20.8.15

ed hannno anche il telefonino ... un altra bufala sugli immigrati


Lo  che   come dice    il  commento qua sotto  preso  dall'articolo    di cui si parla  nel post  d'oggi  


Ma l'hanno capito anche i muri,che la destra tramite gli amici "media house organ" insistono sui tasti dei nomadi e sugli immigrati clandestini o rifugiati che siano,e se vuole una previsione tutto l'ambaradan premierà alle prossime elezioni politiche,nelle quali andranno al ballottaggio le stelle e i legacaimani,anche i primi non si sbilanciano sul grande problema dei disperati,chi al contrario se ne fa carico e cerca soluzioni prenderà una bastonata sul groppone mica da ridere.E allora vai sul telefono o sulla richiesta del wi-fi da parte degli immigrati,insieme alla scabbia si vinceranno le elezioni,del resto anche i francesi ora al potere se la stanno giocando su questi temi,salvo poi prendere atto che con i fenomeni alla santadechè al governo,tutte queste polemiche finiranno ma i problemi quelli rimarranno tali.





ma i luoghi comuni , anche se nessuno di noi n'è immune , mi danno fastidio specialmente quando una volta smontanti continuano a circolare ed ad essere prese sul serio diventando verità assolute \ leggende metropolitane . Ma spoprattutto perchè << Dal momento che non c'è nulla di più eterno di una bufala, specialmente se razzista, queste convinzioni continuano a circolare indisturbate nonostante i sempre più numerosi articoli e precisazioni. Abbiamo quindi deciso di raccoglierne qualcuna tra quelle più diffuse in questo momento.>>(  da  http://www.vice.com/it/read/migranti-bufale-polemiche-234  ora  trasferito su  https://www.facebook.com/vice.italia  )  





Uno dei luoghi più comuni nella letteratura di base contro gli immigrati - le telefonate alle radio, i titoli di Libero, gli sfoghi sui social - è quel misto di stupore e di sdegno perché moltissimi tra quanti arrivano con i barconi sono muniti di telefono mobile, a volte anche di buona qualità.La cosa è interessante perché tradisce la convinzione che il cellulare sia un oggetto se non da ricchi, quanto meno non da affamati, non da disperati; o forse addirittura un bene superfluo, uno status proprio di chi sta nella mid-class o ancor più su, come da noi negli anni Novanta.Capisco la dispercezione, ma è appunto sbagliata.Ogni giorno nel porto di Lomé, così come in altri centri commerciali africani, arrivano decine di migliaia di cellulari. Sono quasi tutti di produzione cinese o, in alternativa, scarti dell'Europa, vale a dire quei telefonini che noi abbiamo buttato via: molti dei quali non funzionanti,
ma utili a metterne insieme uno che invece va benissimo se smontato e rimontato con i pezzi di altri.Questo gigantesco import avviene perché in Africa (ma un po' in tutte le economie fortemente rurali e arretrate, comprese alcune asiatiche) la domanda di telefonini è enorme e dovuta all'uso decisamente diverso che se ne fa, rispetto a noi europei o americani.Qualche tempo fa l'Economist dedicò al tema un piccolo approfondimento, avvalendosi di una ricerca fatta sul Kenya. In generale, in quei tipi di economia il cellulare è fondamentale non per chattare su Facebook o giocare a Ruzzle, ma per molte delle attività che garantiscono la sopravvivenza, in contesti dove tra l'altro la telefonia fissa è molto scarsa.Con un cellulare, ad esempio, posso sapere dalla mia rete sociale (la vastissima "nuvola" parentale-amicale propria di quei Paesi) dove c'è erba per pascolare le capre e dove no; dove andare a recuperare l'acqua se il rigagnolo abituale si è estinto per siccità; da chi farmi prestare un mulo o un dromedario se non ce l'ho e devo fare un trasporto di legna perché la pioggia mi ha tirato giù mezza casa.E così via: attività appunto di sopravvivenza. Così come di sopravvivenza è l'uso del cellulare per il trasferimento di denaro, uno dei punti più sottolineati dall'Economist, e sappiamo che l'arrivo o meno di soldi dai parenti emigrati è spesso decisivo per campare la famiglia intera. La stessa ricerca citata dal settimanale inglese rivela come il mantenimento del credito del telefonino sia diventato talmente importante da indurre molti a rinunciare perfino a mangiare con regolarità o ad altri consumi molto basic.Non è uno scoop, è una cosa che chiunque abbia frequentato un po' i peggiori villaggi africani o asiatici ha visto con i suoi occhi: donne e uomini vestiti letteralmente di stracci, che dormono nella merda di capra, ma muniti di cellulare. E se la prima volta la cosa può straniare un po', basta fare tre domande per capire che non si tratta di una scelta eccentrica o consumista, ma molto pragmatica ed essenziale. Specie in villaggi dispersi in immense aree e collegati tra loro solo da sentieri da fare a piedi.Quanto ai costi dell'hardware, anche qui si tratta solo di sapere alcune cose fondamentali, prima di indignarsi.I cellulari in mano agli africani sono, di solito, cinesi o occidentali-rigenerati, ma ormai ci sono anche produzioni locali. Non si va certo a comprarli nei negozi in città (quelli con le vetrine), ma sulle bancarelle o attraverso le varie forme di commercio informale (il cugino dell'amico dello zio della vicina). In questo modo, si riescono a trovare device perfettamente funzionanti e a volte di marca tra i 15 e i 30 dollari. Calcolando uno guadagno medio della classe più bassa attorno ai due o tre dollari al giorno, si capisce che, con qualche sacrificio, nel giro di tre o quattro mesi quasi chiunque è in grado di acquistarne uno. Inoltre, ultimamente molte aziende che producono telefonini hanno lanciato modelli low cost (compresi alcuni smartphone) e Microsoft, ad esempio, su quei mercati propone un Nokia 215 a 29 dollari.Ecco, quando vediamo un migrante sul barcone con il cellulare in mano, forse dovremmo sapere tutto questo. E magari anche che attraversare il deserto del Sudan e della Libia senza telefonino equivale a votarsi al suicidio sicuro: quindi se è uno strumento indispensabile per la vita quotidiana nei villaggi di fame, lo è ancora di più se da quei villaggi di fame si prova a uscire per tentare una vita altrove.


quindi  prima  di dare  fiato ale trombe   ragionate  cazzarola 

19.8.15

Martin accolto in Italia, si è laureato in Farmacia e ora è tornato a casa, in Togo

  ti potrebbe onteressare


Questa è una storia che dovrebbero leggere  i  salvinisti   e colleghi che  cavalcano   demagocicamernte la questione dell'immigrazione e   si limitano a dire  (  le cose più benevoli  )    aiutiamoli  a casa loro  ,  senza  spiegare come  o   dagli la possibilità  \  i mezzi  per farlo  . cosi' dovrebbero fare. essere aiutati a casa loro o aiutati a ritornare a casa loro per far progredire il paese nel migliore dei modi

da http://migranti.valigiablu.it  del 19\18\2015


Martin accolto in Italia, si è laureato in Farmacia e ora è tornato a casa, in Togo

Martin è tornato a casa sua, in Togo. Era a Padova da sette anni, mandato qui dalla famiglia per studiare all’università. Appena due mesi dopo il suo arrivo in Italia è morto il padre, unico sostegno del nucleo familiare. Ad aiutarlo in questi anni siamo stati in tanti, in primis il coro il Bell’Humore, di cui Martin è stato un bravo tenore.Oltre che alla musica si è appassionato al giardinaggio: “Prima non capivo perché in Italia gli uomini regalassero fiori alle donne – confessa – Ora voglio fare un giardino anche a casa mia”: in valigia porta con sé semi e bulbi.Dopo essersi laureato in Farmacia e aver superato l’esame di stato, ora ha deciso di tornare. A casa lo aspettano la mamma, tre fratelli e uno stuolo di parenti. È pieno di idee e di progetti, ed è convinto che con i suoi studi e le esperienze acquisite in Italia riuscirà a a guadagnarsi da vivere e a rendersi utile al suo paese e alla sua famiglia.
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Ci dispiace, naturalmente, e ci mancherà molto, ma è giusto così: averlo frequentato, averlo visto crescere e diventare uomo, superando molteplici difficoltà con eleganza e leggerezza, è stato molto bello, e il legame che abbiamo stretto con lui non si interromperà. Ci mancherà la quotidianità, ma continueremo a sostenerlo nei suoi progetti, ci saranno telefonate e scambi di visite. E lui sa che se le cose non dovessero funzionare (sette anni lontani dal proprio paese non sono pochi, e le differenze fra Italia e Togo sono abissali) saremo pronti a riaccoglierlo.In questi anni Martin ha assistito con perplessità, ma senza troppa sorpresa, all’alzata di scudi contro i profughi e i migranti che arrivano nel Veneto, e ha subito anche lui atti di razzismo. “Ma se alcuni mi hanno trattato male, ho incontrato molti altri che mi hanno voluto bene. D’altronde se vai all’estero devi aspettarti che ti guardino con ostilità. Per questo io dico ai miei coetanei africani: se riuscite a farcela, a guadagnarvi da vivere, non lasciate il vostro paese. Qui le cose possono essere molto difficili. Ma gran parte di quelli che vengono in Europa, anche se non fuggono dalla guerra o dalle persecuzioni, fuggono da una miseria che non consente loro di sperare nel futuro”.Io credo che aiutare questi ragazzi anche a termine, 

IMG_0149“adottarli” nelle nostre associazioni e nei nostri gruppi, consentire loro di farsi delle esperienze, di imparare qualcosa, di lavorare e mettere via qualche euro, magari anche andando e venendo stagionalmente dal loro paese, potrebbe servire ad alleggerire la pressione migratoria, a calmare la paura dell’invasione, e forse a far crescere economicamente i loro luoghi d’origine: senza contare che frequentarli, conoscerne le fragilità e le speranze, farebbe crescere in umanità e cultura tutti noi. Certo, è complicato farlo se loro arrivano a decine di migliaia: ma noi siamo decine di milioni, e pure nelle difficoltà rimaniamo incommensurabilmente più ricchi. Basterebbe che ognuno di noi facesse quello che può, invece di chiudere le porte in faccia a tutti, a priori.

The best of RINO GAETANO

L’Isis decapita un anziano archeologo e lo appende a una colonna, choc a Palmira L’ultimo orrore dei jihadisti. L’82enne Khaled Asaad era uno studioso conosciuto a livello internazionale

da  la  stampa  del 19/08/2015

L’Isis decapita un anziano archeologo e lo appende a una colonna, choc a Palmira
L’ultimo orrore dei jihadisti. L’82enne Khaled Asaad era uno studioso conosciuto a livello internazionale


L’archeologo Khaled Asaad era conosciuto per il suo lavoro di studioso anche a livello internazionale




Un archeologo 82enne è stato decapitato ed appeso ad un’antica colonna dai militanti dell’Isis nella piazza principale di Palmira, storica città della Siria. Lo ha reso noto il responsabile delle antichità siriane Maamoun Abdulkarim, precisando di essere stato informato dalla famiglia della vittima. L’uomo è stato prima ucciso a coltellate davanti alla folla nella piazza della città. 
Khaled Asaad è stato per oltre mezzo secolo il responsabile delle antichità del sito archeologico. Era stato arrestato da oltre un mese e sottoposto alle interrogazioni dei militanti sunniti radicali, la corrente ultra ortodossa dell’Islam. Abdulkarim ha sottolineato che Asaad era conosciuto per il suo lavoro di studioso anche a livello internazionale. Nel corso degli ultimi decenni aveva lavorato con missioni archeologiche statunitensi, francesi, tedesche e svizzere.

prima vennero .... dedicato ai malpancisti e \ panzanisti



liberamente tratta da https://goo.gl/qKCo8S di Emiliano Deiana e  dal  famoso poema    Prima vennerro  ....  (  per  maggiori news  e  la storia  sulla sa  diffusione    e riutilizzo     https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_vennero...  )  dedicato a tutti\e i mie contatti panzanisti \ bufalisti che parlano e scrivono con a pancia


Prima di tutto vennero a prendere i direttori stranieri dei musei, e fui contento, perché a me non me ne fregava un cazzabubbolo dell'arte. Poi vennero a prendere i richiedenti asilo imbarcati sul traghetto Tirrenia, e stetti zitto, perché mi stavano sui coglioni i marinai napoletani della Tirrenia con la tazzulella 'e cafe'. Poi vennero a prendere i clandestini, e fui sollevato, perché ci rubavano il lavoro. Poi vennero a prendere i frati trappisti, e io non dissi niente, perché non ero un trappista e non leggevo Famiglia Cristiana. Un giorno vennero a prendere ma ero distratto prchè condividevo i link di Catena Umana e di Imola Oggi e simili

18.8.15

Oristano, l'appello degli amici dell'eroe di Ferragosto: "Mandateci i filmati di quanto accaduto" .

Secondo me si può onorare lo stesso la memoria di questo grande eroe..senza aver bisogno di visionare filmati o quant'altro.! Lasciatelo riposare in pace...se siete veri amici non avete bisogno di vedere quei momenti.ma ricordarlo come era.perché se è stato eroe nel salvare due incoscienti..sarà stato eroe tutti i giorni della sua vita terrena.


L'UnioneSarda.it Oggi alle 13:06 - ultimo aggiornamento alle 13:22




Oristano, l'appello degli amici dell'eroe di Ferragosto: "Mandateci i filmati di quanto accaduto"



la tragedia di san giovanni di sinis

                        La tragedia di San Giovanni di Sinis
Dopo i funerali di Vincenzo Curtale   (  foto    sotto  )  celebrati ieri a Oristano nella chiesa di San
Sebastiano stracolma di gente, oggi è il giorno degli appelli per cercare di fare piena luce sulla tragedia accaduto nella spiaggia di San Giovanni di Sinis a Ferragosto.A lanciarlo sono gli amici del coraggioso 41enne morto per salvare una coppia di turisti che rischiava di annegare,

Il momento della tragedia in spiaggia
                                        Il momento della tragedia in spiaggia

A lanciarlo sono gli amici del coraggioso 41enne morto per salvare una coppia di turisti che rischiava di annegare, i quali si rivolgono a chiunque abbia filmato le varie fasi del salvataggio e della successiva tragedia. "E importante che ci mandiate qualsiasi documento audiovisivo, anche se frammentato e parziale di quanto accaduto. E' fondamentale per ricostruire nei dettagli i fatti e onorare la memoria di Vincenzo. Potete contattare Luca al numero 3391119545".



Vivian Maier Street Photographer al man di Nuoro Spoiler con foto della mostra

 “Ho fotografato i momenti della vostra eternità perchè non andassero perduti", scrive la Maier in una lettera ai “suoi” bambini, ormai cresciuti. 

Un colpo del destino ha salvato quei momenti dall’oblio, e li ha restituiti all’eternità.


Prima  d'iniziare il post  d'oggi  devo fare  una premessa  .


Lo so che per queste nuove generazioni ( meta degli anni '80 \ 90-2000 ) sarò antiquato nell'usare llo  spoiler ( antricipazioni   un termine  ormai  caduto in disuso   visto che  ormai    sui media in
DA  http://quinlan.it/upload/images/2014/04  tramite  google


particolare sui social e è impossibile non averne  e  sono sempre  più rari coloro  che lo praticano  . M;a  soprattutto non mi  va    da quelli della mia e  delle generazioni precedenti essere  definito  "sconciajochi" 
Infatti  Ma io l'uso lo stesso perchè non mi va di rovinare l'emozione a chi ancora non l'ha vista e vuole andare a vedersi la mostra ( sarà fino al 18 ottobre ) di Vivian Maier . Mi  scuso  s e  le  foto  non sono un granchè e se  in esse  si vede la mia ombra  . Ma   è la  prima  volta  che fotografo con la  digitale  dele cose  davanti al vetro  \  specchio  



Adesso andiamo ad  incominciare .
Nella giornata  del 16\8\2015  sono andato  al man di  Nuoro  a vedere questa mostra  ecco  la presentazione    presa dal sto del museo   



Vivian Maier
Street Photographer

10.07  -  18.10.2015 

Inaugurazione: 10 Luglio 2015
Dopo gli Stati Uniti il fascino di Vivian Maier sta incantando l’Europa.
Bambinaia per le famiglie benestanti di New York e Chicago sino dai primi anni Cinquanta del secolo scorso, per oltre cinque decadi ha fotografato la vita nelle strade delle città in cui ha vissuto senza mai far conoscere il proprio lavoro. Mai una mostra, neppure marginale, mai una pubblicazione.Ciò che ha lasciato è un archivio sterminato, con più di 150.000 negativi, una miriade di pellicole non sviluppate, stampe, film in super 8 o 16 millimetri, registrazioni, appunti e altri documenti di vario genere che la tata “francese” (la madre era originaria delle Alpi provenzali) accumulava nelle stanze in cui si trovava a vivere, custodendo tutto con grande gelosia.Confinato infine in un magazzino, il materiale è stato confiscato nel 2007, per il mancato pagamento dell’affitto, e quindi scoperto dal giovane John Maloof in una casa d’aste di Chicago. La mostra al MAN di Nuoro, a cura di Anne Morin, realizzata in collaborazione con diChroma Photography, sarà la prima di Vivian Maier ospitata da un’Istituzione pubblica italiana.Partendo dai materiali raccolti da John Maloof, il progetto espositivo fornisce una visione d’insieme dell’attività di Vivian Maier ponendo l’accento su elementi chiave della sua poetica, come l’ossessione per la documntazione e l’accumulo, fondamentali per la costruzione di un corretto profilo artistico, oltre che biografico.Insieme a 120 fotografie tra le più importanti dell’archivio di Maloof, catturate tra i primi anni Cinquanta e la fine dei Sessanta, la mostra presenta anche una serie di dieci filmati in super 8 e una selezione di immagini a colori realizzate a partire dalla metà degli anni Sessanta. Privi di tessuto narrativo e senza movimenti di camera, i filmati fanno chiarezza sul suo modo di approcciare il soggetto, fornendo indizi utili per l’interpretazione del lavoro fotografico.Gli scatti degli anni Settanta raccontano invece il cambiamento di visione, dettato dal passaggio dalla Rolleiflex alla Leica, che obbligò Vivian Maier a trasferire la macchina dall’altezza del ventre a quella dell’occhio, offrendole nuove possibilità di visione e di racconto.La mostra sarà inoltre arricchita da una serie di provini a contatto, mai esposti in precedenza, utili per comprendere i processi di visione e sviluppo della fotografa americana.A conquistare il pubblico, prima ancora delle fotografie, è la storia di “tata Vivian”, perfetta per un romanzo esistenziale o come trama di una commedia agrodolce; talmente insolita, talmente affascinante, da non sembrare vera.Ma al di là del racconto, al di là delle note biografiche, dei piccoli grandi segreti rivelati dalle persone che l’hanno conosciuta, al di là del suo ritratto di donna eccentrica e riservata, dura e curiosa come pochi altri, custode di un mistero non ancora svelato, al di là di tutto c’è il grande lavoro fotografico di Vivian Maier, su cui molto rimane ancora da dire.Vivian Maier ha scattato perlopiù nel tempo libero e a giudicare dai risultati si può credere che, in quel tempo, non abbia fatto altro. I suoi soggetti prediletti sono stati le strade e le persone, più raramente le architetture, gli oggetti e i paesaggi.Fotografava ciò che improvvisamente le si presentava davanti, che fosse strano, insolito, degno di nota, o la più comune delle azioni quotidiane. Il suo mondo erano “gli altri”, gli sconosciuti, le persone anonime delle città, con cui entrava in contatto per brevi momenti, sempre mantenendo una certa distanza che le permetteva di fare dei soggetti ritratti i protagonisti inconsapevoli di piccole-grandi storie senza importanza.Ogni tanto però, in alcune composizioni più ardite, Vivian Maier si rendeva visibile, superava la soglia della scena per divenire lei stessa parte del suo racconto. Il riflesso del volto su un vetro, la proiezione dell’ombra sul terreno, la sua silhouette compaiono nel perimetro di molte immagini, quasi sempre spezzate da ombre o riflessi, con l’insistenza un po’ ossessiva di chi, insieme a un’idea del mondo, è in cerca soprattutto di se stesso. In questa indagine senza fine talvolta coinvolgeva anche i bambini che le venivano affidati, costringendoli a seguirla in giro per la città, in zone spesso degradate di New York o di Chicago. A uno sguardo sensibile e benevolo per gli umili, gli emarginati, univa una vena sarcastica, evidente in molti scatti rubati, che colpiva un po’ tutti, dai ricchi borghesi dei quartieri alti agli sbandati delle periferie. “Di Vivian Maier – afferma Lorenzo Giusti, Direttore del MAN - si parla oggi come di una grande fotografa del Novecento, da accostare ai maestri del reportage di strada, da Alfred Eisenstaedt a Robert Frank, da Diane Arbus a Lisette Model. Le grandi istituzioni museali fanno però fatica a legittimare il suo lavoro, vuoi perché, in tutta una vita, non ebbe una sola occasione per mostrarlo, vuoi per la diffusa – e legittima - diffidenza verso l’attività degli “hobbisti”. Ma i musei, si sa, arrivano sempre un po’ in ritardo.Delle opere di Vivian Maier non colpisce soltanto la capacità di osservazione, l’occhio vigile e attento a ogni sensibile variazione dell’insieme, l’abilità di composizione e di inquadramento. Ciò che più impressiona è la facilità nel passare da un registro all’altro, dalla cronaca, alla tragedia, alla commedia dell’assurdo, sempre tendendo saldamente fede al proprio sguardo. Una voce rimasta per molto tempo fuori dal coro, ma senza dubbio ben accordata”.


Una mostra bellissima e ben organizzata . Essa occupava ben due pian su tre dello stabile .Oltre alle foto ed ai filmini c'erano ( mi mordo le mani nel non averli immortalati ma pazienza c, è inutile piangere sul lattte versato ) .anche i suoi " attrezzi del suo hobby " macchina fotografiche e cineprese da lei usate . . Sono cointento d'aver  visto la mostra  dedicata  Vivian Maier in quanto   <<  è   oggi unanimemente considerata una delle esponenti più importanti della fotografia di strada del Novecento, benché i suoi lavori siano stati ignorati per decenni e poi scoperti, valutati e apprezzati soltanto in tempi recenti, dopo la sua morte. Infatti   


 da  https://it.wikipedia.org/wiki/Vivian_Maier

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La maggior parte delle sue foto sono "street photos" ante litteram e può essere considerata una antesignana di questo genere fotografico. Inoltre, scattò moltissimi autoritratti, caratterizzati dal fatto che non guardava mai direttamente verso l'obiettivo, utilizzando spesso specchi o vetrine di negozi come superficie riflettente.
La sua vita può essere paragonata alla vita della poetessa statunitense Emily Dickinson, che scrisse le sue riflessioni e le sue poesie senza mai pubblicarle e, anzi, a volte, nascondendole in posti impensati, dove furono ritrovate dopo la sua morte.
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Maier nacque a New York nel 1926 e morì a Chicago nel 2009, a 83 anni, senza famiglia e dopo aver trascorso gran parte della sua vita praticamente da squattrinata. I notevoli guadagni ottenuti da alcuni collezionisti – che per poche centinaia di dollari si sono ritrovati proprietari di decine di migliaia di negativi di foto di Maier non sviluppate, e oggi valutate intorno ai 2 mila dollari a pezzo – hanno di recente avviato un interessante dibattito sulla controversa eredità di Maier, diventata nei mesi scorsi un caso giudiziario: se ne è approfonditamente occupato un articolo del New York Times. [... ]   >> (  da   un articolo   di www.ilpost.it )
Credo che    essa   sarà  una dele ultime se  non l'ultima  volta  che    si potra' vedere in pubblico i suoi




lavori in quanto  -- sempre  secondo l'articolo de  ilpost ---   c'è ed  è in  corso  Una causa legale dovrà chiarire chi sono gli eredi legittimi della fotografa statunitense e il processo potrebbe durare diversi anni e, nel frattempo, portare alla sospensione di qualsiasi mostra o esposizione delle fotografie di Maier finché l’eredità legale non sarà determinata. . Infatti il sito  http://www.vivianmaier.com non è   aggiornato negli eventi  



Ma  soprattutto    la vicenda    è la risposta   a i miei vecchi  che mi chiedono  perchè   mi porto dietro la video camera   la   digitale  e pubblico  tutte le  foto  ed  i video     d'eventi    culturali () concerti , manifestazioni letterarie  , ecc  )  

17.8.15

S.Antioco: successo al museo Barreca per "EstArte" con tanti artisti (video)


S.Antioco: successo al museo Barreca
per "EstArte" con tanti artisti (video)

Oggi alle 15:39 - ultimo aggiornamento alle 17:40

estarte a s antioco
EstArte a S.Antioco
La scommessa intellettuale era ardita: scardinare definitivamente l’idea consueta di museo come tradizionale luogo di tutela di preziosissimi reperti archeologici, trasformandolo in un tempio di celebrazione dell’arte declinata nelle sue manifestazioni più attuali e dinamiche.
A giudicare dal successo incassato nella serata di ieri dalla manifestazione culturale “EstArte Vol.2” al museo archeologico “Ferruccio Barreca” di Sant’Antioco, la sfida può dirsi abbondantemente superata.
Guarda le immagini
Perché l’iniziativa, organizzata dal Comune di Sant'Antioco (Assessorato alla Cultura), con la collaborazione di alcuni giovani artisti e della Cooperativa Archeotur, ha incontrato il gusto del pubblico di antiochensi e turisti.
Ascolta l'intervista alla curatrice di Serena Cirina
A partire dalle 21 le aree esterne dell’imponente spazio museale si sono trasformate in un dehors estemporaneo popolato di artisti: pittori all’opera con cavalletto piantato nel prato verde (con le coppie Nicola Obino e Luca Lauria, Luca Lindiri e Irene Porcu, e l’assolo di Laura Ennas), disegnatori alle prese con raffigurazioni impresse su corpi di modelle nelle sessioni di body-painting (grazie all’estro di Valeria Lilith Finazza), scultori armati di scalpello per forgiare blocchi di pietra (Marco Corongiu, Giorgio Secci e Marco Capicciola).
E oltre l’entrata principale, nel vivo delle aree popolate dalle teche ricche delle antiche collezioni fenicio-puniche del glorioso passato di Sulky, ancora arte con le tele dei giovani creativi (Nicola Obino, Fabio Desu, Luca Guapo Lindiri, Irene Porcu e Patrizia Palitta), dei fotografi del panorama locale (Paola Pinna, Fabio Murru, Patrick Varsi, Stefano Puddu, Fabio Garau, Massimo Calabrò, Fedele Balia, Marco Siddi, Davide Cau, Alessandro Siddi, Cristian Calabrò, Fabrizio Schirru, Dino Dini, Stelio Usai e Gabriele Bullegas) e degli scultori.
Sant'Antioco, giardino museo
Sant'Antioco, giardino museo
E per garantire l’ulteriore suggello alla serata d’atmosfera, il gradevole binomio di note e Carignano: sul palco le sonorità manouche del quartetto “MamboDjango” (Andrea Lai al contrabbasso, Samuele Dessì, Roberto Boi alle chitarre e Diego Deiana al violino) e in una delle terrazze del museo angolo degustazioni con le etichette delle cantine locali di Sardus Pater.
Testo foto e video di Serena Cirina

15.8.15

Due poeti libertari CANTICO DEI FOLLETTI DI VETROFabrizio De André e l'amico e poeta Riccardo Mannerini

le  recenti vicende  dei morti per  droga  e per  lo sballo  (  senza  droghe  )   mi hanno fatto ricpordare  questo  post  dell'amico  matteo tassinari  

http://alice331.blogspot.it/2015/08/due-poeti-libertari.html
Fabrizio De André e l'amico e poeta Riccardo Mannerini


Tutti      moriremo


soli    e a stento

Era il  1968, un anno come tanti, quando uscì Tutti morimmo a stento mente, un Lp che spinse De André a mettere benzina nelle sue virtù artistiche. In un'intervista, Fabrizio disse a proposito di TUTTI MORIMMO A STENTO: "In effetti, a ripensare le canzoni sono tutte belle. Forse è solo il predicozzo finale, il recitativo, che oggi mi dà fastidio". E' inutile. De André non riusciva a combinare qualcosa di perfetto anche quando lo era.
E' però entusiasta

dell'album invece, il discografico di De André, Antonio Casetta, che probabilmente ebbe l'idea di realizzarne una versione in inglese. Non si sa chi effettuò le traduzioni, ma tant'è. De André "riincise" tutto l'album in inglese (si presume riutilizzando le basi musicali). Il disco però non uscì mai sul mercato, e se ne perse traccia. Un piccolo estratto, circa 30 secondi, venne trasmesso in una trasmissione di Rai2 che parlava di rarità.
Nel settembre del 2007
un collezionista mostrò un album, trovato negli USA, con la copertina completamente diversa da quella italiana a dimostrazione che Casetta era arrivato a produrre almeno un vinile. I titoli delle canzoni erano stati tradotti. Per quanto si può valutare ad un ascolto parziale, l'inglese sfoggiato da De André non è gran ché fluido e la resa è lontana, per esempio, dal saggio di bravura della versione spagnola di Smisurata preghiera. Ma il disco si fa ascoltare e la voce calda di Fabrizio mantiene intatta la sua bellezza.
L'apice amicale
Perché l'avventura americana non sia andata a buon fine, questo ancora oggi non s’è capito bene. Un mistero. Più chiaro, invece, è l'episodio dell'uscita o pubblicazione di "Senza orario senza bandiera" fu un successo straordinario, un successo per tutti, anche per Riccardo Mannerini che poté così vivere il periodo più felice della sua tormentata vita artistica e privata. La celeberrima “Cantico dei drogati”, da considerarsi l’apice del sodalizio amicale e artistico di Frabrizio e Riccardo e che sarebbe stata inserita in Tutti morimmo a stento, concept album registrato nell’agosto del 1968 e pubblicato l’anno successivo. Lp che provocò a De André un risentimento forte e pentimenti per alcune parole che non avrebbe scritto..
Il Frigorista

Mentre faceva il frigorista su una nave da carico, un incidente lo rese praticamente cieco. Ciò nonostante continuò a scrivere poesie, come aveva sempre fatto. Ebbe una moglie, Rita Serrando, che gli restò accanto per tutta la vita e un figlio, Ugo. Morì nella primavera del 1980. Mannerini era anche un grande giocatore di scacchi, e s'iscriveva ai concorsi per parteciparvi, diceva Mannerini: "Gli scacchi sono come le donne, non sai mai che mossa faranno". Fra i due nacque una sincera un'amicizia che durò più di 20 anni, sapendo come sia stato lasciato solo alla fine della sua vita. 
Mannerini e De André erano uniti da profonda amicizia, tanto da condividere un monolocale soppalcato in salita Sant'Agostino dove passare i pomeriggi e le notti dell'angiporto genovese, a fianco di via Prè. Si erano conosciuti in casa di amici comuni e il loro sodalizio portò alla musica capolavori indimenticabili come il Cantico dei drogati, appunto, e Senza orario senza bandiera, primo album dei New Trolls. Fu lui - attivista della Federazione anarchica genovese, come tale noto anche alla polizia ad approfondire in De André il sentimento anarchico. Fu seguito dai Servizi per 20 anni senza tirar fuori nulla. Avranno la soddisfazione di aver visto molti concerti del Faber.
L'osceno gioco
Cantico dei drogati, derivata da versi di Mannerini in virtù di una rivisitazione poetica quale solo il miglior Faber più puro e idealista sapeva produrre. Un autentico capolavoro che dopo oltre quarant'anni conserva ancora intatta tutta la sua valenza, originalità e potenza espressiva. Ecco alcuni passaggi della poesia Eroina dai quali Fabrizio ha chiaramente tratto spunto dalle poesie di Mannerini. "Grazie all'alcool la fantasia viaggiava sbrigliatissima", dice De Andre' e, assieme al suo amico anarchico, poeta, marinaio, viene nelle nostre menti a parlarci dei Folletti di Vetro, di un "Osceno Gioco" e, già, di una madre al quale non si sa come confessare la propria paura.
Riccardo
Mannerini
quante volte devono essersi detti che quest'uomo portava il mio stesso nome. Marinai per destino o per forza. Riccardo che ormai non vedeva più che folletti, dato che la luce nei suoi occhi s'andava spegnendo sempre di più. Gli occhi regalati ai padroni, i suoi occhi per loro. Nessuno glieli ridiede, neanche come i fiori restituiti in novembre. Mannerini, era decisamente una delle figure più importanti e formative, della sua vita. In questo senso si nota la ricerca di una figura paterna a cui era molto, forse troppo, attaccato a suo padre, prima Bindi, poi Brassens, poi ancora Mannerini.
Il "Perfettore"

Si, De André era il “perfettore” ossia colui che rende speciale e magnifica una cosa già bella di sua. Il manifesto pubblicitario del libro di poesie di Riccardo Mannerini pubblicato nel 2009 recitava: "Come potrò dire / a mia madre / che ho paura? ... Ho licenziato / Iddio / e buttato via una donna/ Sono sospeso a un filo / che non esiste / e vivo la mia morte / come un anticipo tremendo. Solo quando / scadrà l'affitto / di questo corpo idiota / avrò un premio. / Sarò citato / di monito a coloro / che credono sia divertente / giocare a palla / col proprio cervello". Mannerini, era uno che ci teneva alle sue idee, e non voleva sporcarle con la realtà,
La droga
di cui vivevano
Riccardo e Fabrizio era l'alcol. Nelle parole di De André: "La mia droga è stata l'alcol, io ero proprio marcio fino al 1985. Bevevo due bottiglie di whisky al giorno, e questo praticamente da quando avevo diciotto anni, da quando ero andato via di casa. Ne sono uscito perché mio padre, con il quale avevo ricostruito un ottimo rapporto, sul letto di morte mi chiamò e mi disse: “Promettimi una cosa e io: Quello che vuoi papà.Smetti di bere. E Faber esplose in un: ma porca di una vacca maiala, ma proprio questo mi devi chiedere?” Io, praticamente, avevo un bicchiere in mano. Ma ho promesso. E ho smesso. 

Scrivere il Cantico dei drogati,
che aveva una tale dipendenza dall'alcol, ebbe un valore liberatorio, catartico. Però il testo non lo spaventava, anzi ne era compiaciuto. E' una reazione frequente, tra i drogati quella di compiacersi del fatto di drogarsi. E’ normale fra drogati o alcolizzati compiacersi di bere o eroina. I personaggi della canzone che inizialmente doveva intitolarsi Cantico dei folletti di vetro (il vetro delle bottiglie dei superalcolici), sono i drogati rappresentati dall'interno.

Un viaggio nella
mente di chi ha "il vuoto nell'anima e nel cuore", non riesce che a blaterare suoni incomprensibili e vive in un mondo popolato di fantasmi ("non vedo più che folletti di vetro").
La speranza in un futuro migliore se n'è andata ("chi mi riparlerà di domani luminosi / dove i muti canteranno e taceranno i noiosi"), "i mediocri continueranno ad avere ragione, i semplici staranno zitti". Si recrimina sul mondo (le "grandi pattumiere") e su chi ci ha messo al mondo, un misto di scabrosi esseri, privi di poesia. 

Bollani solo time jazz 2015 15\.8.2015 II

bollani solo time jazz 2015 15\.8.2015 I

13.8.15

Aritzo, la carapigna in versione cubana: nasce il "mojiteddu" . come rieleaborare in chiave moderna le tradizioni


unione sarfa  dc'Ieri alle 12:49 - ultimo aggiornamento alle 14:37

la carapigna in un murale che raffigura scene del passato
La carapigna in un murale che raffigura scene del passato
Da non crederci. Nell'estate a tutto gusto per vacanzieri e isolani cosa vanno a inventare quelli della premiata ditta Carapigna e C.? Niente meno che il mojiteddu, figlio di madre cubana e padre sardo. Fresco, leggermente alcolico (senza esagerare), dissetante, come il cocktail supergettonato a base di rum, lime e menta. Ottimo refrigerante nelle sere di una stagione afosa come da tempo non si vedeva.
Preparazione della carapigna
Preparazione della carapigna
Francesco Floris, erede di una plurisecolare tradizione aritzese, porta il sorbetto nato sul Gennargentu in giro per l'Isola dei turisti. Ci ha provato e riprovato nel suo laboratorio del paese tra i castagni finché il gusto non lo ha soddisfatto. Ricetta? Semplice. Alla tradizionale carapigna (acqua, zucchero e limone) ha aggiunto mentuccia di fiume e filu 'e ferru. Bingo.
Tre euro di dissetante bontà. Nel suo stand in corso Umberto a Olbia (è lì che si trasferisce in estate, con la moglie Giusi Ambrosio, napoletana con nonna di Gadoni, e Mirko Lai) ogni sera c'è la fila. Per il mojiteddu e per la carapigna tradizionale, magari con qualche variante (per esempio, al limone e menta, al limone e liquirizia). “E ora sto provando quella a base di mirto”, dice Floris, noto Chicco.
Il ghiaccio: elemento base della preparazione
Il ghiaccio: elemento base della preparazione
Nei secoli, il sorbetto dei sardi, quello che deliziava i palati dei nobili cagliaritani, non è cambiato. Ecco una piccola guida per chi vuole assaporare questo dessert etnico fino al midollo (il nome è di origine spagnola), antenato dei moderni gelati, nato tra castagni e noccioli nel paese delle rinomate sorgenti: gli aritzesi avevano il monopolio della raccolta della neve, conservata nelle grandi fosse in pietra sulla montagna di Funtana Cugnada, che serviva da refrigerante per confezionare questa bontà per i palati (oggi si usa il ghiaccio ma è l'unica concessione alla modernità: la preparazione è la stessa da secoli).
Un'antica foto: uomini preparano la carapigna
Un'antica foto: uomini preparano la carapigna
Carapigna simbolo dell'estate? Purtroppo non si trova dappertutto, anche perché le aziende che tengono viva la tradizione e che lavorano con continuità solo soltanto due. Ma se vedete uno stand, non lasciatevi scappare il rinfresco della stagione bollente per la modica cifra di un euro e cinquanta.
Chicco Floris e la sua compagnia sono a Olbia per tutta l'estate con qualche variante. Ovviamente a Ferragosto vanno a Aritzo per la Sagra della carapigna (offerta a tutti), poi dal 29 al 31 agosto a Laconi per Sant'Ignazio, da settembre saranno presenti ad Autunno in Barbagia, primo appuntamento a Bitti (dal 4 al 6). Sono loro ad aver salvato la carapigna, che era ormai dimenticata. “Sono diventato carapigneri dopo aver raccolto i segreti del maestro Peppino Mameli”, ricorda Floris, che lo scorso Natale è riuscito a far assaggiare la carapigna (gelata) ai bolzanini: un successo, una sfida, viva l'intraprendenza.
Sa carapigna, il video di Sebastiano Pranteddu
Ma la tradizione aritzese è stata trapiantata anche in Marmilla, a Tuili, grazie alla famiglia Pranteddu. Sebastiano, laureato in chimica, porta il sorbetto in giro per l'Isola, soprattutto al sud. Sta studiando nuovi trattamenti termici per rifornire i ristoranti, ma resta fedele alla ricetta originale. Il nonno Salvatore era carapigneri, aveva acquisito l'arte dal suocero Tziu Tanu, il padre Rinaldo segue il torronificio. “Fino a tre anni fa ben pochi la ricordavano, sono orgoglioso di averla fatta riscoprire anche nel Cagliaritano”, dice Sebastiano.
Appuntamento con il sorbetto a base di acqua, limone e zucchero marca Pranteddu (che ha una storica collaborazione con la famiglia Paba) il 13 agosto a Cagliari per le notti colorate alla Marina, il 14-15-16 agosto al festival Mama Blues nella deliziosa cornice di Nureci, il 23 agosto alla Fiera di Portoscuso, dal 26 al 30 agosto a Stintino, in settembre a Santa Mariacquas (Sardara), a Santa Greca (Decimomannu), a Santa Vida (Serrenti). Poi in tutti i week end di settembre nella splendida Villa Asquer a Tuili serate a base di musica, aperitivi, gastronomia e ovviamente carapigna.
Gli antichi strumenti
Gli antichi strumenti
A quanto pare, il sorbetto dei sardi va a ruba, quando si trova. Dicono gli artigiani che in questo periodo, si va dai mille ai duemila bicchierini al giorno da un capo all'altro dell'Isola. Buona estate con la carapigna. E col figlio sardo-cubano mojiteddu.
Lello Caravano
caravano@unionesarda.it