2.12.08

Rai Licio Gelli e i coleghi piduisti ringraziano

Rai, rischio declino Ma si parla solo di nomine e poltrone  Il servizio pubblico sembra non accorgersi che lo scenario è cambiato: così mentre Mediaset e Sky si sfidano su cont enuti e pay-tv, a Viale Mazzini si pensa ad altro

CARLO ROGNONI
Consigliere d’amministrazione Rai
ROMA
IL  caso Vigilanza Rai, la nomina del nuovo Cda, le voci su  chi dovrà dirigere Reti e Tg: il      tutto frullato dai media. Ne  esce un beverone indigeribile. Chi ha più da rimetterci? Certo,la Rai. Ma anche il Partito Democratico rischia, se non si chiama fuori. Se il Pd non dà il via a una
iniziativa forte e chiara, c’è chi dirà che non è poi così diverso dagli altri. Quando si tratta di spartirsi potere e poltrone “sono tutti uguali”.E questa idea qualunquista, per il Pd è devastante: tradisce la sua ragione d’essere, quella di presentarsi come un soggetto forte per una politica nuova.
 Ebbene in questa circostanza c’è solo una mossa da fare: rimettere al centro del confronto non le nomine e le poltrone ma il futuro dell’Azienda Rai. Che cosa serve oggi alla Rai? Deve cominciare una fase nuova. Non per una idea liberalo riformista. O comunque non solo . Ma perché i fatti costringono a  prendere atto che lo scenario dentro il quale oggi si muove la Rai non  è più quello anche solo di tre anni fa. Il duopolio è finito. Le risorse del sistema non sono più solo il canone e la pubblicità, ma ormai un terzo del fatturato globale delle televisio-
ni è rappresentato dagli abbonamenti a pagamento.
   Ebbene io vedo che Mediaset e Sky si sfidano sul pay, mentre la Rai è fuori da questo mercato. Se la grande sfida sono i contenuti e la qualità dei programmi, ebbene io vedo che Mediaset entra in Endemol,la società che produce format televisivi a livello mondiale, Sky si avvale del rapporto privilegiato con le produzioni Fox, mentre in casa Rai prouce sempre meno. Il rischio è che la Rai rinunci a essere fabbrica di programmi per diventare soprattutto supermercato di idee altrui.   Può una azienda che deve misurarsi con un mercato che sta cambiando essere governata come una dependance della partitocrazia? È il mercato che impone alla politica di fare un passo indietro e prendere atto dei suoi nuovi doveri: fissare con chiarezza la missione del servizio pubblico nell’era della rivoluzione digitale; impedire che la Rai perda credibilità; non lasciare che una grande azienda finisca come l’Alitalia.
 Come si passa dalle parole ai fatti? Cambiando subito le regole della governance. Basterebbe dare alservizio pubblico un consiglio di amministrazione così come prevede il codice civile. A un manager scelto per il suo curriculum profes-ionale verrebbero affidate ampie deleghe come a un normale amministratore delegato.
    Per nominarlo o per cambiarlo  ci vorrebbero i due terzi del cda. E in attesa di una legge di riforma da  fare in parlamento si potrebbe anche sfidare il governo a presentare immediatamente un decreto condiviso.I prossimi tre anni, con il passaggio regione per regione dall’analogico al digitale, per la Rai sono decisivi. Perché non ricorrere al modellol delle Autorità indipendenti? Copiando, per esempio, la legge istitu-iva dell’Agcom: un consiglio di otto eletti, quattro alla Camera e quattro al Senato, e un presidente amministratore delegato indicato dal governo ma votato dai due ter-i delle commissioni parlamentari competenti. Si toglierebbe così anche alla Vigilanza uno dei poteri che gli affida la legge del 1975. Se il Pd lancia la sfida, tocca al Pdl dimostrare la propria capacità di innovare. Di fronte a una proposta ragionevole, Berlusconi deve assumersi la responsabilità di dire che cosa si aspetta il governo dal servizio pubblico. Il nodo della questione Rai va messo in chiaro: non è la Vigilanza, non è il cda, non sono i direttori di Reti e Tg. Sono i lacci e laccioli della cattiva politica. E il Pd dovrebbe battere un colpo dimostrando di saperlo.




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