Nei giorni scorsi , stanco dei soliti programmi post elettorali ho visto su primevideo il bellissimo ed toccante film L'ultima volta che siamo stati bambini . Unoi dei pochi film " non ideologici " ed non retorici sul periodo della II guerra mondiale ed l'olocausto . Esso insieme alla bellissima storia a metà tra orrore e memoria La signora della scogliera (trovate sotto al centro la prima tavola ) di : soggetto e sceneggiatura Marco Nucci e Disegni di:Mattia Surroz pubblicata su topolino n 3561 . Una bellissima Storia che dimostra come il fumetto non sia solo un genere letterario per bambini . Tali opere hanno rallegrato la mia settimana creando un diversivo rispetto a temi dominanti cioè sui media (le cariche della polizia a Pisa e la sconfitta del centro destra ed la vittoria del campo largo in Sardegna) .IL fumetto La signora della scogliera perchè smonta il tabù che la letteratura e l'horror siano solo adatti ai ragazzi\e dai 14 anni in su . Già dall'incipit e dai disegni della prima tavola ( vedere foto sotto ) t'invita alla lettura e , sembrano ricordare ( foto sotto a destra ) il famoso disegno di Snoopy : << era ua notte buia e tempestosa
questo racconto ha smosso in me sentimenti, desideri e ricordi che tengo da parte, soffocati dalla quotidianità e da un pizzico di malinconia generale. A volte capitano dei periodi in cui non si sa davvero che cosa si vuole dalla vita. Magari si ha anche un desiderio o un obiettivo, ma rimane lì, distante e confuso. A volte questa distanza è rassicurante, perché raggiungere quell’obiettivo spaventa, ma il più delle volte lascia addosso un senso di frustrazione che alla lunga sfianca.Eppure in momenti come questo cerco di non arrendermi, di trovare dei segnali, qualcosa che tenga il legame in vita e che mi tiri fuori dalla palude in cui finisco (oppure mi infilo a bella posta, perché una tendenza al masochismo c’è sempre).
IL film L'ultima volta che siamo stati bambini ,vede l'esordio alla regia di Claudio Bisio,appartiene insieme allla storia prima citata , alla categoria di quelli che non si dimenticano. Infatti generalmente quando un attore famoso si cimenta nella regia i motivi possono essere diversi e, in più di un'occasione, anche legati ad un'esigenza personale e professionale che non necessariamente deve coincidere con l'interesse degli spettatori.Non è così per l'esordio di Claudio Bisio dietro la macchina da presa , da quel poco che capisco di tecnica cinematografica e di sceneggiattura , che ha più di un punto di contatto con quelli di coloro che nascevano come registi e sono diventati noti ed apprezzati nel panorama nazionale ed internazionale. Perché nella storia scelta, nel modo in cui è stata trasposta sullo schermo dalle pagine di un libro (di Fabio Bartolomei) e in quello in cui è stata girata, si sente l'urgenza di condividere pensieri, riflessioni (non solo, si badi bene, sul passato) ed emozioni. Ecco che : << [... ] Bisio guarda ai suoi giovanissimi e straordinari protagonisti con il desiderio di fare un film che arrivi al pubblico più vasto senza però scegliere soluzioni facili o scorciatoie narrative anche quando modifica, come è necessario fare, elementi anche importanti del romanzo. Si sente in lui la capacità di creare coesione al progetto che solo i bravi attori riescono ad ottenere da coloro che hanno scelto per trasformare la loro visione in gesti, parole, esternazione di sentimenti. [....] dalla recensione di https://www.mymovies.it/film/2023/lultima-volta-che-siamo-stati-bambini/ >>. Ognuno di noi , sottoscrito compreso , ha avuto nella vita il suo momento di passaggio in cui 'non è stato/a bambino/a'. Qualcuno però sa ancora rinvenire dentro di sé l'innocenza, lo sguardo comunque ancora aperto alla meraviglia che è proprio di quell'età, nonostante tutti i possibili condizionamenti. Bisio c'è riuscito e ha trovato anche il modo migliore per comunicarlo e ne ha fatto un film bellissimo dove spiega senza annoiare ma anzi divertendo e coinvolgendo lo spettatore , soprattutto ai bambini e a chi ha solo una conoscienza parziale o a assente , delle leggi razziali e del fascimo durantre la II guerra mondiale .
Vanacci indagato per le spese x Mosca.Salvini lo candida lo stesso ed in suoi fans lo difendono :<< giustizia ad orologeria >> .Ora le accuse sono partite dalla difessa , ministro a orologeria anch'esso ?
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ciascuno di noi ha un suo modo di elaborare il lutto della perdita del proprio familiare . I casi di della a fotografa Moira Ricci e della perdita della madre . Moira ha iniziato a “inserirsi” nelle foto dell’album di famiglia in cui non c’era., e quello di Maria Eleonora Teresa Galia, 53 anni, nomnata Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica Italiana, per "la tenacia e la costanza con la quale, nel ricordo della figlia, aiuta i bambini malati rallegrandoli con giocattoli e finanziando investimenti nelle strutture ospedaliere che li ospitano". Continua con tenacia ad esaudire il desiderio della figlia Giulia che prima di morire ha chiesto di donare giocattoli e di aiutare i bambini meno fortunati di lei.
Il giorno dopo il funerale di sua madre, Moira si è messa a cercare ogni fotografia in cui la potesse rivedere. Ha sfogliato gli album di famiglia ed è andata da parenti, amici e dal fotografo del paese, soprannominato ironicamente “lo sciupamusi”, per raccogliere tutte le immagini in cui ritrovarla. Aveva bisogno della sua presenza, di guardarla e di vederla viva nel mondo. Mamma Lorena, che aveva solo cinquant’anni, se ne era andata all’improvviso il giorno di San Lorenzo, quello delle stelle cadenti. Moira, che da tre mesi era lontana da casa per finire la tesi di laurea, non poteva accettare quella scomparsa improvvisa e così ha inventato il suo modo per tenerla vicina.
Ognuno di noi nella vita deve fare i conti con la perdita dei genitori, provare a elaborarla, trovare una strada per andare avanti. Se accade quando si è già adulti e i genitori sono anziani, allora siamo aiutati dall’idea che sia il corso naturale delle cose, ma se la perdita avviene prima di essere diventati davvero “grandi” allora è qualcosa che ci portiamo dentro, in modi diversi, per sempre. E che spinge a cercare forme per trasformare il dolore e la mancanza.
Ho incontrato Moira Ricci, artista e fotografa, a Milano, dove insegna fotografia in un liceo artistico. Abbiamo dialogato insieme alla scrittrice Maria Grazia Calandrone e alla regista Alina Marazzi, perché ognuna di loro ha dedicato parte della propria opera (un progetto fotografico per Moira, due romanzi per Maria Grazia e un film documentario per Alina) a elaborare il dolore della perdita della madre.
L’occasione è stata una mostra di fotografie, alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 17 marzo, che si chiama “Straordinarie” e raccoglie 110 ritratti di donne italiane che con il loro percorso testimoniano la possibilità di affermarsi oltre pregiudizi e discriminazioni.
Mentre osserva quelle foto della mamma che sta raccogliendo in giro per la Maremma, per la precisione nel Parco dell’Uccellina dove è nata e cresciuta, Moira sente che non vuole accontentarsi di guardare. Non vuole mettere insieme un album da sfogliare ma vuole entrare nelle foto, prendere sua madre e riportarla fuori. «Ero talmente scioccata da questa perdita improvvisa che mi sforzavo di immaginare un modo per stare con lei». Come fare per entrare nella foto? «Bisognava diventare parte dell’immagine, dovevo essere anch’io una foto». Per poter far parte di quel momento però era necessario innanzitutto essere coerenti con il tempo, la moda, lo stile e i colori dello scatto originale. Così Moira comincia a studiare ogni singola immagine, lo fa giorno e notte per i primi due anni, cerca i vestiti e le scarpe del tempo, la pettinatura corretta, e inizia a fotografarsi con una piccola macchina digitale. Prova centinaia di scatti, finché non arriva l’immagine perfetta, che rispetti l’atmosfera e abbia le luci e le ombre giuste. Poi ritaglia la sua presenza digitale e la applica sulla foto tradizionale.
«Avevo deciso di farlo senza nascondere nessuno e senza sostituirmi ad altri, perché volevo rispettare la foto com’era. Volevo entrare dentro, tornare nel passato e andare ad avvertirla del pericolo». Perché Lorena è morta per i postumi della caduta dalle scale del cantiere della casa nuova che si stava costruendo con il marito Tonino. «Nelle foto io la fisso con sguardo preoccupato come per metterla in guardia di non cadere e portarla via con me. La verità è che volevo stare con lei e siccome non era più possibile l’ho fatto nelle foto».
Nei primi due anni Moira crea 15 collages, poi rallenta: «Nel tempo sono stati sempre meno, perché elaboravo il mio lutto e cominciavo a fare altro, a guardare avanti e fuori. Queste foto restavano però un luogo di incontro con lei e amavo l’idea di entrare per parlarle, per raccontarle le cose nuove, per esempio che era nato suo nipote».
Alla fine del progetto le foto con Lorena saranno cinquanta, come gli anni che la madre aveva vissuto e Moira si inserisce vicino alla madre anche quando lei era ragazza o bambina, in un tempo in cui non c’era ancora. «Rispetto a mio fratello e al mio babbo sono riuscita a elaborare meglio la perdita, questo lavoro è servito molto a ritrovare la luce e a non ammalarmi. Mi ha aiutato a fare i conti».
Lorena faceva la parrucchiera, aveva risistemato il porcile del podere, e ci aveva fatto il negozio. «Il mio modo per contestarla nell’adolescenza era di farmi i capelli di mille colorazioni, lei impazziva perché fino a quel momento ero il suo modello per provare le pettinature».
La grande lezione che Lorena ha dato a Moira, quella che ha cementato il loro amore, è stata l’indipendenza. «Qualunque cosa io chiedessi, dallo stereo al motorino, lei rispondeva: “Quando andrai al lavoro te lo comprerai”. Così già a 13 anni sono andata a fare la raccolta dei pomodori, delle cipolle e poi la vendemmia. E l’anno dopo, quando avevo l’età giusta, ho cominciato a fare la cameriera e la barista nei campeggi a Talamone».
A 18 anni e mezzo Moira si trasferisce a Milano per studiare fotografia alla Scuola Bauer: «Mamma era stata chiarissima con me e mio fratello: “Chi esce di casa se la deve vedere da solo”. Io mi mantenevo facendo mille lavori: la bagarina alla Scala, la disegnatrice di fumetti, soprattutto manga giapponesi, su mutande che vendevo rigorosamente in nero fuori dalle discoteche, davanti all’Università Statale, nei mercatini e nelle fiere. Per un periodo ho posato come modella nuda all’accademia della terza età. Non mi sono vergognata di nulla, ma ero orgogliosa di essere indipendente».
«Indipendenza però non ha mai significato lontananza: mi chiamava tutte le sere, era molto presente e c’era sempre. Mi diceva che dovevo viaggiare e mi spingeva a scoprire il mondo. Le raccontavo tutto, ogni cosa che mi accadeva e ogni persona che incontravo. Per questo ho sentito l’urgenza di continuare a stare nelle cose con lei, anche se soltanto in una fotografia».
e dalla nuova sardegna la seconda
Sassari «Quando mi troverò davanti al presidente della Repubblica, sarà come se con me ci fossero il sorriso di Giulia e il cuore di tutte le persone che ogni giorno sostengono il nostro progetto. Giulia Zedda non c’è più da quasi 6 anni ma il suo sorriso non si è mai spento e la scia luccicante di bene che continua a lasciare al suo passaggio sta per arrivare sino al Quirinale. Il 20 marzo, alla cerimonia di consegna delle trenta onorificenze al Merito della Repubblica Italiana, ci sarà anche Eleonora Galia, la mamma di Giulia. Il nome dell’attivista cagliaritana è stato infatti inserito da Sergio Mattarella nell’elenco delle “cittadine e dei cittadini che si sono distinti per attività volte a contrastare la violenza di
Eleonora Galia e sua figlia Giulia zedda scomparsa sei anni fa
genere, per un’imprenditoria etica, per un impegno attivo anche in presenza di disabilità, per l'impegno a favore dei detenuti, per la solidarietà, per la scelta di una vita come volontario, per attività in favore dell’inclusione sociale, della legalità, del diritto alla salute e per atti di eroismo». Eleonora Galia, in particolare, verrà insignita del prestigioso riconoscimento “per la tenacia e la costanza con la quale, nel ricordo della figlia, aiuta i bambini malati rallegrandoli con giocattoli e finanziando investimenti nelle strutture ospedaliere che li ospitano”.
Il sogno di Giulia Raccogliere e distribuire alle famiglie in difficoltà tutto ciò che serve per i bambini, sin dall’età neonatale. Era questo “Il sogno di Giulia” ed è questo il nome dell’associazione di volontariato che Emanuela Galia e suo marito Alfio Zedda portano avanti per mantenere fede al desiderio della loro bambina, scomparsa all’età di 10 anni, nel 2018, dopo un lungo calvario per un tumore al cervello. «Ci siamo io e mio marito, è vero – dice la responsabile del progetto –, ma siamo letteralmente circondati e sommersi dall’impegno e dalla generosità dei soci, di tantissimi cittadini comuni e a una squadra di professionisti di ogni settore: medici di tutte le specializzazioni, avvocati, insegnanti, pasticceri, amici che ci supportano da ogni parte d’Italia. Per questo dico che quando andrò da Mattarella sarà come avere al mio fianco un esercito di persone generose. E non ho neanche idea di chi ci abbia segnalato al Quirinale».
Vita vissuta I progetti dell’associazione ricalcano le esperienze che la famiglia Zedda ha sperimentato sulla propria pelle negli anni della malattia di Giulia. «Molte iniziative nascono in effetti sulla falsariga delle nostre disavventure: come non riuscire a prenotare una visita in tempi brevi attraverso il cup, come ritrovarsi fuori dalla Sardegna e non sapere come muoversi, o entrare in una stanza per il ricovero che non è accogliente per un bambino. Noi ci siamo passati e ci siamo trovati soli. Allora abbiamo creato una rete di specialisti che garantiscono visite gratuite in tempi rapidi, abbiamo tassisti amici a Roma, persone in grado di supportare in tutti i modi una famiglia che si trova in quella difficile condizione. E nel reparto di Pediatria di Sassari, dove Giulia è stata curata per un periodo, abbiamo acquistato arredi colorati e reso più bella una stanza grigia».
L’associazione con sede nel quartiere di Is Mirrionis è il fulcro di iniziative che hanno portata rilevante a livello sociale. Qui vengono raccolti e ridistribuiti alimenti, indumenti (anche abiti da sposa), attrezzature di ogni genere per l’infanzia, strumentazioni per visite specialistiche; vengono organizzati campi estivi per famiglie in difficoltà, pagati ombrelloni al mare per famiglie con figli disabili, acquistati occhiali. E tanto, tantissimo altro. «Non ci siamo mai pianti addosso – spiega Emanuela Galia –. Come nel bellissimo disegno che ManuInvisible ha fatto sulla serranda della nostra sede, siamo rifioriti dal dolore e l’abbiamo trasformato amore. Rivediamo il sorriso di Giulia nel sorriso degli altri bambini e ogni giorno torniamo a casa arricchiti
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Naufragio di Cutro, il pescatore che per primo diede l'allarme: "Non riesco più a entrare in acqua"
Vincenzo Luciano è diventato, suo malgrado, uno dei simboli del naufragio di Steccato di Cutro. La notte del 26 febbraio 2023 fu il primo ad arrivare sulla spiaggia e a dare l'allarme. Cercò di salvare più persone che potè, ma si ritrovò a recuperare i corpi delle vittime che affioravano dall'acqua e dal quelgiorno non ha mai più smesso di tornare su quella spiaggia. Quello che invece non è mai più riuscito a fare, come dice in questa video intervista , è uscire con la sua barca per pescare. Le immagini terribili di quei giorni sono impresse nella sua mente, ricordi ancora troppo lucidi per poter tornare a vivere il mare che lui ben conosce
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Sempre sulle cariche a freddo cariche sui cortei pro Palestina, e sulla replica della polizia: "difficoltà operative " che riconosce come I manifestanti non stavano fermi
Un bellissimo gatto rosso è sdraiato sul balcone, ma qualcuno chiaramente non vuole lasciarlo riposare.Dietro di lui, un corvo si siede sulla balaustra e gli gracchia contro. Sfortunatamente, non assomiglia ad una chiacchierata amichevole, ma piuttosto a una lite accesa.Il corvo sembra provocare il felino, finché alla fine ci riesce. Infatti, quest'ultimo risponde con uno sgradevole miagolio. Subito dopo, lui risponde con una bella replica. E così via.
Un'insolita chiacchierata
Il proprietario del gatto ha catturato ( vedere video sopra ) l'incredibile confusione verbale tra le specie in un video e lo ha pubblicato online.Oltre 8 milioni di internauti hanno guardato la scena e migliaia stanno ancora teorizzando su cosa sia realmente questa loro discussione. C'è un interprete in sala? Purtroppo, non è stato ancora trovato un traduttore che traduca la lingua felina e corvina nella nostra, ma va bene così.Le teorie degli internauti su ciò di cui gli animali possono parlare sono varie. Secondo alcuni, i due hanno un'accesa discussione su argomenti filosofici, secondo altri, su argomenti culinari.Alcuni dei commentatori si mettono nei panni di esperti di comportamento animale e, dopo i suoni emessi dal corvo e dal gatto, cercano di decifrare di cosa si potrebbe trattare.Uno degli internauti ha scritto: «Il corvo dice "Scommetto che non mi salterai addosso?" e il gatto risponde "Sono davvero un deficiente?"». tesi che condivido anch'io . Ma come potete vedere, ci sono numerose interpretazioni. Sono curioso di sapere la vostra opinione: di cosa sta parlando il corvo con il gatto? Condividi la tua teoria in un commento qui sotto!
Le sette, ovvero
tutte le
associazioni che si
discostano dalla religione
principale, qualunque essa
sia, per intraprendere un
nuovo rito, fanno leva su
principi piuttosto semplici
e ruotano attorno alla
paura. Persone sole che
vogliono far parte di un gruppo
sono più a rischio di altre. Se
viene raccontato che il
demonio infesta i loro corpi, la
loro casa, e a dirlo è qualcuno
di cui si !dano, quasi
certamente permetteranno
qualsiasi cosa purché il male
venga scacciato.
In Italia, con la presenza
massiccia e
rami!cata della
chiesa in tutte le sue
espressioni, non è necessario
essere ferventi cattolici per
conoscere la dottrina:
battesimi, comunioni, cresime,
matrimoni, sono all’ordine del
giorno. Croci!ssi, preghiere e
campane a lutto o a festa,
anche. Si tratta di riti collettivi
a cui siamo avvezzi. Non
dovrebbe sorprendere, quindi,
che chiunque invochi il nome
del Signore per una guarigione,
per un miracolo, per una
supplica venga tutt’al più
ignorato o ritenuto inoffensivo:
che sta facendo di male? Sta
solo pregando. Qualsiasi religione non è solo
bontà e preghiera. È anche un
modo come un altro per
controllare le masse e renderle
mansuete. Le sette hanno
come caratteristica principale il
cosiddetto ‘love bombing’:
accolgono i nuovi arrivati con
un vero e proprio
bombardamento d’amore. Ed è
contrario alle regole di un
gruppo che, per la sua propria
sopravvivenza, è chiuso.
Dif!cile essere accolti in un
nuovo uf!cio. O a scuola. Nella
setta è il contrario: è
tremendamente semplice.
Una persona sola, bisognosa
d’amore, accolta con
entusiasmo non se ne andrà
più. Sarà fedele, farà quello
che le verrà chiesto. La setta fa
leva sulle debolezze, sulle
paure e sul senso di colpa. Il
leader della setta vuole
esercitare un potere. Se poi
arrivano anche offerte, soldi,
regali, tanto meglio. Far
credere di essere il tramite con
cui Dio opera i suoi miracoli è
da criminali. Così come è da
criminali, e i leader delle sette
sono criminali, invitare i propri
adepti a sospendere i farmaci,
a non credere ai medici, a
seguire strane diete. Se
l’adepto viene convinto che nel
suo corpo c’è il demonio e che
serve un esorcismo per
scacciarlo, quasi certamente
non si opporrà, intimorito dalla
morte, dall’ignoto e dal male.
Le sette e le microsette in Italia
prosperano perché c’è un
timore reverenziale per tutto
ciò che viene de!nito sacro,
retaggio culturale di chi, !n da
piccolo, ha fatto le scuole
pubbliche sotto il croce!sso
appeso al muro. Ma la vera
religione è un’altra”
Il reclutamento avviene per
passaparola: «Vado in questo
posto, mi trovo bene. Vieni?». Si viene accolti con grande
affetto: sorrisi, abbracci,
inclusione immediata. Non è chiarissimo quale sia lo
scopo: pregare, stare bene. La
religione è riveduta e corretta. Ci sono richieste di offerte: di
tempo, denaro, esperienza. Ci sono domande intime e c’è
l’attesa, pressante, per risposte
dettagliate. C’è un momento di rottura: se
non sei con noi, allora sei contro
di noi. C’è il momento della
guarigione: «Hai un problema, noi
possiamo risolverlo». Nella setta un rito di passaggio
decreta l’ingresso, a quel punto
l’adepto coinvolgerà altri .
Un ulteriore conferma della semre pià diffusa [ SIC ] analfabetizzazione ed ignoranza culturale tanto da scambiare un personaggio lartistico letterario poi ripreso a scopo comerciale promozionale con un influencer
Il Fatto Quotidiano
LEONARDO BISON
Non c’è pace per la povera “venereitalia23”, la Venere del Botticelli in versione influencer creata dal ministero del Turismo l’anno scorso, che avrebbe dovuto rilanciare l’immagine del Paese mangiando pizza e andando sugli sci. Dopo le ormai arcinote polemiche e sfottò, e dopo due mesi di silenzio del profilo Instagram – l’unico social attivato nell’ambito della campagna pubblicitaria costata 9 milioni – tra giugno e agosto, ormai il profilo pubblica con relativa regolarità, anche per evitare critiche (“la Venere non era in pausa, era in giro” si era giustificata Santanchè in commissione alle Camere a novembre, per spiegare il silenzio estivo). La resa grafica e linguistica lasciano ancora a desiderare, i like ai singoli post variano da poco più di 300 a oltre 90 mila, segno che alcuni di essi vengono “pompati” con investimenti mirati.
Ma il problema che la Venere che fu del Botticelli si trova ad affrontare ora è un altro: sotto ognuno dei post, oltre a qualche decina di commenti in italiano – di norma ironici – ella viene letteralmente assaltata da centinaia di commenti molesti, tutti in inglese, degni dei peggiori bar. “Wow, sei bellissima”, “hai il fidanzato?”, “mi piacciono i tuoi capelli”, “sembri una star del cinema”, “ero in cerca di una come te, dove sei stata?”. Per restare sulle più gradevoli. Perché poi si passa a “hot”, “so hot”, “hot hot hot”, o “wicked” (traducibile con “perversa”, “viziosa”), fuochi, baci, bacetti. Ci sono così tanti uomini che non sanno distinguere tra una modella e un quadro rinascimentale modificato? Con ogni probabilità no, dati i nomi degli utenti, da kennaxxx a fakei_d5816 fino a kingshit (“re m**da”, per chi non pratica l’inglese), e la ripetizione ossessiva di messaggi simili o identici: si tratta di migliaia di utenti falsi (bot, nel linguaggio dei social), che si usano abitualmente per aumentare le interazioni nei profili commerciali. Ma che, in questo caso, non sono in grado di capire quello che stanno commentando (nel post di San Valentino, ad esempio, per qualche motivo le chiedono, in sequenza, quanto costi e come possano comprare il vestito che indossa). La conseguenza, è che la Venere simbolo dell’italia nel mondo, in quello che è un profilo ufficiale del ministero, è trattata alla stregua di una modella bisognosa d’attenzioni: chissà se questo è un uso “compatibile con il suo carattere storico o artistico”, come recita la legge, che vale per i cittadini, ma meno per i ministeri.
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che dire aggiungere qa quanto è già stato detto sulle cariche vili ( i cortei soprattutto quello di Pisa era acifico e disarmato ) della polizia a Firenze ed Pisa ? la risposta e riassumibile in questa battuta presa da Spinoza.it :
Piantedosi ha fatto identificare così tanta gente che se lo incontri è lui che ti saluta LA PALESTRA/MATTEO CAPPONI
ricevo come di consueto il whatsapp di Emiliano Morrone autore dell'articolo che trovzte sotto . Ed ogni volta che leggo sia le sue anteprime come quella d'oggi
È stata appena pubblicata, in apertura, l'intervista con Andrea Crobu, fotografo veneto di origini sarde che filma il mare e i laghi della Calabria per conto di un marchio internazionale della pesca sportiva. Il professor Crobu parla della bellezza della natura
calabrese rovinata da distese di spazzatura, della diffusa rassegnazione al brutto che si registra in Calabria, dei pericoli dell'autonomia differenziata, dell'inutilità - a suo avviso - del ponte sullo Stretto, della scomparsa dell'antimafia civile e dell'urgente bisogno, secondo la sua analisi, di una nuova classe dirigente, capace di impedire il consumo di suolo, imporre l'eguaglianza nei diritti e fermare lo spopolamento della regione.
mi acccorgo che è una dei pochi cronisti locali che racconta della sua bella terra , purtroppo assainata da: l'Andrangheta , dall'immigrazione selvaggia ( vedere nell'archivio mia intervista ad Emiliano per il suo libro la società sparente ) , dalla speculazione ( leggerre l'articolo sotto ) senza scadere in provincialismo . Infatti egli riesce a mettere in atto lo slogan ( in realtà è una necessità \ sfida vitale sempre più reale di reazione ad una globalizzazione assassina e neo liberista ) << pensare globale agire locale >> ( cit da mia dolce rivoluzionaria degli Mcr ) . Ma ora basta parlare lasciamo la parola all'articolo
da https://www.corrieredellacalabria.it/223/02/2024 – 9:30
di Emiliano Morrone
Si esprime attraverso immagini, ma stavolta fa eccezione. Andrea Crobu è un fotografo veneto di origini sarde, un videomaker che filma la natura calabrese per campagne pubblicitarie di un celebre marchio della pesca sportiva. Da diversi anni, il professionista – che parla cinque lingue e fa il globetrotter grazie alla propria intelligenza fulminea e passione per l’ambiente – riprende pescatori, albe e tramonti sopra il mare della Calabria, il cielo terso, le luci e i colori accesi della regione. «È una terra – spiega Crobu, quarantaduenne – dalle acque pescose, dalla bellezza ancora sconosciuta, ideale per questo mio lavoro. È però grave – aggiunge – che i suoi tesori naturali debbano convivere con lo squallore prodotto dagli uomini, con montagne di immondizia e cemento che ne violentano il paesaggio, ne mortificano la storia e ne compromettono il futuro».
Calabria “terza” patria
Laureato in Comunicazione, Andrea, anche esperto di informatica, tecnologie e applicazioni digitali, ha un radicato debole per la Calabria, che considera la sua terza “patria” dopo il Veneto e la Sardegna. Nel 2007 e più avanti, infatti, si inserì nel movimento antimafia che, nato a Catanzaro sull’onda emotiva dell’inchiesta giudiziaria “Why not”, riportò al centro del dibattito pubblico nazionale i temi della legalità, della trasparenza e della partecipazione alla vita politica. Non solo, allora Andrea insegnava discipline umanistiche e scientifiche a Verona, in una scuola regionale per muratori in cui teneva spesso lezioni coinvolgenti sui princìpi della Costituzione, a partire dall’eguaglianza nei diritti, sulla lotta culturale alle mafie e sull’importanza dell’impegno delle nuove generazioni per cambiare il sistema pubblico italiano. Tra l’altro, nell’ateneo veronese organizzava incontri sul coraggio della verità, di foucaultiana memoria, con il gruppo “Legalità e Giustizia”, interno alla rete antimafia del Nord.
Il curriculum
Prima di dedicarsi alla videografia, Andrea, che conosco e cui darò dunque del Tu nell’intervista odierna, si era occupato di mappature, tramite droni, dei danni alle colture venete e, per un lungo periodo, della creazione, con sofisticati cad, di modelli tridimensionali di protesi per bambini disabili. Nel suo curriculum, poi, è solito scrivere frasi che colpiscono, tipo «frequenta e tormenta fiumi e torrenti alpini in cerca di trote, temoli e salmerini» oppure «specializzato nell’inseguimento dei tonni». Il suo sguardo sulla Calabria è perciò privilegiato, perché, pur non avendoci vissuto, ne ha potuto esaminare da vicino pregi e difetti, potenzialità e paradossi, con il desiderio spontaneo, disinteressato, del riscatto civile, economico e sociale dei cittadini calabresi. «Dal bagnasciuga in avanti la Calabria è splendida, dal bagnasciuga indietro è problematica. Perciò – racconta Andrea – i miei committenti mi hanno chiesto di tagliare l’immagine, in modo da non mostrare che cosa c’è dietro la spiaggia, piena di distese di spazzatura. Allora ho dovuto alterare la ripresa, per non far vedere l’entroterra. È terribile».
È un guaio?
«A causa dell’invasione dei rifiuti, non riesco a scattare una foto, non riesco a trovare un’inquadratura in cui non ci siano resti bruciati, flaconi di candeggina e roba diffusa ovunque. Questo rende molto difficile il mio compito e sono obbligato a levare delle sequenze. Per dirti, salendo e scendendo da Cutro, a ogni curva c’è una discarica abusiva che è terrificante da far vedere. È come se ci fosse un cantiere permanente in cui le persone si trovano a vivere. Le case incompiute con la gente dentro le vedi solo lì. Dunque, ho una pressante sensazione di amarezza. Ma com’è possibile? I calabresi pagano le stesse tasse che pago io, perché non hanno una buona strada, perché non passa qualcuno a togliere quei rifiuti? Soprattutto, perché lì buttano schifezze? La spazzatura è l’espressione più ricorrente del brutto che rovina qualsiasi foto, qualsiasi immagine. Allora, devo filmare dal bagnasciuga all’orizzonte».
Mostri una Calabria truccata?
«Per forza, io vendo immagini, quindi finzione. Ti senti sollevato quando sei sulla barca e ti allontani dalla riva per goderti i tuoi 16 metri quadri, se hai una barca grande, oppure quattro metri di ordine, pulizia, libertà ed efficienza, se ne hai una piccola».
Vai molto in giro, per esempio in Scandinavia e in Messico. Il bagnasciuga come linea di confine è, a tuo avviso, un elemento distintivo della Calabria?
«Gli scandinavi credono nell’“estetica Lego”: tutto pulitino, lindo e pinto. Ma va anche detto che lì non c’è nessuno: la Scandinavia è grande; la Svezia è due volte e mezza l’Italia e ha un sesto della popolazione. In Italia, invece, abbiamo uno sviluppo di tipo medioevale, in sostanza con un paese a ogni giornata di cammino. Quindi abbiamo una popolazione diffusa, piuttosto che concentrata. Pertanto, non abbiamo grandi estensioni selvagge tra un paese e l’altro. Da qui origina la difficoltà di gestire territori con la densità abitativa dei paesini sparsi. Non è semplice fornire servizi moderni su una mappa medievale: organizzare la raccolta rifiuti su un territorio così ampio è molto più complesso che organizzarla a Città del Messico. Poi c’è l’indecenza collettiva di mollare la spazzatura ai lati della strada, di buttarla dappertutto; non che non ci sia anche altrove, per carità, ma in Calabria si nota tanto».
Che cosa è, disprezzo per gli spazi pubblici, è un rifiuto dell’ordine che rinvia all’epoca preunitaria?
«No, è semplicemente un’abitudine al brutto. Cioè: tu sei cresciuto, hai visto quell’ambiente per tutta la tua infanzia, che dunque ora reputi normale. Ti sembra invece strano quando vai altrove e non lo trovi: lì ti rendi conto della differenza. Io sono cresciuto in Veneto, dove la raccolta rifiuti è qualcosa di maniacale: i cassonetti non esistono più, c’è il sistema porta a porta più totale e ogni tanto ti trovi un biglietto in tasca e non sai dove buttarlo perché non ci sono neanche i cestini. Perciò devi portarlo a casa e metterlo nella carta che raccoglieranno fra tre giorni. Così, impari a gestire la permanenza del tuo rifiuto, prendi coscienza perché sai che, se non lo smaltisci il giorno del recupero, rimane con te e non sparisce premendo un pulsante. Quando sei circondato da ordine e pulizia, la presenza di spazzatura diventa ingombrante a livello mentale: ne senti proprio il peso, ti dà fastidio che ci sia quella lattina che hai in mano e devi buttarla un altro giorno».
Allora?
«È un’esperienza terrificante l’incontro con una piazzola di sosta zeppa di rifiuti o con la spiaggia coperta di plastiche, di oggetti che può aver portato il mare ma nessuno ha raccolto. In Sardegna, che pure non ha un’economia florida, non esiste la stessa situazione della Calabria: lì non ho mai trovato i sacchetti di spazzatura sulla spiaggia, neanche nelle zone meno sviluppate economicamente».
Hai fatto discorsi simili con le persone che hai incontrato in Calabria?
«Ultimamente no. Ma in passato ho lavorato a Sibari, con appassionati di pesca che avevano girato in lungo e largo il mondo. Avvertivano il disagio, il disgusto per l’indecenza della spazzatura nella Sibaritide, ma da due settimane il servizio di raccolta non funzionava e quindi ogni chilometro c’era una pila di sacchi alta da due a tre metri. I calabresi pagano le tasse ma hanno servizi peggiori. È un’assurdità; in un contesto del genere, tuo figlio non può crescere serenamente. In ogni società, l’aspetto fondamentale è il trattamento dei propri rifiuti. Ai bambini si insegna subito a stare puliti. Del resto, pensa al discorso del filosofo Slavoj Žižek sull’eliminazione dei rifiuti. Žižek allude al tratto politico della Francia, quando ricorda che “il buco del gabinetto francese è posto sul retro per nascondere le feci alla vista e scaricarle il più velocemente possibile”».
Che cosa intendi dire?
«Quando vedi che il settore pubblico non ti passa nemmeno la pulizia, capisci che ci sono dei riflessi pesanti. Poi vai a pesca e scopri che tanta gente butta in acqua le cassette di legno oppure le esche. Questo è ciò che più mi colpisce ogni volta che vengo in Calabria. Ci soffro: mi fa stare male vedere in queste condizioni il vostro territorio, che è di un fascino unico, non solo dal punto di vista orografico. Poi c’è l’abusivismo edilizio. A Torre Melissa hanno recentemente demolito un palazzo mostruoso».
Che cosa spinge alla cementificazione?
«C’è una bulimia irrefrenabile nell’edilizia che consuma il territorio, forse per cercare di imporre un modello di sviluppo che non funziona. Poi c’è un’archeologia industriale, in Calabria, lasciata a decomporsi, senza piani di smaltimento. Questa situazione esiste anche in Sardegna. Se tu costruisci uno stabilimento e poi fallisce, l’edificio rimane lì a decomporsi organicamente. Si aspetta che la terra lo inghiottisca e magari ci vogliono 200 anni. Ci sono saline abbandonate che sono lì, stabilimenti vecchi che sono lì, restano lì. Non viene imposto al proprietario di ripristinare il decoro dell’ambiente».
Per esempio?
«Prima di arrivare a Crotone, vedi dinosauri industriali in attesa di diventare scheletri. A poco a poco crolleranno e chissà per quanto tempo rimarranno. Per molti che li guardano, però, sembra normale che quelle strutture si decompongano così. La bruttezza non viene portata via in alcun modo e tu ce l’avrai davanti alla faccia per tutta la vita».
Che cosa diresti al presidente della Regione, che sta provando a dare un’altra narrazione della Calabria, con grossi investimenti nella promozione del turismo?
«È una buona idea, che indica dinamismo. Tuttavia, prima di andare a stimolare la domanda, bisogna creare l’offerta. Io non posso arrivare in un luogo in cui devo fare attenzione a che cosa fotografo, se no poi la foto è brutta perché si vede la spazzatura. Prima devi pulire per terra, poi fai venire gli ospiti. Prima devi essere sicuro che ci siano servizi dappertutto, perché il territorio calabrese è stupendo, ma non possiamo visitarlo sotto forma di campeggio selvaggio o pensando di andare in un paese sperduto, in cui devi portarti tutto da casa».
In pratica?
«All’aeroporto di Lamezia Terme, per esempio, devi ancora fare la coda per prendere l’aereo: spesso trovi aperto un solo banco per il check-in e non è automatizzato il trasporto dei bagagli. Per non parlare, poi, della differenza abissale che c’è tra la costa tirrenica e quella ionica. Sul Tirreno c’è l’aeroporto con i voli quotidiani, c’è il treno più o meno veloce che arriva, c’è l’autostrada eccetera. Per attraversare la Calabria da est a ovest, non c’è verso di prendere un mezzo. Se in treno devo andare dall’aeroporto di Lamezia a Torre Melissa, impiego sei o sette ore, ammesso di atterrare in una fascia oraria in cui questo treno esiste. È un problema condizionante: sei vincolato al possesso dell’automobile. Quando accade in un posto geograficamente piccolo, vuol dire che non c’è un’infrastruttura di supporto al cittadino; vuol dire che, finché non ha l’auto, un ragazzino non esce dal suo paese».
Con quali conseguenze?
«Esiste questo tipo di sottosviluppo che impedisce la crescita di mentalità moderne, di idee imprenditoriali anche diverse, basate su approcci meno distruttivi del territorio. In Calabria hai la fortuna, paradossalmente, di essere arrivato nel 2024 senza aver avuto il boom economico vero e proprio. Hai qualche scheletro industriale rimasto dalla seconda metà del Novecento, quando ancora si produceva industrialmente e con infrastrutture ancora peggiori di quelle di adesso. Ora potresti osservare che la tecnologia è andata avanti e che potremmo fare roba molto più bella partendo da zero».
Bisogna dunque ripartire da una visione differente?
«La Calabria non è il Veneto, che deve raddoppiare la ferrovia costruita in età austriaca, che ha l’infrastruttura dell’800 e deve riuscire a riadattarla. Perché devo impiegare 45 minuti da Torre Melissa a Crotone, se rispetto i limiti? I limiti sono così bassi perché si sa che le strade non sono all’altezza di sopportare velocità più elevate. Allora, ogni giorno perdi tanti minuti per fare qualcosa. Fortunatamente, adesso la copertura del cellulare è molto buona. Paradossalmente, però, è quasi peggio, perché se tu sei povero e hai la televisione e Internet per guardare il mondo, ti rendi conto della tua condizione. Magari ti domandi perché il tuo coetaneo del Nord ha la scuola con il videoproiettore di ultima generazione, con strumenti e strutture a modo, e tu sei invece ridotto così. Perché in quel posto c’è lo skate park, la pista ciclabile eccetera, e in Calabria a malapena un parchetto?».
Però potresti sembrare prevenuto, se non addirittura razzista.
«No, io mi sento calabrese e lo dico in senso costruttivo, per contribuire a un cambio di mentalità. Quello che mi fa più male, quando vengo in Calabria, è vedere che spesso i cittadini sono trattati come servi. Allora, uno che cosa fa? Quando non ha accesso a beni e servizi, compra simboli tipici del capitalismo: l’iPhone 15 e quelle piccole cose che può acquistare individualmente perché non ha il treno ad alta velocità. Per me, Roma è a tre ore da dove vivo. So che alle sette del mattino prendo il treno, alle dieci sono lì per lavoro, faccio quello che devo, alle 13,30 riprendo il treno e alle 16 sono a casa. Provaci da Crotone, dato che la distanza è la stessa!».
I collegamenti sono un argomento della vecchia retorica sulla Calabria?
«Se tu dovessi disegnare una mappa della regione, non sulla scala geografica ma su quella dei tempi di percorrenza da un posto all’altro, la Calabria sarebbe grande come l’Inghilterra, in cui per andare da nord a sud tu impieghi giorni. In Calabria, è inconcepibile che uno vada dalla punta nord a quella sud e ritorni in giornata. Solo che questo problema, secondo me, non viene percepito per abitudine e rassegnazione. Non è un limite soltanto calabrese, ma di tutte le regioni che hanno il sottosviluppo. Quando lavoro in Messico, in aeroporto viene a prendermi un uomo che in tutta la vita non è mai uscito dalla provincia di residenza, in quanto non ha i mezzi per farlo. Viene a prendermi in auto e torna indietro. In vita sua non ha mai visto il mare, eppure ce l’ha a due passi».
In Calabria c’è, a tuo avviso, l’altra faccia della medaglia?
«Dal punto di vista ambientale, fortunatamente, dove non riusciamo a mettere le mani la Calabria è spettacolare. Sott’acqua, nei laghi della Sila, è un capolavoro. Ci sono cose incredibili, i fiumi sono pieni finché non riusciamo a metterci le mani. Quindi, tu stai andando disparatamente in cerca di zone di sottosviluppo totale, naturalmente preservate, dove non siamo ancora riusciti a mettere le mani. In Calabria hai l’impressione che tutto quello che c’è di bello da vedere non è stato fatto dall’uomo, oppure è stato fatto minimo due secoli fa».
Ormai sono tanti anni che conosci la Calabria.
«Io e te andiamo indietro di 15 anni, anzi, 17».
Allora ti interessavi di legalità e giustizia. In Calabria quanto pesa, con i tuoi occhi di oggi, la criminalità organizzata? Quanto pesa, invece, la rassegnazione, l’abitudine, la mentalità dominante?
«Sono arrivato a convincermi che l’etica sia estetica, che il valore del bello e del brutto siano reali e abbiano un’importanza esistenziale molto alta. La criminalità organizzata produce essenzialmente bruttezza: produce bruttezza morale, ritardo nello sviluppo economico, bruttezza nelle infrastrutture, bruttezza in tutto. Quando tu travalichi norme e leggi volte a tutelare la pubblica decenza, non puoi che vivere in uno stato di degrado e povertà. Se in Calabria uno prendesse 5mila euro al mese come responsabile di turno in officina, e se dunque fosse pagato come in Svezia, non penserebbe di avvicinarsi alla criminalità organizzata. Anzi, si terrebbe a distanza e ne sarebbe disgustato».
Brutto è male, allora.
«La ’ndrangheta si nutre del senso di impunità, della percepita assenza dello Stato cui si sostituisce. Solo che non si sostituisce come una comunità autosufficiente che vuole bene alla sua terra e tutela il proprio territorio, ma si sostituisce come mentalità predatoria, con un’idea talmente medievale dello spazio pubblico che può essere riassunta così: se è bello dentro casa mia, non importa che fuori ci sia lo schifo. I boss avranno la villa lastricata di oro e avorio, ma all’esterno devono fare i conti con l’immancabile spazzatura ai lati della strada, perché anche loro sono frutto di quel tipo di realtà, anche loro sono cresciuti così. Quindi hai gente che muove miliardi nello squallore. Ricordiamoci gli episodi di San Luca, quando siamo scesi giù per la prima volta: sotterranei pieni di ogni lusso e fuori la miseria totale. La ricerca della ricchezza privata a scanso della povertà pubblica produce questi paradossi. Quando in un paese con le strade bucate vedi Cayenne che girano, diffida di chi li guida».
Che cosa pensi dell’autonomia differenziata?
«Vivo nel terrore di questa prospettiva. Pensavo che fossero deliri propagandistici, ma questi sono sinceramente convinti. Se passa, i presidenti di Regione potranno privatizzare la sanità, se vorranno. Inoltre, potranno assumere i professori, potranno riscrivere i programmi scolastici e prendere decisioni terribili. L’autonomia differenziata è il frutto di un indecente accordo tra le tre forze di governo. Meloni prenderà il premierato per avere più potere; la Lega prenderà la secessione che ha sempre inseguito e porterà a casa le autonomie locali, che altro non sono che la secessione. Dal canto suo, Forza Italia, che finalizzerà l’attacco storico ai magistrati e alle leggi sul controllo della spesa, otterrà la depenalizzazione dei reati di abuso d’ufficio. Quindi penso tutto il male possibile dell’autonomia differenziata, specie perché condanna regioni come la Calabria, storicamente massacrate, alla perpetuazione del sottosviluppo più totale».
Che cosa pensi del ponte sullo Stretto?
«Metti che sia ingegneristicamente fattibile e che, schioccando le dita, magicamente domattina ce l’abbiamo. Dove stiamo andando? Arriviamo in Sicilia e poi ci mettiamo sei ore per raggiungere Palermo, perché non c’è l’autostrada in mezzo. Facciamo il passaggio per i treni e poi di là non c’è la ferrovia. Prima porti Calabria e Sicilia a un livello di sviluppo degno del ventunesimo secolo, con l’alta velocità sia in fibra ottica che in treno, con l’autostrada normale eccetera, poi fai l’infrastruttura stratosferica di collegamento tra le due realtà».
Negli anni 2007-2008 c’era una grande attenzione per la Calabria, c’erano i movimenti antimafia e in Rai si parlava molto di legalità. È finita per sempre quella stagione?
«Quella stagione è stata segnata da quello che mi piaceva definire “consumo civico”, nel senso che piaceva leggere di antimafia. C’è stata un’epoca d’oro in cui la lettura di libri e la frequentazione di iniziative specifiche erano viste come buone attività da portare avanti. Però, nel lungo periodo, abbiamo sperimentato che era soltanto una moda, che non ha prodotto quel risultato elettorale che si sperava arrivasse in virtù dell’impegno della società civile. Allora c’erano le trasmissioni di Santoro e nasceva “Il Fatto Quotidiano”. Tuttavia, quei contenuti non sono entrati nel mainstream. Noi non abbiamo speranza contro il potere di altre forme televisive, contro i reality, contro lo sport, contro tutte le altre forme di distrazione che esistono. L’antimafia funziona a seguito di eventi clamorosi».
Cioè?
«Se domattina la camorra fa saltare Gratteri, mi auguro che non accada mai, allora si ha una nuova situazione di antimafia, una nuova stagione di impegno civico, di disgusto e sdegno collettivo. Però le mafie questo l’hanno capito e stanno attente. Finché non c’è il grande caso nazionale, l’interesse per l’antimafia è limitato a qualche serie tv. Insomma, c’è stata la stagione di “Gomorra” e quella di “Suburra”, ma paradossalmente quelle serie hanno contribuito a glorificare il criminale, che viene visto come un eroe invece che come portatore di male».
Quindi, spostandoti dal bagnasciuga verso l’interno, non vedi soluzione per la Calabria?
«Io vedo una grossa opportunità nel fatto di aver aspettato così tanto per poter investire nello sviluppo: ti eviti gli orrori degli anni ’80 e ’90, quindi in Calabria c’è uno spazio interessante, se la regione riesce a esprimere una classe dirigente illuminata che capisca che non resterà più nulla, fra 30 anni, continuando con la mentalità dominante. Andiamo incontro a un inverno demografico: nei prossimi 20 anni verrà archiviata la generazione dei nati fra il ’50 e il ’60, che è la più numerosa della storia italiana. In Calabria, che ha un’alta percentuale di pensionati, ci sarà uno spopolamento folle. Se la classe dirigente non vedrà oltre la prossima tornata elettorale, si troverà a governare una regione vuota. Se poi passa l’autonomia, io la vedo molto dura; specialmente se si lascia mano libera alle realtà locali, che sono meno controllate delle realtà nazionali». (redazione@corrierecal.it)
A volte mostrarsi senza fltri e senza accorgimeti digitali cioè come si è realmente s'ottiene di più senza essere eroi (cit)è il caso di Sarah Nicole Landry, conosciuta anche come The Bird’s Papaya sui social media, sta guadagnando milioni di fan promuovendo l’empowerment femminile.
Nel suo profilo Instagram, che conta già più di 2 milioni di follower, Sarah di solito pubblica contenuti positivi sul suo corpo per aiutare le donne ad amarsi.
Recentemente, la madre di quattro figli è diventata virale dopo aver pubblicato ( vedere foto a sinistra ) un selfie allo specchio,
in cui appare in bikini, mostrando le sue smagliature, la cellulite e l’eccesso di pelle a causa delle gravidanze.
“Non ho mai visto smagliature o cellulite in pubblicità o online. E poi, un giorno, ho iniziato a farlo. Sembrava elettrizzante. Guarigione, persino. Adoravo identificarmi. Adoravo sentire che potevo vedermi negli altri”, ha scritto lei in didascalia.
“Mi ci sono voluti anni per allontanarmi dall’immagine degli altri. Dalle passerelle e dai programmi TV. Dai miliardi di persone che camminano su questa terra con me. Quanto è liberatorio essere solo il riflesso di se stessi.”
Il post, che ha già ricevuto più di 44.000 mi piace, ha commosso gli utenti di Internet. “Sono molto grata a te e per aver mostrato tutte le tue parti. Molto di quello che dici sembra uno specchio per me. Grazie”, ha commentato un utente di Instagram “Sei bellissima! E che ispirazione!”, ha detto un altro. “Un giorno avrò questa fiducia. Un giorno”, ha affermato un terzo. “Vedere qualcuno con un corpo simile al mio… È per questo che sono qui”, ha festeggiato un altro utente di Internet.
“Sei bellissima! E che ispirazione!”, ha detto un altro. “Un giorno avrò questa fiducia. Un giorno”, ha affermato un terzo. “Vedere qualcuno con un corpo simile al mio… È per questo che sono qui”, ha festeggiato un altro utente di Internet.
Ma i nostri rapressentanti politici sanno usare ( o lo fano usare ai loro adetti stampa ) il web solo per propaganda o spargere diusinformazione ed odio verso i loro avversari ? il caso della Gaffè non sa che la maggior parte delle informazioni e delle campagne pubblicitarie passa prima per la rete che per la televisione e i giornali ? la gaffè del ministro dei traporti ed infrastrutture che per ascusarsi specifica che i filmati non sono ancora andati in onda sulla tv pubblica né è stata definita la loro effettiva programmazione.meglio il silenzio piuttostoi che una ..... del genere
Infatti È polemica sui nuovi spot del Mit per promuovere la sicurezza stradale mettendo in risalto comportamenti pericolosi tra quelli che creano maggiori incidenti stradali: l’uso di droghe, la distrazione per i telefonini, l’alta velocità. I ragazzi usati per raccontare gli episodi, cercando di fotografare momenti di euforia, sono quasi sempre senza cintura. Ma i filmati saranno cambiati, assicura il regista Daniele Falleri che si dice rammaricato, mentre il ministero delle Infrastrutture e Trasporti specifica che i filmati non sono ancora andati in onda sulla tv pubblica né è stata definita la loro effettiva programmazione. I tre spot resi noti dal ministero sono tutti e tre centrati sui comportamenti scorretti di una comitiva di ragazzi e ragazze che entrati in macchina in un caso fumano uno spinello, nel secondo caso si distraggono guardando un cellulare e nel terzo decidono di fare una corsa viaggiando ad alta velocità. Alla fine dello spot l’immagine si sdoppia: da una parte si vede il comportamento errato e l’incidente; dall’altra parte invece il diverso esito della serata se il guidatore rifiuta di fumare lo spinello, chiede di non essere disturbato o, come nel terzo caso, proprio non accende il motore e invita a prendersi una pizza. «Non fai la scelta giusta, fai l’unica possibile», dice alla fine il pilota-testimonial Giancarlo Fisichella. Ma in nessuna delle diverse situazioni i protagonisti dello spot indossano le cinture di sicurezza. Sul tema, che raccoglie molte critiche sui diversi canali social, si è acceso anche l’interesse della politica. È intervenuto il capogruppo del Pd in commissione vigilanza Rai Stefano Graziano per chiedere al dipartimento per l’editoria di bloccare la nuova campagna sulla sicurezza stradale. Lo stesso fanno con una nota un gruppo di deputati del M5s che attaccano Salvini: «Guardando bene la pubblicità», affermano i deputati pentastellati, «tutte le persone nell’auto sono senza cinture di sicurezza allacciate. Uno spasso: è la mesta conferma che Salvini e sicurezza stradale sono due rette parallele destinate a non incontrarsi mai».È quindi intervenuto il regista che ha spiegato l’intento e annunciato alcune modifiche. «Rammaricano», ha affermato Falleri, «le polemiche sugli spot riguardo la sicurezza stradale, che sono stati realizzati unicamente con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani su alcuni comportamenti della vita di tutti i giorni, senza edulcorazioni. L’intento di questi filmati è e rimane educativo, apporteremo quindi alcune modifiche affinché gli spettatori non vengano distolti dall’unico obiettivo che ci sta veramente a cuore: sensibilizzare tutti a contribuire, ognuno nel suo piccolo, a salvare vite umane».