31.7.15

Vive per 62 anni senza identità, scoperto dopo il ricovero in ospedale

 storia  incredibile  per essere vera  e  quindi   a rischio bufala   \  leggenda metropolitana  . Ma  visti  il paradossi e l'assurdità della  burocrazia italiana    non  si sa  mai  che possa  essere  vero anche il contrario


da l'unione   sarda  del  29 Luglio alle 21:20 




Per 62 anni ha vissuto senza identità. Non ha mai avuto un documento, non aveva una residenza, non aveva un foglio di carta che attestasse la sua esistenza. E' la storia di Pietro, 
Ha sempre vissuto come uno sconosciuto, mai censito in una scuola o su un posto di lavoro. Non è mai stato identificato dalle forze dell'ordine, non ha mai avuto un codice fiscale, un conto in banca, un telefono intestato, una casa con un affitto regolare. Ha sempre avuto occupazioni in nero ed ha sempre usato il contante. A dare una identità a Pietro e ad attestare formalmente la sua esistenza è stato l'ufficio Anagrafe del Comune di Genova al quale Pietro si è rivolto per avere un certificato di residenza per potersi curare in ospedale.
Gli impiegati dell'Anagrafe si sono imbattuti in una storia surreale negli anni dominati dallo stile Grande Fratello. "Stentavamo a credere che dell'esistenza di questo uomo non ci fosse traccia. Allora ci siamo messi a indagare e siamo riusciti a risalire alla sua identità", dice Vilma Viarengo, responsabile dell'Anagrafe genovese. Nessun ufficio in Italia sapeva della sua esistenza, perché quel certificato di nascita lasciato in un cassetto dell'ospedale di Reggio Emilia nel 1953 era un atto inutile senza carta d'identità.

Ha vissuto sempre così, fino a quando ha avuto bisogno di compiere accertamenti sulla sua salute. Pietro non ha un medico di base: non si sente bene e va in ospedale. Ma per poter essere sottoposto agli esami serve un documento che attesti la residenza. Va negli uffici comunali e richiede la carta d'identità. Pietro non è mai stato registrato, può solo dire che è nato a Reggio Emilia, ma anche lì è sconosciuto. Anche all'Indice nazionale delle anagrafi non c'è traccia di lui. L'uomo racconta la sua storia: una giovane donna lo partorisce a Reggio Emilia, il padre non lo ha mai conosciuto.
L'ufficio Anagrafe del Comune di Genova entra in possesso del certificato di nascita e scopre che la madre ha detto di vivere a Reggio Calabria: agli uffici reggini la donna era sconosciuta, ma la risposta negativa in Emilia non è mai arrivata e di Pietro si sono perse le tracce. La madre non può accudirlo e il bimbo vive nei collegi. Nessuno si preoccupa di dargli un documento d'identità.
In Liguria arriva poco prima della maggiore età e comincia a lavorare in nero, pagando sempre in contanti. Poi un problema di salute e la burocrazia fanno emergere la sua inesistenza. Appurato dal certificato di nascita che la persona che dice di essere è proprio lui, verificato che dove vive è conosciuto come Pietro, l'Anagrafe gli ha consegnato la carta d'identità. "Quando l'ha avuta tra le mani gli sono brillati gli occhi", raccontano all'ufficio Anagrafe.Ora i funzionari hanno compilato una carta di identità con la quale Pietro potrà mostrare e certificare i suoi dat

gli altri Walter Palmer

il precedente
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2015/07/un-volgare-assassino.html


dopo  il  caso   (  vedere  url  sopra  ) Walter Palmer  ecco , foto e post  tratte dalla bacheca  di   https://www.facebook.com/francesco.pirrone.125/



Francesco Pirrone ha aggiunto 5 nuove foto.


TUTTI FIGLI DI RICCHI MERDOSI, TUTTI BIANCHI E SFACCENDATI PARGOLI PADRONI DEL MONDO. IO VI AUGURO LE PIU' LUNGHE E ATROCI SOFFERENZE CHE LE MALATTIE POSSANO DONARE!!! IO VI MALEDICO, POSSA IL RESTO DELLA VOSTRA INUTILE ESISTENZA SCORRERE TRA PENE E DOLORI.


e noi continuiamo a prendere i ricchi come esempio, mi raccomando.


30.7.15

Tempio Pausania, al centro della vita il Rispetto e l’Amicizia. Senza retorica, un esempio che arriva dalla musica.


  da   http://galluranews.altervista.org/



                       Tutti i musicisti di una favolosa serata (foto di Margherita Cossu)
Tempio Pausania, 18 mag. 2015
Ho sempre presente nella mia mente le parole di mio padre. Diceva sempre,
Antonio nella vita esistono persone e Persone, alcune le saprai conoscere meglio, altre non si faranno conoscere mai. Le saprai distinguere perché le migliori persone sono quelle che ti sanno ascoltare e non sovrappongono mai la loro voce alla tua, ti sapranno guardare negli occhi in modo diretto e accorreranno quando tu avrai bisogno, al tuo capezzale o al tuo matrimonio. E sorrideranno con te e sapranno anche piangere con te“                                                                           La vita mi ha insegnato che babbo aveva ragione. Lui, come tutti coloro che avevano conosciuto guerra, fame e dolori infiniti, era una persona semplice ma ogni dolore vissuto lo aveva temprato e reso forte. Solo quando siamo forti possiamo distinguere le persone dalle Persone. Quando il nostro stato d’animo è colpito, ferito, malato, siamo fragili e oltre a navigare a vista spesso ci buttiamo tra le braccia del primo che capita, lasciandoci disorientare e volare  verso cieli offuscati o navigare in mari tempestosi.Ho imparato il rispetto per tutti, ad esso ho adeguato la mia vita e successivamente quella dei miei figli. Sono stato, come tanti, offeso e vilipeso, ho reagito e ho sbagliato a rispondere alle offese con le offese. Ho ricevuto stima e ho saputo sempre darne a chi l’ha meritata e anche a chi nemmeno conoscevo, solo per averlo sentito dentro di me. Non si è uomini perché si alza di più la voce o si prevarica gli altri.L’amicizia resta per me il valore principale che muove qualsiasi cosa e che è capace di smuovere la terra tant'è devastante la sua forza d’urto, e vorrei darvene un esempio, per rendere merito ad una persona speciale della cui amicizia  vera, da molti anni, mi onoro.Qualche giorno fa, ho organizzato un concerto live con musicisti di grande valore, davvero uno migliore dell’altro. Chi ha assistito a questa serata magica sa di chi e di cosa sto parlando.Tra essi, l’artista a cui la serata era dedicata, Roberto Diana.Roberto, lo scrissi nella presentazione di questo evento qualche settimana fa, aveva il desiderio da sempre di poter suonare al Carmine. Con molte difficoltà sono riuscito ad accontentarlo ed ho organizzato, con tutti i musicisti, lo staff del Teatro e la classe dei Fidali del ’66 (straordinari tutti!), un concerto di più di 2 ore, magnifico, vibrante, coinvolgente come pochi in vita mia ho visto.Poche persone tra il pubblico, quasi fossero le prescelte fortunate, e quindi pochi soldi alla fine realizzati. Lo scopo del ricavato era quello di pagare gli artisti, anche se non tutti volevano essere pagati, il fonico e poi lasciare alla classe quanto sarebbe rimasto come contributo per la prossima festa di Sant’Isidoro che quest’anno vede questa classe di fidali organizzatrice.Alla fine i soldi sono bastati a pagare giustamente il service di grande qualità e poi…e poi Roberto, i suoi ospiti, hanno cantato e suonato gratis. Voi mi chiederete…ebbè? Vi rispondo subito. Intanto sono tutti professionisti e vivono di musica ma il lato umano, in tanti musicisti che ho conosciuto in vita mia, è quello che prevale sempre. Il loro cachet è stata la grande soddisfazione di aver suonato e di averlo fatto in maniera strepitosa.Il giorno dopo, ancora nel cuore e negli occhi, i riflessi di ciò che avevamo vissuto la sera prima, al telefono Roberto mi chiama e mi parla solo della sua grandissima soddisfazione di aver suonato e di essere stato apprezzato. I soldi? “Non contano, Antonio. Io sono felice di quello che è successo e questo per me vale quanto e più di un cachet”.Sappiate che per la serata era venuto anche un amico da Pavia, in aereo e che per quelle spese… “Mi arrangio io Antonio, non ti preoccupare”.Roberto non avrebbe voluto che io scrivessi di questo, lo conosco.  Io, però, sono così e quando un amico mi dice queste cose, penso che ancora una speranza esiste e che questa è lamicizia oltre ogni soldo, oltre ogni compenso. Da quel giorno per me indimenticabile sono certo che oltre alla collaudata amicizia con Roby posso dire di aver conosciuto tutti gli altri artisti, anzi ARTISTI, che sono d’incanto diventati amici veri. Questa è l’amicizia che unisce gli uomini, questo è il valore imprescindibile che fa muovere tutti e tutto. E’ bastata una serata di due ore per farmi capire.Pensate sempre a chi vi ascolta, vi guarda negli occhi, non vi parla sopra, vi sorride o piange per voi. Tenetevi stretta quella persona, è un amico.Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico.
(Albert Camus)

29.7.15

Walter Palmer UN VOLGARE ASSASSINO.



Fissate bene a mente il volto, e il corpo, dell'uomo a sinistra nella foto. Il suo nome è Walter Palmer, è americano yankee, di professione dicono faccia il dentista e lo descrivono "appassionato" di caccia. Sfoggia un sorriso fiero e vitaminico di fronte a una delle sue conquiste, un leone africano. 




L'ultimo colpo l'ha messo a segno pochi giorni fa: ha abbattuto Cecil, 13 anni, uno splendido esemplare simbolo dello Zimbabwe, violando il parco in cui l'animale viveva protetto, dopo aver comprato la corruzione di alcune guardie locali. Poi l'ha decapitato. Ora, verosimilmente, mostrerà il trofeo agli attoniti e ammirati ospiti con lo stesso sorriso congestionato e ormonale, nel suo salotto wasp, che immaginiamo lindo, bianco, pacchiano. Uno come tanti. Difficile da ricordare altrimenti.
Per questo abbiamo detto di ricordarne bene i tratti somatici. In una condizione normale, sarebbe quasi impossibile. Il suo, come quello del complice a fianco, è infatti un viso a una dimensione, del tutto piatto, che scivola via. Un viso liquido, pur d'un liquame spesso come il corpo. E così il nome: uno di quelli che trovi negli esercizi di grammatica, il signor Mario Rossi o Jean Dupont o, appunto, Walter Palmer. È un nome senza nome, il nome dell'anonimato, un anonimato però pervasivo, perché, alla fine, tutti possiamo riconoscerci in lui.
Saputa la notizia, ho subito pensato alla "Ballata del vecchio marinaio" di Coleridge, o all'ultima regina di Napoli, la trillante teutonica che per divertirsi sparava agli uccelli marini, e che solo una la morbosa fantasia dannunziana poteva omaggiare col soprannome di "aquiletta bavara". O, ancora, ai piccoli aspiranti mafiosi del film su padre Puglisi, addestrati dai capibastone a brutalizzare gli animali per poi riuscire a farlo con gli umani. Ma no, era troppo per Walter Palmer. Qui siamo a un livello totalmente superficiale, non esiste nemmeno la perversione, non la miseria atavica e disperata, non un patto faustiano. Ci troviamo all'anno zero della plastica, di fronte a un'umanità aliena, senza passato alcuno. Un'umanità senza l'uomo, o con un nuovo tipo di uomo, frutto del potere della banconota. Certo, i risultati sono sempre gli stessi: violenza assoluta, razzismo, machismo, arroganza da padroni, ecc. Insomma, quell'antropocentrismo esasperato denunciato nell'ultima enciclica di papa Francesco e che si tramuta nel suo contrario, la negazione dell'uomo. Ma con l'importante differenza di quell'astoricita' rilevata poc'anzi. Walter Palmer e le sue vitamine facciali non esistono. Sono sterili, improduttive. Mera apparenza. Eppure stanno lì, vacue e pesantissime, a indicare, se non la storia trascorsa, il pericolo futuro: la totale disumanizzazione. Dietro sembianze ancor riconoscibili ma stilizzate, robotiche. Quelle, appunto, dei manuali scolastici.
Walter Palmer riassume la cancellazione d'ogni diversità, culturale, religiosa, etnica, politica, sessuale ecc. Non è un mostro, ma un maschio di serie, sorridente, affabile coi vicini, sazio nella sua villetta Lego, con la sdraio e il giardino. Il suo mondo. Il solo. E null'altro. Volgare, cioè volgo, anzi, massa; e nella massa siamo immersi tutti. La massa è un mondo d'atomi senza relazione. E tali rischiamo di diventare. Volgari assassini col sorriso. Non abbiamo venduto l'anima al diavolo: l'abbiamo proprio cancellata. E non assurgiamo quindi alla consapevolezza, né al pentimento, del male commesso. Uccidiamo un leone e siamo già programmati per eliminare un nostro simile, o lasciarlo morire - talora, è più crudele e vile - con indifferenza, come i bagnanti leccesi di fronte al tentativo di linciaggio d'un minorenne extracomunitario.
Il denaro è divenuto così la nuova arma di distruzione di massa - propriamente detta. Dove tutto si compra, nulla ha valore; e persino quei guardiani corrotti, la loro meschinità morale, forse la loro fame, è meno colpevole del tonico sberleffo dei Walter Palmer o Mario Rossi o Jean Dupont in cui ci stiamo tramutando tutti. Aggettivi privati di nome. Assassini, e non occorrerà null'altro per definirci. Vale la pena vivere, e sopravvivere, così?


© Daniela Tuscano

27.7.15

Napoli: quando la filosofia è una senzatetto

da http://fascinointellettuali.larionews.com/napoli-quando-la-filosofia-e-una-senzatetto/


NAPOLI – È uscito ieri pomeriggio, 26 luglio, su Internazionale un articolo reportage sulla tragica situazione che sta vivendo l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli. Il giornalista Angelo Mastrandrea ex vicedirettore del Manifesto) documenta la storia gloriosa dell’ottantottenne Gerardo Marotta, che oggi resiste strenuamente alla chiusura del polo culturale da lui creato. Alla primavera del 1975 risale la fondazione dell’istituto, incoraggiata dal sostegno di Enrico Cerulli, al tempo presidente dell’Accademia dei Lincei, e di Elena Croce, figlia del filosofo Benedetto CroceDa allora inizia l’attività quarantennale del centro, sintetizzata dal responsabile delle scuole estive, Aldo Tonini: 27mila ospiti del mondo del sapere umanistica e scientifica, da filosofi a medici; borse di studio – in media, 2500 all’anno – garantite a giovani studiosi grazie ad alcuni contributi statali versati dal 1993, provenienti dai fondi dell’8 per mille; 15mila convegni (alcuni tradotti in coreano) in tutto il mondo, perfino a Timbuctu e nel prestigioso castello di Cerisy-La Salle in Normandia; scuole estive nei paesini del Sud, per una sana politica meridionalista; l’edizione cinese de Il Principe; opere sul pensiero indiano o su Ashoka, mitico sovrano buddhista del sub-continente indiano… una cascata di cultura aperta all’Europa e al mondo contemporaneo.
Gerardo Marotta nel suo ufficio
L’avvocato Marotta, in rapporti con i presidenti Sandro Pertini Giorgio Napolitano, ed ex  militante nel Partito Comunista Italiano, ha speso tutto per i libri: «Ho venduto tutto, anche le proprietà di mia moglie, un attico a Roma e una villa qui a Napoli. Ora ho debiti con tutti, perfino con il salumiere». 270 mila dei trecentomila volumi ammuffiscono, dimenticati nei più disparati luoghi: da un capannone a Casoria (nella periferia di Napoli) all’ex manicomio abbandonato Leonardo Bianchi. Gli appelli non tardano ad essere sollevati dagli intellettuali, italiani e non qui l’iniziativa sulla piattaforma Change.org, qui l’appello sul sito ufficiale dell’Istituto, tra i cui promotori vi sono Roberto Saviano, Salvatore Settis, Stefano Rodotà, Luciano Canfora e Gustavo Zagrebelsky. Ma il rischio è che «se non arrivano i soldi, a settembre gli ufficiali giudiziari metteranno in vendita i miei libri». Pertanto, la questione, come scritto da Mastrandrea, è politica, e non solo economica. La lotta alla filosofia è condotta in prima fila dalle istituzioni che dovrebbero tutelarla e diffonderla. Gerardo Marotta crede, ancora spera, che l’umanesimo meridionale possa aiutare a far rinascere una società oppressa dall’homo oeconomicus. E ricorda le parole rivoltegli dal segretario nazionale dell’Onu, nel 1992:

«C’è necessità della filosofia per orientare le scelte politiche, di uno spirito umanistico, specie ora che l’Europa è in crisi»
Uno dei depositi dell'Istituto, sotto sfratto per morosità. (Foto di Giacomo Acunzo, dall'articolo dell'Internazionale)
Uno dei depositi dell’Istituto, sotto sfratto per morosità. (Foto di Giacomo Acunzo, dall’articolo di Internazionale)
A.P.


25.7.15

dopo la morte dj Ismaele Lulli parla La ragazza di Igli Meta, Ambera Saliji: "Lo ha ucciso per me. Ma lo aspetterò tutta la vita" .



Dunque, è proprio lei che si autoaccusa, e lo fa con fierezza e ringhiosita', attaccando, accusando. Sbraita di razzismo (nei suoi confronti), difende con le unghie e i denti il "suo" uomo, o meglio, il suo diritto a esser posseduta, e poi si sa, lui la ama, l'ha fatto per lei [cfr.  http://www.huffingtonpost.it/ del 24\7\2015 ]. Certo, "non doveva", ma insomma...
Amore origine di ogni bene e del più sordido male, direbbe Dante. Potrete chiamarla sindrome di Stoccolma, ma in questa vicenda atroce e selvaggia, che per certi versi ricorda quella di Rosa e Olindo, dove predominano istinto, sadismo, arcaicità, odio e dis-integrazione, una sola cosa risulta chiara: la nostra non è tolleranza, ma lassismo intellettuale e morale. Ed è facile approfittarsene.


                                              © Daniela Tuscano

23.7.15

memoria delle persone che non ci sono più nelle memorie del cellulari e su i social

morte  per  un amica  \  in morte di S.f  -  Guccini -Nomandi 

Oggi cercando un nunero sul cell , ho trovato un numero di un carissimo amico morto  e mi è ritornato alla mente


Non so se vi capita pure a voi.
Di scorrere la rubrica del telefono e ci sono persone, nella rubrica, che in realtà non ci sono più.
Morte.
Per davvero.
Io non le cancello mai. Mi sembra un torto che non si meritano. Anche se un po', 'sta cosa, mi spaventa.
Metti che chiamino.
Un giorno.

Anch'io vivo come lui   situazioni del genere  non solo nel celll  ma  anche su facebook   ,. Unica differenza  che  io  lo faccio  oltre  che per  sbadataggine  per  mantenerne vivo il ricordo e fare come i sepolcri di Foscolo   cioè ricordarli  . ma  sopratutto  forse ho paura di scordarli e di scordare chi ero e cosa sono oggi anche grazie a loro.



La prostituta bambina salvata da una telefonata


CRONACA » PROVINCIA DI PAVIA

La prostituta bambina salvata da una telefonata

Oggi alle 14:48 - ultimo aggiornamento alle 15:19

prostitute
                                                           Prostitute
L'ha notata a bordo strada mentre aspettava che qualche "cliente" si avvicinasse, ma quella prostituta era poco più che una bambina, così ha chiamato i carabinieri.
I militari, sull'ex strada statale 494 Vigevanese, all'altezza della rotatoria per l'ingresso a un centro commerciale di Parona (Pavia), hanno trovato la ragazzina, una 15enne nigeriana che sembrava ancora più giovane.Attraverso una breve indagine hanno accertato che la minore era arrivata in Italia a maggio, sbarcata sull'isola siciliana di Linosa insieme ad altri immigrati; qualcuno negli ultimi giorni l'aveva portata in Lomellina per farla prostituire.Lei non ha neanche capito che quelli che le facevano tante domande fossero uomini delle forze dell'ordine e si è fatta portare in caserma.Lì, grazie a un interprete, ha compreso in quale situazione si trovasse e ha quindi cominciato a sostenere di avere 20 anni.Ma l'esame radiografico del polso ha rivelato che ne ha 15, come confermato anche dagli esiti dell'Afis, il sistema per il rilevamento e la registrazione delle impronte: aveva dichiarato proprio quell'età quando era stata fotosegnalata a maggio, dopo che il barcone carico di profughi su cui aveva attraversato il Mediterraneo era stato intercettato nei pressi di Linosa.Ha raccontato di essere arrivata in Lomellina la sera prima, dopo essersi allontanata da un centro di permanenza.Ora è in una comunità protetta per minori e i carabinieri stanno svolgendo indagini per identificare gli sfruttatori.

Bologna, come regalo di nozze chiede una mensa dei poveri: primo pranzo per 60 persone



Come regalo di nozze ha chiesto una mensa per poveri, e la città gliel'ha finanziata in meno di un mese. E' una favola a lieto fine quella di Roberto Morgantini, 68 anni, vicepresidente dell'associazione Piazza Grande di Bologna. Dopo una convivenza durata 38 anni con la compagna Elvira, ha deciso di sposarsi e, come regalo, ha chiesto ai bolognesi un contributo per la prima mensa per poveri "laica" della città, non legata a congregazioni religiose. Avevano fissato un tetto di 20mila euro, ne hanno raccolti 50mila. Tra i donatori ci sono aziende, come la Camst e Coop Adriatica, ma
anche personaggi famosi di Bologna, da Gianni Morandi a Stefano Benni. La mensa ha aperto ieri, nella sede Pd Cento Passi, in Bolognina. Ospiterà 60 persone al giorno, inviate dalla Caritas e dai servizi sociali, in particolare famiglie con bambini, per tre giorni a settimana, martedì, mercoledì e giovedì. Il menù dell'inaugurazione? Fusilli al pomodoro, scaloppine al limone e gelato fatto in casa 
  



da http://bologna.repubblica.it/cronaca  del 21\7\2015  di CATERINA GIUSBERTI, foto FEDERICO BORELLA/EIKON STUDIO)

L’ANNO ZERO © Daniela Tuscano

la sdentenza in questione
https://abbattoimuri.wordpress.com/2015/07/23/firenze-testo-sentenza-di-assoluzione-per-stupro-di-gruppo-alla-fortezza-da-basso/



Non mi dilungherò troppo. L’ho già fatto in altre occasioni. Con quali risultati, è facile verificarlo.


Non ho letto per intero l’ignobile sentenza assolutoria dei sei stupratori fiorentini (quindi italiani, di buona famiglia, cattolici). Né l’affranta lettera aperta della ragazza, oggi ventinovenne. Non ne avevo bisogno. Lei è sola, disperatamente sola. Nessuno potrà capirla, tranne un’altra donna. E non so se potrà bastarle.
Non doveva scrivere. Non doveva discolparsi. Non doveva giustificarsi.
 Eppure è stata spinta – da sé medesima – a farlo. Ognuna di noi, nelle sue condizioni, si sarebbe comportata come lei.
Non ho letto, perché già so. Quando, tra le motivazioni dell’assoluzione, si ricorre alla “leggerezza” della vittima, ai gusti sessuali, alla presunta promiscuità, all’abbigliamento, allo stile di vita, già sappiamo tutto. Siamo all’anno zero della storia. Il tempo non esiste, non si muove mai, in una società fondata sullo stupro.
Logica suggerirebbe: sì, ma sta’ un po’ attenta. Sì, ma potevi prevederlo. Sì. Ma questa logica, nella società dello stupro, rischia di diventare “troppo” logica. “Troppo” sensata. Soprattutto immemore. Perché sono millenni che le donne se la sentono ripetere. Perché lo stupro è vecchio, remoto. Perché lo stupro è diventato reato nella legislazione italiana solo nel 1996. E non nasce a causa
dell’eccessiva licenziosità delle donne. Nasce con l’uomo. Con la volontà di potenza, la brama di possesso, la superbia di sentirsi padroni d’un altro essere umano. Il maschio stuprava anche quando relegava la “sua” donna in casa. Anche quando la seppelliva sotto veli e coltri. Quando le impediva di studiare, di divertirsi e di peccare. Il maschio stuprava e stupra finché non si convincerà che chi gli sta dirimpetto (questa la traduzione dell’ebraico “eser kenegdo”, riferito a Eva nel Genesi) non è una sua appendice, non un suo possesso, non un oggetto di cui disporre e sbarazzarsi a piacimento.
La società dello stupro non è solo quella che riduce il corpo delle donne a oggetto di piacere. È pure quella che le cancella dai libri di scuola, che nega l’originalità del loro genio. Che si ostina a definire con l’ossimorico “neutro maschile” professioni prestigiose svolte da donne. 
La società dello stupro è, ancora, quella dei media. L’abbiamo letto alcuni giorni fa, nell’edizione online del “progressista” Repubblica, a proposito d’una ragazza violentata in treno a Livorno: "La sua unica LEGGEREZZA è stata quella di sedersi in uno scompartimento senza nessun altro passeggero. E non ha potuto DIFENDERSI e CHIEDERE AIUTO durante la violenza" [corsivi nostri]. In altre parole: se l'è cercata. Che le giovani e le adulte sappiano: qualora si trovassero da sole su una carrozza, caso abbastanza frequente, si apprestino a cambiare vagone, o scendano una fermata prima, tanto qualche autobus (affollato, si spera: i taxi, meglio evitarli…) si troverà. Altrimenti, viaggiano a loro rischio e pericolo. Eterna, maledetta leggerezza di Eva peccatrice.
E s’ostinano a chiacchierare di raptus, come incredibilmente nell’ultimo, efferato delitto di Pesaro. In esso, oltre al sadismo s’aggiunge la blasfemia, la vittima essendo stata crocifissa – volontariamente, a sentire l’impudente assassino! – e poi sgozzata con tale furia da rasentare la decapitazione. Erano solo ragazzi, tre ragazzi. L’ucciso ha pagato cara la scappatella con la ragazza del… migliore amico. E prontamente i maggiori quotidiani titolano: delitto “passionale”; lei l’aveva tradito, lui ha perso la testa. Insomma, già s’insinua il sospetto che l’omicida non si sarebbe trasformato in belva umana, se la fidanzata gli fosse rimasta fedele. La donna diverrà, ben presto, la responsabile morale della mattanza.
S'addurranno altre motivazioni ancora: l’incapacità di sopportare una delusione, di gestire un fallimento - sia pure minimo, banale. E come stupirsene, in un mondo azzerato, liquido, basato sull’emozione momentanea, anzi, sull’istintualità? Dove quell’istintualità diventa diritto, pretesa, prepotenza, per il semplice fatto d’esistere?
Tutto vero; tutto ingigantito in mancanza di qualsivoglia altro valore. Ma, ancora, accentuato, ispessito diremmo, indurimento d’un male antico, il solito, il perenne, l’origine e metastasi della civiltà: la fallocrazia. E finché quest’ultima continua, pervicace, resteremo qui, fermi, petrosi, preistorici. Finché esisterà, la risposta non potrà essere che unanime: #Nessunascusa!

                                                             © Daniela Tuscano


22.7.15

Lena, massacrata la notte della Diaz [ genova 21\22 luglio 2001 ] , aspetta ancora il risarcimento

 a mente fredda    si  può parlare  di Genova  2001  a  voi  ogni commento

colonna  sonora




  da  http://genova.repubblica.it/cronaca/ 22 luglio 2015

Lena, massacrata la notte della Diaz, aspetta ancora il risarcimento

Il rimpallo del caso tra Prefettura e Ministero dell'Interno. Ebbe un polmone perforato dalle botte e una commozione cerebrale. I poliziotti la trascinarono dalle scale per i capelli e poi le sputarono addosso a turno di MARCO PREVE



Ancora in attesa di risarcimento una ragazza tedesca massacrata di botte alla Diaz Lena Zuhlke aveva 24 anni quando venne massacrata di botte, umiliata, trascinata per i capelli come una preda di guerra e umiliata nella scuola Diaz dai torturatori della polizia italiana che, assieme ai loro capi, falsificarono anche le prove per poterla accusare ingiustamente. I picchiatori continuano, 14 anni dopo la notte della "macelleria messicana" del 21 luglio 2001, a restare ignoti, e a tanti anni di distanza lo Stato italiano continua a negare a Lena un risarcimento. Da dieci mesi poi si trascina tra la prefettura di Genova e il ministero dell'Interno un balletto assai poco edificante che non fa altro che allargare sulle istituzioni quella macchia del disonore contenuta nella sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani che ha condannato i nostro paese per l'assenza di una legge sulla tortura e per la mancanza di misure e regole atte ad isolare e punire chi è anche solo sospettato di tali azioni.
Lena Zuhlke uscì dalla scuola Diaz con alcune costole rotte, una commozione cerebrale, numerose ferite, un pneumotorace e uno choc che non è ancora guarito. In sede penale gli è stato riconosciuto un danno biologico del 30%. Dopo una serie di colloqui e scambi di documenti, nei primi mesi del 2014 il Ministero dell'Interno formalizzò all'avvocato genovese di Lena, Filippo Guiglia, l'intenzione di voler risarcire la sua assistita. Il legale prese contatto con la Prefettura di Genova incaricata di definire il risarcimento. Nell'ottobre del 2014 Guiglia incontrò il viceprefetto Paolo D'Attilio che confermò di voler chiudere la pratica. Ma da allora, nonostante ripetute telefonate, mail solleciti via lettera il viceprefetto non ha mai più risposto all'avvocato. «Capisco l'amarezza dell'avvocato – ha spiegato ieri a Repubblica il viceprefetto – ma è una vicenda che non semplice da definire circa il "quantum" e hanno voce in capitolo sia il Ministero che l'avvocatura. Inoltre in questi mesi abbiamo avuto molte altre emergenze. Comunque contatterò al più presto l'avvocato della signorina Zuhlke». E in effetti ieri il dialogo è ripreso. Gli avvocati chiedono per Zuhlke due milioni di euro, cifra calcolata in base ai parametri adottati per i primi risarcimenti riconosciuti ad altre vittime del G8 (che subirono conseguenze assai meno gravi), ai danni subiti, allo stress post traumatico che gli è stato riconosciuto, e ai danni morali provocati dalle calunnie con le false accuse di essere una black bloc. Oggi Lena lavora in una società che si occupa di ecologia. Questo è il resoconto della notte della Diaz che fece ai giudici che la interrogarono. «I colpi mi raggiunsero sulla testa e sulle spalle. Sotto questi colpi sono caduta per terra.... sono stata presa a calci sulla schiena e nel petto. In questa occasione penso di aver sentito proprio come mi si rompevano alcune costole. Sentivo un dolore indescrivibile. Dopo sono stata presa per i capelli e per i vestiti e tirata su in piedi. Poi qualcuno mi ha dato un calcio in mezzo alle gambe, di seguito sono stata sbattuta contro il muro... quando stavo a terra continuavano a picchiarmi con bastoni e mi presero a calci sia sul petto che nella pancia... Sono poi stata afferrata per i capelli ... e quindi trascinata giù per le scale... mi picchiavano sulle mani ogni volta che le mettevo in avanti per attenuare gli urti... con i loro stivali, mi davano dei calci sulla nuca... Al primo pianerottolo restai per terra... un poliziotto mi ha poi preso per i capelli e continuava a trascinarmi giù per le scale...numerosi poliziotti passando, mi sputò in faccia, alcuni si fermavano addirittura per poterlo fare».

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la storia di Chiara che ha scoperto di avere un tumore in gravidanza. È riuscita a diventare mamma e a guarire dal cancro. Ora con un progetto fotografico aiuta le donne a liberarsi dal peso della malattia e dalla paura di morire

Un figlio e il cancro: la sfida di Chiara
Viareggio: scopre il tumore in gravidanza ma riesce a sconfiggerlo. Ora con altre 11 donne si mette in gioco : «Possiamo vincere» di Valentina Landucci





VIAREGGIO. Nel suo grembo ha portato la vita e la morte: suo figlio e il cancro. Tra lei e il suo piccolo c'è stato, per così dire, uno scambio: lei gli ha donato la vita e da lui in qualche modo l’ha ricevuta in cambio.
Chiara Vogliazzo è una bella mamma di 43 anni di Massarosa. Sorriso luminoso, straordinario senso dell’umorismo e una piccola cicatrice sulla pancia, il segno della sua grande e indicibile paura: morire per quella malattia scoperta diventando madre. Un inferno vissuto nel silenzio, tra terrore e speranza. E quel bambino. «È lui che mi ha dato la forza, che mi ha ridato la vita» racconta a distanza di 4 anni dall'operazione: cancro al colon.
Ora Chiara sta bene. Si sottopone a controlli periodici, ma sta bene. E ha deciso di mettersi in i gioco   con il sorriso e in modo originale ideando il progetto “Cicatrici di vita”: la sua e quella di altre 11 donne che come lei si sono fatte fotografare per un calendario mostrando i segni delle operazioni subite per combattere il cancro. Hanno sofferto e combattuto. E ora sorridono di fronte all’obiettivo, alla vita: hanno vinto loro.
«È vero le cicatrici sono profonde - spiega Chiara parlando del suo progetto - ma la rinascita è ancora più forte e dodici donne vogliono mostrare che dal cancro si può guarire e se ne può uscire con il sorriso facendo pace con le proprie cicatrici sia dell'anima che del corpo».

Come hai scoperto la malattia?

«Ho scoperto di aspettare un figlio, tanto desiderato, nella primavera del 2010. Durante uno dei controlli è venuto fuori che avevo una anemia molto forte. Mi ricoverano, faccio delle trasfusioni, scoprono che ci sono delle perdite e che sono necessari ulteriori accertamenti che decido di fare ma solo in parte perché il mio unico obbiettivo è portare a termine la gravidanza. Mi dico: “Una volta che ho partorito si vedrà”. E il 20 dicembre del 2010 nasce il mio bambino. Qualche settimana dopo il parto, come prevede la tabella dei controlli, vado dalla mia ginecologa che è anche il mio medico curante, per una ecografia per vedere se l'utero si è riassorbito. Mi dice che c’è una massa nell’intestino, è preoccupata: bisogna urgentemente fare una colonscopia e capire che cos’è. E gli accertamenti confermano che è necessaria un’operazione d'urgenza. Mi hanno spiegato che la situazione era grave ma potevo guarire».

Avevi un bimbo di poche settimane a casa ad aspettarti, come hai reagito?

«È stato come sprofondare nel baratro più profondo che si possa immaginare. Ho pensato subito al mio bambino. Ho pianto tutte le lacrime del mondo, vissuto momenti di puro terrore, avevo paura di morire. Pensare al mio bambino era la tragedia più grande ma allo stesso tempo è stato lui la mia più grande forza. Mi dicevo: oddio, rimarrà senza mamma. E insieme: ce la devo fare, devo crescere lui. Piangevo a dirotto ma dovevo pensare positivo».

Il 2 maggio 2011 vieni operata al Versilia: c’è la conferma che si tratta di un cancro. E dopo l’operazione comincia un altro dolorosissimo percorso: la chemioterapia. Sei mesi. Come li hai vissuti ?


«La terapia non mi ha fatto perdere i capelli ma mi dava malessere e dolori che mi rendevano difficile prendere in braccio mio figlio. Lo guardavo negli occhi e la paura di morire si moltiplicava milioni di volte. In quel periodo gli ho scritto una lettera… per dirgli come mi sarebbe piaciuto che fosse da grande se io non ci fossi stata più».

E di tutto questo non ha mai fatto parola con nessuno. Almeno fino a un certo punto.

«Ho condiviso questo percorso con i familiari e le amiche più care. Ma come sempre nella mia vita anche di fronte al cancro avevo deciso di vivere il mio dolore in silenzio in contrapposizione con il mio carattere solare. Con il rientro al lavoro, a inizio 2012, decido di mettere “tutta questa roba” in uno sgabuzzino dicendomi “è passata così”. Ma cose così grandi - e forse è anche un bene - prima o poi ti presentano il conto. Nel mio caso è successo con un corso di fotografia che comincio a frequentare a inizio 2013 con il maestro Alessandro Citti. Che nelle sue lezioni non parla solo di tecnica ma anche di immagini e emozioni: in me si smuove qualche cosa. E mentre sono alla guida della mia macchina diretta alla cena organizzata per la fine del corso di fotografia mi viene in mente di chiedere al maestro se se la sente di fotografare le cicatrici di donne operate di tumore per farne un calendario a scopo benefico. Accetta subito. Mi si allarga il cuore: conoscevo il maestro da pochissimo tempo e subito aveva dato la sua disponibilità a realizzare gratuitamente le fotografie per aiutare a sensibilizzare il più possibile su questo argomento, far parlare di questo tema. Con lui siamo subito d’accordo anche su un altro fondamentale aspetto del progetto. Le immagini devono trasmettere un messaggio positivo, non vogliamo foto tetre, ma modelle che sorridono e che trasmettono un messaggio di fiducia e speranza».

A questo punto ti sei messa alla ricerca delle modelle. E tu sei una delle 12 protagoniste del calendario che dovrebbe essere pubblicata a ottobre, di cui peraltro ha già parlato, raccontando anche la tua storia, la direttrice del settimanale Donna Moderna. È stato facile trovare donne disponibili a farsi fotografare mostrando le proprie cicatrici ?
«È stata la cosa più difficile, psicologicamente. È stata la mia terapia. Dovevo raccontare ad altri quello che è successo a me. E sentire le loro storia. Ho ricevuto anche alcuni no, come comprensibile, ma soprattutto tanti sì dati subito e con entusiasmo. Mi ha riempito il cuore vedere la solidarietà che c'è tra chi ha passato questa cosa: tutte sentivano evidentemente la necessità di dare un messaggio positivo e di sensibilizzare su questo tema. Ricordo soprattutto l’incontro con la prima modella, una ragazza che portava il bimbo al nido con il mio. Non la conoscevo ma ho deciso di parlarle del mio progetto. E lei ha detto subito di sì: il suo entusiasmo, la sua commozione la sua gioia mi hanno dato il coraggio di andare avanti. Io inizialmente non intendevo farmi fotografare: mi vergognavo. Sono state le undici donne che ho incontrato in questo percorso a darmi la forza».

A che punto è adesso il progetto?

«Tra novembre 2013 e aprile 2014 abbiamo fatto tutti gli scatti. Il maestro Citti li sta rielaborando. Poi ci sarà il lavoro, anche il questo caso offerto gratuitamente, del grafico Rino D'Anna. Mi sono rivolta all’associazione “Per te donna” che da tanti anni opera con grande impegno sul territorio su questi temi. Mi è subito sembrata la realtà perfetta perché rispetta in pieno la filosofia del mio progetto e anche da parte loro l’adesione è stata entusiastica e immediata. Ho chiesto a loro aiuto per la realizzazione finale del calendario e insieme abbiamo inoltrato domanda di patrocinio a tutti i Comuni della Versilia, all'Asl e alla Provincia. Insieme stiamo cercando gli sponsor per riuscire a stampare il calendario che vorremmo presentare a ottobre. Non sarà in vendita ma raccoglieremo offerte libere per il calendario che si potrà trovare presso l'associazione e anche in occasione delle mostre delle fotografie che faremo sul territorio. Insommasiamo al punto di trovare le risorse necessarie per stampare calendari e pannelli per le mostre. Ci tengo a dire che abbiamo trovato qualcuno già disponibile ad aiutarci anche se per ora non basta. Cosa che mi dà tanta fiducia: ci sono tante persone generose e questo mi riempie il cuore».

fanno più notizia i crimini \ reati degli immigrati che i gesti " eroici " di buon senso che essi fanno . Moussa Un ambulante senegalese tra i primi soccorritori dei ragazzi travolti dal crollo del muraglione della Rotonda:

Lo so che secondo alcuni voi , potrà sembrare o una storia normale per gente speciale ( cit ) una storia buonista insomma un caso su mille . Ma : in tempi di generalizzazioni sempre più massicce , di equazioni del tipo clandestino = criminale , immigrati frega lavoro , ecc e nei media nazionali \ regionali e regionali e siti (pseudo ) internet vengono solo descritti , talora in prima pagina e con la nazionalità degli immigrati , azioni negative e non anche le cose buone , riportare tali notizie mi sembra più che giusto . Ma soprattutto ecco ( tratto da una discussione avvenuta sulla pagina fb della nuova sardegna ) perchè secondo me uno , che fa una cosa del genere , aldilà delle mitizzazioni e eroe per caso\(Hero)  film del 1992 diretto dal regista Stephen Frears.  ( trama e trailer ) . Infatti << In fondo siamo tutti eroi se sappiamo corrispondere alle difficoltà della vita come lo è Bernie ...a causa del suo coraggio "necessario" (necessario per stare al mondo) >> [ da film citato ]
orfani - ringo n 10  
costruzioni che ne fanno i media come  potete  vedere

***** (...) D' apprezzare il gesto civico del ragazzo, ma da qui ad essere addirittura un eroe.....
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Giuseppe Scano @***** perchè secondo te indipendentemente dalla nazionalità , uno che scava a mani nude , facendosi anche male , prima dell'arrivo dei soccorsi non è un eroe ? in una società d'indifferenti e menefreghisti un simile gesto io lo considero eroico


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Platamona, crolla il muro della Rotonda: due minorenni feriti gravemente tra i bagnanti 
Una decina di metri della pesante struttura che divide la spiaggia dalla strada è franata su un gruppo di persone che prendevano il sole. Cinque i feriti lievi. Sul posto polizia, carabinieri, vigili del fuoco, polizia municipale, capitaneria di porto e 118. I bagnanti che affollavano la spiaggia hanno aiutato i soccorritori scavando a mani nude tra le macerie



Tragedia sfiorata a Platamona, la Procura sequestra l'area del crollo

SASSARI. La Procura della Repubblica di Sassari ha aperto un'inchiesta sul crollo del muraglione della Rotonda di Platamona che ha causato il ferimento di sette giovani, due dei quali in gravi condizioni. Il magistrato che coordina le indagini,Emanuela Greco, si è recata sul luogo dell'incidente insieme ai tecnici dei vigili del fuoco, al dirigente della squadra mobile della questura di Sassari Bibiana Pala. La Rotonda è stata completamente interdetta al traffico per ragioni di sicurezza, delimitata anche una fascia di prevenzione sulla spiaggia per una decina di metri.(video Mauro Chessa)




Un ambulante senegalese tra i primi soccorritori dei ragazzi travolti dal crollo del muraglione della Rotonda: si è fatto male mentre scavava

La nuova   sardegna  22 luglio 2015


                                   Moussa, l'ambulante senegalese che ha partecipato ai soccorsi a Platamona

SASSARI. Nei primissimi attimi che hanno seguito il crollo del muro di contenimento della rotonda, a farla da padrone è stato il panico. Ha paralizzato la maggior parte dei bagnanti, sia quelli presenti in spiaggia sia quelli che percorrevano la passeggiata, rimasti increduli e terrorizzati di fronte all’accaduto. Non tutti. A prendere in mano la situazione ci ha pensato un gruppo di giovani senegalesi che si trovavano nelle vicinanze, subito seguiti da altri bagnanti sassaresi e non.


                                       soccorsi sul  lugo del crollo  

Quando si è accorto che un muro intero era cascato sopra a delle persone, Moussa ha mollato tutto e si è fiondato di corsa ai piedi della rotonda, quando la nube di detriti non era ancora calata. Ha intravisto i corpi dei ragazzi sotto le macerie e ha iniziato a scavare a mani nude consapevole che in certe situazioni non c’è un secondo da perdere. Si è orientato fra i blocchi di pietra ascoltando le grida dei sette giovani, cacciando via le pietre senza sosta e provando a fare leva con tutto quello che gli capitava in mano. A quel punto sotto il muraglione c’era già una discreta folla di persone, intente a liberare i ragazzi nel minor tempo possibile, fra le urla disperate di mamme e papà preoccupati per le sorti dei loro figli sommersi da pietre e detriti. Rimasto in mezzo alla calca e nella foga di liberare tutti i ragazzi, il giovane senegalese - come altri connazionali che fanno gli ambulanti - si è fatto male a una mano.
«Niente di grave – dice il giovane africano –, soltanto qualche graffio. L’importante è che i ragazzi siano tutti salvi; la mia mano guarirà, non è un problema». Insieme a Moussa, prontamente medicato dal personale del 118, si sono dati da fare anche Bayemor e Mbandahie, suoi amici e connazionali. Hanno visto la scena da lontano, si sono avvicinati e si sono messi a scavare con gli altri. Prima di parlare hanno voluto avere notizie sulla situazione dei ragazzi. Si sono piazzati davanti al gazebo del servizio balneare per disabili – utilizzato dai medici del 118 per visitare e imbragare i feriti prima del trasporto all’ospedale di Sassari – e hanno seguito una a una le partenze delle ambulanze. Bayemor ha concluso con un sorriso: «Io vivo da voi e con voi – spiega in un italiano incerto – e sono andato a scavare perché se c’è da dare una mano per me è normale: tutti dobbiamo aiutare quando succedono queste cose». Poi per correttezza rimarca: «Devo dire però che il mio amico Moussa è stato il più veloce fra tutti noi». (s.sant.)

21.7.15

bologna e dintorni La moglie malata gli chiede di farla finita. Lui le spara: condannato a 14 anni, ecco perchè serve un testamento biologico

L'UnioneSarda.it

La moglie malata gli chiede di farla finita. Lui le spara: condannato a 14 anni

Oggi alle 13:31 - ultimo aggiornamento alle 13:51

l arresto di zironi nel novembre 2014
                       L'arresto di Zironi, nel novembre 2014
Lo scorso 25 novembre la moglie, gravemente malata e con cui era sposato da 55 anni, gli aveva detto: "Me ne voglio andare".E lui aveva preso la pistola, sparandole un colpo alla nuca.Poi aveva avvisato la figlia e i soccorsi.Oggi, Luciano Zironi, 80enne di Bologna, è stato condannato a 14 anni e 8 mesi di reclusione.Nei confronti dell'uomo, bancario in pensione, il pm aveva chiesto 16 anni.Il processo si è svolto con rito abbreviato nel tribunale del capoluogo emiliano.Il giudice Mirko Margiocco ha ritenuto le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante del "rapporto di coniugio".
Durante l'indagine è stata disposta una consulenza psichiatrica che non ha dichiarato Zironi incapace di intendere e di volere, seppur riconoscendogli una capacità attenuata.
"Oltre che un caso giudiziario - ha detto l'avvocato dell'80enne, Valerio Girani - è una vicenda umana e familiare di grande sofferenza. E' un processo sulla pena, in cui occorreva fare attenzione a tutti gli aspetti della vicenda, compresa la condizione psicologica e il contesto ambientale. Valuteremo la motivazione nello specifico per un eventuale appello, in modo da ottenere un ulteriore riconoscimento delle attenuanti".All'inizio del procedimento la figlia aveva deciso di non costituirsi parte civile.

Non  concordo con la  font e che  usa  il tag  femminicido .  In quanto qui ,per  quanto drammatico  sia  il suo gesto   non si tratta di questo caso  . 

L'agente afroamericano che aiuta un membro del Ku Klux Klan: "Era il mio dovere"

musica  in sottofondo
 Blues Brothers - Gimme Some Lovin  note conclusive
Jimi Hendrix - Hey Joe




leggendo questo flash mi pare di  repubblica

Un suprematista bianco che indossa una maglia con la svastica si sente male durante la manifestazione del Ku Klux Klan in South Carolina. Ad aiutarlo arriva un poliziotto: un poliziotto afroamericano. L'immagine è diventata rapidamente u

n potentissimo simbolo dell'insensatezza del razzismo e della forza dell'integrazione. Là dove i manifestanti del Ku Klux Klan vedono un mondo in cui gli uomini vengono giudicati per il colore della loro pelle, il poliziotto (che si chiama Leroy Smith) vede un anziano in difficoltà, non si fa condizionare dalle idee che esprime e dalla maglietta che indossa, e corre a sostenerlo

Mi sono detto  Ecco un esempio del detto biblico



Se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l'altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. ...
Voi avete udito che fu detto: "Ama il tuo prossimo e odia il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi maltrattano e che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Se infatti amate quelli che vi amano, che premio ne avete? Non fanno lo stesso anche i pubblicani?
E se salutate soltanto i vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste."
(Matteo 5:39-48)
ovvero in sintesi  ama   il tuo nemico



poi  sulla pagina fb dell'unione sarda

L'agente afroamericano che aiuta un membro del Ku Klux Klan: "Era il mio dovere"

Oggi alle 10:06 - ultimo aggiornamento alle 11:57

leroy smith soccorre il manifestante
                                Leroy Smith soccorre il manifestante
Non pensa di aver fatto nulla di speciale l'alto funzionario di polizia nero che ha soccorso un militante del Ku Klux Klan con indosso una maglietta con la svastica.La foto scattata due giorni fa, quando davanti alla sede del governo e del parlamento della South Carolina il gruppo razzista ha manifestato chiedendo di rimettere al suo posto la bandiera sudista simbolo dello schiavismo, sta spopolando sul web."Sono un poliziotto e il mio dovere è aiutare le persone, indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla loro nazionalità o dal loro credo", ha commentato Leroy Smith, capo della locale agenzia di sicurezza, dicendosi sorpreso dallo scalpore che ha suscitato l'immagine scattata dal portavoce di Nikki Haley, il governatore che ha deciso di rimuovere la bandiera dopo la strage di Charleston in cui morirono nove afroamericani.Il manifestante soccorso si era sentito male per il caldo. "Spero che la foto possa contribuire a mettere fine agli scambi di odio e di violenza che ci sono stati nelle ultime settimane", ha detto il funzionario.










«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...