3.7.08

La forza è DONNA!

betancourt-Bogotá, 25 dicembre 1961) è una politica colombiana.


Figlia di un ex ministro dell'educazione e di una ex senatrice, ha vissuto all'estero la maggior parte della propria vita, soprattutto in Francia, dove ha studiato presso l'Institut d'études politiques di Parigi.
Militante nella difesa dei diritti umani, ha fondato il partito di centro-sinistra "Partido Verde Oxígeno". È stata rapita il 23 febbraio 2002 dalla guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e liberata dalla prigionia il 2 luglio 2008, più di 6 anni dopo la data del sequestro
Ingrid nasce a Bogotá. Sua madre, Yolanda Pulecio, è un'ex Miss Colombia e una senatrice eletta dal collegio dei quartieri meridionali della capitale colombiana. Suo padre, Gabriel Betancourt, è stato ministro durante la dittatura del generale Gustavo Rojas Pinilla (1953-1957) e successivamente un diplomatico di stanza all'ambasciata di Parigi, dove Ingrid è cresciuta. Dopo essersi diplomata all'Institut d'Études Politiques de Paris (noto anche come Sciences Po), sposa un compagno di studi e hanno due figli, Melanie e Lorenzo. Attraverso il matrimonio Ingrid acquisisce anche la cittadinanza francese.
Il marito è un diplomatico francese e questo porta la coppia a vivere in diversi paesi, inclusa la Nuova Zelanda. Dopo l'omicidio di Luis Carlos Galán, candidato alle elezioni presidenziali colombiane con un programma elettorale di lotta al narcotraffico, Ingrid decide di far ritorno in Colombia (1989). Dal 1990 lavora presso il ministero delle finanze, da cui si dimette per intraprendere una carriera politica. Nella sua prima campagna elettorale distribuisce preservativi e presentando la sua candidatura come un "preservativo contro la corruzione". Il collegio sud di Bogotá la elegge, anche grazie all'aiuto della madre, ancora ben conosciuta nei quartieri, che la aiuta nella campagna elettorale.
Viene eletta nella Camera di Rappresentanti nel 1994 e lancia un proprio partito politico, il "Partido Verde Oxígeno". Durante il suo mandato critica l'amministrazione Samper, accusato di corruzione (caso Galil) e di aver accettato denaro riciclato dai narcotrafficanti durante la propria campagna elettorale. In questo periodo divorzia dal marito francese e si sposa nuovamente, con un colombiano.
Si candida senatrice alle elezioni del 1998 e in quella tornata elettorale raccoglie un numero di voti di preferenza superiore a ogni altro candidato. Riceve minacce di morte, che la spingono, attraverso l'aiuto dell'ex marito, a mandare i figli a vivere in Nuova Zelanda.
Quello stesso anno le elezioni presidenziali vengono vinte da Andrés Pastrana Arango, che ha anche il sostegno della Betancourt. Successivamente lei accuserà Pastrana di non aver mantenuto molte delle promesse fatte per ottenerne l'appoggio.
Dopo le elezioni del 1998 Ingrid scrisse un libro di memorie. Non poté essere pubblicato immediatamente in Colombia, uscì dapprima in Francia con il titolo di La rage au cœur ("La rabbia nel cuore") e successivamente in Spagna, in Colombia e nel mondo latino-americano con il titolo La rabia en el corazón e, nel 2002, in inglese col titolo Until Death Do Us Part ("Finché morte non ci separi") mentre in Italia, nello stesso anno venne pubblicato da Sonzogno, col titolo Forse mi uccideranno domani.
Come parte della sua campagna elettorale del 2002 (le elezioni vinte da Álvaro Uribe Vélez), Ingrid volle andare nella zona smilitarizzata di San Vicente del Caguán per incontrarsi con le FARC. Questa decisione non era insolita all'epoca, molti sono stati i personaggi pubblici che hanno approfittato dell'esistenza della zona smilitarizzata - creata da Pastrana per soddisfare una pre-condizione posta dalle FARC a qualsiasi negoziato - per incontrarsi con esponenti delle FARC.
Tuttavia, a tre anni di distanza dalla creazione della zona smilitarizzata e dall'avvio delle trattative, i colloqui di pace tra FARC e governo giunsero a uno stallo. Sin dall'inizio le FARC si rifiutarono di concedere una tregua durante i negoziati stessi, né vollero concedere ispezioni da parte di rappresentanti della comunità internazionale. Secondo i critici della scelta di Pastrana, la zona smilitarizzata si è trasformata in un'area sicura per le FARC, che vi hanno imposto la loro visione sociale rivoluzionaria comunista.
Nel febbraio 2002 un aereo in volo da Florencia a Bogotá (circa 1000 Km) fu dirottato da membri delle FARC e costretto ad atterrare vicino alla cittadina di Neiva, molti dei passeggeri furono sequestrati, tra cui un membro del Congresso. In conseguenza di ciò, Pastrana annullò le trattative con le FARC e revocò la zona smilitarizzata, accusando le FARC di avere rotto i termini del negoziato e di aver approfittato della zona smilitarizzata per crescere in forza mililtare e organizzazione logistica.
Nel 2002 la Betancourt era candidata alle elezioni presidenziali della Colombia e insieme ad un altro candidato, voleva visitare la zona smilitarizzata nonostante l'interruzione delle trattative e chiese di esservi portata da un aereo militare. Il presidente Pastrana e altri ufficiali rifiutarono la sua richiesta, sostenendo che né il governo né l'esercito colombiano avrebbero potuto garantire la loro sicurezza durante le operazioni militari tese a riprendere il controllo della zona. Inoltre il suo essere candidata era d'ostacolo; soddisfare la sua richiesta avrebbe anche significato che il governo in carica impiegava risorse per sostenere l'interesse politico privato dei due candidati.Vistasi negare il supporto governativo, Ingrid Betancourt decise di recarsi nella zona smilitarizzata via terra, insieme alla sua candidata-vice Clara Rojas e a un gruppo di persone del suo staff. Il 23 febbraio 2002 fu fermata dall'ultimo posto di blocco militare prima di entrare nell'ex zona smilitarizzata. Gli ufficiali insistettero per convincere il gruppo a non proseguire fino a San Vicente del Caguan, il paese usato come base degli incontri durante le trattative. Il gruppo proseguì il viaggio e la Betancourt venne trattenuta da uomini delle FARC che la tennero in ostaggio.
Il suo nome rimase in lista per le elezioni nonostante il sequestro; raccolse meno dell'1% dei voti.
Nelle prime trattative, le FARC chiesero la formalizzazione di uno scambio di prigionieri: 60 ostaggi politici contro la liberazione di 500 uomini delle FARC detenuti nelle carceri colombiane.
Inizialmente l'amministrazione del neo-eletto presidente Uribe escluse ogni trattativa in assenza di un cessate-il-fuoco preventivo e spinse per un'azione di salvataggio basata sulla forza, ma i parenti di Ingrid e di molti altri ostaggi - tenuto anche conto dell'inaccessibilità delle regioni montane e forestali dove gli ostaggi sono trattenuti - respinsero decisamente questa opzione temendone un esito infausto, simile all'episodio del sequestro del governatore del dipartimento di Antioquia, Guillermo Gaviria Correo, che le FARC uccisero non appena consapevoli della presenza dell'esercito nella loro zona.
Nell'agosto del 2004, dopo alcune false partenze e di fronte al montare delle proteste dei parenti dei sequestrati, degli ex-presidenti liberali Alfonso López Michelsen e Ernesto Samper Pizano e dell'opinione pubblica, sempre più convinta dell'opportunità e della validità umanitaria dello scambio di prigionieri, il governo Uribe sembra ammorbidire le proprie posizioni annunciando di voler porre il 23 luglio alle FARC una proposta formale di liberare 50-60 prigionieri in cambio degli ostaggi politici e militari.
Il governo si sarebbe impegnato a fare la prima mossa, rilasciando i prigionieri condannati per rivolta e concedendo loro di lasciare il paese o di aderire a programmi di reinserimento sociale. Le FARC avrebbero quindi rilasciato gli ostaggi in loro mano, tra cui Ingrid Betancourt. La proposta godeva del pubblico appoggio e del supporto dei governi francese e svizzero. La mossa venne apprezzata da diversi parenti dei sequestrati e da vari personaggi del mondo politico colombiano. Anche molti dei critici, che vi vedevano più una mossa propagandistica di Uribe, giudicarono il piano come praticabile.
Le FARC rilasciarono un comunicato il successivo 20 agosto in cui smentivano di essere state contattate in anticipo dal governo svizzero (come il governo colombiano aveva dichiarato). Nella nota auspicavano il raggiungimento di un'intesa apprezzando il fatto che il governo Uribe avesse fatto una proposta, tuttavia criticarono la proposta perché non prevedeva la possibilità ai prigionieri rilasciati di decidere di tornare a militare nelle file delle FARC.
5 settembre successivo la .....

.....stampa colombiana pubblicò quella che venne considerata una contro-proposta delle FARC. In essa si chiedeva al governo di individuare una zona franca per 72 ore di tregua, in cui i negoziatori governativi e gli ufficiali delle FARC avrebbero potuto incontrarsi faccia a faccia per discutere lo scambio di prigionieri. Il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere la località, il secondo alla trattativa ed il terzo all'abbandono dell'area da parte dei guerriglieri. Al governo fu indicata una rosa di possibili località del Dipartimento di Caquetá - Peñas Coloradas, El Rosal o La Tuna - in cui l'influenza politica delle FARC è forte e chiara. Qualcuno speculò che le FARC avrebbero potuto minare i terreni o predisporre trappole attorno alle guarnigioni militari locali durante la tregua.
La proposta delle FARC di incontrarsi col governo fu vista molto positivamente da Yolanda Pulecio, la madre di Ingrid, che vi vide un segno di "progresso",[...] "esattamente come il governo può incontrarsi con le forze paramilitari (di estrema destra), può anche incontrarsi con gli altri, che sono terroristi allo stesso modo".
Nel febbraio 2006 vi fu un appello del governo francese ad accettare uno scambio di prigionieri approvato dal governo di Bogotá e liberare i prigionieri trattenuti da meno di sette anni. Il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy disse che "era compito delle FARC dimostrare la serietà delle loro intenzioni di rilasciare l'ex candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt e altri detenuti".
In un'intervista con il giornale francese L'Humanité del giugno 2006, Raul Reyes, un leader delle FARC ebbe a dichiarare la Betancourt "sta bene, nei limiti della situazione in cui si trova. Non è facile essere privati della propria libertà". Nello stesso anno Francesco Guccini le dedica una canzone: La giungla.
Nel maggio 2007 un poliziotto sequestrato, John Frank Pinchao, è riuscito a fuggire dalla prigionia e ha dichiarato di essere stato detenuto nello stesso campo di prigionia della Betancourt. Ha inoltre visto Clara Rojas, che durante la prigionia ha dato alla luce un figlio, Emmanuel.
Il 17 maggio 2007 è stata resa nota la notizia, riportata da un poliziotto sfuggito alla prigionia, che la Betancourt sarebbe ancora viva.[1].
Il 30 novembre 2007 il governo colombiano ha dichiarato che era stato trovato un video recente con la Betancourt ancora viva[2].
Nel giugno 2008 il quotidiano italiano l'Unità l'ha proposta per il Premio Nobel per la Pace[3].
Il 2 luglio 2008 è stata resa nota la notizia della sua liberazione avvenuta per mano di una task force di forze armate colombiane.Ingrid Betancourt è libera. La notizia è stata diramata dal governo di Bogotà che ha annunciato che, oltre all'ex candidata alle elezioni presidenziali - nelle mani dei guerriglieri della Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) dal febbraio del 2002 -, sono stati riportati in libertà altri 14 ostaggi: tre cittadini americani (Thomas Howes, Keith Stansell e Marc Gonsalve) e 11 militari colombiani, che a loro volta erano finiti in tempi e modalità diverse nelle mani dei rivoltosi. «Voglio ringraziare prima di tutto Dio e i soldati colombiani» sono state le prime parole pronunciate dalla Betancourt e raccolte dall'emittente radiofonica Caracol. Un riferimento, quello religioso, ripreso poi più tardi, all'arrivo all'aeroporto di Bogotà, dove la Betancourt ha detto di provare pena per i propri carcerieri.
«NESSUNO SPARO» - «Non ci siamo resi conto di quello che succedeva, perché non c'è stato un solo sparo, non è stato ucciso nessuno, ci hanno portato fuori alla grande» ha poi raccontato la donna alla radio militare colombiana. Una dura prova che non ha eliminato la sua voglia di lottare: «Aspiro ancora alla carica di presidente della Colombia» ha detto al suo arrivo alla base militare di Catam. E ha sottolineato di volersi impegnare per gli altri ostaggi in mano alle Farc «fino a quando non saranno liberati». «Lotteremo insieme finché non saranno liberati, la comunità internazionale ci può aiutare». Poi ha esortato le Farc e il loro nuovo capo, Guillermo Leon Saenz, a «comprendere che questo è un momento storico e fare politica abbandonando le armi». Infine ha chiesto al popolo colombiano di «credere nell’esercito».








Senza titolo 656

  L'AVETE VISTO IL FILM DI PUPI AVATI UNA GITA SCOLASTICA ?  :-)


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INGRID BETANCOURT E' LIBERA


Ora firmiamo per l'assegnazione del

Amici blogger e non, se condividete la proposta del Nobel per la Pace a Ingrid, firmate e aiutateci a pubblicizzare l’iniziativa di liberacittadinanza.it. Ingrid, assieme ad Aung San Suu Kyi, sono oggi l'emblema dell'impegno per un mondo non-violento, giusto e civile. Il meglio dell'umanità affidato alle donne.
Per vincere hanno bisogno anche di noi. PASSAPAROLA

Senza titolo 655

da corriere dela sera online  di poco fa



Colombia, liberata Ingrid BetancourtLa donna è stata rilasciata assieme ad altri quattordici ostaggi che come lei erano nelle mani delle Farc




BOGOTA' (Colombia) 


Ingrid Betancourt è stata liberata. La notizia è stata diramata dal governo di Bogotà che ha annunciato che all'ex candidata alle elezioni presidenziali, che era nelle mani dei guerriglieri della Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) dal febbraio del 2002, siano stati recuperati anche altri 14 ostaggi - tre cittadini americani (Thomas Howes, Keith Stansell e Marc Gonsalve) e 11 militari colombiani - che a loro volta erano finiti nelle mani dei rivoltosi.


Gli ostaggi, dopo la liberazione, sono stati trasportati in elicottero verso San Jose del Guaviare. La Betancourt, i tre statunitensi e gli undici militari saranno poi trasferiti nella base aerea di Toleimada, nel dipartimento di Tolima, a meno di 190 chilometri da Bogotà. Secondo quanto annunciato il ministro della difesa colombiano, Manuel Santos, tutte le persone rilasciate sarebbero in buone condizioni di salute.

La Betancourt, di origini francesi, era stata sequestrata e poi trattenuta in qualche rifugio segreto nella foresta. Secondo molti il suo sequestro era stato dettato dalle campagne da lei condotte, da senatrice, contro la corruzione e il narcotraffico. E dal rischio di una sua possibile affermazione elettorale. Prima di essere rapita la donna, che già da tempo era attiva in politica, aveva pubblicato un'autobiografia dal titolo «Forse mi uccideranno domani», in cui venivano denunciati per nome e cognome molti dei politici corrotti della Colombia.
L'emittente satellitare americana Cnn ha ricordato che nei giorni scorsi si trovavano in Colombia due mediatori impegnati sul caso, uno di nazionalitá francese, l'altro svizzero. Il ministro Santos ha anche spiegato che a convincere i guerriglieri a rilasciare gli ostaggi sarebbe stato l'accerchiamento condotto dalle forze armate colombiane che avrebbero indotto le Farc a disfarsi dei prigionieri senza arrivare allo scontro. Il blitz dei militari ha dunque avuto successo. Non si hanno notizie al momento di arresti di guerriglieri. A favore della liberazione di Ingrid Betancourt, nel corso di questi anni, si erano mobilitati gruppi di pressione in tutto il mondo. E un appello per il suo rilascio era stato tra i primi atti ufficiali della coppia presidenziale francese Sarkozy-Bruni.
«E’ la notizia più bella della mia vita». Così il figlio di Ingrid Betancourt, Lorenzo Delloye, ha commentato il rilascio della madre. Diverse attestazioni di gioia e felicitazione sono arrivate dagli ambienti politici di tutto il mondo. Papa Benedetto XVI ha espresso grande soddisfazione e per suo conto il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi,ha spiegato: «E' una bella notizia e speriamo in un segnale promettente per un cammino di vera pacificazione più ampio e duraturo in tutto il Paese».


02 luglio 2008


2.7.08

MILANO CITTÀ APERTA LIBERA E ACCOGLIENTE

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano

Siamo donne e uomini, cittadini italiani e cittadini stranieri che hanno deciso di essere in piazza insieme per offrire alla nostra città una occasione di festa, di riflessione e di conoscenza reciproca.


Con tante voci vogliamo rompere il silenzio pesante che da troppo tempo incombe a Milano su episodi drammatici che per decisioni del Governo ricadono su individui e comunità che nelle nostre città hanno radicato le loro speranze di una vita migliore.


Retate sui mezzi pubblici, ronde notturne, espulsione dagli alloggi, campagne contro le moschee, sgomberi violenti, schedature etniche di Rom e Sinti: sono solo alcuni esempi di un crescendo impressionante che vede misure legislative e scelte governative che vogliono l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt fino a 18 mesi e la criminalizzazione degli irregolari.


Eppure nella nostra città la società multietnica è ormai una realtà: italiani o stranieri, cristiani, musulmani o non credenti, viviamo tutti qui, frequentiamo le stesse scuole, lavoriamo fianco a fianco e facciamo tutti la stessa fatica per tirare a fine mese.


Siamo consapevoli che Milano, come molte altre città, è attraversata da manifestazioni sempre più evidenti di disgregazione sociale che colpiscono soprattutto i quartieri periferici, ma proprio perché viviamo in questa città e ne conosciamo i problemi, siamo convinti che per farvi fronte, legalità e sicurezza non possono essere interpretate solo come controllo e repressione.


La sicurezza va intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all'educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione.


La sfida è mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di produrre solidarietà, partecipazione e rispetto dei diritti, attraverso percorsi democratici e condivisi.


Ci sono molti amministratori, forze politiche e mezzi di comunicazione che oggi continuano a seminare ostilità e conflitti, indicando negli stranieri e nei poveri il capro espiatorio per tutti i problemi sociali, economici e urbani che determinano la condizione precaria di ognuno di noi, gettando un'ombra inquietante sul presente e sul futuro della nostra comunità.


Una società che imbocca la strada della xenofobia e del razzismo diventerà sempre più insicura e invivibile, perché la sicurezza non può nascere dall'emarginazione, ma dall'accoglienza e dal riconoscimento dei diritti di tutti sulla base di valori irrinunciabili:


- i principi di uguaglianza, di rispetto delle diversità e di giustizia sociale, presenti nella Costituzione italiana, devono vivere concretamente nelle politiche e nelle azioni amministrative.
- non si possono imporre regole speciali che violino il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi.


È necessario che si levino mille e mille voci per chiedere:
- abolizione della legge Bossi - Fini perché costringe alla clandestinità
- regolarizzazione di tutti coloro che lavorano e vivono in Italia
- tempi certi e rapidi per il rilascio dei documenti senza tassazione e con trasferimento delle competenze agli enti locali
- introduzione di una legge organica per i richiedenti asilo politico e umanitario
- superamento di forme abitative ghettizzanti e su base etnica (i cosiddetti "campi nomadi"), garanzia di condizioni abitative dignitose e non discriminanti.
- no al pacchetto sicurezza
- no al reato di immigrazione clandestina
- chiusura dei CPT no alla schedatura etnica
per questi motivi vi invitiamo ad essere presenti

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano
durante il pomeriggio sono previsti interventi e spettacoli
di Djiana Pavlovic, Mohamed Ba, Tommaso Vitale

promuovono: Arci, Camera del lavoro di Milano, Centro delle Culture, ass. Dimensioni diverse, ass. Punto Rosso, SdL Intercategoriale, Mosaico interculturale, ASMP, ass. Arci Todo Cambia, ass. Arci Zagridi, Comitato "Movimento Pais", Federación ecuatoriana de asociaciones, Rete di scuole senza permesso, Circolo Arci "Blob"

partecipano inoltre: Partito Umanista; Associazione 3 febbraio; Ernesto Rossi (pres. ass. Aven Amenza); Sinistra critica, Luciano Mulbahuer (Consigliere regionale Lombardia, Prc); AceaOnlus; Massimo De Giuli; Federazione milanese PRC; CRIC; Ass. Altropallone Ads Onlus; Vittorio Agnoletto (europarlamentare); Sinistra democratica per il socialismo europeo (zona 8); Ass. per una Libera Università delle Donne; ACCESSO Coop.sociale; Alessandro Rizzo (Capo lista Uniti con Dario Fo consiglio zona 4 Milano); Comitato No Expo; Arci Corvetto; Sinistra Zona 4; Alfredo Di Sirio, portavoce Movimento studentesco di Bergamo; Casa della Sinistra


adesioni: retemigrantemilano@gmail.com



Corri verso la vita...

 



Lasciati  andare
fatti  guidare
non far sprofondare  l'anima tua
nel ventre di madre  maligna.
Allontana la mente
da  luoghi offensivi
che onore non hanno.
Cuor  tuo salva,
da  falsi,
indegni comandi!
Controlla solo  il tuo cammino,
verso monti  alti
un pò  di  pace
potrai assaporare.
Resistere non è  possibile
nel  gridare nei  venti 
 nell'ascoltarti  sofferto
deluso, malinconico.....
Mio  guerriero
mi'inchino  a te
per  l'orgoglio che  sei
non solo  per me...
corri,
corri verso la tua  vita!






finalmente un ministro serio . che bello ritorna il grembiule a scuola

 visto che molti (  geniitori , amici , compaesani    che leggono il blog  e purtroppo anche alcuni di voi  )  non capiscono  la mia ironia e auto ironia   e mi prendono sempre o molto spesso  sul serio anche quando scherzo   e  faccio satira   ,  tengo a precisare che questo post che segue    è  in chaive  grottesca e satirica   perchè  chi  di voi mi segue  attentamente o  da tempo capisce  che   non la penso cosi .


Spettabile  signora  Gelmini


mi ha fatto  molto piacere la sua ultimainiziativa  essendo tr  quelli  a che applaude all’idea. La scuola (ma quando lo capirà certa gente?) è una cosa seria, un luogo che merita rispetto; una classe non è né una discoteca, né uno stabilimento balneare. Un professore sta lì per educare (non solo insegnare) e l’educazione passa anche per l’abbigliamento. Il grembiule promuove l’immagine dell’uguaglianza tra alunni e li educa da subito a non essere schiavi del consumismo.
Tra l’altro, un recente studio, rivela che il 76,5% dei pediatri chiamati a esprimersi su questa divisa, ritiene che vada indossata anche per ragioni igieniche (è un valido strumento per bloccare il propagarsi dei virus).VIVIAMO IN un Paese dove ogni tentativo di dare una regola è considerato un attentato alla libertà, un gesto autoritario. E’ incredibile, ma è così. La scuola (piaccia o no) deve avere le sue regole, c’è già la famiglia che non le dà! E a questo proposito lancio una proposta: e se mettessimo i grembiuli anche ai genitori ?
Non si fermi solo al grembiule o alla divisa , vada avanti e si concentri anche su altre cose più urgenti . Infatti le propongo vista la sua intelligenza e sensibilità di : 1) reintrodurre l'ora di religione obbligatoria vista la crisi di presti e di parroci . 2) crocifisso a scuola visto che molti presidi laicisti non lo metto più o lo fanno togliere ; 3) il ripristino dell'inaugurazione in chiesa dell'anno scolastico e del precetto pasquale , delle visite d da parte delle scolaresche alla madonna , e del precetto natalizio . 4) l'uso di punizioni corporali o chi viene vestito senza divisa o grembiule , o usa il cellulare durante le lezioni , o chi viene a scuola con cappelli lunghi o tagliati strani , o barbe incolte 5) imparare e cantare ogni mattina prima d'iniziare le lezioni il nostro inno , fare l'alza bandiera . 6) il ripristino dell'economia domestica 7) alzarsi in piedi appena entra l'insegnate



cordiali saluti e buon lavoro










A oriente, una stella

Mi piacerebbe che a parlare compiutamente della donna (anzi, delle donne) fossero anche uomini. Non che ciò non avvenga in assoluto: anzi, quando ad aver diritto di parola erano soltanto i maschi, miriadi di libri sono stati scritti, soprattutto per dimostrare, prima filosoficamente, poi teologicamente, poi… scientificamente, che la subordinazione femminile era giusta, se non necessaria.




Come reazione, nel recentissimo passato le femministe hanno rivendicato l’esclusivo diritto di dissertare su di sé. Ora che anche tale periodo sembrerebbe superato (e lo è di fatto) avviene l’inquietante, anacronistico e intollerabile fenomeno per cui il razzismo, la globalizzazione del pianeta ecc. vengono avvertiti come problemi di tutta l’umanità, mentre la “donna” rappresenta ancora una sorta di enclave protetta (?). C’è la “pagina della donna”, che l’uomo ovviamente non legge – anni fa un periodico femminile lanciò addirittura il quotidiano per la donna, lasciando capire, anche dall’eloquentissima pubblicità che lo corredava, che i quotidiani “seri” li leggono solo gli uomini -, e c’è la cultura delle donne, considerata comunemente una sub-cultura o, al più, qualcosa d’élitario.

Di fatto, la Cultura per eccellenza continua a essere maschile, sessuata e sessista, ma non ce ne accorgiamo più. Al contrario di quanto affermava il delirante testo d’un infelice autore, sesso e potere non vanno affatto d’accordo, non in società immature come la nostra, dove certi temi erano un tempo tabù e adesso – distorta in malafede l’ansia liberatoria del ’68 – è neutralizzato da una mercificazione borghese, di cui fanno naturalmente le spese le donne e che non merita né comprensione, né rispetto. Il potere è invece sessuofobo, in quanto, come ordine costituito, non tollera la carica dirompente, l’originalità e l’irrazionalità di ogni atto sessuale. Se non può cancellarlo, lo incasella entro limiti ben definiti e guai a superarli. Pur nato da una volontà sessuata, il potere, il sentire maschile ha cercato, e vi è riuscito, di apparire “neutro”, per assurgere alla dignità di sentire umano universale.




Ora, possiamo riflettere su una donna di cultura prescindendo dal fatto che sia donna? Si dovrebbe, lo so, ma è possibile, specialmente se si tratta di una donna del passato? Il Novecento italiano ha conosciuto una fioritura di scrittrici più o meno valide, ma tutte accomunate da una sofferenza. È vero che, nei secoli, la fantasia femminile è rimasta isterilita e come raggelata, ma il suo nucleo interiore, benché ripetutamente disprezzato dagli uomini come prova di fragilità, ancora sopravvive. La scrittrice sarda Grazia Deledda [foto in alto], recentemente rivalutata dalla critica, è stata testimone di questa sofferenza, ma anche di un’ansia di riscatto. I suoi personaggi cono quasi tutte donne che vivono in un Sud arcaico e profondo, esse stesse misteriose ed enigmatiche, che lottano, e per lo più perdono, per affermare – anche inconsapevolmente, ed è questo, in fondo, che affascina di più – il diritto a esistere. Anche ad amare, certo: ad amare e a godere.


Non vi riescono non per punizione divina, né per un “tradimento” di stampo verghiano, ma, assai più laidamente, per un contesto storico ostile. Se molte di queste donne, semplici, quasi elementari, a volte, aspirano a una felicità terrena e sensuale, il concetto dell’inferiorità supinamente accolta subisce un colpo mortale. La Deledda amava profondamente gli uomini, voleva sposarsi e ci riuscì, pur con qualche difficoltà; eppure, nel postumo Cosima, scrisse: “Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e ineffabile come quello della divinità”. Tristemente, l’amore non gestito “alla pari” ha creato un’idolatria per l’uomo (maschio). Con le povere e spuntate armi dell’amore senza sesso, dell’amore-sacrificio o goffo romanticume, le donne hanno saputo giungere al Duemila. Forse, se oggi ammiriamo con rispetto lo splendido pube femminile che l’uomo Courbet ritrasse un secolo fa [a destra], lo dobbiamo anche alle inquiete isolane di Grazia Deledda.




Daniela Tuscano

 

verso la dittatura

dal cdv rearwindow.splinder.com/


«Ci sono momenti nella vita delle nazioni in cui i cittadini devono fare delle scelte. Momenti in cui non si può più fare finta di niente e continuare a credere che, in fondo, nulla veramente cambierà. Le leggi che continuamente vengono proposte dal nuovo Governo sono un attentato alla democrazia. Se passano, vincerà il regime e perderà, per un tempo indefinito, la democrazia. Non c’è bisogno dell’esercito per togliere la libertà ai cittadini. E’ sufficiente manipolare l’informazione e, grazie a questa, farsi eleggere in Parlamento. Quindi legiferare contro la Costituzione, contro l’indipendenza della magistratura, contro la sicurezza

dei cittadini, contro la libera informazione. Una legge dopo l’altra.


Cosa distingue un primo ministro di una democrazia da un dittatore? Il vero tratto distintivo è l’impunità assoluta del dittatore. Quando Silvio Berlusconi l’avrà ottenuta l’Italia sarà, a tutti gli effetti, una dittatura. [...] La storia di Berlusconi parla per lui. I suoi innumerevoli processi, la condanna per corruzione giudiziaria del suo avvocato Cesare Previti per la Mondadori, la sua appartenenza alla P2, l’occupazione abusiva delle frequenze di Rete4. L’elenco è interminabile come i danni subiti a causa sua dal nostro Paese. Mi riferisco soprattutto allo spegnersi della coscienza civica, della morale, dell’etica. All’esempio devastante che Berlusconi ha offerto alla nazione e alle giovani generazioni in quasi venti anni, un esempio aggravato dalla sua impunità. Una situazione simile a quella dei ragazzi nei paesi del Sud che ammirano il camorrista o il mafioso locale. [...]


La sospensione dei processi per un anno serve a evitare la possibile condanna di Berlusconi al processo Mills di Milano. Altri centomila processi saranno bloccati per reati che vanno dallo stupro, alla truffa, al rapimento di minore. La sicurezza dei cittadini, tanto sbandierata in campagna elettorale da Berlusconi e dalla Lega, è sacrificata all’interesse del presidente del Consiglio. Il divieto di pubblicare le intercettazioni una volta depositate in tribunale a disposizione delle parti, e quindi di fatto già pubbliche, impedirebbe di venire a sapere di Parmalat o dei furbetti del quartierino. Il giornalista che pubblicasse le intercettazioni finirebbe in carcere, il suo editore chiuderebbe e chi ha compiuto il crimine non dovrebbe rispondere all’opinione pubblica. Con questa legge, negli Stati Uniti non ci sarebbe stato il Watergate e Nixon non avrebbe rassegnato le dimissioni. L’Italia dei Valori proporrà un grappolo di referendum per l’abrogazione di queste leggi contro la democrazia, se necessario promuoverà azioni di disobbedienza civile come la pubblicazione degli atti giudiziari. Nessuno può più rimanere a guardare.


L’otto luglio a Roma dalle ore 18:00 in Piazza Navona, in contemporanea con l’iter di approvazione della legge sulle intercettazioni, l’Italia dei Valori insieme a esponenti della società civile ha indetto una manifestazione per la libertà di espressione e per la giustizia.»



 


[27.06.08  Antonio Di Pietro]



A oriente, una stella

Mi piacerebbe che a parlare compiutamente della donna (anzi, delle donne) fossero anche uomini. Non che ciò non avvenga in assoluto: anzi, quando ad aver diritto di parola erano soltanto i maschi, miriadi di libri sono stati scritti, soprattutto per dimostrare, prima filosoficamente, poi teologicamente, poi… scientificamente, che la subordinazione femminile era giusta, se non necessaria.
Come reazione, nel recentissimo passato le femministe hanno rivendicato l’esclusivo diritto di dissertare su di sé. Ora che anche tale periodo sembrerebbe superato (e lo è di fatto) avviene l’inquietante, anacronistico e intollerabile fenomeno per cui il razzismo, la globalizzazione del pianeta ecc. vengono avvertiti come problemi di tutta l’umanità, mentre la “donna” rappresenta ancora una sorta di enclave protetta (?). C’è la “pagina della donna”, che l’uomo ovviamente non legge – anni fa un periodico femminile lanciò addirittura il quotidiano per la donna, lasciando capire, anche dall’eloquentissima pubblicità che lo corredava, che i quotidiani “seri” li leggono solo gli uomini -, e c’è la cultura delle donne, considerata comunemente una sub-cultura o, al più, qualcosa d’élitario.
Di fatto, la Cultura per eccellenza continua a essere maschile, sessuata e sessista, ma non ce ne accorgiamo più. Al contrario di quanto affermava il delirante testo d’un infelice autore, sesso e potere non vanno affatto d’accordo, non in società immature come la nostra, dove certi temi erano un tempo tabù e adesso – distorta in malafede l’ansia liberatoria del ’68 – è neutralizzato da una mercificazione borghese, di cui fanno naturalmente le spese le donne e che non merita né comprensione, né rispetto. Il potere è invece sessuofobo, in quanto, come ordine costituito, non tollera la carica dirompente, l’originalità e l’irrazionalità di ogni atto sessuale. Se non può cancellarlo, lo incasella entro limiti ben definiti e guai a superarli. Pur nato da una volontà sessuata, il potere, il sentire maschile ha cercato, e vi è riuscito, di apparire “neutro”, per assurgere alla dignità di sentire umano universale.
Ora, possiamo riflettere su una donna di cultura prescindendo dal fatto che sia donna? Si dovrebbe, lo so, ma è possibile, specialmente se si tratta di una donna del passato? Il Novecento italiano ha conosciuto una fioritura di scrittrici più o meno valide, ma tutte accomunate da una sofferenza. È vero che, nei secoli, la fantasia femminile è rimasta isterilita e come raggelata, ma il suo nucleo interiore, benché ripetutamente disprezzato dagli uomini come prova di fragilità, ancora sopravvive. La scrittrice sarda Grazia Deledda [foto in alto], recentemente rivalutata dalla critica, è stata testimone di questa sofferenza, ma anche di un’ansia di riscatto. I suoi personaggi cono quasi tutte donne che vivono in un Sud arcaico e profondo, esse stesse misteriose ed enigmatiche, che lottano, e per lo più perdono, per affermare – anche inconsapevolmente, ed è questo, in fondo, che affascina di più – il diritto a esistere. Anche ad amare, certo: ad amare e a godere. Non vi riescono non per punizione divina, né per un “tradimento” di stampo verghiano, ma, assai più laidamente, per un contesto storico ostile. Se molte di queste donne, semplici, quasi elementari, a volte, aspirano a una felicità terrena e sensuale, il concetto dell’inferiorità supinamente accolta subisce un colpo mortale. La Deledda amava profondamente gli uomini, voleva sposarsi e ci riuscì, pur con qualche difficoltà; eppure, nel postumo Cosima, scrisse: “Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e ineffabile come quello della divinità”. Tristemente, l’amore non gestito “alla pari” ha creato un’idolatria per l’uomo (maschio). Con le povere e spuntate armi dell’amore senza sesso, dell’amore-sacrificio o goffo romanticume, le donne hanno saputo giungere al Duemila. Forse, se oggi ammiriamo con rispetto lo splendido pube femminile che l’uomo Courbet ritrasse un secolo fa [a destra], lo dobbiamo anche alle inquiete isolane di Grazia Deledda.
Mi piacerebbe che a parlare compiutamente della donna (anzi, delle donne) fossero anche uomini. Non che ciò non avvenga in assoluto: anzi, quando ad aver diritto di parola erano soltanto i maschi, miriadi di libri sono stati scritti, soprattutto per dimostrare, prima filosoficamente, poi teologicamente, poi… scientificamente, che la subordinazione femminile era giusta, se non necessaria.

Come reazione, nel recentissimo passato le femministe hanno rivendicato l’esclusivo diritto di dissertare su di sé. Ora che anche tale periodo sembrerebbe superato (e lo è di fatto) avviene l’inquietante, anacronistico e intollerabile fenomeno per cui il razzismo, la globalizzazione del pianeta ecc. vengono avvertiti come problemi di tutta l’umanità, mentre la “donna” rappresenta ancora una sorta di enclave protetta (?). C’è la “pagina della donna”, che l’uomo ovviamente non legge – anni fa un periodico femminile lanciò addirittura il quotidiano per la donna, lasciando capire, anche dall’eloquentissima pubblicità che lo corredava, che i quotidiani “seri” li leggono solo gli uomini -, e c’è la cultura delle donne, considerata comunemente una sub-cultura o, al più, qualcosa d’élitario.

Di fatto, la Cultura per eccellenza continua a essere maschile, sessuata e sessista, ma non ce ne accorgiamo più. Al contrario di quanto affermava il delirante testo d’un infelice autore, sesso e potere non vanno affatto d’accordo, non in società immature come la nostra, dove certi temi erano un tempo tabù e adesso – distorta in malafede l’ansia liberatoria del ’68 – è neutralizzato da una mercificazione borghese, di cui fanno naturalmente le spese le donne e che non merita né comprensione, né rispetto.

Il potere è invece sessuofobo, in quanto, come ordine costituito, non tollera la carica dirompente, l’originalità e l’irrazionalità di ogni atto sessuale. Se non può cancellarlo, lo incasella entro limiti ben definiti e guai a superarli. Pur nato da una volontà sessuata, il potere, il sentire maschile ha cercato, e vi è riuscito, di apparire “neutro”, per assurgere alla dignità di sentire umano universale.

Ora, possiamo riflettere su una donna di cultura prescindendo dal fatto che sia donna? Si dovrebbe, lo so, ma è possibile, specialmente se si tratta di una donna del passato? Il Novecento italiano ha conosciuto una fioritura di scrittrici più o meno valide, ma tutte accomunate da una sofferenza. È vero che, nei secoli, la fantasia femminile è rimasta isterilita e come raggelata, ma il suo nucleo interiore, benché ripetutamente disprezzato dagli uomini come prova di fragilità, ancora sopravvive. La scrittrice sarda Grazia Deledda, recentemente rivalutata dalla critica, è stata testimone di questa sofferenza, ma anche di un’ansia di riscatto. I suoi personaggi cono quasi tutte donne che vivono in un Sud arcaico e profondo, esse stesse misteriose ed enigmatiche, che lottano, e per lo più perdono, per affermare – anche inconsapevolmente, ed è questo, in fondo, che affascina di più – il diritto a esistere. Anche ad amare, certo: ad amare e a godere. Non vi riescono non per punizione divina, né per un “tradimento” di stampo verghiano, ma, assai più laidamente, per un contesto storico ostile. Se molte di queste donne, semplici, quasi elementari, a volte, aspirano a una felicità terrena e sensuale, il concetto dell’inferiorità supinamente accolta subisce un colpo mortale. La Deledda amava profondamente gli uomini, voleva sposarsi e ci riuscì, pur con qualche difficoltà; eppure, nel postumo Cosima, scrisse: “Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e ineffabile come quello della divinità”. Tristemente, l’amore non gestito “alla pari” ha creato un’idolatria per l’uomo (maschio). Con le povere e spuntate armi dell’amore senza sesso, dell’amore-sacrificio o goffo romanticume, le donne hanno saputo giungere al Duemila. Forse, se oggi ammiriamo con rispetto lo splendido pube femminile che l’uomo Courbet ritrasse un secolo fa, lo dobbiamo anche alle inquiete isolane di Grazia Deledda.

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SEGRETI BANCARI: GLI ISTITUTI DI CREDITO SPARISCONO
DALLA RELAZIONE SUL COMMERCIO DELLE ARMI




34509. ROMA-ADISTA. Diventa un po’ meno trasparente il commercio di armi italiane nel mondo: è infatti scomparso dalla Relazione del governo sulle esportazioni di armi – da poco trasmessa al Senato dalla Presidenza del Consiglio – un importante allegato che riporta le singole operazioni finanziarie autorizzate e compiute dalle banche in appoggio alle aziende che hanno venduto armi nel corso del 2007. Si potrà quindi continuare a sapere a quali Paesi sono stati venduti armi e sistemi d’arma, ma sarà impossibile conoscere nei dettagli le banche coinvolte e il valore di tali operazioni. Si tratta di un colpo basso assestato alla “Campagna di pressione alle banche armate” – promossa dalle riviste Mosaico di Pace, Nigrizia e Missione Oggi che da oltre 7 anni ha contribuito a stimolare la responsabilità sociale degli istituti di credito (v. Adista nn. 35/00, 49 e 61/01, 31/04, 7/06, 11 e 13/07) – e, nello stesso tempo, di un favore non da poco alle stesse banche e alle industrie armiere che mal sopportano di essere controllate da associazioni e cittadini in un regime di piena trasparenza.


Del resto Silvio Berlusconi l’aveva promesso tre anni fa, in occasione della presentazione della RelazioneRelazione di allora, avrebbero avuto “notevoli difficoltà” a trovare banche italiane disposte ad effettuare transazioni (tanto da costringerle a lavorare con istituti di credito esteri) poiché, “pur di non essere catalogate fra le cosiddette ‘banche armate’, hanno deciso di non effettuare più o, quantomeno, limitare significativamente le operazioni bancarie connesse con l'importazione o l'esportazione di materiali d'armamento”. Per cui, proseguiva la Relazione del governo, “il ministero dell'Economia e delle Finanze ha recentemente prospettato una possibile soluzione che sarà quanto prima esaminata a livello interministeriale” (v. Adista n. 33/05). Ed oggi, a tre anni di distanza – anche perché nel 2006, chiusa la legislatura, Berlusconi perse le elezioni e non poté dare seguito agli annunci – si capisce bene quale fosse la “possibile soluzione” prospettata nel 2005 ma mai realizzata: la riduzione della trasparenza per togliere le banche dalla graticola del continuo controllo dei cittadini. del 2005, relativa alle vendite di armi durante il 2004. Le industrie armiere infatti, si leggeva nella


Cosa potrebbe essere accaduto lo spiega in un’intervista a Nimedia (Nigrizia Multimedia, il portale multimediale dei comboniani) Alfiero Grandi, ex sottosegretario all'Economia del governo Prodi, che negli ultimi anni ha sempre accettato di buon grado il dialogo e il confronto con gli esponenti della Campagna ‘Banche armate’ e con la Rete italiana Disarmo, fino all’ultimo incontro, lo scorso 28 marzo, in cui vennero presentate le anticipazioni della Relazione stessa (v. Adista n. 31/08). Le interpretazioni possibili sono due, dice Grandi, “una benevola e una meno benevola: la prima che sia stata una dimenticanza, e quella più malevola è che nel passaggio tra un governo e l'altro qualcuno si sia volontariamente dimenticato di allegare questa relazione”. “Temo che sia intervenuta ‘la manina’”, aggiunge, “e abbia deciso di escludere una parte che invece è parte integrante e va assolutamente inserita”.


Immediata la reazione delle riviste animatrici della Campagna che, in una lettera firmata dai tre direttori – il saveriano p. Nicola Colasuonno di Missione Oggi e i comboniani p. Franco Moretti di Nigrizia e p. Alex Zanotelli di Mosaico di Pace – e indirizzata al presidente del Consiglio Berlusconi e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti, protestano per la “grave e indebita modifica apportata nell’ultima Relazione” sulle esportazioni di armi e chiedono l’immediata pubblicazione dell’allegato rimosso. Si tratta di “un elenco importantissimo per la nostra campagna, per tutte le associazioni della società civile e per i singoli correntisti per poter verificare se le direttive e policy emanate negli ultimi anni da diverse e importanti banche italiane in relazione ai servizi d’appoggio al commercio di armi sono effettivamente attuate – spiega Giorgio Beretta, coordinatore nazionale della campagna di pressione alle ‘banche armate’ –. Senza questo elenco di dettaglio sull’attività degli istituti di credito, infatti, l’unica cosa che si può sapere dalla Relazione del Tesoro è l’ammontare complessivo del valore delle autorizzazioni rilasciate alle banche: un dato che, non specificando con quali Paesi hanno in corso operazioni relative all’esportazione di armi italiane, inevitabilmente le mette tutte sullo stesso piano, come banche corresponsabili del commercio di armi”.


Ma forse, con l’arma della confusione, si vuole proprio minare la trasparenza e aiutare le banche a confondersi, diluendo così la loro responsabilità individuale. “Se diciamo che un'azienda militare esporta armi, beh è il suo mestiere, no?”, si legge in un editoriale congiunto di Missione Oggi, Nigrizia e Mosaico di Pace. “Ma se diciamo che la banca che sta proprio sotto casa mia, quella che aiuta anche le associazioni che scavano i pozzi nel Sahel assetato, è anche la banca d'appoggio per la compravendita di armi (autorizzata certo) qualche problema si pone, no? Se poi si scopre che ci ricava pure dei ‘compensi di intermediazione’ – più lauti più il Paese verso cui offre le sue funzioni è povero – il problema si complica. E forse è meglio non farlo sapere troppo in giro”. (luca kocci)


 


http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=43020




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  03 / 07 / 2008 / S. TOMMASO !  CORDIALI AUGUIRI DA LUCKY !  :-)


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Lettara aperta del presidente della Bolivia Evo Morales ai governi Europei

Lettera aperta del presidente della Bolivia Evo Morales ai governi europei a proposito della Direttiva rimpatrio, in cui ricorda quando erano gli europei a migrare, in America del nord e in America latina.





Evo Morales"Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Europa fu un continente d’emigranti.  Decine di milioni di europei partirono verso  l’America per colonizzare, sfuggire alla miseria, alle crisi finanziarie, alle guerre, ai totalitarismi europei ad alle  persecuzioni inflitte alle minoranze etniche.
Oggi, sto seguendo con molta preoccupazione il processo d’approvazione della cosiddetta «direttiva rimpatrio». Il testo convalidato, passato il 5 giugno dai Ministri degli interni dei 27 paesi dell’Unione Europea, dovrà essere sottoposto al voto del Parlamento Europeo il 18 giugno.  Ho l’impressione che questa direttiva indurisca in maniera drastica le condizioni di detenzione e d’espulsione degli emigranti senza documenti, indipendentemente dal loro tempo di permanenza nei paesi europei, dalla loro condizione lavorativa, dai loro legami familiari, dalla loro volontà  d’integrazione e dal raggiungimento della stessa.


Gli Europei giunsero in massa nei paesi latino americani ed in America settentrionale, senza visto e senza alcuna condizione imposta dalle autorità. Furono sempre i benvenuti e continuano ad esserlo, all’interno dei nostri paesi del Continente Americano, che assorbirono  la miseria economica dell’ Europa e le sue crisi politiche.  Vennero al nostro Continente a sfruttare le ricchezze locali e trasferirle in Europa, con altissimo costo per le popolazioni originarie d’America.  Come nel caso del nostro Cerro Rico di Potosi e delle sue favolose miniere d’argento che permise di dare massa monetaria al Continente  Europeo dal secolo XVI fino allo XIX. Le persone, i beni ed i diritti dei migranti europei furono sempre rispettati. 
Oggi l’Unione Europea é la destinazione principale degli emigranti di tutto il mondo, fatto questo, dovuto alla sua immagine positiva di spazio di prosperità e di libertà pubbliche. La stragrande maggioranza dei migranti giunge nell’Unione Europea per contribuire a questa prosperità, non per approfittarsi.  Svolgono i lavori delle opere pubbliche, nell'edilizia, nei servizi alle persone e negli ospedali, lavori che non vogliono svolgere gli europei.  Contribuiscono al dinamismo demografico del continente europeo, a mantenere le relazioni tra attivi e inattivi che fanno possibili i suoi generosi sistemi di sicurezza sociale e fanno diventare dinamico il mercato interno e la coesione sociale.  I migranti offrono una soluzione ai problemi demografici e finanziari dell’Ue. 
Per noi, i nostri migranti rappresentano l’aiuto allo sviluppo che gli Europei non ci concedono, dato che ben pochi paesi raggiungono realmente il minimo obbiettivo dello 0,7%  del loro prodotto interno lordo nell’aiuto allo sviluppo. L' America Latina ha ricevuto nel 2006 68.000 milioni di dollari in bonifici, in altre parole più del totale degli investimenti stranieri nei nostri paesi.  A livello mondiale raggiungono 300.000 milioni di dollari, che superano i 104.000 milioni concessi per la cooperazione allo sviluppo Il mio paese, la Bolivia, ricevette rimesse superiori al 10% del proprio PIL (1.100 milioni di dollari) e pari a un terzo delle nostre esportazioni annuali di gas.
Questo significa che i flussi migratori sono benefici molto per gli Europei ed in maniera marginale per noi del Terzo Mondo, dal momento che allo stesso tempo perdiamo contingenti di mano d’opera qualificata formata da milioni di persone nelle quali i nostri Stati, benché poveri, hanno investito in una forma o nell’altra importanti risorse umane e finanziarie. 
Purtroppo, il progetto di “direttiva rimpatrio” complica terribilmente questa realtà. Se concepiamo che ogni Stato o gruppi di Stati possono definire le loro politiche migratorie in piena sovranità, non possiamo accettare che i diritti fondamentali delle persone siano negati ai nostri compatrioti e fratelli latinoamericani.  La “direttiva rimpatrio” prevede la possibilità di una carcerazione dei migranti indocumentati fino a 18 mesi prima della loro espulsione o “allontanamento”, secondo il termine della direttiva. 18 mesi! Senza giudizio né giustizia! Tale come esiste oggi, il progetto di testo della Direttiva viola chiaramente gli articoli 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 9 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.  Ed in particolare l’articolo 13 della Dichiarazione che dice: 



  1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.


  2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.


E peggio di tutto, esiste anche la possibilità di incarcerare madri di famiglia e i minori d’età, senza prendere in considerazione la loro situazione familiare o scolastica, in questi centri d’internamento che, come sappiamo, vedono depressioni, scioperi della fame, suicidi . Come possiamo accettare senza reagire che siano concentrati  in campi compatriote e fratelli latinoamericani senza documenti tra i quali la gran maggioranza sta da anni lavorando ed integrandosi?  Da che parte sta oggigiorno il dovere di ingerenza umanitaria? Dove risiede la libertà di circolare e la protezione contro le detenzioni arbitrarie? 
Allo stesso tempo l’Unione Europea cerca di convincere la Comunità Andina delle Nazioni (Bolivia, Colombia, Ecuador e Peru) a firmare un “Accordo d’Associazione” che prevede un Trattato di Libero Commercio, la cui natura ed il cui contenuto sono uguali a quelli imposti dagli Stati Uniti.  Siamo sottoposti ad una grande pressione da parte della Commissione Europea affinché vengano accettate condizioni di profonda liberalizzazione del commercio, dei servizi finanziari, della proprietà intellettuale e dei nostri servizi pubblici. Inoltre, a titolo di “protezione giuridica”, siamo sottoposti a continue pressioni a causa del processo di nazionalizzazione dell’acqua, del gas e delle telecomunicazioni, realizzato durante la giornata mondiale dei lavoratori. Chiedo, in questo caso: dove risiede la “sicurezza giuridica” per le nostre donne, gli adolescenti, i bambini ed i lavoratori che cercano orizzonti migliori in Europa? 
Promuovere la libertà di circolazione delle merci e delle finanze mentre di fronte vediamo incarceramenti senza giudizio per i nostri fratelli che cercano di circolare liberamente.  Questo è negare i fondamenti della liberta e dei diritti democratici. 
A queste condizioni, nel caso in cui la “direttiva rimpatrio” venga approvata, ci troveremmo nell’impossibilità etica di approfondire le negoziazioni con l’Unione Europea e ci riserviamo  il diritto di applicare nei confronti dei cittadini europei le stesse obbligazioni in materia di visti che vengono imposte a noi boliviani dal primo di aprile 2007, sulla base del principio diplomatico della reciprocità. Non lo abbiamo esercitato fino ad ora nell’intento d’attendere giustamente dei segnali positivi da parte dell’Unione Europea.
Il mondo, i suoi continenti, i suoi oceani ed i suoi poli conoscono importanti difficoltà globali: il riscaldamento climatico, l’inquinamento, la sparizione lenta ma sicura delle risorse energetiche e delle biodiversità mentre allo stesso tempo aumentano la fame e la povertà in tutti i paesi, rendendo più fragili le nostre società. Fare degli emigranti, con o senza documenti, i capri espiatori di questi problemi globali non è una soluzione.
Non corrisponde a nessuna realtà. I problemi di coesione sociale di cui soffre l’Europa non sono imputabili agli emigranti ma sono il frutto del modello di sviluppo imposto dal Nord, che distrugge il pianeta e smembra le società umane.   
                    
A nome del popolo Boliviano, di tutti i miei fratelli del continente e delle regioni del mondo quali il Maghreb ed i paesi africani, mi appello alla coscienza dei leader e dei deputati europei, dei popoli, dei cittadini e degli attivisti d’Europa, affinché il testo della “direttiva rimpatrio” non venga approvato. La direttiva, così come la conosciamo oggi, é una direttiva della vergogna. Invito anche l’Unione Europea a elaborare nei prossimi mesi una politica sull’immigrazione rispettosa dei diritti umani, che permetta il mantenimento di questo dinamismo vantaggioso per entrambi i continenti e che onori, una volta per tutte, il tremendo debito storico, economico ed ecologico che i paesi europei hanno con la maggior parte del terzo mondo, affinché si chiudano, una buona volta, le ferite ancora aperte dell’America Latina. Oggi, non potete fallire nelle vostre “politiche di integrazione” così come avete fallito nella vostra pretesa “missione civilizzatrice” al tempo delle colonie.
                 
           

Ricevete tutti voi, autorità, europarlamentari, compagne e compagni i saluti fraterni dalla Bolivia.  Ed in particolar modo la nostra solidarietà a tutti i “clandestini”.
 
                                                                           

Evo Morales Ayma
Presidente della Repubblica

Telefoni muti

È come stare ad aspettare una telefonata. Non puoi fare nulla, puoi solo aspettare e sperare che l'attesa non sia troppo lunga. Puoi guardare il telefono o puoi guardare fuori.

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  L'AVETE LETTO MAI IL FUMETTO VOLPETTO ?  :-)


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Una mia ricetta

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Vabbè, lo so, che dimentico sempre, gli anni che ho. Sono una nonna un po' pazzerella, salgo sui monti, perchè mi manca una rotella. Quando piove, cammino sotto la pioggia, senza l' ombrello, mi lavo e dal sole, mi lascio con amore asciugare. Canto con i grilli e le cicale, parlo con i fiori e con gli animali. Quando soffia il vento, felice sotto la veste, lo faccio entrare, in una danza, mi lascio accompagnare. Sono una principessa, amica delle fate e dei folletti, i parenti  mi dicono: "ma tu, non sei normale". Vabbè, perdonatemi, che ci posso fare, voglio ancora, per un po' restare in mezzo al bosco a giocare e scusatemi, se dimentico sempre, gli anni che ho. Franca Bassi

«Con semplicità e veemenza – In simplicitate, vehementer!»

Genova, 1 luglio 2008 – Il «Decreto di polizia relativo al marchio di identificazione degli Ebrei» del 1 settembre 1941 in attuazione del «Primo decreto supplementare alla legge sulla cittadinanza tedesca del 14 novembre 1935» così sancisce: «Art. 1. (a) Agli Ebrei di età superiore ai sei anni, è proibito mostrarsi in pubblico senza il simbolo giudeo della Stella di Davide. (b) Tale simbolo è rappresentato da una stella a sei punte di stoffa gialla bordata di nero, di formato equivalente al palmo di una mano. In essa deve essere inscritta, a caratteri neri, la parola "GIUDEO". La stella deve essere cucita sul lato sinistro del petto degli abiti in modo ben visibile. Art. 2. Agli Ebrei è proibito: (a) uscire dall’area in cui risiedono senza un permesso scritto rilasciato dalla Polizia locale; (b) indossare medaglie, decorazioni, o altre mostrine». Questo accadeva 70 anni fa ad opera di uno che la storia ha classificato come pazzo e genocida, supportato dal governo di Mussolini, i cui epigono sono oggi al governo in Italia.
A 70 anni di stanza, oggi, in Italia, il governo di un signore, psicologicamente tarato, appena reduce dal baciamano del papa a cui ha profuso la sua fedeltà ai principi della Chiesa, per mezzo del suo ministro degli interni vara una norma che impone l’assunzione delle impronte digitali ai bambini «rom». Siamo ripiombati con veemenza indietro di oltre 70 anni in pieno delirio nazifascista. Logicamente questo provvedimento serve a tutelare i bambini stranieri dal male italiano che li circonda. Se mai è esistita una civiltà cristiana, oggi crolla sulle impronte dei Rom come ieri è crollata sulle stelle gialle degli Ebrei. Il settimanale «Famiglia cristiana» che contribuì alla caduta di Prodi e alla sconfitta di Veltroni, ha perso i gangheri e oggi parla di «indecenza» e richiama il ludibrio a cui furono sottoposti gli Ebrei da Hitler prima e da Mussolini poi fino al genocidio di Stato. La Chiesa ancora oggi paga un prezzo esorbitante e si discute sul suo «silenzio» di fronte all’olocausto dell’Agnello di Dio. Non si può tacere. Non si deve tacere perché tacere per un cristiano e per un uomo degno di questo nome è complicità, connivenza e correità. Chi tace è doppiamente colpevole: davanti alla propria coscienza e davanti alla Storia.
Il papa tedesco che da giovane, come egli stesso ha ammesso, gli hanno rubato la gioventù costringendolo a militare nell’esercito demoniaco nazista, dovrebbe essere edotto più di ogni altro e più di ogni altro dovrebbe gridare opportune, inopportune che nessun governo per alcun motivo può schedare nessuno. Il papa ha ricevuto Berlusconi con le fanfare e gli ha anche regalato la penna d’oro con la quale forse il pio devoto, già P2 e massone, firma i decreti immorali che negano alla radice la ragione cristiana dell’agire politico e civile. Sappiamo anche che il papa il 29 giugno 2008 ha sfoggiato un nuovo look, mostrando alle golose tv il nuovo design del pallio giurisdizionale e la vecchia ferula di Pio IX, in sostituzione del pastorale col Crocifisso in uso da Paolo VI. Che anche il papa sia diventato musulmano dal momento che toglie il crocifisso dal suo pastorale? Il ritorno all’uso di Pio IX è altamente simbolico per quello che si prepara nei prossimi. Oggi intanto è un grande balzo in avanti verso l’oscurantismo irrazionale dei tempi passati? I difensori della civiltà cristiana che tuonano sui segni della civiltà, non hanno niente da dire?
Negli stessi giorni lo stesso papa riceveva in visita privata il sindaco di Roma con moglie «invelettata nera» alla mussulmana: forse si sono dimenticati di dirgli che il sindaco è discendente diretto e orgoglioso di quel partito fascista che in Italia varò le leggi razziali contro Ebrei, zingari, omosessuali e altre minoranze. Poiché però era impegnato a rifare il suo guardaroba e a contar cappelli, palli, ferule e messe in latino, probabilmente il papa ha delegato Famiglia Cristiana a parlare in suo nome, visto che è stata la prima presa di posizione decisa e ufficiale di un organo «cattolico» significativo. Ora aspettiamo che, finita la ricognizione canonica del guardaroba, papa, cardinali, curia romana, cei e affini, gridino all’universo mondo che «comunque si giri la frittata, prendere le impronte digitali, o imporre un qualsiasi segno distintivo dell’identità personale o etnica è un attentato alla Maestà di Dio e ad ogni persona che ne è l’immagine sulla terra. Chiunque lede la dignità umana di chiunque cessa di essere cristiano, si esclude dai sacramenti e dalla grazia di Dio. Come e peggio dei divorziati. Chi pecca contro la persona, immagine di Dio, si scomunica da solo perché se ciò vale per gli embrioni, a maggior ragione vale per le persone, qualunque sia lo stato sociale, giuridico o morale (innocente, colpevole, delinquente, deviato, depravato, santo, peccatore, puro, lercio, ecc.)».
Per porre un segno contro questa ignominia aberrante, da domenica prossima, 6 luglio 2008, celebrerò la Messa con la stola viola in segno di lutto e con incisa su di essa la stella di Davide gialla come promemoria profetico di rifiuto in nome di Dio e della mia coscienza di questa indegna indecenza che deturpa in modo irreversibile la dignità civile, giuridica, morale e cristiana del mondo intero. La stola è la stessa che feci fare per solidarietà al popolo d’Israele, quando esigeva una patria nella sua terra di origine. Oggi quella stola che ha difeso i Giudei, difende i Palestinesi e i Rom. Sul mio altare da oltre trent’anni è accesa la menoràh ebraica per ricordarmi sempre che Gesù è un Ebreo di nascita, un Giudeo di cultura ed etnia e che se vivesse oggi, il governo Berlusconi gli prenderebbe le impronte digitali, lo marchierebbe a fuoco giallo e lo dichiarerebbe extracomunitario irregolare, dopo essersi profuso in baciamano al papa. Peccato che il papa e i cardinali e i vescovi non guidino la macchina e quindi non sappiano che la targa vaticana, SCV, è un acronimo, scoperto da Giuda e tenuto nascosto perché significherebbe: «Se Cristo Vedesse!».

Note a làtere: Quanto a Veltroni, il Uolter ombra, non possiamo che prendere atto: Requiem aeternam…! Amen.


Paolo Farinella, prete






1.7.08

Musa- Marlene Kuntz dedicato a voi tutti \e



MUSICA IN DIFESA DEL DIRITTO AL LAVORO

COMUNICATO STAMPA



Mondo Senza Guerre e il Club Umanista del Politecnico di Milano organizzano giovedì 3 luglio dalle 21.00 in piazza Leonardo da Vinci il festival


 Pericolo caduta diritti, musica in difesa dei diritti umani


 


Il Festival giunge alla sua settima edizione e quest’anno ospita sul palco del Politecnico di Milano la musica coinvolgente di Cisco e dei Porto Flamingo.


 


Tema centrale della serata di giovedì 3 luglio, dalle ore 21, in piazza Leonardo da Vinci sarà:


IL LAVORO MOBILITA L'UOMO, questo mondo precario, difficile e lontano.


 


Mondo Senza Guerre, da sempre attiva nel campo dei diritti umani, dedica questa serata al lavoro perché esso è un dovere e un diritto di tutta l'umanità:


L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.” (Principi Fondamentali, art.1 della Costituzione Italiana).


 


N.B. In caso di pioggia il concerto si terrà nel patio di Architettura


 


Emiliano Cristilli


Ufficio Stampa Mondo Senza Guerre


3358328199_ emiliano@pressenza.org






Solidarietà ai sans-papier in sciopero della fame a Bruxelles

Oltre a partecipare a Bruxelles all’Agorà sui cambiamenti climatici, Giorgio Schultze, portavoce europeo del Nuovo Umanesimo, accompagnato da una delegazione di umanisti di vari paesi europei, ha visitato 140 immigrati irregolari in sciopero della fame da oltre un mese nella chiesa di Beguinage, con la richiesta di essere regolarizzati. 
La delegazione è rimasta fortemente colpita dalla notizia che, a parte gli
umanisti belgi, nessuna forza sociale o politica ha manifestato il suo appoggio ai sans-papier e non c’è quasi stato spazio sulla stampa.
Gli umanisti hanno promesso di denunciare la situazione. Una lettera di protesta è stata inviata da tutta l’Europa alle ambasciate e ai ministri belgi.










Ecco la dichiarazione di Giorgio Schultze:



“I sans-papier in sciopero della fame dall’8 maggio nella chiesa di Béguinage a Bruxelles hanno mostrato un coraggio e una determinazione che meritano riconoscimento e rispetto.
Le autorità belghe hanno lasciato deteriorare la situazione, senza reagire né mostrare il minimo interesse ad aprire un dialogo. L’assistenza medica agli immigrati in sciopero della fame è insufficiente e le promesse di appoggio fatte dalle autorità locali non sono state mantenute. Questo atteggiamento è inumano, irresponsabile ed inaccettabile.
Dopo trenta giorni di sciopero della fame, il rischio di conseguenze irreversibili aumenta e gli scioperanti rischiano di morire.
Non aprire subito il dialogo significa non dare assistenza a persone in pericolo.
Chiedo alle autorità belghe di aprire subito il dialogo con gli immigrati in sciopero della fame, in modo da trovare una soluzione giusta e umana all’angoscia che stanno esprimendo con tanto coraggio.
Chiedo al governo di prendere provvedimenti per regolarizzare la situazione dei san-papier, con l’obiettivo di eliminare queste situazioni indegne di un paese democratico, firmatario della Dichiarazione Universale dei diritti umani.”

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  Gerundio presente!


Ridendo
Insistendo
Sostando
Potando
Optando
Lavorando
Varcando
Entrando
Rimando
Aspettando
Nuotando
Dormendo
Occupando

Giorgio Schultze dal 1° Giugno è in sciopero della fame in protesta contro lo scudo spaziale

 



Giorgio SchultzeIl giorno 1 Giugno 2008, Giorgio Schultze, portavoce europeo del Nuovo Umanesimo, ha iniziato lo sciopero della fame dandosi il cambio con Jan Tamas e Jan Bednar che hanno dovuto interrompere il digiuno dopo 20 giorni a causa dell'aggravarsi delle loro condizioni di salute.
La protesta contro lo scudo spaziale americano si sta allargando in tutto il mondo. Oggi Giorgio Schultze si unisce a Jan Tamas e Jan Bednar a Praga, Federica Fratini ed Edoardo Calizza a Roma, Dino Mancarella a Trieste, Ivan Marchetti e Andrea Casa a Torino, Joaquin Valenzuela a Bologna, José Alvarez a Ferrol, in Spagna, Dr. Hassan Nayeb Hashem in Austria, Bruce Gagnon a Brunswick, nel Maine (USA), Sung-Hee Choi a New York, Gareth Smith in Australia e a molti altri che dal 13 maggio scorso fanno digiuni a staffetta e organizzando iniziative di denuncia e sensibilizzazione.

«Si tratta di una protesta nonviolenta per denunciare una delle maggiori violenze del momento attuale» spiega Schultze. «La silenziosa minaccia di una nuova guerra fredda, di una folle corsa al riarmo scatenata dal piano degli Stati Uniti di installare nel cuore dell'Europa, in Repubblica Ceca e in Polonia, delle basi militari di difesa anti-missilistica, che in realtà costituiscono un'arma di attacco e il primo passo per il controllo e la militarizzazione dello spazio. Tutto questo nel silenzio complice dei governi, che stipulano accordi segreti e proseguono le trattative con gli Stati Uniti nonostante l'opposizione della stragrande maggioranza della popolazione, come succede in Repubblica Ceca. Dall'inizio di questa protesta continuano ad arrivare messaggi di appoggio e solidarietà da tutto il mondo (vedi http://www.nonviolenza.net/ ) e tra questi voglio sottolineare l'adesione degli europarlamentari Giulietto Chiesa, Luisa Morgantini, Roberto Musacchio, Vittorio Agnoletto e l'Alleanza della Sinistra Verde Nordica (NGLA), che si differenziano così dal silenzio del Parlamento europeo sul tema dello scudo. Ritengo fondamentale una presa di posizione del Parlamento europeo, quindi il 12/13 giugno mi recherò con una delegazione europea a Bruxelles in occasione dell'Agora sul Clima e chiederò un incontro con il Presidente e Vice-Presidente e una sessione plenaria a cui portare le ragioni di questo vasto movimento di protesta contro lo scudo, con l'obiettivo di bloccare questo pericoloso progetto in quanto mette in pericolo la pace e la coesistenza dei nostri popoli.»
Non vogliamo nuove basi militari di potenze straniere sul territorio europeo, né l'allargamento di quelle già esistenti. Vogliamo lo smantellamento di tutti gli arsenali nucleari.






Ma cosa intendiamo per sicurezza?

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La sicurezza andrebbe intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all’educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione in altre parole il diritto alla vita.

La sicurezza è uno dei mezzi principali della realizzazione della politica sovrana che risponde agli interessi di ogni persona e di tutta la società in generale. La sicurezza comprende la pace e lo sviluppo stabile e progressivo della personalità e della società.

I regimi autoritari confondono l'orientamento della sicurezza, attribuendole il senso contrario di conservazione dello status quo mediante qualunque mezzo.
Questo si esprime chiaramente nel “pacchetto sicurezza” varato da poco, che cerca di giustificare le proprie violazioni ai diritti umani, mascherando gli interessi dei gruppi dominanti ed esaltando pregiudizi, xenofobia e militarismo.

Questo “pacchetto sicurezza” che sta minando alla base i diritti civili della nostra società, assomiglia troppo alle leggi razziali varate negli anni venti del secolo scorso dal regime fascista.

Prevede la possibilità di schedare senza alcun motivo cittadini italiani (abbiamo visto in questi giorni la schedatura di Rom italiani che non hanno commesso nessun reato) Insinua la possibilità di creare un diritto speciale per alcune categorie di persone (nella fattispecie gli immigrati), cosa assolutamente incompatibile col nostro sistema giuridico che prevede l’uguaglianza delle persone di fronte alla legge.


Inoltre apre la porta alla violenza bruta di gruppi estremisti che hanno preso la palla al balzo, perpetrando violenze inaudite a danni di gente indifesa, e che una volta innescata, sarà molto difficile da fermare.

Non si capisce inoltre la fretta, l’urgenza e la straordinarietà di questo decreto, quando vediamo di giorno in giorno aumentare il prezzo dei beni di prima necessità, la precarietà e l’insicurezza sul lavoro si fanno sempre più manifesti mentre si vanno via via smantellando i diritti acquisiti relativi alla salute, al lavoro, alla pensione, alla casa ecc.

Ma il fatto davvero sconcertante è il silenzio e l’approvazione della gente comune, condizionata dal razzismo diffuso dalla campagna mediatica degli ultimi tempi, che vuole paragonare ogni straniero ad un potenziale criminale, quando sappiamo bene che questa situazione è creata ad arte dai gruppi di potere economico.Questi, che inneggiano alla legalità, sono gli stessi che vogliono mano d’opera a bassissimo costo, ricattabile da ogni punto di vista e senza nessuna tutela. Vogliono schiavi.In questo vortice del tutti contro tutti non saranno solo gli immigrati a farne le spese, ma tutta la società civile.

Per questo motivo il Centro delle Culture e il Partito Umanista respingono questa repressiva concezione della sicurezza nazionale.



Partito Umanista Milano

TRACCE SULLA SABBIA

TRACCE SULLA SABBIA


 FRAMMENTI DI CINEMATOGRAFIA LONTANA 



In questo numero per la prima volta ci occupiamo di film filippini e di Singapore, oltre a una breve incursione nel cinema malese. È tornato il Samsung Korea Film Fest a Firenze, dal 7 al 15/3 con la presenza di registi, tanti nuovi film e cortometraggi. Il Far East Film Festival di Udine compie invece 10 anni con la recente edizione: nato in sordina, orà è richiamo di cinefili ed è la rassegna di cinema popolare asiatico più noto in Europa. Al Cinema Gnomo di Milano a marzo è passata la rassegna con dibattito L’ebraismo al cinema con vari film molto diversi tra di loro,e, a fine aprile, Obiettivo Argentina,con le produzioni contemporanee. Il Festival del Cinema Africano, sempre affollatissimo, si è sviluppato in diverse sale cittadine.



 



 



THE KILLER (喋血双雄 / Die xue shuang xiong), azione, Hong Kong, 1989, di John Woo, dur.: 111’. Con: Chow Yun-Fat, Danny Lee, Sally Yeh Distr.: BIM. Un classico dei film polizieschi di H.Kong, fortemente voluto da John Woo dopo “A better tomorrow” (vedi N. 12). Noir ironico e super-violento, vede un malinconico killer dal cuore d’oro prendersi cura di una cantante che ha reso cieca accidentalmente, nonostante un cocciuto poliziotto sia sulle sue tracce.




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LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...