10.1.23

Noi disabili “Le vere barriere sono di questa società che non include” di FRANCESCO DI PERSIO

 Ho  tantissimi acciacchi   compreso  di deambulazione   e  quindi pur  ancora  non essendo  in sedia  a rotelle  capisco  benissimo  l'intervento  di Francesco de Persio    sotto    riportato  su il IFQ  del 10\1\2023  




 e  questo  commento   su  PressReader.com - Giornali da tutto il mondo
nickname25799022

La vera regola: rispettare il prossimo come te stesso. Senza nessuna differenza . Sarà mai possibile? L'uomo veramente socievole e sociale crescerà mai? Il vero garantismo è sicurezza di crescere in umanità.

Ma  qui    si  sminuisce     il problema     che     in alcune  località   è  molto    grave  come dimostrano  questa    foto  a  sinistra  e le   foto   altre  scattate  in alcune  vie   del  paese     dal compaesano   Marco Ladu   alias  su  Duca di La Naciola  le  foto     E non c'è manco bisogno di una disabilità per rendersene conto: basta provare ad uscire con un passeggino o  una  sedia  a rotelle. 
Per me ogni volta fu un incubo 🤦  
che debbo passare   da  quelle  parti 🤬

    





e come lui   ha  scritto  una  settimana  fa  mi viene spontanea questa domanda destinata o a volare nel vento nel qualunquismo : << Forse non hanno parenti o amici disabili o mancano di sensibilità >>

Mi sono sempre chiesto: ma quando un'impresa, un operaio, il tecnico che ha fatto il progetto, piuttosto che un responsabile della viabilità o l'ufficio tecnico che si occupa dell'illuminazione pubblica fanno "un cazzo di buco" per piantare in terra un palo piuttosto che un cartello di segnaletica, possibile non si mettano minimamente il problema che pochi centimetri in qua piuttosto che in la, possono fare una differenza enorme per chi ha problemi di deambulazione ed è costretto a muoversi con una carrozzina? Non posso pensare che lo si faccia apposta, ma non posso credere che sia una casualità visti i centinaia (non esagero) di questi scempi che chiunque può notare a Tempio. Credo sia piuttosto una totale mancanza di senso civico, di attenzione, di rispetto. E l'altro giorno, tra la valanga di opere pubbliche annunciate con grande enfasi dai nostri amministratori, mi sarebbe piaciuto leggere anche qualcosa che rendesse la nostra città a misura di chiunque la abiti o la attraversi. Può essere anche che mi sia sfuggito, ma è dai Tempi del comitato civico che si richiama, purtroppo invano, l'attenzione di chi dovrebbe essere deputato ad agire e tutto rimane come prima, anzi peggiora
Peccato che nel 2023 ancora ci siano persone costrette a uscire di casa sapendo di affrontare una sfida che potrebbe non essere tale se quei "cazzo di buchi" fossero stati fatti appena più in là...


9.1.23

gli ultras una mafia violenta punita da decenni

  di cui stiamo parlando  


SCONTRI TIFOSI

Arrestato l'ultrà giallorosso di estrema destra Martino di Tosto: nel 2013 partecipò all'agguato al pullman del Verona


Io   non  avrei saputo  dirlo meglio 

Ma voi li immaginate i tifosi del Chelsea ripetere che hanno contro il tifo di tutto il paese? O i tifosi dei Lakers inneggiare agli uragani in Florida? O presidenti di squadre di football proteggere eventuali azioni criminali di “tifoserie delinquenziali”? No. Non potete immaginarlo perché solo noi siamo così cialtroni e privi di senso dello sport. E avviene solo nel calcio che abbiamo reso una cosa sporca e malata “In Italia per i tifosi conta solo il risultato. In Inghilterra conta lo sforzo” Gianluca Vialli

Infatti





Varsavia (Polonia). Jerzy Popieluszko, il sacerdote assassinato nel 1984. L'oscar romero polacco


  dal  settimanale  Giallo  anno  XI n  1    11  gennaio  2023

                                             Silvana Giacobini 

Con il centro storico Patrimonio dell’umanità dell’Unesco, Varsavia è la capitale della Polonia con la testimonianza architettonica di una lunga storia a partire dalla sua fondazione nel 1350 circa. Se spiccano il Castello reale e gli antichi palazzi neogotici e si arriva ai moderni grattacieli passando per gli edifici dell’epoca sovietica, Varsavia rappresenta però anche una meta diversa per moltissimi fedeli in continuo pellegrinaggio dall’estero e dalla Polonia stessa, che si recano a pregare sulla tomba del beato Jerzy Popieluszko nel giardino della chiesa di San Stanislao è rimasta indimenticabile per tanti
fedeli ed è entrata nella storia, quella di Papa Giovanni Paolo II. La data era il 14 giugno 1987. E quando il Papa aveva pregato sulla tomba di Jerzy Popieluszko, era stato un omaggio di alto valore simbolico, perché il sacerdote martire dei comunisti, sottoposto a torture indicibili e ammazzato crudelmente tre anni prima, non era ancora beato . La proclamazione avvenne infatti  a distanza di più vent’anni nel 2009 da parte di Papa Benedetto XVI. Da notare che lo stesso Pontefice proclamerà beato anche Giovanni Paolo II nel 2011, reso poi Santo da Papa Francesco. Per molti è un segno di un destino comune, ma se si parlasse di coincidenza, sarebbe anch’essa simbolica, perché Karol Wojtyla, diventato il primo Papa straniero dopo centinaia d’anni, come Popieluszko era nato in Polonia, a Wadovice, il 18 maggio 1920 ed era stato testimone, o aveva vissuto sulla sua pelle, delle persecuzioni degli occupanti nazisti del suolo polacco così come il giovane sacerdote Jerzy Popieluszko aveva assistito alle persecuzioni contro gli attivisti sindacalisti da parte delle autorità comuniste. Detto anche il “cappellano di Solidarnosc”, Jerzy predicava la sua vicinanza agli operai e ai lavoratori. Era la scomoda voce cristiana che li spronava a “combattere il male con il bene”, in grado di attirare i fermenti di ribellioni pronte a destabilizzare il governo. Ricordiamo che nel 1987 quando Papa Giovanni Paolo II si recò a pregare sulla sua tomba, era il tempo di Solidarnosc, il Sindacato autonomo dei lavoratori “Solidarietà”, fondato nell’80 in Polonia e guidato da Lech Walesa, arrestato e rilasciato in libertà vigilata nel 1982, quando il sindacato era stato sospeso in base alla legge marziale voluta dal generale Jaruzelski. 

IL PROCESSO Varsavia (Polonia). In questa foto, del 1985, il processo agli imputati Griegor Piotrowski e Adam Pietruska. Gli autori dell’omicidio furono giudicati colpevoli e condannati a 25 anni di carcere, ma furono rilasciati a seguito di amnistia qualche anno dopo.



Solo nel 1989 Solidarnosc sarà considerato legale, a distanza di tre anni dalla visita di Wojtyla in Polonia e dal suo coraggioso omaggio a Popieluszko, vittima e martire del regime di stampo sovietico che osteggiava i sacerdoti nell’esercizio della propria fede. Torniamo quindi indietro al tempo che vide la nascita e la vicenda terrena di Jerzy. Era nato il 14 settembre 1947 nel Nord Est della Polonia, nel piccolo villaggio di Okopy. Era vicino al con#ne con la Bielorussia in una zona rurale in cui non girava molto denaro. Il piccolo Jerzy era chiamato con il soprannome di Alek e aveva ricevuto un’educazione religiosa da parte dei genitori. Per andare a servire la Messa a Suchowola, dove si trovava la chiesa parrocchiale, il giovanissimo Jerzy faceva cinque chilometri a piedi e non erano pochi qualsiasi tempo ci fosse, magari facendosi strada nella neve alta. “Alek”, dal temperamento introspettivo, sentiva la vocazione sacerdotale #n da ragazzo ed entrò nel seminario maggiore di Varsavia. Per capirlo meglio, va ricordato che Jerzy parlava spesso del beato martire poi diventato santo Massimiliano Kolbe, il presbitero francescano polacco fondatore della Milizia dell’Immacolata, che si era offerto di prendere il posto di un padre di famiglia nel campo di sterminio nazista di Auschwitz dove fu ucciso in sua vece con una iniezione di acido fenico nel 1941 e le cui ceneri furono disperse come spregio alla sua persona. Una passione, un’attrazione da parte di Jerzy verso la #gura del francescano Kolbe, che segnò con la sua esistenza di missionario martire la strada che avrebbe intrapreso lui stesso, passo dopo passo, con la
LA MAMMA Marianna Popieluszko,
morta nel 2013 a 93 anni
vocazione a predicare agli operai e di offrire la vita stessa per difendere i loro diritti mettendosi in questo modo dichiaratamente contro le autorità.
Come gli altri seminaristi polacchi, Popieluszko fu richiamato al servizio militare obbligatorio dal 1966 al 1968. La durata era di due anni in cui i giovani venivano indottrinati perché dimenticassero la vocazione. Lui resisteva e veniva spesso punito. Don Jerzy, consacrato sacerdote nel 1972, esercitò poi il suo ministero nella parrocchia di San Stanislao Kostka a Varsavia e iniziò a sostenere gli operai e i lavoratori contro la dittatura comunista. Non era solo un predicatore che con la parola convinceva i fedeli, ma si prodigava con i fatti assistendo e sostenendo chi era in bisogno. Inferivano le persecuzioni contro gli attivisti del sindacato Solidarnosc e la sua vicinanza lo rendeva pericoloso agli occhi del regime. Ben presto la mano minacciosa del potere ebbe la meglio sulla sua voce che predicava il Vangelo e celebrava le “Messe per la Patria” che attiravano migliaia di persone da tutta la Polonia. Arriviamo così al settembre del 1984. I capi dei servizi segreti appartenenti agli apparati speciali del Ministero degli Interni polacco emisero la sua condanna a morte e ordinarono di rapirlo. Il sacerdote Jerzy aveva intrapreso il viaggio di ritorno dalla città di Torun il 19 settembre quando tre uomini dal volto coperto lo affrontarono e lo imprigionarono in un luogo segreto a Wloclawek. Erano i tre agenti Piotrowski, Pakala e Chmielewski. Jerzy fu sottoposto a torture terribili per estorcergli qualsiasi informazione utile al regime per reprimere eventuali sommosse, compresi i nomi di chi fosse sospettato di essere un ribelle rivoltoso o di simpatizzante del sindacato Solidarnosc, ma Jerzy, che non era un attivista ma un sacerdote, resiste!e giorni e giorni "no allo stremo delle forze, tenuto in vita dagli aguzzini solo per spremergli informazioni. Fu martirizzato anche lui come Kolbe e tu!i coloro che in nome della fede avrebbero in ogni tempo preferito dare la vita stessa piu!osto che abiurarla. 



Trascorsero molti, troppi giorni, in cui la gente comune s’interrogava dove fosse finito il sacerdote che predicava nella chiesa di San Stanislao ed era soprannominato il cappellano di Solidarnosc. Arriviamo così al 20 o!obre, quando Don Jerzy spirò a Wloclawek, e poi al 30 o!obre 1984 quando Il corpo che portava i segni di torture disumane fu ritrovato nelle acque del fiume Vistola nonostante fosse appesantito con un mucchio di pietre. Non era la prima volta che la voce di un martire invece di essere messa a tacere con la morte si elevasse ancora e sempre più forte. Fu così che subito la fama della sua santità si sparse in Polonia e fuori il Paese. Cominciarono i prodigi in suo nome e il “miracolo” di una guarigione inspiegabile di un malato terminale francese nel 2012. Nel 1997 iniziò il processo di beatificazione per arrivare alla sua proclamazione nel 2009 da parte di Papa Benede!o XVI. Tra la folla dei fedeli che pregano il beato Jerzy Popizluszko c’è la sua discendente, la nipote Grazyna, figlia della sorella Teresa. È stato ricordato in un recente congresso a Czestochowa, dove sorge il Santuario della Madonna Nera cara a Karol Wojtya Ovvero Giovanni Paolo II

8.1.23

Sul web c’è vita oltre la morte un cimitero virtuale per i defunti La startup isolana Zephorum ha realizzato il primo “Webetery” al mondo

   cosi almeno     finiranno  di lamentarsi   quelli che   non possono  avere    un tomba   su cui  piangere   i propri cari   morti   in :  alluvioni  ,  frane  ,   valanghe  ,    o mai tornati  a casa  perché  dei  criminali  gli  hanno uccisi   e  barbaramente  bruciato  o  dato ai maiali o  agli animali    il loro corpo  ù

  da  la  nuova  sardegna  8\1\2023

«Tutti noi lasciamo le tracce sui social Noi le raccogliamo, le riordiniamo e consegniamo il materiale agli eredi

                                    di  Andrea Sini

Sassari
Il caro estinto non c’è più, eppure può capitare di incrociarlo ancora. In un vecchio post, nei commenti sotto una foto che viene riproposta nei ricordi, soprattutto nel suo stesso profilo personale su uno dei social più in voga del momento. Tracce effimere, ma non troppo, delle vite attuali, vissute costantemente a cavallo tra il mondo reale e quello virtuale. È il lascito virtuale delle persone che non ci
sono più, e sino a non molto tempo fa non era soggetto ad alcun tipo di regolamentazione. Ora almeno si sa che gli eredi sono tutelati anche a livello legale. E intanto è nato anche un servizio per chi vuole mettere ordine nell’identità virtuale del defunto e tutelarlo. Si chiama Zephorum, è online da poco più di un mese ed è il primo Webetery al mondo. Si tratta di una startup fondata da Giulia Salis Nioi, nuorese di 36 anni che occupa da 12 anni di comunicazione, e David Harris, manager britannico trapiantato da tempo in Sardegna, che vanta un lunghissimo curriculum tra aziende private e pubbliche. «Abbiamo ideato un vero e proprio cimitero online – spiega Giulia Salis Nioi – in cui seppellire la nostra esistenza digitale in una tomba, amministrata dagli eredi. E nella stessa piattaforma abbiamo creato un ecosistema di servizi aggiuntivi: necrologi, telegrammi, avvisi in memoria, commemorazioni virtuali e molto altro. Anche una persona attualmente in vita può iniziare a predisporre il medesimo servizio per se stesso». zione «Ho avuto l’idea tre anni fa. Una notte vagavo su Facebook e per la noia scorrevo vecchi post. Nei commenti mi sono imbattuta in una persona che non c’era più e ho avuto una bruttissima sensazione, come se avessi visto un fantasma. Ho pensato: c’è qualcosa che abbiamo sbagliato, perché dopo la sepoltura fisica una parte di quella persona è ancora in giro. Su Fb c’è la possibilità di attivare il profilo commemorativo, che diventa grigio, ma ho pensato che servisse qualcosa di più. Sia perché i social sono tanti, sia perché esiste un valore etico da salvaguardare. Mi sono convinta che gli utenti che non ci sono più potessero tornare a essere non più semplici profili abbandonati, ma persone, alle quali restituire un po’ di umanità. Prevenendo tra l’altro i furti d’identità». I servizi Sul web esistono da anni servizi archiviazione pura, o web managing, o piantine di cimiteri virtuali. Nel caso di Zephorum si va molto oltre. La chiamiamo “commemorazione attiva” – spiegano –. Offriamo innanzitutto il servizio di recupero completo dell’identità digitale. Tutti i dati sparsi sul web vengono raccolti in un unico posto, e a quel punto sta agli eredi scegliere. Ci sono due possibilità principali: l’urna e la tomba. Con la prima garantiamo la privacy. Dopo avere raccolto e cancellato i dati, l’urna torna ai parenti. La tomba serve a rispettare l’altro tipo di desiderio, ovvero essere ricordati: così abbiamo creato sulla nostra piattaforma un webetery, un cimitero digitale all’interno del quale il materiale archiviato avrà una forma di visualizzazione pubblica che può essere gestita dagli eredi: condiviso come un profilo è gestito come tale. La tomba è personalizzabile, come un album di ricordi con testi e video scelti dagli eredi. Naturalmente sono visibili solo le informazioni che vogliono essere condivise. C’è poi un ecosistema social che può gravitare intorno, con necrologi online, messaggistica privata o pubblica, commemorazioni virtuali. Tutti servizi che forniamo a un costo che mediamente ammonta a un decimo rispetto ai rispettivi servizi offerti nella vita reale».

Ormai    bisogna  fare  i  conti  anche   con il digitale e  con il  virtuale   infatti  sempre   dalla  stessa   fonte  



Donna si impicca davanti al padre: «Preparavo il cappio a Laura da un mese per farla desistere»

 Mi  chiedo  visto     che   spesso   i metodi   drastici  non funzionano    e non servono  come   dimostra  la   notizia  sotto riportata   a che  serve  auto   analizzarsi  . Ma  poi   la risposta  vola  nel vento   perché   se  non fosse  cosi  sarei  o già  suicida  o    più  depresso di quello   che  sono   .  Nel riportare la notizia   , di cui trovate sotto l'articolo     evito   ulteriori  commenti   per  non speculare  e e  scadere  nella  morbosità   \  curiosità  inutile   su  una  tragedia nella  tragedia   . Mi limito   quindi  a riportare il fatto   senza  ulteriori  commenti  cercando   il più  possibile di smontare il  detto    riportato   in data  7  gennaio    (  vedi  foto  a  sinistra  )    da  ilcalendariofilosofico.it    soprattutto per evitare   che chi è depresso  possa  fare  un gesto di emulazione  .





  da  https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/


Donna si impicca davanti al padre: «Preparavo il cappio a Laura da un mese per farla desistere»

                       di Niccolò Dainelli • il  mattino   Ieri 13:09




Da un mese Laura provava il suicidio. Ma suo padre preparandole il cappio per impiccarsi l'aveva sempre fatta desistere. L'uomo, con questa strategia psicologica aveva sventato il suicidio della figlia per giorni poi, però, lo scorso 2 gennaio la donna, di 55 anni, ha compiuto il gesto estremo e si è impiccata.La strategia psicologica del padre, un uomo di Chieri, aveva sempre funzionato. Ma il 2 gennaio si è rivelata del tutto inutile perché Laura ha infilato il collo nel cappio e ha deciso di dare un calcio alla sedia, impiccandosi come aveva progettato di fare da tempo. La 55enne era seguita da un centro di salute mentale piemontese. Il padre ha spiegato ai carabinieri che le prove andavano avanti da tempo: «Anche quella mattina siamo saliti in soffitta, c’era già la corda appesa alla trave».

Secondo quanto riferisce La Repubblica, il padre ha raccontato agli investigatori tutta la dinamica del suicidio. A differenza di tutte le altre volte, quando l'uomo le ha chiesto di sfilarsi la corda dal collo e scendere dalla sedia, lei non lo ha fatto: «Le ho detto di scendere, di non farlo. Ho cercato in ogni modo di aiutarla. Non ci sono riuscito». Il padre ha tentato di salvare la figlia chiamando il 118. Insieme a un vicino di casa ha tagliato la corda e ha provato a rianimarla senza successo. «Non ho detto a nessuno delle sue prove, nessuno sapeva del nostro segreto», ha detto ai carabinieri. Ora la procura svolgerà gli approfondimenti del caso, anche se resta difficile immaginare un possibile reato commesso dal padre.

7.1.23

la bellezza un arma contro : la rassegnazione , la paura , l'omertà

 Aveva  ragione  Giuseppe Impastato, detto Peppino (Cinisi5 gennaio 1948 – Cinisi9 maggio 1978


 
una sintesi alla mia concezione di bellezza è questa scena del film I cento passi è un film del 2000 diretto da Marco Tullio Giordanadedicato alla vita e all'omicidio di Peppino Impastato, attivista impegnato nella lotta a Cosa nostra nella sua terra, la Sicilia.
Il titolo prende il nome dal numero di passi che occorre fare a Cinisi per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti.
Il film rese note al grande pubblico la storia e la tragica fine di Peppino Impastato, che fino ad allora erano passate praticamente inosservate in quanto Impastato venne ucciso il 9 maggio 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, in via Caetani a Roma e la tragedia nazionale mise in ombra la vicenda dell'attivista siciliano.



  


La bellezza è qualcosa che va oltre la vista, qualcosa legato alla gentilezza, alla cura e apertura verso il prossimo e nell'accettare se stessi. Quindi non bisogna soffermarsi in superficie ma andare in profondità, perché è li che si trova la vera bellezza.  come  fa  notare il video idel gruppo /associazione  creatori di  video  emozionali https://www.facebook.com/k.kiko.co/
Ma soprattutto  l'attrice     Sabrina Impacciatore una delle attrici italiane più brave e sottovalutate, spesso relegata a ruoli da comprimaria che lei riusciva a trasformare in personaggi chiave e iconici.
Poi sono bastati venti minuti nei panni di Valentina, direttrice del resort “White Lotus” nell’omonima serie di culto, per trasformarla in una star agli occhi degli americani e del mondo intero, con numeri da capogiro e
addirittura l’invito al Jimmy Kimmel Live.
   Infatti    ella  ha  dichiarato  <<  Di colpo, sono diventata brava e bella per il mondo intero. Ma anche qui: la bellezza per un'attrice che cos'è? È la sua anima, non l'aspetto da modella  >> Io non lo so quanto senso abbia un modello che crea miti da un giorno all’altro. Perchè   : 

“Non fare di me un idolo mi brucerò, se divento un megafono mi incepperò”  (   canzone  degli   ex  Csi  ) 
 Ma immagino  anche quanto Sabrina Impacciatore abbia dovuto ingoiare, quanto studio, quanti sacrifici e frustrazione ci siano dietro, in questi ultimi vent’anni, prima di raggiungere il successo planetario.
E che, in definitiva, molti di noi  credo  non avevano bisogno di una serie americana per riconoscerne e ammirarne lo smisurato talento.

6.1.23

non capisco questa voglia collettiva di piangere e di mitizzare persone.basta parlare di Benedetto XVI e Gianluca Viallli lasciamoli in pace ormai sono morti

Concordo con Vittorio Bertola


Scusate, ve lo dico subito, dopo dieci giorni di papa Ratzinger non posso farcela a sopportare
anche dieci giorni di papa Vialli. No, davvero, sono fatto male io, sarò cinico, sarà che trovo
normale che la gente muoia, specie se ha trattato il proprio corpo in quel modo quando era più giovane.

Il ritorno a Pozzomaggiore della principessa D’Avalos Antonella Nughes morta a Napoli e sepolta nel suo paese

  da  la nuova   Sardegna  del 4\1\2023
 Sassari
La voce rimbalza dalle chat fino alle antiche vie del paese. La principessa è tornatadalle chat fino alle antiche vie del paese. La principessa è tornata, ma stavolta è per sempre. Lontana da Napoli e dai fasti incantati di quasi tutta una vita: Antonella Nughes Serra, nata nel 1937 tra le morbide colline del Meilogu, riposa ora nel cimitero della sua Pozzomaggiore. È insomma tornata da dove era partita quando era ancora una ragazzina dai modi gentili e raffinati in cerca di fortuna.
Antonella Nughes Serra nel suo palazzo di Napoli
 immortalata dal fotografo americano Slim Aarons

Chi non conosceva la sua storia, in paese, ha sgranato gli occhi e si è subito fiondato alla ricerca di informazioni da leggere e condividere con gli altri. Perché Antonella Nughes Serra, scomparsa nei giorni di Natale, era la moglie del principe e musicista napoletano Francesco D’Avalos, il discendente di una antichissima famiglia aristocratica di origine spagnola diramatasi anche in Italia prima ancora della
A sinistra il compositore Francesco D’Avalos,
marito di Antonella Nughes Serra,

scoperta dell’America. E così anche lei, Antonia Angela per tutti Antonella, poteva fregiarsi del titolo di principessa D’Avalos e anche di quello di dama di giustizia dell’Ordine costantiniano di San Giorgio. Memorabili le sue amicizie e leggendari i suoi ricevimenti. Si dice che una volta, nel suo vecchio e caro palazzo nel centro di Napoli, ospitò addirittura Elisabetta, regina madre del Regno Unito, che era arrivata in Italia insieme alla figlia Margaret.
La storia di Antonella Nughes Serra, morta pochi giorni fa a 85 anni, ricorda molto le fiabe che si raccontavano soprattutto una volta. Nata a Pozzomaggiore il 24 ottobre del 1937, terza di cinque figli, lasciò la Sardegna poco più che bambina per lavorare al servizio di facoltose famiglie. Bella e affascinante, girò l’Italia e poi l’Europa e proprio in Inghilterra avrebbe quindi conosciuto il suo futuro marito, il principe Francesco D’Avalos. Nato a Napoli nel 1930 e morto nel 2014 sempre nella città campana, l’aristocratico, erede di una delle famiglie più potenti del defunto Regno delle due Sicilie e tra le altre cose legato anche ai reali inglesi, di professione faceva il compositore e il direttore d’orchestra. Antonella Nughes Serra e Francesco D’Avalos si sposarono così a Londra il 6 novembre del 1970 e dalla loro unione, un anno più tardi, nacque Andrea, oggi l’ultimo erede della famiglia D’Avalos.
La storia di Antonella Nughes Serra, morta pochi giorni fa a 85 anni, ricorda molto le fiabe che si raccontavano soprattutto una volta. Nata a Pozzomaggiore il 24 ottobre del 1937, terza di cinque figli, lasciò la Sardegna poco più che bambina per lavorare al servizio di facoltose famiglie. Bella e affascinante, girò l’Italia e poi l’Europa e proprio in Inghilterra avrebbe quindi conosciuto il suo futuro marito, il principe Francesco D’Avalos. Nato a Napoli nel 1930 e morto nel 2014 sempre nella città campana, l’aristocratico, erede di una delle famiglie più potenti del defunto Regno delle due Sicilie e tra le altre cose legato anche ai reali inglesi, di professione faceva il compositore e il direttore d’orchestra. Antonella Nughes Serra e Francesco D’Avalos si sposarono così a Londra il 6 novembre del 1970 e dalla loro unione, un anno più tardi, nacque Andrea, oggi l’ultimo erede della famiglia D’Avalos.
Ricordo in paese Antonella Nughes Serra passò molti anni della sua vita a Napoli, senza però mai dimenticare le sue origini. Spesso tornava infatti a Pozzomaggiore per incontrare parenti e amici. Ritorni, i suoi, che non passavano certo inosservati. «Io me la ricordo – racconta Mariano Soro, il sindaco di Pozzomaggiore –. Ero piccolo quando rientrava in paese per venire a trovare la sua famiglia, ma ricordo bene che tutti noi rimanevamo colpiti dalla sua bellezza e da quei suoi modi così eleganti, gentili e composti. Ma devo dire che era una donna comunque molto umile e quando tornava a Pozzomaggiore non arrivava certo in carrozza. In tanti mi hanno raccontato che l’umiltà era proprio un elemento caratterizzante del suo modo di essere». Vita a Palazzo A Napoli la principessa arrivata da Pozzomaggiore abitava nel palazzo D’Avalos, in via Dei Mille, quasi ai piedi del Vomero. Qui Antonella Nughes Serra teneva importanti ricevimenti e sempre qui fu anche immortalata dal famoso fotografo americano Slim Aarons, uno che nel corso della sua lunga carriera ha puntato il suo obiettivo verso numerose stelle del jet-set di allora. Un palazzo cinquecentesco ricco di ricordi e di storie formidabili – ospitò addirittura le riprese di un documentario firmato da Werner Herzog –, ma anche un posto che per Antonella Nughes Serra è stato negli ultimi tempi fonte di grandi dispiaceri. Pochi anni fa, dopo la morte di Francesco, la principessa D’Avalos e il figlio Andrea hanno infatti dovuto subire un doloroso sfratto per via di alcune vicende giudiziarie, come ha più volte raccontato il Corriere del Mezzogiorno. Ultimo viaggio Scomparsa nei giorni di Natale, il suo funerale è stato celebrato con grande riservatezza a Napoli nella chiesa della Concezione al Chiatamone, chiamata anche delle Crocelle. Poi il trasferimento della salma in Sardegna, fino a Pozzomaggiore, dove la principessa D’Avalos aveva chiesto di essere sepolta. Un’ultima cerimonia che si è svolta poche ore prima della fine del 2022, anche in questo caso in silenzio e lontano da ogni clamore. «So che era molto legata alle sue origini – aggiunge ancora il sindaco Mariano Soro –. Per questo ha scelto di farsi seppellire qui, nonostante mancasse da Pozzomaggiore da moltissimi anni». Una cerimonia ristretta della quale in paese si è naturalmente parlato. «Beh, quella di Antonella Nughes Serra è una storia sicuramente bella e ricca di fascino – prosegue il primo cittadino –. Girò il mondo, ebbe a che fare con tantissime persone, tra l’altro molto importanti, e so che fu anche una donna tanto amata e molto rispettata. Nei giorni scorsi siamo stati avvisati della sua sepoltura a Pozzomaggiore e siamo stati ben felici di accoglierla, rispettando la volontà della riservatezza». A dire addio alla principessa Antonella, con un messaggio di cordoglio comparso sul sito dell’Ordine costantiniano di San Giorgio, anche Carlo di Borbone delle Due Sicilie.
In altre parole, uno dei pretendenti al trono del vecchio regno del Meridione che cessò di esistere nel 1861 con l’unità d’Italia.

la vita Bugiarda degli adulti serie di #Netflix tratta dal romanzo omonimo di Elena Ferrante sarà una nuovo cult come #lamicageniale ? oppure si deve aspettare la seconda stagione ?

n.b 
 A CHI NON GLI NE FREGA NIENTE DELLO SPOILER PUO' CLICCARE SOPRA IL TLTASTO SOLUZIONE E LEGGERSELO  . A    CAUSA  DI PROBLEMI  CON L'INSERIMENTO     DEL CODICE  HTML  PER   COPRIRE   LO SPOILER   IL POST   CONTINUA  DOPO  LA  SPAZIO   VUOTO  

 Anche durante  le festività natalizie   ho  in alternativa   alla tv natalizia  (  che odio  visto che  è  fatta  di : repliche  ,  panettoni ,  film  natalizi   )   visto    a manetta  prime  e netflix .  Oltre   al film documentario  Balentes - I Coraggiosi  di Lisa  Camillo   da  me  recensito in : << Ci vuole passione per raccontare una storia degna di essere raccontata è .....  >>    ho  visto    la serie  tv   La  vita  bugiarda degli  adulti   dal romanzo di Elena Ferrante .


La Giovanna di La vita bugiarda degli adulti somiglia a Lila e Lenù,  il  he  fa pensare  ad  una  sua  continuazione  o  un seguito  .  Infatti  ne condivide alcuni tratti come un certo disincanto, la dolcezza, qualche sprazzo di ferocia. Di diverso c’è che la sua storia è immortalata in un solo, straordinario,
momento di inquietudine e (ri)nascita, un’adolescenza che non sappiamo ancora dove e cosa porterà. Per forza di cose, allora, la serie (e il libro) sono meno potenti e trascinanti di L’amica geniale, ma ugualmente febbrili nel mostrare la ricerca dell’identità della protagonista. Una ragazza che vede crollare il suo mondo poco alla volta, che scopre la vita bugiarda dei suoi adulti, che si aggrappa all’affettività di una zia sui generis per (ri)trovare la vera essenza di sé. Sono state tantissime le persone che aspettavano da tempo la trasposizione televisiva di uno dei romanzi di maggior successo della scrittrice In molti hanno già divorato tutti e sei gli episodi della serie con Valeria Golino, rimanendo spiazzati dalle ultime scene. Infatti
Un titolo che è pronto a trascinare gli spettatori in una Napoli spaccata tra povertà e ricchezza, tra sapienza e ignoranza dove una ragazzina quindicenne si ritrova a dover fare i conti con l'ingresso irruento nella vita adulta che sarà più deludente di quanto potesse immaginare. Ma cosa dobbiamo aspettarci da questo titolo Netflix che si prepara a diventare un grande successo? Qual è la trama e il cast di questa serie Netflix e perché dovrebbe valere la pena guardarla ?. Dipende se vi piacciono i film o le serie spiazzante, realistica, tangibile, emozionante. Composta da sei episodi, questo titolo Netflix racconterà la storia di Giovanna e del suo potente e singolare passaggio dall'infanzia all'adolescenza nella Napoli dei primi anni '90. La ricerca di un nuovo volto, dopo quello felice dell’infanzia, oscilla tra due Napoli consanguinee che però si temono e si detestano: la Napoli di sopra, che s’è attribuita una maschera fine, e quella di sotto, che si finge smodata, triviale. Giovanna oscilla tra alto e basso, ora precipitando ora inerpicandosi, disorientata dal fatto che, su o giù, la città pare senza risposta e senza scampo.
Non  si  può  quindi    fare altro che attendere di vedere con curiosità e partecipazione come continuerà il viaggio di Giovanna alla scoperta di sé stessa.  Non mi  è  dispiaciuta  .  Più  profondo  ,  poi  chissà  visto     che  ci  sarà   con molta  probabilità   visto     gli elementi  non approfonditi    o  non narrati    saranno    ripresi   e  costituiranno parte integranti  visto  che  gli  scritti   dell'autrice   sono come   una     gallina  dalle  uova  d'oro  ,   una seconda  stagione  . Infatti    ci   sono alcune serie che lasciano il segno per la loro trama avvincente per i colpi di scena perfettamente posizionati nella storia, per un'ottima colonna sonora, una bella fotografia, un finale a sorpresa che lascia addosso quel desiderio di voler scoprire come andranno a finire le cose. Alcune serie coinvolgono per la bravura degli attori protagonisti, per la complessità dei personaggi che vengono raccontati, per l'epoca storica che rievocano. Altre, invece, hanno la capacità di imporsi con forza nella mente e nel cuore di chi le guarda per il saper rendere partecipi di un'esperienza visiva che si avvicina più alla realtà che alla finzione, che è talmente ruvida, spigolosa, brutale da assumere tutte le caratteristiche di un fatto reale, quasi di un ricordo personale e diventare, così, vissuto più che visione. La vita bugiarda degli adulti appartiene a questa tipologia di serie tv. Infatti  questa serie  di Netflix con questo titolo, tratto dall'omonimo romanzo di Elena Ferrante, e con una straordinaria regia di Edoardo
De Angelis ha dimostrato che quando ci si libera del superfluo e si racconta una storia reale, tangibile, sensoriale, è impossibile non innamorarsene anche dei suoi lati più bui, più contraddittori, più sporchi.
 La vita bugiarda degli adulti è un racconto di formazione che segna l'irruento passaggio dall'infanzia all'adolescenza di una ragazza ribelle ma di buona famiglia nella Napoli del 1990. In questa serie che vede l'esordiente Giordana Marengo nei panni della protagonista Giovanna al fianco di una veterana Valeria Golino, c'è una continua alternanza di elementi contrastanti che contribuiscono all'equilibrio perfetto di una storia che si regge tra sapienza e ignoranza, fedeltà e tradimento, ribellione e accondiscendenza, curiosità e accidia, ricchezza e povertà. Vedere La vita bugiarda degli adulti equivale

a fare una vera e propria esperienza di vita, ci si immedesima, si viene coinvolti, si resta spiazzati, si soffre e si gioisce insieme ai personaggi della storia che sono il vero punto di forza di questa serie.
 Non servono descrizioni, non servono trame personali avvincenti, ai protagonisti de La vita bugiarda degli adulti basta esistere, vivere nello schermo e parlare al pubblico. Questa serie con la sua forza comunicativa e il suo coraggio nel mostrare tutto il brutto della vita adulta fatta, per forza di cose, di continue bugie, sbatte in faccia a tutti una realtà che sullo schermo spesso viene edulcorata ma che, in questo caso, è cruda ma più viva che mai. Perdersi questo viaggio alla riscoperta di cosa vuol dire essere adolescenti, sognare, credere che i propri genitori siano eroi senza macchia e pensare che essere adulti significhi custodire una saggezza tale da tenersi alla larga di qualsiasi tipo di errore, per poi venire delusi da tutta l'imperfezione di quelli che, per convenzione, vengono definiti adulti è un'esperienza straziante e meravigliosa che lascia un graffio nell'anima.
Non  s che altro  aggiungere  se   non  :  buona   visione se   vedete prima la  serie  e  poi  leggete o  sentite  l'audio  libro   il romanzo   oppure   buona  lettura   se   fate  l'inverso  
con questo è tutto all'eventuale seconda stagione

Messi, era falsa la coppa del mondo nella foto da 74 milioni di like L'altro trofeo, commissionato da una coppia di tifosi argentini, è stato per sbaglio consegnato dopo la premiazione ufficiale al capitano, che ha sfilato facendo il pieno dei consensi sui social ignari

sembra primo aprile invece è statio il 20 dicembre dell'anno scorso . E per giunta la burla è avvenuta in occasione importantissima a livello internazionale comeuna finale dei mondiali di calcio

  da  repubblica  4\1\2023  
  
 

                                               di Daniele Mastrogiacomo

 Era falsa la coppa che Lionel Messi ha sollevato dopo la vittoria al Mondiale mentre faceva il giro dello stadio. Lo scrive el Pais in una corrispondenza da Buenos Aires. Tra il comico e il grottesco, la storia ha fatto il giro del mondo perché quella foto, che immortala la vittoria degli albicelesti, è stata la più cliccata nell'account Instagram @leomessi: ha ottenuto 74.362.000 likes. La copia dell'originale era stata commissionata da una coppia di tifosi argentini, Paula Zuzulich e suo marito Manuel Zaro, che hanno confermato il curioso e involontario scambio al Clarín.
Ma lo hanno fatto quando il fotografo ufficiale del quotidiano e del settimanale Olé, Fernando de la Orden, due giorni dopo la finale, ha pubblicato sul suo Instagram 


una delle immagini che aveva scattato durante la permanenza in Qatar. Si vedeva un sorridente Angél Di Maria che scambiava una battuta con Messi e gli mostrava il retro della base del trofeo. Incuriosito dalla scena, un secondo fotoreporter, Santiago Blugermann, ha chiamato il collega e gli ha chiesto su cosa ridessero i due e se avesse sentito cosa si dicevano. Orden gli ha risposto: "Di Maria diceva a Leo che aveva fatto il giro dello stadio con una coppa che era un trota (falso, in spagnolo). Lui aveva in mano quella vera e sono scoppiati a ridere".
La cosa sembrava finire lì ma poi è arrivata la telefonata della Zuzulich che ha chiamato Fernando de la Orden confermandogli che era stata lei, assieme al marito, presenti sugli spalti, ad aver passato la falsa coppa ai giocatori mentre esultavano in campo. La copia è così finita nelle mani di Messi che l'ha alzata più volte facendo il giro dell'Olimpico e porgendola anche alla moglie che a sua volta l'ha sollevata, alla figlia, che poi l'ha consegnata ad altri parenti, amici, tifosi, tecnici, e gente dello staff della nazionale argentina in un tripudio di baci, carezze, urla e pianti di gioia. Nel frattempo, Di Maria aveva in mano l'originale e anche lui la mostrava al pubblico e ai compagni che se la passavano mentre gli addetti alla sicurezza li seguivano da vicino per evitare che finisse in mani sbagliate e magari sparisse come è accaduto in passato.



Nell'euforia e la confusione generale per almeno una decina di minuti ci sono state due coppe in campo e nessuno se n'è accorto. Solo l'attaccante della Juve, con l'originale in mano, ha capito che c'era qualcosa che non andava: ha raggiunto Messi che si trovava sul lato opposto e gli ha fatto vedere l'originale. Leo è rimasto sconcertato ma si è fatto subito una risata scambiando qualche battuta con il compagno di squadra che se la rideva come un pazzo. Una volta ricevuta la telefonata dalla coppia di tifosi, il fotografo del Clarín ha voluto vederci chiaro e li ha raggiunti nella loro casa di La Plata, 60 chilometri da Buenos Aires. Entrambi gli hanno confermato la storia e gli hanno mostrato l'oggetto del contendere spiegando anche perché fosse così simile all'originale. "Prima dei Mondiali", hanno detto, "abbiamo contattato alcune persone che si dedicano a realizzare delle perfette copie di famosi originali ma ci sono voluti sei mesi per realizzarla. Ha lo stesso peso ed è fatta con della resina; all'interno è rivestita di quarzo, bagnato a sua volta con una vernice simile all'oro. Ci sono dei dettagli, segni e rilievi diversi, ma la differenza è davvero minima". Paula e Manuel volevano fare quello che hanno poi fatto: consegnarla ai giocatori per farla firmare. "E' entrata per tre volte in campo", ha ricordato Paula, "la prima è stata afferrata da Paredes che l'ha firmata. La seconda ce l'hanno chiesta 45 minuti dopo il fischio finale; è passata da un giocatore all'altro, e ancora tra i parenti che l'hanno immortalata con una serie di foto. In Tribuna qualcuno si è accorto della cosa e mi hanno gridato che mi ero persa il trofeo. Eravamo allegri, entusiasti, lasciavamo che la coppa girasse da una parte all'altra. Ma volevamo anche averla indietro. Ho gridato a quelli che erano in campo che se vedevano Parades con il trofeo in mano ce la restituissero. Alla fine l'ha riportata Lautaro Martínez, dopo averla anche lui firmata. La confusione era comunque totale, tanto che gli addetti della Fifa sono venuti da noi e ci hanno chiesto di confermare che non si trattava dell'originale". La Winner Trophy consegnata da Infantino a Messi di solito resta in campo una manciata di minuti; deve essere riconsegnata per tornare nella sede della Fifa a Ginevra. Quella che ha fatto il giro è invece una copia e lo scambio avviene sempre in una stanza privata dello stadio. A Doha, a differenza dei Mondiali precedenti, entrambe sono rimaste in campo. Accompagnati dalla terza, la trota, all'insaputa di tutti. Una girandola che ha divertito ma anche messo in crisi la sicurezza che rincorreva i vari trofei senza capire quale fosse l'originale. Non tutti hanno apprezzato la mossa della coppia di tifosi. I loro account sui social sono stati riempiti di insulti oltre che da battute ironiche. Molti hanno conservato la foto- simbolo della vittoria argentina sui Bleus come una reliquia. Qualcosa da ammirare e conservare negli anni. Qualcosa di unico. L'originale. Il falso, nonostante abbia avuto il suo momento di gloria, è sembrato una beffa