Etero, gay o Freddie?

Freddie Mercury non era gay: così avrebbe dichiarato Brian May, chitarrista dei Queen, a un quotidiano inglese. La "notizia" è stata ripresa nei giorni scorsi da diverse testate italiane. "Corriere.it" s'è sbilanciato più di altre, definendo la "rivelazione" di May un vero e proprio shock.
In realtà, se leggiamo bene il pezzo, non vi troviamo nulla di così sconvolgente. Anzi, non vi troviamo nulla e basta. Si tratta infatti della classica "bufala", decontestualizzata e grossolanamente riassunta. Tuttavia mi ha stimolato alcune riflessioni che voglio condividere coi lettori.
Mercury con Mary Austin e (sotto) con Jim Hutton, i due grandi amori della sua vita.
Scoprii artisticamente Freddie nel 1977, con We are the champions che subito mi rapì. E incantevole mi parve lui: portava i capelli lunghi e sgargianti tute a pelle.

Freddie era l'incarnazione del glam più genuino, che allora conosceva il suo periodo d'oro. Evanescente e sfrontato, corrusco e misterioso, il glam echeggiava come un grido libertario per il fatto stesso di esistere; d'altro lato l'eccessiva eccentricità ne ridimensionava l'aspetto più sovversivo. Dietro le mossette ammiccanti e i sorrisi beffardi si celava spesso una sorta d'inquieta Biancaneve. Anche per scegliere il nome del gruppo Mercury aveva provocatoriamente attinto al lessico fiabesco ("Queen" non significa solo "regina" - un tributo, affermava il cantante, a Elisabetta II -, ma pure "checca"); e per Freddie potevano impazzire tanto i gay quanto i bambini.
"Noi tutti ci eravamo travestiti da qualcuno; lui si era travestito da Freddie Mercury". Questa la testimonianza del protagonista di una delle tante, rutilanti feste (o festini) organizzate dal frontman dei Queen. Essa ben descrive la parabola del Nostro che, come ogni artista autentico, rappresenta una sorta di hapax. Sotto l'apparente sfarzo batteva il cuore d'un musicista di prim'ordine e d'un inarrivabile showman, riconoscibile e sorprendente, in grado di reinventarsi e di stupirsi. C'è sempre qualcosa di crudele, di tragico in chi sperimenta sé stesso, affrontando e vivendo le sue contraddizioni; a volte, finendone travolto. Freddie avvertiva il peso della sua eccezionalità d'uomo e d'artista, la soffriva e ne gioiva, ne percorreva i sentieri bui e tortuosi, i labirinti di solitudine. Era ironico e scontroso, barocco e futurista, lirico e rock. Tanto femmina quanto maschio e, anche in quest'ultimo caso, smodato e perentorio. Il Mercury con baffi, borchie e canottiera sembrava la trasposizione in carne e ossa di Tom of Finland, prima fiaba ora fumetto, la fisicità d'un sogno o d'un'aspirazione. Destinata quindi, per la sua intrinseca contraddittorietà, al dolore.
Poliedrico perché vero, e irrisolto come chiunque tenda a riassumere il multiforme universo nella relatività umana, Freddie non si esauriva in uno stile o in una definizione. Spericolato sul palcoscenico, innovatore in campo musicale, geniale interpolatore di generi (i video dei Queen furono il primo esempio di connubio canzone-cinema-pittura), cantava soprattutto l'amore: e aveva scelto come compagni d'avventura tre eterosessuali laureati.
Quanto alle vicende personali, il lungo legame tra Freddie e Mary Austin non era un mistero per nessuno (Mary, rimasta poi sua ottima amica, lo assistette anche durante la malattia, divenendo erede del suo immenso patrimonio); ecco perché, all'inizio, abbiamo parlato di rivelazione-bufala. Ovviamente, per Freddie, l'amore non si declinava in un'unica forma. Egli non lo dichiarò mai apertamente, né lo affrontò nelle canzoni. Non occorreva, certo. E la stampa, tanto per cambiare, si limitava a descrivere gli aspetti più pittoreschi e superficiali del personaggio. Tuttavia neppure alcuni ambienti gay furono da meno, in particolare dopo l'epilogo drammatico (e rivelatore) della sua vicenda umana.
Un atteggiamento comprensibile. Per tanti, troppi anni l'omosessualità è stata perseguitata, respinta, emarginata e considerata caratteristica di un'infima e abietta parte dell'umanità. Inimmaginabile associarla a individui perbene, a maggior ragione pensatori e/o artisti conosciuti - e magari studiati a scuola - se non come perversione individuale (è l'opinione di Dante che, non a caso, annoverava tra i "sodomiti" soltanto "cherci e litterati di gran fama"). Ad ogni modo, non bisognava parlarne. Manifestazione di brutalità o vizio lussurioso, l'omosessualità non aveva cittadinanza tra i sentimenti nobili. Anzi, non era affatto un sentimento e da essa non poteva giungere alcuna valida lezione etica e umana.
Questo codice morale è stato interiorizzato dagli omosessuali stessi che, spesso, hanno cercato di camuffare la loro inclinazione dietro il paravento dell'"amicizia spirituale", dell'arte, talora della castità. La rivoluzione culturale e sessuale degli ultimi decenni ha in parte riscritto la grammatica dei sentimenti, riconoscendo anche agli omosessuali una propria dignità, contemporaneamente uguale e distinta da quella maggioritaria, eterosessuale. Tutto quanto non ha comunque eliminato i problemi, sia perché di troppo recente acquisizione, sia perché non è sufficiente tramutare in positivo qualcosa di precedentemente aborrito affinché risulti limpido, accettabile e condivisibile.
Nemmeno si può nascondere che molti artisti pop hanno mascherato la nuda verità dietro travestimenti bizzarri e pose ambigue; Freddie è stato (anche) uno di questi, assieme a Liberace, Nureyev e molti altri. Chi ignora o addirittura cancella l'omosessualità dalle loro vite dimostra di non volerli capire fino in fondo.
Ripetiamo, però, che l'omosessualità non spiega tutto, e crediamo non sia stato solo per opportunismo, atavici timori o altri motivi se Freddie ha sempre rifiutato di svelare quanto auspicavano i militanti gay duri e puri. (Parimenti, nessuno si sognerebbe di classificare Proust, Pasolini o Yourcenar "scrittori omosessuali" o Manzoni "poeta cattolico": essi stessi respingerebbero inorriditi simili definizioni.)




In tal senso ritengo siano da intendere le parole di May: Mercury era innanzi tutto un artista completo, l'autore plurilingue e il negromante musicale di Bohemian Rhapsody, il ribelle di We will rock you (scritta da May), lo spericolato navigatore cinecanoro in bilico tra Metropolis e i fratelli Marx. E, ovviamente, l'ironica e ammiccante trans di I want to break free. Un pioniere che, anche nel campo del costume, ha lasciato un messaggio di libertà e tolleranza. Che poi amasse uomini, donne o - com'è molto probabile - entrambi, nulla aggiunge alla sapienza creatrice della sua caleidoscopica figura.

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