DAL NOSTRO INVIATO
ISOLA DI MONTECRISTO
I pulli di Berta minore crescono sereni e paciosi nei nidi artificiali predisposti per favorire la riproduzione della specie. Lì vicino i loro genitori si godono dall’alto lo spettacolo di terra e mare che regala loro lo scorcio dell’isola di Montecristo su cui si affacciano le cavità che hanno scelto come tana. Verso l’alto lo sguardo incrocia la vetta del Monte della Fortezza con i resti del monastero di San Mamiliano, che ospitò i monaci eremiti che cambiarono il nome a questa terra, indicata da greci e fenici come Monte Giove, dedicandola al figlio di Dio

. Verso il basso si posa invece su Cala Maestra, dove l’acqua turchese del mare è una tavola piatta che lascia immobili la motovedetta dei carabinieri e la motonave «Costa d’argento», le sole imbarcazioni autorizzate ad accedere alla baia, attraccate al piccolo molo. Poche decine di metri più in là l’ex casa dei pescatori accoglie i (pochi) escursionisti autorizzati a calcare il suolo di questa montagna di granito che emerge dal Tirreno su cui in molti - a partire da Alexandre Dumas che pur senza esserci mai stato vi ha ambientato il suo Conte - hanno fantasticato.

Una Berta minore sorvola Cala Maestra a Montecristo (foto di A. Sala)
Lo avevano fatto, alla fine degli anni Sessanta, anche alcuni imprenditori intenzionati a trasformare questo gioiello di natura in uno yacht club di lusso. Ma un movimento popolare affiancato anche da diversi studiosi e accademici era riuscito a far comprendere l’importanza di preservare questo scrigno di biodiversità e a vincere la battaglia per la sua conservazione: nel 1971 l’istituzione della Riserva naturale statale fece tornare nel cassetto, lasciandocelo per sempre, il progetto del resort per ricchi naviganti. Che in tanti avevano dato ormai per fatto, al punto che erano già state prodotte stoviglie di preziosa porcellana bianca con il marchio del nuovo circolo nautico, alcune delle quali sono ora in mostra nel centro visitatori dell'isola. A imperitura memoria, per raccontare quello che Montecristo avrebbe potuto diventare e che invece per fortuna oggi non è.
Oggi Montecristo è il regno della Berta minore mediterranea, nome scientifico Puffinus Yelkouan, che nel portale dedicato ai volatili da proteggere del ministero dell’Ambiente viene definita la «Signora del Mare Nostrum». Il 2% di tutta la popolazione globale di questa specie pelagica che assomiglia ad un piccolo albatros si trova qui. Al sicuro. Ma non è sempre stato così. Prima che il Parco dell’Arcipelago Toscano avviasse l’eradicazione del ratto nero, nel 2011, solo il 5% degli accoppiamenti arrivava a buon fine, ovvero allo sviluppo del pulcino e al suo involo. I ratti sono prevalentemente erbivori ma da buoni opportunisti non disdegnano di mettere in pancia qualunque cosa commestibile. E così, avendoli a portata, si nutrivano delle uova e dei piccoli appena nati, assaltando le fessure naturali del granito utilizzate dalle berte per deporre e a covare. Una scelta strategica per scongiurare gli attacchi dal cielo di quello che sarebbe stato il solo predatore naturale da queste parti, ovvero il falco pellegrino. Ma quando l’uomo ha portato sull’isola anche i ratti – involontariamente, trasportandoli nelle stive delle navi – i nostri puffinus hanno dovuto fronteggiare un nuovo e temibile nemico, di terra, contro cui poco potevano fare. Ora che questo nemico non c’è più, la percentuale di successo riproduttivo è superiore all'80%.
Cala Maestra e l'ex casa dei pescatori, oggi centro visite (foto di A. Sala)
L’isola di Montecristo è oggi un sito Natura 2000, la rete europea di circa 7 mila aree protette di interesse comunitario, ed è una delle zone pilota in cui viene sviluppato il progetto Life Sea.Net, co-finanziato dall’Ue, che ha come obiettivo l’individuazione di una strategia di gestione ottimale e replicabile per la conservazione di ambienti marini. A guidarlo c’è Legambiente, affiancata da diverse istituzioni: ministero dell’Ambiente, Ispra, due Regioni, tre aree marine protette, il Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano e anche Federpesca, perché il coinvolgimento di chi il mare lo vive ogni giorno come risorsa economica e di sussistenza è fondamentale per la sua conservazione. Basti pensare a quanto possano incidere - e quindi essere malviste in mancanza di adeguata informazione - le limitazioni previste per Montecristo, che oltre a prevedere accessi super contingentati - max 75 persone al giorno, circa 1.700 all’anno che possono muoversi solo su tre percorsi prestabiliti e scortati dalle guide del parco e dai carabinieri – non è avvicinabile a meno di un miglio dalla costa. Le sue acque sono rigidamente tutelate e la pesca o le immersioni a scopo ludico portano a denunce di tipo penale.
Carabinieri presidiano l'attracco all'isola (foto di A. Sala)
La stessa Berta, del resto, in altre zone del Mediterraneo deve fare i conti con il problema delle catture accidentali. Quando si tuffa in picchiata per pescare piccoli pesci, immergendosi in mare anche per diversi metri, rischia di restare impigliata nelle reti tese dai pescatori. O, peggio, nelle reti fantasma, quelle abbandonate o perse, che agganciandosi agli scogli o ad altri appigli sui fondali continuano a pescare anche se non c’è nessuno ad issarle, intrappolando molti animali di acqua o del cielo, che poi muoiono affogati o di inedia. Secondo la Lipu (Lega italiana per la protezione degli uccelli), dall'inizio di maggio a metà giugno di quest'anno sono stati almeno 300 gli esemplari di Berta vittime del «bycatch» lungo le coste del Lazio e della Campania. A livello europeo, sempre secondo dati Lipu, sarebbero fra i 130 e i 380 mila gli uccelli marini che muoiono a seguito di catture accidentali. Lo specchio di mare che circonda Montecristo è indenne da questo fenomeno e sotto la superficie dell’acqua custodisce una enorme biodiversità animale e vegetale che dalla cima del Belvedere, uno dei punti più panoramici raggiungibili attraverso i percorsi prestabiliti, si manifesta nei chiaroscuri di cinquanta sfumature di blu che le praterie di Posidonia disegnano sul fondo di cala Santa Maria, trecento metri più in basso.
(Berte morte sul litorale laziale - Ph Andrea Benvenuti/Lipu)
La Berta non è però la «specie bandiera» dell'isola. Lo è invece, paradossalmente, è un animale alloctono ma da secoli diventato elemento inscindibile del territorio: la Capra di Montecristo, un tipo di capra selvatica molto simile all'Egagro, originario dell'Asia centrale e considerato il progenitore di tutte le capre. Importata dai greci per scopi alimentari, non essendoci altre possibili prede da cacciare, con l'estromissione dell'uomo non ha più predatori a minacciarla ed è oggi presente in tutte le aree dell'isola, tranne che in una porzione delimitata da recinti di contenimento che racchiude il promontorio di Punta Maestra, alle spalle dell'ex Villa Reale e del giardino botanico curato dai carabinieri forestali, unica presenza umana. È la zona dove c'è maggiore concentrazione di vegetazione ad alto fusto, tra cui alcuni lecci ultra centenari, che deve essere preservata dalla voracità dei ruminanti. Oggi se ne stimano circa 130 esemplari che vivono in stato totalmente selvatico, a cui se ne aggiungono cinque trasferiti al Bioparco di Roma a scopo di conservazione. Un altro animale simbolo è la Vipera di Montecristo, sottospecie della vipera meridionale, anch'essa presente da secoli ma, come il ratto, importata accidentalmente nella stiva di qualche imbarcazione.
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Piccolo elogio al coraggio del Parma che sta prendendo Carlos Cuesta, un allenatore straniero di 29 anni
L'ormai ex secondo di Arteta all'Arsenal non ha una carriera da calciatore alle spalle ed è il più giovane tecnico nella storia recente della Serie A.
Una delle notizie di calciomercato più significative di queste ultime ore, quindi all’inizio della sessione estiva 2025, non riguarda un calciatore, né tantomeno un club di prima fascia in Serie A. Riguarda invece il Parma, che tra poche ore annuncerà l’arrivo del suo nuovo allenatore: si tratta di Carlos Cuesta, tecnico spagnolo di 29 anni reduce dalle esperienze – come assistente tecnico – nelle
giovanili dell’Atlético Madrid e della Juventus, e poi nella squadra senior dell’Arsenal, accanto a Mikel Arteta. Beh, a questo punto dovrebbe essere chiaro perché si tratti di una notizia significativa: nell’anno in cui il calcio italiano sembra aver finito gli allenatori d’élite e forse anche le idee, nell’anno in cui il Milan e la Lazio e la Fiorentina hanno pensato che non ci fossero alternative migliori rispetto ad Allegri e Sarri e Pioli, nell’anno in cui la Juventus è rimasta scottata dal mancato ritorno di Antonio Conte e solo allora ha deciso di rinnovare il contratto di Igor Tudor, l’unico vento di novità arriva da Parma.Sì, certo: anche il Cagliari ha dato un’opportunità a un tecnico giovane e allevato nel vivaio, a quel Fabio Pisacane che ha vinto la Coppa Italia con la Primavera rossoblu e che ha certamente una bella storia personale, di riscatto e di crescita. Però, possiamo dirlo: con Cuesta siamo completamente su un altro pianeta, siamo sul pianeta dell’azzardo, del rischio non calcolabile, quasi della follia, se leggiamo l’operazione attraverso la lente del giornalismo sportivo italiano – quello classico, almeno. In questo senso, basti pensare che Cuesta diventerà il secondo allenatore più giovane di sempre nella storia della Serie A, solo che il recordman – tale Elio Loschi – ha stabilito il primato nel 1939. Per trovare dei casi simili in Serie A, e in tempi relativamente recenti, bisogna arrivare fino a Bocchetti (Verona 2022) e a Stramaccioni (Inter 2012), che avevano 35 e 36 anni al momento della loro nomina ad allenatori. Allo stesso tempo, altra cosa abbastanza inusuale per il nostro calcio, Cuesta non ha una carriera da calciatore alle spalle. E non perché si sia interrotta a causa di un infortunio, tutt’altro: quando aveva 18 anni, Cuesta ha deliberatamente scelto di cominciare gli studi come tecnico. Un anno dopo, nel 2014, era già nello staff delle giovanili dell’Atlético Madrid.
Ecco, questa è un’altra ottima notizia per il nostro calcio. Il Parma, di fatto, ha aperto le porte – a livello di Serie A, quantomeno – a un allenatore non soltanto giovane, non soltanto straniero, ma anche formatosi in maniera diversa da tutti gli altri tecnici che lavorano in Italia. Nel nostro movimento, infatti, l’iter è abbastanza delineato e definito, si può dire che sia inscalfibile: un ex giocatore accede ai corsi di Coverciano, ottiene i titoli che servono per diventare allenatore e poi comincia la sua carriera, nei settori giovanili, nelle serie inferiori oppure – per i più bravi/fortunati – direttamente in Serie A. Cuesta, invece, si è formato direttamente come tecnico, come avviene da tempo in altri Paesi europei – la Germania su tutti. Questo ovviamente non significa che sia necessariamente più preparato rispetto ai suoi colleghi che hanno un background di campo, magari potrebbe anche mancargli qualcosa a livello di interazione coi calciatori. Il punto, però, sta proprio nell’accettazione della diversità, nell’abbracciare un profilo – e quindi una formula – che non appartiene alla nostra storia. Per dirla brutalmente: Cuesta non è nemmeno un allenatore à la Fàbregas, a cui il Como ha affidato il suo progetto tecnico. Nel senso che anche Fàbregas non aveva esperienza come allenatore in prima al momento della nomina, ma quantomeno aveva un certo status, una certa riconoscibilità e quindi un certo credito “gratuito”. Poi si è dimostrato pronto ad allenare ai massimi livelli, ma questo è un altro discorso.
Il Parma, quindi, ha fatto una scelta che in Serie A non si era mai vista: ha dato credito all’idea che gli allenatori del presente possano anche “nascere” in maniera diversa, passando per i vari step della carriera da coach – Cuesta ha lavorato all’Atlético e alla Juve come assistente tecnico nelle squadre giovanili, poi dal 2020 a oggi è stato secondo di Arteta – e non da un percorso consolidato; ha ripetuto, almeno in parte, la mossa già fatta a suo tempo con Maresca e poi anche con Chivu, oggi sulle panchine di Chelsea e Inter – ripetiamo: Chelsea e Inter – al Mondiale per Club; ha investito su un prospetto – e quindi su un progetto – che ha dei riferimenti forti, Arteta su tutti, riferimenti che in qualche modo andranno a urtare le fondamenta ideologiche del nostro calcio. Ben venga, però, il club che ha il coraggio di andare controcorrente, di osare, di cambiare lo status quo: le rivoluzioni vere, quelle importanti, quelle che hanno fatto la storia (non solo del calcio), sono iniziate tutte così.
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DA https://www.lifegate.it/
L’Alaska dirama per la prima volta un’allerta meteo per il caldoUn monumento nella città di Anchorage, in Alaska, dove le temperature sono particolarmente elevate in questi giorni © Hasan Akbas/Anadolu/Getty Images
17 giugno 2025,
di Andrea Barolini
Benché non si tratti di caldo record, il servizio meteorologico americano ha deciso di diramare un’allerta in Alaska: “Una presa di coscienza”.
“La nostra regione sarà interessata da un’ondata di caldo anomalo. Le persone, non abituate a queste temperature insolitamente elevate, potrebbero presentare sintomi legati a colpi di calore. Prendete le necessarie precauzioni”. A questo genere di messaggi siamo abituati. Nei periodi estivi si tratta di allarmi usuali in paesi come l’Italia, e ormai anche – sempre più spesso – nelle nazioni dell’Europa settentrionale. Anche gli Stati Uniti spesso devono fronteggiare ondate di caldo particolarmente forti. Ma questa volta l’allerta in questione assume un carattere storico: si tratta della prima volta che il National weather service (Nws) americano la dirama per l’Alaska.
Nel 2019 in Alaska il record di caldo
Non era infatti mai accaduto che un’allerta per caldo anomalo fosse diramata per lo stato più settentrionale degli Usa, situato nella estremità nordoccidentale del continente e bagnato dal Mar Glaciale Artico. Il primo avviso è stato diffuso domenica 15 giugno nella città di Fairbanks, la seconda più grande dello stato, abitata da 32mila persone, nella quale sono stati toccati gli 85 gradi Fahrenheit (29,4 gradi centigradi).
Non si tratta, in realtà, della prima volta che l’Alaska è interessato da temperature al suolo anomale durante i mesi estivi. Nel 2024 per due volte si sono superati i 90 gradi Fahrenheit, pari a 32,2 gradi centigradi. E nel 2019 un’ondata di caldo estremo portò a battere dei record assoluti a Anchorage, Fairbanks e in altre località.
Il National weather service vuole fornire più informazioni alla popolazione
A cambiare, però, è l’approccio del Nws, che punta ora a fornire maggiori informazioni alla popolazione, anche con l’obiettivo di sensibilizzare sul problema. In passato, infatti, si utilizzavano dei “comunicati meteorologici speciali”, mentre ora si adottano gli stessi messaggi di allerta del resto del territorio statunitense.
Rich Thomas, del Centro di valutazione e politiche climatiche dello stato americano, ha sottolineato in questo senso che “il caldo attuale nelle aree interne non è eccezionale o da record. C’è un nuovo strumento ufficiale, che riflette in modo più chiaro una presa di coscienza”.
“Vogliamo usare le parole giuste, in Alaska non si è abituati a queste temperature”
“Vogliamo essere sicuri di utilizzare le giuste parole e una corretta comunicazione”, ha dichiarato Alekya Srinivasan, meteorologo residente a Fairbanks, secondo quanto riportato dall’Associated Press. “Si tratta di una dichiarazione importante – ha aggiunto -. Il pubblico deve sapere che le temperature aumenteranno e che possono risultare pericolose, poiché l’Alaska non è abitato a valori così elevati”.I consigli forniti dal National weather service in caso di ondate di caldo anomaleNello stato americano i problemi di fronte alle ondate di caldo sono infatti legati alla mancanza di strumenti adeguati per difendersi: negli edifici i climatizzatori sono quasi inesistenti e, al contrario, la maggior parte delle strutture è concepita per conservare al meglio il caldo, per fronteggiare i rigidi inverni.
In Alaska case concepite per conservare il caldo
Ma non è tutto, il vicino Canada è interessato da mega-incendi e in tutto il Nord America in molte occasioni l’aria è diventata irrespirabile. Per questo le popolazioni avvolte dalle nubi di fumo sono state invitate a chiudere le finestre per limitare l’esposizione. Cosa che, in caso di ondate di caldo, rende ancor più complicato mantenere abitazioni e luoghi di lavoro a temperature accettabili.




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