morte di un poeta

sono talmente  triste per  il barbaro omicidio  di Peppino  marotto  . Ecco cosa dice la nuova  sardegna online   di oggi 30\12\2007



NUORO. Il pastore, la latitanza, il confino, il carcere, le lotte politiche e il sindacato: Peppino Marotto era tutto questo. Che equivale a una vita estremamente dura e tormentata. Nasce nel 1925, quarto di sette figli di una famiglia poverissima. Il padre fa il boscaiolo, e fatica a mettere insieme in companatico. Ancora adolescente viene affidato ad uno zio pastore che dovrà insegnargli il mestiere. Collabora con lui fino alla maggiore età. Nel 1945 parte militare, per rientrare a Orgosolo solo nel febbraio del 1947, quando viene eletto segretario dei giovani comunisti.
Giovane dalla personalità forte, impavido e trascinatore, capeggia da subito i cortei dei contestatori. Così come aveva fatto durante il servizio di leva. Nel 1950 guida un gruppo di operai che erano stati ingaggiati per costruire una strada, proclamando uno «sciopero alla rovescia». Fu l'occasione per farsi notare, ma anche per essere catalogato come un «ribelle», da tenere d'occhio. Nel 1950, con l'assassinio di un barbiere suo compaesano, si apre davanti a Peppino Marotto una vita tormentata e dolorosa. Orgosolo, a più riprese, viene assediata dai carabinieri, che irrompono nelle case, arrestando chiunque osasse protestare. La malasorte tocca anche lui: finisce ammanettato dopo una retata. Senza giustificazioni lo spediscono al confino, a Ustica, inizialmente per quattro anni. L'accusa? «Soggetto socialmente pericoloso».
Il 20 settembre del 1952, a 27 anni, dimezzata la condanna in appello, torna a Orgosolo, dove la situazione, sul fronte della criminalità, si è fatta estremamente seria e pericolosa. Va a lavorare come operaio con una impresa che ha vinto l'appalto per la costruzione di una strada di 5 chilometri. Gli operai, una volta organizzati sindacalmente, lo eleggono segretario della Camera del lavoro. In quelle vesti tenta di riportare la pace per evitare le disamistades. Nasce così l'idea di un Comitato di pacificazione. Il 3 febbraio del 1953, presenti le maggiori autorità del paese e della provincia, si registra il giuramento pubblico.
Nel maggio dell'anno dopo, Marotto racconta a Peppino Fiori, nel libro «La società del malessere», che le forze dell'ordine vogliono riarrestarlo per spedirlo un'altra volta al confino. Si dà alla latitanza, che però dura pochi mesi. Si costituisce e viene spedito in Molise, a Castelmauro, in provincia di Campobasso. Qui lo raggiunge un mandato di cattura per omicidio ed è scaraventato per quattro mesi in isolamento. Al termine gli piove addosso l'accusa di aver preso parte a una rapina e al conseguente conflitto a fuoco. Riconosciuto innocente da questa seconda imputazione, viene invece condannato per la prima a dieci anni di carcere. Resta recluso fino al 1962.
Guadagnata la libertà, parte per la Lombardia, dove lavora come vaccaro. A 39 anni sposa una ragazza di Orgosolo, che va a vivere con lui a Lambrina. Il cuore però è sempre a Orgosolo, per cui decide di ripartire per la Barbagia. «Orgosolo - racconta a Fiori - è un paese che non cambierei con altri. Qui è rimasta una umanità cordiale, generosa, ancora ferma di parola. Ci aiutiamo, c'è il senso della solidarietà nelle situazioni difficili. E sarà che ci sono nato e cresciuto. Qui stai un giorno senza farti vedere, e tutti chiedono. Stai un giorno senza uscire nella città moderna e potresti essere crepato, e nessuno se ne accorge. Senti una voce in campagna e subito capisci. Vedi in paese una luce accendersi, e di quella casa immagini tutto. Esistiamo insieme, ecco la diversità. Certo la vita del pastore barbaricino è vita di solitudine. Ma al contrario della solitudine di un uomo nella città moderna, come l'ho provata io, questa nostra cambia. Sai che la gente c'è, e puoi trovarla. A Lambrinia non trovavo la gente, ognuno era per conto suo, separati da una muraglia di indifferenza. Me ne sono accorto nel 1966».
Col ritorno ad Orgosolo, il Peppino Marotto da sempre pervaso dalla filosofia pastorale, si ributta nell'attività sindacale, alla ricerca della conciliazione tra «merese e socialismu». A 78 anni diventa un sognatore che esprime i propri sentimenti scrivendo poesie, coniugando «Pasca Santa» e «Pasca sociale», «Sa cresia e su mundu sindacale», recitate in occasione del 25 aprile, festa della Liberazione, e Primo Maggio, festa del Lavoro.
Più concretamente, il vero Peppino Mereu è un orgolese che ha vissuto nella sua totalità e nella rifrazione delle parti: come pastore, bracciante, confinato, carcerato, sindacalista, comunista, cantore e poeta. Un orgolese sessantottino indiscutibilmente intelligente, che ha vissuto la propria storia e quella del paese già dalla rivolta di Pratobello, contro l'arbitrio statale e l'occupazione dei militari, cantando la difesa dei pastori per i quali Pratobello era pascolo, pecore, latte, formaggio e carne. La vita.
Ora  sono  talmente  scosso , mi  ritorna in mente  il suo discorso
non retorico al convegno  per il  30 sul  '68   tenuto  a tempio pausania  inb cui hai descritto  senza  retorica    gli avvenimenti di  pratobello  da non riuscire  a  trovare  le parole  per  descrivere  tale  evento che  lascio  a questo video  .



Inizialmente  avevo  banalmente optato per  l'ovvia   e  stà usata  in questo blog  ( ma   sempre  suggestiva  )   canzone Morte  di un poeta  dei Modena  city ramblers ma   poi  
youtube  alla voce   morte di un poeta  ,  ha  saputo suggerirmi il video che trovate sopra   Concludo  con le dichiarazioni , non ricordo se  alla nuova sardegna  o  all'unione  sarda  di oggi  con un poeta-pastore di Macomer, Salvatore Murgia: «Non ci sono parole sufficientemente forti contro chi uccide i poeti - spiega con convinzione - Bisognerebbe inventarne di nuove per renderli del tutto inoffensivi in eterno».

                             documenti









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