4.4.20

AVVENTURA A MILANO AL TEMPO DEL CORONAVIRUS di Rita Brundu

Non sempre   gli ospedali    come  è  successo   e come sta  succedendo  qui in sardegna  con il  corona  virus  o  covid 19 . La storia  della   tempiese (   che  ringrazio per   avermene permesso la pubblicazione  ) Rita Brundu  lo do,mostra  .
Ma  ora bado alle ciancie  ed  eccovi la  storia   , foto  comprese    concessemi    dalla  protagonista


Antonio, a sorpresa, ha anticipato questo mio scritto. Ovviamente, come da lui ipotizzato, ho intenzione di picchiarlo…anche per l’esagerata apologia fatta nei miei confronti !Tramite un amico di Facebook scopro, a Milano, un Centro d’eccellenza nella riabilitazione motoria. Non ho dubbi, compilo immediatamente la domanda ed…eccomi a Milano.

 L’edificio è mastodontico, ed è situato praticamente di fronte al famoso stadio di San Siro. 


Non ho difficoltà ad ambientarmi e, comunque, non perdo il vizio di scrivere indirizzando una lettera alla Direzione dell’ospedale volta a smussare determinate criticità che rilevo all’interno della struttura. Sono soddisfatta poiché viene accolta con entusiasmo dai medici, dagli infermieri e ovviamente, dagli altri degenti. La vita si svolge tranquillamente, come in un normale centro di questo tipo. Finchè, il 21 Febbraio risuona la preoccupazione di un focolaio a Codrogno. Dov’è Codrogno, mi chiedo?? Ma i tanti milanesi vicino a me fugano subito i miei dubbi: vicinissimo a Milano. Erano le prime avvisaglie dell’espansione, qui in Italia, del coronavirus. Fino a questo momento, aveva preoccupato solo la Cina. Ma i primi focolai, guarda caso, si hanno proprio in Lombardia, tanto che dieci comuni vengono dichiarati zona rossa. Anche qui al Centro comincia ad esserci fibrillazione e cominciano ad essere bandite le persone provenienti da tali paesi. Nei reparti vengono affissi dei cartelli con i nomi dei dieci Comuni  “incriminati”, tutti non molto lontani da Milano. Ma la situazione sembra interessare solo quelle zone, e a Milano si continua a condurre la vita frenetica e attiva di sempre.
Dopo alcuni giorni, però, si denunciano due casi di Coronavirus nell’ospedale Sacco di Milano e la situazione inizia a mettere in allarme. Ma non più di tanto; infatti il Centro continua la propria vita di routine. Dopo pochi giorni la situazione comincia a precipitare e anche in ospedale cominciano le prime restrizioni: se prima le visite erano permesse la domenica dalle 10,30 alle 18,30 e i giorni feriali dalle 16 alle 18…adesso è concesso entrare solo un’ora al mattino e un’ora di sera. Ma è, comunque, ancora una situazione abbastanza tranquilla, anche se fastidiosa, e la città di Milano continua la vita di sempre. Questo si nota anche dall’ospedale, che ha proprio di fronte lo Stadio di San Siro, dove c’è tanta vita e afflusso di persone. Quest’ ultimo , di notte, è bellissimo…illuminato come un presepe e con un video enorme che si vede perfettamente anche a distanza. La notte del derby un elicottero controlla per almeno un’ora l’impeto dei tifosi, mentre passa e ripassa in un giro vorticoso che ha sempre lo stesso tragitto e fa tremare i vetri dell’Ospedale.Ma passa appena qualche giorno e gli infettati del coronavirus aumentano anche in questa città, apparentemente intoccabile. I provvedimenti al Centro continuano ad essere sempre più restrittivi e, a questo punto, al suo interno può entrare solo una persona per paziente in tutto il giorno. San Siro resta sempre illuminato, ma scompaiono gli spettatori e…le sue luci stridono sempre di più con il buio che si prospetta per l’arrivo del misterioso virus.

La situazione precipita, il Centro vieta qualsiasi visita; medici, infermieri, tutte le persone giunte dall’esterno devono dotarsi di mascherina e guanti. Anche a noi degenti è vietato uscire fuori dalla Struttura; la sensazione è di essere in tempo di guerra, anzi peggio, perché dobbiamo tenere la distanza anche tra di noi. Quindi, anche socialmente ci sentiamo soli. Anche Milano comincia a fermarsi poiché il suggerimento del Premier Conte è “Stare a casa”. Il piazzale di fronte all’Ospedale comincia a svuotarsi, mentre prima pullulava di auto e di gente. La mia compagna di camera, milanese, mi dice che il figlio tassista ormai sta a casa per mancanza di clienti. Anche altri suoi concittadini, in contatto con parenti e amici, mi dicono che la città si è svuotata; noto nelle loro parole angoscia e smarrimento nel descrivere una visione del tutto inconsueta della loro città così attiva e laboriosa. Infatti Milano, con la chiusura della maggior parte dei negozi e attività, è sempre più spettrale: un paradosso per la capitale dell’economia italiana.A me, intanto, comunicano le dimissioni, e prenoto il primo volo per la Sardegna. Lo trovo e sono contenta di tornare a casa.  In Ospedale c’è panico: il personale riferisce di persone care decedute; il bar all’interno della struttura chiude; le infermiere passano per il controllo e la temperatura dei pazienti due volte al giorno; gli addetti alle pulizie passano e ripassano per disinfettare…compare un’angoscia palpabile che assorbo anch’io.  Come se non bastasse mi arriva dall’aeroporto il messaggio che…il mio volo è stato annullato! Anzi, sono stati annullati i voli di tutta la settimana. E il mio cellulare, improvvisamente, non dà più segni di vita!! Cosa può capitarmi ancora?!? Erano 40 anni che non facevo visita a Milano, e quand’è che mi viene in mente di tornarci? Ma sì… al tempo del coronavirus!! Devo attingere a tutte le mie nozioni di psicologia per restare calma e, con molta ironia e con un fondo di speranzosa verità, chiedo al Primario del reparto di procurarmi il numero di telefono di Berlusconi perché possa, col suo aereo privato, portarmi in Sardegna…in fondo siamo vicini di casa. Il Primario mi risponde, con altrettanta ironia, che potrei approfittare del Centro Velico della Maddalena per tornare in Sardegna… a barca a vela! Comunque sono nervosa…voglio il mio cellulare!! Ne ordino un altro, ma tarda ad arrivare…allora ne ordino un altro ancora da Amazon. Dato il mio carattere estroverso ed esplosivo, tutto l’ospedale viene a conoscenza della mia situazione e trovo conforto in ognuno dei suoi componenti, che fanno a gara per darmi un aiuto.Intanto, le restrizioni aumentano in modo esponenziale e anche in camera da pranzo veniamo allontanati sempre di più l’uno dall’altro, e qualcuno è costretto a mangiare da solo in camera. Penso che, probabilmente, non saremo contagiati dal coronavirus ma, sicuramente, soffriremo di depressione. Ma anche in questo caso bisogna rilevarne, sarcasticamente, l’aspetto positivo: ci sarà tanto lavoro da fare per psicologi, psicoterapeuti, psichiatri…La mia situazione comincia a diventare incandescente, anche se dall’ospedale fanno di tutto per cercarmi una soluzione per il rientro. Ma invano, e io mi sento prigioniera a Milano. l’Assistente Sociale dell’ospedale si attiva per contattare  la regione Lombardia. Ma io sono dell’avviso che si debbano sfruttare tutte le possibilità e le chiedo di chiamare anche la Farnesina. Voglio tornare a casa! L’ultima possibilità sarebbe attraversare a nuoto il Mar Tirreno…ma la vedo dura!!E’ passato un altro giorno e l’emergenza in Lombardia si fa sempre più pressante. All’ospedale cercano frettolosamente di dimettere i pazienti e di riconvertire i medici in altri ruoli. Una neurologa è furibonda perché la vogliono trasferire anche in cardiologia. In tutti i reparti regna il caos organizzativo, mentre noi pazienti siamo terrorizzati dalle voci che si rincorrono per la presenza di malati di coronavirus all’interno del Centro.Voglio tornare a casa! L’Assistente telefona alla Presidenza della Regione Sardegna ma non ottiene risposta, e prende in considerazione la possibilità di chiamare anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nel pieno della disperazione, mi faccio prestare un cellulare per telefonare ad Antonio; è l’ultimo grido d’aiuto, e lui l’accoglie alla grande. Infatti mi fa prendere contatto con un Consigliere Regionale sardo e mi suggerisce la possibilità di una nave in partenza da Livorno. Da allora, tutto diventa più semplice perché il Don Gnocchi entra in sincronia con il Consiglio Regionale Sardo e si attiva per organizzarmi il viaggio da Milano a Livorno . Quasi contemporaneamente, vedo un gruppo d’infermieri esultare ed uno correre verso di me…finalmente è arrivato uno dei cellulari! Tutti mi fanno festa e mi danno un aiuto per supplire alle mie carenze tecnologiche e informatiche, dato che non saprei come fare per farlo funzionare. E’ un venerdi fortunato e l’Assistente mi chiede qualche giorno per poter organizzare il viaggio. Nel frattempo, altri amici vengono dimessi e li saluto con nostalgia…il reparto si svuota sempre di più, forse per accogliere malati di coronavirus. Il terrore s’impossessa di noi. Mi viene in mente lo scenario descritto dal Manzoni nei Promessi sposi riguardo la peste del 1600 (anche perché sto pure a Milano!) e penso a quante persone come Lucia, Renzo, Agnese, Don Abbondio, Don Rodrigo, il Griso, e tanti altri stanno affrontando, con lo stesso sentimento, questo terribile periodo. Io tiro, comunque, un sospiro di sollievo poiché la partenza è stata programmata per martedì.IL VIAGGIO FINALE. L’infermiera, del turno di notte, mi sveglia alla 4,30. Mi sento tramortita, ma quando arriva Nicoletta (l’Assistente Sociale che mi accompagna) sono pronta per la partenza. Il medico, come da prassi, mi misura temperatura e pressione e mi consegna il foglio delle dimissioni. Partiamo. Durante il tragitto osservo Milano, città fantasma completamente spoglia. La saluto con un pizzico di nostalgia, poiché mi ha ospitata per quasi 2 mesi. La lasciamo per immetterci nell’autostrada, dove il traffico è insolito; non si scorgono auto ma file di camion, TIR e furgoncini. Passiamo vicini a Lodi… Parma… Pisa e, finalmente, eccoci a Livorno. Veniamo fermati dalla Polizia e, saputo che dovevo imbarcarmi, chiedono i documenti e mi misurano la temperatura. Ci allontaniamo per un breve tratto e veniamo nuovamente fermati da una pattuglia: ci richiedono i documenti. La nave, bellissima e imponente, sta ormai di fronte a noi ma…veniamo per l’ennesima volta fermati dalla Polizia, stavolta in compagnia di un medico. Quest’ultimo mi misura ancora la temperatura. E allora il mio senso dell’umorismo prevale, condiviso dal medico, nel constatare come nel giro di poche ore il mio “grado di calore” sia stato misurato per ben 3 volte! Finalmente è possibile entrare all’interno della nave Grimaldi; la delegazione del Don Gnocchi mi saluta e mi lascia nelle mani dell’Assistenza. Mi ritrovo in un salotto meraviglioso, ma completamente vuoto, con l’equipaggio che mi chiede notizie di ciò che avviene sulla terra ferma, come se  queste persone fossero in un piccolo pianeta distante e non li riguardasse.
IL personale dell’assistenza non mi perde di vista un attimo e tutti, compreso il Commissario, sono estremamente gentili con me. Provo a telefonare, ma mi avvertono che in mare non c’è connessione. Pazienza, proverò più tardi.
Durante il lungo tragitto osservo il Mar Tirreno, e mi sembra così vasto, anche troppo, perché mi separa dalla mia Sardegna. Manca, ormai, circa mezz’ora per l’attracco e posso finalmente telefonare anche ad Antonio. Mi sgrida perché avrei dovuto farlo prima, dato che avrebbe dovuto avvertire la protezione Civile del mio arrivo. Ma erano secoli che non viaggiavo con la nave, e non sapevo della mancanza di connessione in alto mare. Finalmente attracchiamo, e l’Assistente della Grimaldi mi lascia con la Protezione Civile di Tempio. Non prima che un altro blocco della Polizia m’avesse di nuovo misurato la temperatura!! Con questa sono 4 volte nel giro di una giornata. Arriviamo in città, e i solerti e gentili ragazzi che mi accompagnano mi lasciano (finalmente!) a casa. Sono già le 22 e sono esausta. Con un filo di voce telefono ad Antonio per avvertirlo del mio arrivo.Ma perché volevo picchiare Antonio? Devo invece ringraziarlo, di cuore, perché il suo intervento è stato determinante affinchè io potessi tornare a casa. Quindi grazie ad Antonio; a Nicoletta e tutto il personale del Don Gnocchi; all’Assistenza e l’equipaggio della Grimaldi; ai ragazzi della Protezione Civile. Infine grazie a Roberto, Salvina e, in particolare, ad Adriana che mi ha permesso di ritrovare una casa confortevole e funzionale.

coerenza o incoerenza ? viaggio dalla pancia alla razionalità

Prima di  raccontare   le  mie  figuracce  dovute  ,che  nell'effetto della  quarantena ( o  gravi  notizie ma non è  questo il  caso in questione  )   s'accentuano  ,  e  del   mio modo  di pensare  : ‹‹ Vi sono momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.››  rispondo   oltre  che   a me  stesso      che    non  è   questione  di 

coerenza/co·e·rèn·za/sostantivo femminile1.
Intima connessione e interdipendenza di parti; part., in botanica e fisica, coesione.
2.
Costanza logica o affettiva nel pensiero e nelle azioni.
o  di
 incoerenza
/in·co·e·rèn·za/sostantivo femminile1.
Mancanza di coesione tra le particelle che compongono un corpo o una sostanza.
2.
FIG.
Mancanza di coerenza sul terreno logico o morale; affermazione o comportamento incoerente.
ma   del fatto che  io   che cerco  di fare   a tratti  ci si riesce  a  tratti no , una  vita  da mediano    o per    dirla  sempre  in musica      cerco un   centro  di  gravità permanente  , ecco  il perchè    nel   titolo   ho usato  lì'espressione  viaggio ,  

non per fare l'egoista o il campanilista o passare per un che non ha pietà . ma perchè..... scelgono sempre a noi sardi ed non ad altre zone d'italia per queste cose ?

I feretri delle vittime del nord Italia potrebbero arrivare nei forni crematori sardi di Cagliari, Sassari e Olbia del gruppo Altair.



GALLURAOGGI.IT


Forni crematori del nord al collasso, pronti a trasferire i feretri a Sassari e Olbia
I feretri delle vittime del nord Italia potrebbero arrivare nei forni crematori sardi di Cagliari, Sassari e Olbia del gruppo Altair.
Commenti

ma  poi in un barlume  di  lucidità  e  ragionandone insieme  ai miei  vecchi mi  sono  accorto    che    come  mi ha  commentato   sul  gruppo fb la voce  dei   sardi l'utente  Sandro Pazzona   << A volte si parla di pancia ...l'importante è capirlo e rientrare di testa >>  Infatti    ho  pubblicato tale rettifica
avevo scritto il precedente post [ https://bit.ly/2yzQsXH ] di pancia ed accecato dall'ira dall'irrazionalità visto che la sardegna viene trattata male dallo stato italiano vedi : poligoni nato , super carceri per coloro che sono al 41bis , passaggio dall'analogico al digitale , ecc . Per poi scoprire che ( vedere foto sotto , ripreda dal commento di @Gerolamo Bandu al quel post su un gruppo ) . Quindi ben vengano se serve. Infatti come già dissi bisogna aver paura dei vivi non dei morti




 al Post imbarazzante  a  limite  dl  cinismo   come certi commenti  che   ho suscitato con il mio contagioso  post  di pancia.


2.4.20

E le prostitute senza più clienti si mettono in coda alla Caritas

ed io  che   ci avevo fatto giorni fa  una  battuta   .c'è poco da  ridere   invece q. questa epidemia  non guarda  in faccia nessuno  anche gente  durante  le  crisi   riusciva  a   vivere    ed  a tiratre avanti anche  se  ai margini 

 da   repubblica 

E le prostitute senza più clienti si mettono in coda alla Caritas

 Affamate, impaurite e a corto di soldi per pagare l’affitto. “Centinaia di richieste d’aiuto, non hanno da mangiare”

«Abbiamo fame e nessuno ci aiuta. Prima per strada lavoravamo, adesso ci finiamo a dormire negli scatoloni. Senza clienti non possiamo più pagare l’affitto di una stanza. Di coronavirus si può morire anche senza prendere la polmonite». Poco dopo mezzogiorno quattro ragazze sono in coda davanti alle cucine economiche popolari di Padova. Tre straniere e un’italiana: poco più che ventenni, non sembrano studentesse. «Fino a un mese fa — dice Gloria, partita tre anni fa dalla Nigeria — a quest’ora ero appena andata a letto. Ora, già all’alba, mi svegliano i crampi della fame. La vergogna questa volta può fare una strage».
La catastrofe del coronavirus in Italia travolge anche 120 mila prostitute. Il divieto di uscire di casa, le norme sul distanziamento sociale e la chiusura dei locali, azzerano un business da 4 miliardi all’anno. Le vittime sono donne e transessuali: il 55% è extracomunitario, spesso clandestino, quasi sempre schiavo di tratte e sfruttatori. Per queste invisibili, più esposte al contagio e prive di assistenza medica, non ci sono aiuti.

Le ragazze in fila

L’epidemia fa esplodere nuove povertà ed emarginazioni diverse. «A pranzare qui — dice suor Albina — vengono in 170 al giorno. Quasi tutti anziani, disoccupati, migranti e senza fissa dimora. Per la prima volta vedo impennare il numero delle ragazze che cercano cibo. Non chiediamo chi sono, ma la professione perduta è chiara». Sei prostitute su dieci, fino ai primi di marzo, vendevano sesso per strada. La maggioranza pagava una quota a chi le sfruttava e spediva il resto alla famiglia in patria. Poche quelle che hanno dei risparmi. «Difficile stimare quante sono ridotte alla fame — dice don Luca Facco, direttore della Caritas padovana — ma chi adesso ci chiede aiuto, ne ha davvero bisogno. Questo virus sconvolge anche il profilo delle emergenze: i prossimi mesi, per chi precipita nella povertà, si annunciano durissimi».

La fame e la paura

Ancora di più per chi è piegato dal peso dello stigma sociale. «Queste donne — dice Pia Covre, che con Carla Corso ha fondato il Comitato per i diritti civili delle prostitute — ora hanno fame. Più ancora, hanno paura. La maggioranza non osa nemmeno chiedere aiuto. Se non esercitano ogni giorno il mestiere, non sanno di cosa vivere e sono ancora più esposte alle violenze. Da giorni ricevo centinaia di messaggi: ragazze che domandano dove possono trovare cibo. Qualcuna, che ha da parte dei soldi, aiuta le amiche che hanno bambini». L’idea è istituire un fondo di sostentamento per chi non può più vendere sesso. «Ex clienti generosi — dice Carla Corso — potrebbero ricordarsi di noi e fare delle donazioni».

Ai margini della strada

Ad affondare, anche altri precari che dipendono dalla strada e dal benessere degli altri: giostrai, circensi, ambulanti, artisti itineranti e stagionali al lavoro nei campi. Tra Lombardia e Veneto, epicentro del contagio, migliaia di famiglie in queste ore vivono la tragedia di non avere niente da mettere sulla tavola. «È un’onda che cresce — dice Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana di Milano — con centinaia di nuclei sul lastrico. Molti hanno anche gli animali da nutrire e si affidano alla generosità dei contadini. Non possono mettere in scena i loro spettacoli, le giostre sono ferme. Centinaia di mamme non sanno come sfamare i figli. Il primo mese hanno tenuto duro, adesso non ce la fanno più. Telefonano per le borse della spesa solidale o per ritirare un pasto nelle mense: tra le necessità, anche i prodotti per l’igiene. Nessuno chiede soldi: sono ridotti a farsi bastare un pezzo di pane». I numeri sono questi: più 50% di accessi agli 8 market solidali di Milano. Quasi spariti poveri ed emarginati storici, bloccati in alloggi e comunità. Esplode il sommerso della fame improvvisamente generata da Covid-18, ancora senza data di scadenza. Anche su Caritas, parrocchie e volontariato della solidarietà incombe lo spettro delle difficoltà economiche. «Il 95% di chi sta chiedendo aiuto — dice don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso — è in emergenza alimentare. Per anni abbiamo pagato affitti e bollette, adesso compriamo farina. Qui ci sono 70 famiglie di giostrai, oltre 400 persone, che mangiano a turno ogni due giorni. Da ieri mi hanno chiamato 8 prostitute rimaste senza cibo: mai successo, nemmeno durante le guerre e dopo la crisi finanziaria del 2008: dobbiamo pensare subito al microcredito, nessuno deve essere lasciato morire di fame».

L’ostacolo della vergogna

A preoccupare, tra Bergamo, Brescia e Vicenza, le periferie urbane e i territori abbandonati anche dalla solidarietà organizzata. «Qui — dice Filippo Monari, direttore della Caritas bresciana — ammettere il bisogno fa vergognare. La sfida sarà intercettare la fame prima che uccida, come un osceno virus tollerato dall’umanità». A Brescia, la sera, le prostitute si mettono in fila a un metro e mezzo di distanza. Prima erano al lavoro lungo le strade dirette al lago di Garda. Oggi anche loro sono sole, in coda per una tazza di minestra.

A VOLTE NON C'è BISOGNO DI PULIRE IL PROPRIO SPAZIO SOCIAL SI PULISCE DA SOLO


non serve eliminare i narcisi ,i nerd , i morti che camminano , morti viventi , e coloro che ti chiedono il contatto per farsi i .... i tuoi e non ti dicono niente di loro , ecc si cancellano da soli appena , come è successo a me su facebook , con ****** diu cui ho accettatoi il contatto ma non c'era nessun post suo o condiviso o video ed ecco che dopo che gli ho chiesto in privato :<< Benvenuta. Spero di leggere anche qualche tuo pensiero o condivisione. Non solo tue foto>> essa mi ha rimosso dai contatti
Infatti  ha  ragione   , quest'articolo  ( da  cui ho tratto la  foto sopra )  di https://www.culturedigitali.org    ed questa  immagine

L'immagine può contenere: 1 persona, il seguente testo "2017: Quando ritrovi una foto di tua nonna 2097: 2097: Quando ritrovi una foto di tua nonna"

 presa  da questo canale    di telegram 
 👅 @ErosAndFunny 🐽
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Selected by @DiamondsWorld 💎

combattere il bullismo con la pet terapy ? l'esperimento della cooperativa killa della dott . Simona Cao

Avendo letto questa storia sull'ultimo  n   del  settimanale    giallo   di cui riporto sotto sotto l'articolo


ho deciso d'approfondire  l'argomento  intervistando   la protagonista la  dott. Simona Cao visto che  su    tale argomento  c'è  scarso informazione  e preconcetto   \   derisione  o   vine   sottovalutato e  considerato come  riempitivo per  giornali  da parrucchiere  
Ma  prima  mi sembra  doveroso   fare  un introduzione  all'associazione  Cooperativa Killia ed  al loro  progetto   
Essa è  una cooperativa sociale che nasce nel 2013, e significa culla in sardo antico, come concetto di luogo in ogni persona o animale viene accolto e “cullato”. 

 <<  Siamo una Equipe di professionisti che opera nel Sud della Sardegna che, oltre alle specifiche competenze lavorative, hanno approfondito, attraverso studi e percorsi formativi, il mondo della relazione uomo-animale. La nostra Equipe è in linea con la Normativa Nazionale e nello specifico con le Linee Guida sugli Interventi Assistiti con l’Animale, Accordo 60/CSR del 25 Marzo 2015, recepite dalla Regione Sardegna con Delibera n 15/12 del 21 Marzo 2017, sono presenti quindi tutte le figure professionali con diverse competenze in diversi ambiti, e tutte hanno seguito e raggiunto una formazione in IAA e sono coinvolti nei progetti esclusivamente i nostri cani, un nostro cavallo ed alcuni cavalli adeguatamente preparati e con una propria pro-socialità verso le persone. Nello specifico sono presenti come richiede la normativa: la Responsabile di progetto in EAA, i Referenti d’intervento in EAA, i coadiutori del cane e la responsabile veterinaria esperta in IAA. >>

La Pet Therapy, attualmente definita dal Ministero come Interventi Assistiti con gli Animali, è un approccio di intervento in cui l'animale assume il ruolo di “co-terapeuta“ e facilitatore sociale. Integra, rafforza e coadiuva le tradizionali tecniche educative e riabilitative al fine di garantire il benessere dei fruitori. Infatti sempre nel file allegato alla mia   intervista   a 
 << I nostri progetti di Pet Therapy si rivolgono a persone di tutte le età; bambini, adulti, anziani, disabili e persone con disagio psico-sociale; ogni singolo nostro intervento si adatta alle esigenze di ciascun utente, per ottenere i migliori risultati beneficiali.
dal sito 
Legalità, regole e condivisione: col cane si può: questo è il titolo del progetto che ha visto coinvolti gli alunni dell'Istituto Eleonora D'Arborea di Cagliari dal mese di Gennaio a Giugno 2019. Il progetto “LEGALITÀ, REGOLE E CONDIVISIONE: COL CANE SI PUÒ”, finanziato grazie al bando "Concessione di contributi di promozione della cultura della legalità tra i giovani della Regione Sardegna- Slegali studenti a scuola di legalità," nell'ambito delle Politiche Giovanili dell'Assessorato alla Pubblica Istruzione, ha visto dal mese di Gennaio a Giugno 2019 coinvolte 3 classi del Liceo Eleonora d’Arborea di Cagliari, in un percorso volto all’acquisizione di conoscenze e competenze relazionali e civiche. Al progetto hanno partecipato varie figure pofessionali dell'area socio educativa, con la partecipazione speciale di alcuni cani co-terapeuti.L'obiettivo principale di tutto il percorso è stato di incrementare l'intelligenza emotiva e le competenze comunicative e relazionali dei ragazzi, in modo che capiscano l’importanza di una buona inclusione sociale di tutti, soprattutto dei più deboli e fragili, in prevenzione del bullismo e di comportamenti legati all’illegalità. Il progetto si è concluso con un evento, il 5 Giugno, presso il Liceo, dedicato ai ragazzi ma anche ai professionisti del settore educativo, alle associazioni, ed a tutti gli amanti degli animali. Un incontro dedicato alla sensibilizzazione dell'accettazione alla diversità di ciascun essere vivente, attraverso la presentazione del progetto da parte delle classi coinvolte e dell'opuscolo "Un adozione responsabile". La Coop sociale Killia, ha guidato il progetto, in qualità di Ente capofila, attraverso una prima conoscenza dei ragazzi con la Dott.ssa Diana Spinelli e la Dott.ssa Simona Cao, rispettivamente psicologa e Responsabile di progetto in IAA, e veterinario esperto in comportamento animale ed in IAA, che hanno aiutato i ragazzi a riflettere sull’importanza della comunicazione empatica, l’ascolto attivo, il riconoscimento ed il rispetto dei bisogni e delle caratteristiche dell’altro da sé.L'argomento cardine del disagio giovanile, si è articolato con una riflessione sul rapporto tra i cosiddetti “comportamenti a rischio” e la frequente mancanza di scambi educativi e relazionali significativi, che è stato affrontato dalla Dottoressa Annalisa Catte, pedagogista, educatore professionale, abilitata all'insegnamento, affiancata dalla Dott.ssa Serena Delogu, pedagogista, rispettivamente Presidente e Vicepresidente della Cooperativa Sociale “Clare” che gestisce la Comunità per Minori Adolescenti “Il Senso della Vita”.Le classi hanno poi svolto 20 ore ciascuna di laboratori pratici incentrati su un percorso di Educazione assistita con il cane guidato dalla Coop Killia, che rappresenta un’occasione per sperimentarsi e mettere alla prova gli spunti di riflessione emersi negli incontri con gli esperti all’interno di un contesto relazionale caratterizzato dalla massima diversità, quale quello con individui di specie diversa (relazione uomo-cane), di cui occorrerà imparare a riconoscere le specificità, imparando ad instaurare una relazione che prescinda dalle differenze. In particolare, il coinvolgimento dei cani coterapeuti nelle attività laboratoriali ha facilitato la scoperta delle diverse tipologie di cane, delle caratteristiche peculiari e delle attitudini di ciascuno.I cani coinvolti nel progetto sono stati di razze diverse e con ognuno una sua soggettività e individualità, Yuma meticcia di taglia grande, dal carattere vivace e gioioso, Giulia, Stafforshire Bull Terrier, dal carattere sereno e sociale, e Sten, Jack Russel dinamico e reattivo.La scelta di far partecipare questi 3 cani è data dalle loro caratteristiche psicoemotive e sociali.Conosciamo meglio Yuma, una giovane meticcia incrocio Labrador e Molosso, adottata dal canile di Cagliari, attraverso le parole della sua proprietaria e coadiutrice in IAA: `Recuperata da una scatola quando eri molto, troppo piccola; ci siamo incontrate ed è stato amore a prima vista! Siamo solo all'inizio del nostro cammino e lo faremo affianco spalleggiandoci nelle difficoltà e gioendo dei traguardi raggiunti. Sei buffa, divertente e dinamica e sei bella cosi come sei. Impareremo a camminare più piano, a ragionare con calma e agire riflettendo e lo faremo assieme``.I ragazzi hanno avuto modo di osservare e sperimentare attraverso la relazione con il cane come riconoscendo, rispettando e valorizzando i talenti di tutti si possano raggiungere i migliori traguardi.Al fine di comprendere e sperimentare concretamente realtà educative e di accoglienza alla diversità, tutti i ragazzi hanno partecipato ad un laboratorio in esterna, presso l'Exmè di Pirri, centro di aggregazione sociale. La partecipazione della Coop Sociale Exmè ha permesso ai ragazzi di conoscere una realtà diversa, fatta di professionisti che ogni giorno prestano le loro competenze per aiutare il prossimo in un percorso di rinascita e riabilitazione rivolto a tutti.Attraverso l’aiuto di un esperto in web marketing della Coop Killia, nella fase conclusiva del percorso laboratoriale, i ragazzi hanno progettato e realizzato un opuscolo online sull’adozione “responsabile” dei cani. Il materiale prodotto, oltre ad essere un utile strumento di divulgazione e sensibilizzazione su una corretta relazione uomo-cane, ha permesso di affrontare ancor di più gli aspetti rilevanti di conoscenza della diversità e di unicità della stessa, attraverso la valorizzazione di ciascun individuo. L'opuscolo è usufruibile da tutti, pubblici e privati sul sito killia.eu >>


  ed  ora  l'intervista  vera     e  propria 



  il tuo " esperimento " con yuma citato da giallo può definirsi Pet therapy ?

        Assolutamente si. Non parlerei di esperimento, Yuma sin dai primi mesi di vita ha manifestato un elevata prosocialità e tutte le caratteristiche e motivazioni per diventare un cane coterapeuta e svolgere quindi progetti di IAA (interventi assistiti con gli animali), ovviamente ha svolto un training specifico per ampliare le sue competenze e la sua conoscenza del mondo, ed è sempre seguita da me come veterinario esperto in IAA.Il progetto a cui ha partecipato Yuma, “Legalità, regole e condivisione: col cane si può”: questo è il titolo del progetto che ha visto coinvolti gli alunni dell'Istituto Eleonora D'Arborea di Cagliari dal mese di Gennaio a Giugno 2019, è assolutamente un progetto di pet therapy, per l’esattezza una EAA, ossia un progetto di educazione assistita con il cane ossia Intervento di tipo educativo che ha il fine di promuovere, attivare e sostenere le risorse e le potenzialità di crescita e progettualità individuale, di relazione ed inserimento sociale delle persone in difficoltà.Il progetto è stato strutturato in ogni sua parte, dalla fase di pianificazione iniziale con gli insegnanti della scuola, alla fase attuativa alla conclusione, l’intero percorso è stato monitorato con dei report giornalieri e con una valutazione di efficacia per valutare il cambiamento nei ragazzi dovuto alla relazione del cane e ai benefici che può dare.Inoltre come previsto dalle line guida nazionale per gli IAA, erano previste tutte le figure professionali richieste.



come è stato accolto m dai genitori dei ragazzi tali esperimento ? 


Non abbiamo avuto un filo diretto con i genitori dei ragazzi. Ovviamente tutti i genitori hanno acconsentito alla partecipazione dei propri figli al progetto, dando il consenso per la privacy e spesso anche per foto e video. All’interno di questo progetto c’era uno spazio facebook dedicato, dove ogni giorno postavamo foto e frasi o poesie scritte dai ragazzi sulle emozioni che stavano vivendo e su quello che stavano imparando attraverso la relazione con il cane e le attività proposte, in queste occasioni spesso i genitori commentavano che i ragazzi erano entusiasti o che dopo la fine del progetto sentivano la mancanza dei cani conosciuti durante il percorso.Gli insegnati e il preside dell’Istituto scolastico sono stati molto entusiasti sin dall’inizio e anche loro si sono messi direttamente in gioco svolgendo i laboratori esperienziali con gli operatori presenti, i ragazzi e i cani. Alla fine del progetto c’è stato un evento finale dove è stata invitata tutta la cittadinanza e dove i ragazzi hanno presentato l’opuscolo sull’adozione responsabile creato da loro durante il percorso, è stato un momento emozionante dove ci siamo salutati e insieme abbiamo chiuso un percorso importante di responsabilizzazione e di crescita personale.









 lo avete anche applicato in altri casi oltre la lotta a bullismo ? secondo il vostro tentativo può andare bene per i ragazzi aiutistici o con handicap ? 

Yuma come anche gli altri nostri cani coterapeuti , sono cani che per le loro caratteristiche riescono ad    essere inseriti in progetti diversi e con differenti tipologie di utenze.A esempio Yuma prima dell’emergenza Covid-19, stava svolgendo dei percorsi di educazione assistita individuale rivolti ad un bambino di una comunità per minori e ad un bambino con una diagnosi dello spettro autistico di tipo 3 (massima gravità), allo stesso tempo è inserita in un progetto in un centro residenziale per malati di Alzheimer.Questo non significa che Yuma è il cane ideale per ogni bambino con autismo, ma che in questo caso specifico e con questo bambino lei era il cane più idoneo per raggiungere gli obiettivi stabiliti. La scelta del cane da inserire in un determinato progetto viene svolta in equipe, dove sia il Responsabile di progetto (psicologo) e il veterinario esperto in Iaa, valutano attentamente sia la parte animale che quella umana per creare un abbinamento perfetto.È fondamentale scegliere il cane idoneo in base all’utente, alle sue potenzialità, ai suoi limiti e al suo modo di interagire con il mondo.Ovviamente per ogni tipologia di utenza le attività e gli obiettivi sono specifici e cuciti ad hoc sulle esigenze del singolo.Come cooperativa lavoriamo tantissimo con la disabilità in ogni sua forma, fisica e mentale.I benefici dati dalla relazione con l’animale sono molteplici, l’animale ha il ruolo di mediatore e facilitare sociale, come un ponte che permette di creare un rapporto sincero e genuino con gli operatori e aprire delle finestre di apprendimento e di crescita uniche.

  per    approfondire  l'argomento



1.4.20

nazifemministe un termine idiota usato a sproposito

  ecco  perchè   , come si può leggere   dal titolo nazifemministe  .
 no aggiungo altro  a quanto riportato neglu  url  \  sitri per  approfondire      che trovate  prima dell'articolo     e  all'articolo  sotto  in quanto due  parole sono poche  ed  una  è  troppo  .



 da https://lapiega.noblogs.org/  del 2019/12/02/

                                          di Paul B. Preciado

Da quando le donne parlano per sé stesse i rappresentanti del vecchio regime sessuale sono talmente nervosi che ora sono loro a rimanere senza parole. È forse per questo che i signori del patriarcato coloniale sono andati a pescare nel loro libro di storia necropolitica alla ricerca di insulti da lanciarci addosso e, caso curioso, hanno scelto quello che hanno sempre a portata di mano: nazista!Dicono di noi che siamo delle nazifemministe. Dicono che non possono più salire in ascensore con una ragazza – che peccato – perché questa potrebbe essere una ‘nazifemminista’ che li accuserà di stupro. Dicono che non possono più esercitare liberamente l’arte della conquista virile alla francese. Dicono che le donne hanno preso il potere nelle università, che vincono premi letterari e che sono loro che, ebbre di gender studies, dettano legge nel cinema e nei media. Capovolgendo egemonia e subalternità, i padri del tecnopatriarcato attribuiscono un potere assoluto alle minoranze sessuali, alle donne, alle persone trans, omosessuali, ai froci, alle lesbiche e ai corpi di genere non binario; straordinariamente trasferiscono su quest’ultimi soggetti quelle violenze totalitarie che sono state e sono tuttora le loro. Come è possibile applicare l’aggettivo ‘nazista’ proprio ai corpi che il nazismo considerava subumani e dispensabili?Nulla giustifica l’utilizzo dell’aggettivo ‘nazifemministe’ per qualificare le richieste di riconoscimento delle donne, delle persone trans, di quelle omosessuali o di sesso non binario come soggetti politici autonomi. Non penso che valga la pena perdersi in una discussione teorica. L’argomento migliore e più efficace è attenersi ai fatti.Quando avremo violato e smembrato un numero di uomini pari alle donne, alle persone omosessuali o trans che avete violato e smembrato voi, semplicemente per il fatto di essere uomini, o perché il loro corpo o le loro pratiche non corrispondevano a ciò che noi intendiamo come corretta mascolinità eterosessuale sottomessa, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando avremo deciso in un Parlamento composto solo di donne, in un consiglio d’amministrazione composto solo di donne, che un uomo per il semplice fatto di essere uomo deve essere meno pagato di una donna in qualsiasi impiego e circostanza, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando vi sarà proibito di eiaculare fuori da una vagina, pena l’accusa di aborto e tutte le vostre pratiche sessuali al di fuori del letto eterosessuale saranno considerate grottesche o patologiche, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando le vostre gambe tremeranno nell’attraversare una strada buia e cercherete intimoriti le chiavi del portone nelle tasche per rientrare il più veloce possibile, quando una figura femminile in fondo al viale vi farà voltare e correre, quando le strade di ogni città saranno nostre, allora voi potrete chiamarci nazifemministe. Quando le scuole non insegneranno che libri di Gertrude Stein e Virginia Woolf e quando James Joyce e Gustave Flaubert saranno diventati degli scrittori “mascolinisti” e quando i musei d’arte dedicheranno una settimana all’anno all’esplorazione delle opere sconosciute degli ‘artisti maschili’ e quando le storiche pubblicheranno ogni dieci anni un magazine per parlare del ruolo degli ‘uomini invisibili nella storia’, allora, a quel punto, potrete chiamarci nazifemministe.Quando le psicologhe, le psicanaliste e le psichiatre, esperte in sessualità umana, saranno esclusivamente delle lesbiche radicali che si riuniranno in assemblee chiuse per stabilire la differenza tra mascolinità normale e patologica, quando invece di commentare Freud e Lacan interpreteremo la vostra sessualità mascolina eterossessuale, le vostre aspettative e i vostri piaceri secondo le teorie di Valerie Solanas e Monique Wittig, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando le vostre madri, zie, cugine, sorelle, amiche e mogli avranno sempre qualcosa da dire sul vostro modo di vestire, di acconciarvi, di parlare, di essere brutti o grassi, belli o magri, e quando ve lo diranno costantemente, a voce alta, davanti a tutte, e fingeranno di farvi piacere con questa forma di controllo, e quando noi chiameremo questa forma di linguaggio ‘galanteria femminile’, allora potrete chiamarci nazifemministe. Quando usciremo in gruppo per pagarci un lavoratore del sesso precario che incontreremo mezzo nudo ai lati delle strade delle periferie delle città, un uomo giovane spesso immigrato al quale non riconosceremo il diritto al lavoro, che sarà considerato come un criminale e quando una polizia composta quasi soltanto da donne avrà il diritto di stuprare e perseguire, allora sì, nel momento in cui pagheremo cinque euro un lavoratore sessuale per una succhiata di clitoride in macchina, allora potrete chiamarci nazifemministe.E anche se un giorno vi sottomettessimo, vi esotizzassimo, vi violentassimo e uccidessimo, se riuscissimo in un disegno storico di sterminio, espropriazione e sottomissione comparabile al vostro, allora saremmo semplicemente come voi. Allora, sì, da quel momento potremmo condividere con voi l’aggettivo ‘nazista’. Ma per essere all’altezza delle vostre tecniche politiche patriarcali avremmo bisogno di un lavoro collettivo monumentale, e di mettere in campo un odio organizzato e un’industria della vendetta che, sinceramente, non immagino né desidero. Per adesso, e lo dico con l’obiettività che metterebbe uno scienziato nel rimarcare la differenza tra il numero di granelli di sabbia del deserto del Sahara e il granello di sabbia che gli è entrato in un occhio, c’è del margine. Molto, molto margine.
Infatti        l'unico  commento  che  mi sento di fare  è quello  di usare   in senso contrario ovviamente      questo   che era  un manifesto delle   donne hitleriane  
Il NaziFemminismo

30.3.20

beato chi riesce ad essere produttivo e creativo nella quarantena . io a malapena riesco ad mettere ordine in me e fra le mie cose . il caso di Murder Most Foul di bob dylan

“Era un giorno buio a Dallas, nel novembre 1963. Un giorno segnato dall’infamia. Il presidente Kennedy era su di giri, era una buona giornata per vivere e una buona giornata per morire”. Comincia così, con un attacco da manuale, il nuovo brano di Bob Dylan, pubblicato a sorpresa nella notte tra il 26 e il 27 marzo. 
S’intitola Murder most foul (L’omicidio più disgustoso, sembra una citazione dell’Amleto di Shakespeare) e dura quasi diciassette minuti. È il pezzo più lungo che abbia mai pubblicato ed è il primo inedito che fa ascoltare al pubblico negli ultimi otto anni.Murder most foul parla dell’assassinio del presidente statunitense John F. Kennedy, avvenuto a Dallas nel 1963. Parte da lì, ma poi si trasforma in una carrellata di istantanee in bianco e nero degli anni anni sessanta, il periodo nel quale Bob Dylan diventò una star internazionale della musica, in cui passò dall’essere il cantautore simbolo dei diritti civili all’inventore del moderno folk-rock.Il fatto che Dylan abbia deciso di pubblicare Murder most foul in questi giorni, nel pieno della pandemia globale di Covid-19, potrebbe non essere una coincidenza. Il messaggio del cantautore di Duluth sembra essere: era dai tempi dell’omicidio Kennedy che non mi capitava di vivere un evento così scioccante. Qualcuno potrebbe interpretarlo come un commiato dal suo pubblico perché sta male (non fare scherzi Bob), ma la cosa non risulta a nessuno al momento quindi è da escludere. Consiglio comunque di ascoltare il brano con il testo a fronte, altrimenti ci si perde e non lo si apprezza completamente. [....]  Ed  aggiungo  a quanto  detto  da  questo  toccante articolo  de  https://www.internazionale.it/  da    fare     per  chi      non conosce  o  conosce  a stento  ( come  me   )  la  profonda  ed  variegata  cultura  Usa  di   cui   non  tutto      , specie  quella  non commerciale  e  " specialistica "  ,      giunge  a noi   in occidente ,      con le note    soprattutto    quella  della traduzione    di    https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=60926&lang=it

Ecco che   

rinuncia o consapevolezza ? viste le brutture del codiv19 e di tutti i virus diffusi dall'animale all'uomo io dico la seconda . voi non so

la  conferma    a quello che dicevo   nel mio post  precedente sulla  consapevolezza (ma  non solo) sembra  trovare  conferma   , trovate  sotto  l'articolo  ,  nella  rubrica  di  Umberto Galimberti    su  D  di repubblica
  da  D  di repubblica  del  28\3\2020   

Infatti  La rinuncia rappresenta ciò da cui si può partire per provare a riflettere su una sfaccettatura dell’animo di ognuno di noi: un atteggiamento basato sulla rassegnazione, e al tempo stesso sulla consapevolezza che non è possibile cambiare l’evolversi delle cose  e quindi  non sempre   è  utile  per   creare  e  cambiare   anche se    d'essa    si può partire  per  farlo  

Pretendere che italiani e immigrati ed in nuovi italiani condividano la stessa idea della donna come persona libera

Qualche  giorno    fa  stavo sfogliando la  slide   di msn.it      è  sono  capitato    su quest  articolo di  HuffPost Italy Dei fatti di C...