattina doveva andare così, ma anche che non è stato fatto tutto il possibile per evitare quella tragedia».
C’è un circuito ancora aperto, come si può chiudere? «L’Arma dei carabinieri prenda coscienza e si avvicini di più ai suoi militari, stia dalla parte di quelli come me che hanno fatto il proprio dovere di carabiniere fino in fondo. Non voglio altre decorazioni, non mi servono elogi. Io sono a posto con la coscienza ma spesso ho la convinzione che essere rientrato vivo da Nassiriya sia un problema, un fastidio anziché un risultato umano da salvaguardare».
Sicurezza e difesa dalla pace. Ha la tv accesa a casa Pietro Sini. «Vedo le immagini della guerra, quello che sta succedendo nella striscia di Gaza, i bambini morti. Migliaia di morti. E ogni cosa mi riporta indietro di vent’anni. Guardo avanti con lo sguardo fiero, ma vivo la condizione di essere stato lasciato solo».



lezioni di filosofia del prof Cristian Porcino . il tabù della depressione

Dipinto di Vincent van Gogh
Sulla soglia dell'eternità   







 
ci siamo  passati     passati entrambi   soltanto che  lui  è più   avanti  dime  ,  capità  ,    io  invece  ci lotto   tutti   i  giorni  per  non ricaderci o  se   mi cpita   per  rialzarmi . Poichè    da parte  mia  due parole  sono  poche  ed  una   è  troppo lascio la  parola    a   Cristian  . buon  ascolto .
P.s
 mi  farebbe  piacere  se  vi va  di  sentire  in merito le  vostre  esperienze   











È perfettamente (e umanamente) comprensibile il dolore straziante dei genitori della piccola Indi Gregory ma non la strumentalizzaione dei prolife italiani

 leggi   anche   
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2023/11/indi-gregory-staccate-le-macchine.html



È perfettamente (e umanamente) comprensibile il dolore straziante dei genitori della piccola Indi Gregory per cui è stata avviata la procedura di distacco dalle macchine.
Ciò che non è tollerabile è lo sciacallaggio con cui certi politici e cosiddetti Pro life stanno biecamente utilizzando il caso e il corpo di una bimba di 8 mesi come arma di propaganda politica, giocando sull’emotività delle persone e radendo al suolo qualsiasi complessità.
E in qui concordo con Lorenzo tosa . Ma non concordo completamente quando dice << [....] E in un caso come questo nessuno - né ovviamente una bambina di otto mesi priva di alcuna espressione di volontà né i genitori privi delle necessarie competenze e la giusta distanza - può decidere cosa sia giusto fare >> perchè loro avevano intravisto insieme a dei medici , un ultimo barlume di speranza . E quindo si poteva fare l'ultimo tentativo per salvarla prima di lasciar decidere alla Scienza e la scientificità, rappresentata dai medici che la certificano, e la giurisdizione dei giudici, che quel parere fanno rispettare.È una decisione dolorosa, difficilissima da ogni punto di vista, ma è anche quella che, in casi simili e opposti, ha salvato la vita di bambini che per fanatismi religiosi dei genitori non potevano essere sottoposti a trasfusioni. È il punto più alto di civiltà che faticosamente abbiamo raggiunto. Magari imperfetto, di sicuro doloroso, ma in un modo che i pillon, gli adinolfi di questo Paese non capiranno mai: UMANO.
Un pensiero in questo momento va a Indi e ai genitori di questa bambina. Sul resto un velo pietoso non basterà.
Faccio mia la proposta sempre dello stessoTosa

Suggerisco di cominciare a smetterla di chiamarli “Pro life”. Certi personaggi sono contro la vita come concetto più ampio del termine, che comprende e abbraccia il rispetto per la qualità minima elementare della vita stessa e la dignità di essere vissuta.





Maturità, classe ripete l'esame allo spadafora Messina: la ragazza che aveva fatto ricorso prende lo stesso voto

DI COSA  STIAMO PARLANDO 
 N.B     avevo  sbagliato nel  titolo    è  blog   nostante  le  correzioni  lha  lasciato lo stesso    ,  non  si tratta  di  Palermo  ma  di Messina  .
immagine  simbolo degli  esami di maturità 



Scusate  se  parlo  ancora  stavolta      definitivamente   del caso  della maturità bis     al liceo  spadafora  di Messina  , ma  la  situazione  fa  troppo    ridere. La studentessa del liceo linguistico Galileo Galilei di Spadafora (Messina) che con il suo ricorso ha fatto ripetere l'esame orale di maturità a tutta la sua classe ha ottenuto lo stesso voto della prima volta. Le decisioni delle due diverse commissioni d'esame sono sovrapponibili. La famiglia della ragazza aveva presentato il reclamo dopo gli esiti finali della "precedente" maturità: promossa, ma con un voto che, secondo il ricorso, non rispecchiava il percorso scolastico e perché sfavorita rispetto agli altri nove compagni di classe. Ma l'esito non è cambiato Ma   sopratutto  per  le  motivazioni del  suo legale  

"l'inaspettata sorpresa ha provocato il disorientamento della giovane, che ha generato una prolungata crisi emotiva, compromettendo lo svolgimento della prova orale, con conseguente valutazione gravemente insufficiente e inevitabile incidenza sul voto finale che le era stato attribuito". L'avvocato Sgrò smentisce anche la ragazza "avesse un curriculum mediocre, come da qualche controinteressato falsamente affermato ai Tg, avendo una media di presentazione pari a 7,46/10, oltre 33 crediti maturati nel corso del triennio" e "aveva già ottenuto buoni voti negli scritti dell'esame di italiano e di inglese". E i ritardi nella ripetizione degli esami, aggiunge, sono dovuti "al ricorso al Tar presentato dagli altri studenti".

Antonio, portavoce degli altri compagni, afferma che la classe "ha sostenuto l'esame con onestà, sincerità e tranquillità". "Ringraziamo la Commissione per averci messo a nostro agio - ha aggiunto alla presenza dei legali dei ragazzi, gli avvocati Caterina Galletta e Andrea Fiore -. Il Galileo non è solo la scuola del ricorso. Noi viviamo a testa alta e per questo bisogna fare chiarezza dicendo la verità, ovvero che tutti noi siamo stati trattati nello stesso modo".
Eco quindi che

 da    Maturità-bis, stessi voti del primo esame: gelo tra la ragazza del ricorso e i compagni - la Repubblica

[...]  Non è stata una rivincita per lei, che è tornata a casa con lo stesso voto ricevuto quattro mesi fa. Anche i compagni hanno confermato i loro voti (compresi quattro “100”) o addirittura li hanno migliorati di uno o due punti. È il caso di Giulia Longo, 19 anni, appassionata di atletica leggera, che è passata da “87” a “88”: «Non ho potuto fare i test di Ostetricia — racconta — perché il mio diploma era stato “sospeso”. E ho dovuto ripiegare su Scienze motorie. È un’esperienza che ci servirà comunque per crescere e per affrontare al meglio gli imprevisti che la vita ci
metterà di fronte. Ritornare sui libri di scuola, a distanza di quattro mesi, non è stato facile.                  Ci siamo tolti un enorme peso».   
Ad assistere in giudizio i compagni della ricorrente ci hanno pensato gli avvocati Caterina Galletta e Andrea Fiore: « Hanno vinto loro — affermano — dimostrando di non aver bisogno di aiutini e favoritismi».Un’avventura che ha unito ancor di più i dieci studenti di Spadafora, che hanno chiuso la giornata di ieri con una foto ricordo. Capitolo chiuso, ora si guarda al futuro. Con il sorriso sulle labbra e tanti buoni propositi: «Un’esperienza — concludono Erica Agapie, Desirée Assenza, Andrea Briguglio, Roberta D’Agostino, Giulia Gitto, Giulia Longo, Antonio Oliva e Ivana Scibilia — che racconteremo ai nostri figli e ai nostri nipotini. E che ricorderemo per sempre. Adesso, però, ci aspetta la vita ».

Quindi  l'idea  che  mi  sono  fatto  è  che  la  ragazza  in questione  abbia  fatto tutto questo  casino  per   niente  . Voleva  vendicarsi  contro  l'insegnante  che   ha   aiutato   gli altri  tranne  che lei  ,  come  a dire  non  ha  aplicato  il  sistema  a  tutti   o a nessuno