31.10.22

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna

 (ANSA) - CAGLIARI, 31 OTT 
 E' considerato un fine educatore che fa interagire la pedagogia con la didattica. Ha compiuto 84 anni il 2 aprile, Bernardo De Muro, maestro di retorica, poeta, intellettuale, drammaturgo, docente.



Cagliaritano di nascita e tempiese di origini, il suo cavallo di battaglia è l'arte di sedurre, incantare, persuadere con la parola credibile, onesta, essenziale, immaginifica."Contro l'impoverimento del lessico e l'appiattimento del linguaggio e per porre un freno al diluvio di parole ridondanti", spiega all'ANSA il letterato comunicatore, propugnatore della "circolarità del sapere e della conoscenza" e che, all'etimo del silenzio, ha dedicato un saggio. "La creatività nasce nel silenzio di ascolto - afferma De Muro - ho imparato a farmi guidare dallo stesso istinto che governa gerridi, api e ragni". A lui, tra l'altro, si deve la scelta del nome di una storica automobile della Fiat, la Croma. Per 40 anni ha insegnato retorica antica e arte oratoria a liceali, universitari, professionisti, manager. Da laico insegna ai giovani sacerdoti come rendere leggere le omelie. Al suo attivo conta
oltre 400 seminari su questa antica disciplina con la nuova retorica. Tanti i riconoscimenti, uno su tutti, primo premio internazionale sul tema della mitologia a Boston con l'opera "Apodiòniso figlio di Agenore".
Esperto di logopedia, ha superato grazie alla determinazione la sua balbuzie, "le mie corde vocali erano serpenti a sonagli", ricorda. E' vasta la sua produzione in narrativa, saggistica, teatro, poesia - sonetti, haiku - favolistica, aforismi. Apprezzatissimo tra gli altri il suo "Genova-Cantico del ponte Morandi" e il suo prezioso e originale saggio "Dizionario: l'albero della parola". "Ciò che colpisce nell'atto di parola e scrittura di De Muro - ha detto di lui Bachisio Bandinu - è il fascino intrigante dell'eloquenza come tensione interiore". "L'ho visto condurre quegli adolescenti, rapiti, silenti e sorpresi dal suo logos raffinato e comprensibile nel contempo", ricorda Roberta Soggia, docente di filosofia.La sua ultima fatica è un affascinante romanzo, "Storie e misteri nella Valle dei Nuraghi", ma sta per dare alle stampe "C'era una volta il punto e la virgola". "Stupore e meraviglia sono le chiavi per guardare in alto attraverso le parole del profondo", chiarisce il "chirurgo della parola". Il suo nome lo deve al grande tenore, suo omonimo e zio. Del compianto cantante a cui ha dedicato una monografia, "Bernardo De Muro parla di Bernardo De Muro", in occasione dei 130 anni dalla sua nascita, ricorda che fu lui a suggerire a suo padre, per l'11esimo e penultimo figlio, il nome. "Bernardo De Muro - sottolinea - è il nome che mi porto da 84 fresche primavere. E, da appassionato e critico musicale, non posso che andarne fiero".

Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna
Bernardo De Muro, l'arte oratoria è nel mio Dna© Provided by ANSA

A 84 anni il suo ricco curriculum è un work in progress. Del resto "Per diventare giovani - recita un suo aforisma- ci vuole molto molto tempo".

Santi e Morti - di Patrizia Cadau




 Per me i Santi sono i miei vicini di casa, che accompagnavano tutti i giorni mio figlio a scuola perché io non potevo.

Sante sono le amiche che mi hanno ascoltata per tempi e respiri infiniti, senza giudicarmi mai.
Che mi accompagnavano a fare la spesa.
Che mi facevano i dolci. Che si prendevano cura dei miei figli come fossero i loro.
E che ancora lo fanno.
Santo è chi è andato in questura e andrà in tribunale a dire la verità.
Sante sono le ragazze del centro antiviolenza.
Santo è chi mi ha dato un'opportunità mentre naufragavo nella vergogna e nella miseria della violenza e dell'isolamento.
Santo è chi si è preso cura della mia salute, chi ha medicato le mie ferite quando io non vedevo neppure dove fossero.
Santi sono quelli che mi hanno chiamata per dirmi che c'erano e che poi, dopo avermi chiamata, si sono anche presentati alla porta perché ne fossi davvero sicura.
Santi sono quelli che hanno visto in me la donna che vedo adesso, quando io nemmeno pensavo più di esistere.
Santi sono tutti quelli che mi hanno aiutato a portare un peso, che hanno regalato tenerezza e fiducia ai miei bambini, che ci hanno abbracciato quando non avevamo più speranza.
Sante sono le persone che condividono la nostra battaglia di Giustizia perché sanno che è una battaglia di tutti.
Tutti gli altri, vivi o morti, gattemorte e gattimorti, circensi e leccaculo, soloni e ipocriti giudicanti, bugiardi senza vergogna, testimoni comprati e finti martiri, gente che non ha mai avuto parole di pietà e una sola opportunità per me, e tutti quelli che continuano ancora a fare branco, a coccolare la violenza, possono festeggiarsi tra di loro il due novembre, nella ricorrenza che è già la loro.

Oscurità e luce -il cavaliere e il druido romanzo fantasy di Thomas landini è un romanzo su disabilità e speranza

 incuriosito da una  lettera  , trovate  a metà post  al centro  ,  lo screenschot   dell'immagine , pubblicata  dal  ilfattoquotiiano mi pare  del 19\10\2022   sono andato a  cercarmi qualche notizia  sul libro (  foto   della copertina  a   sinistra  ) citato .  Ed  incuriosito ho contatto   ed    intervistato   su Facebook  l'Autore .   Oltre le    ricerche  in rete  ed  fra una  chiaccherata / intervista  e  l'altra   ho scoperto    che l'autore THOMAS LANDINI Nel 2003 a 16 anni s'è  trovato catapultato in una vita totalmente differente da quella che avevo fino ad allora vissuto.
Dopo un incidente stradale in cui è  stato un mese in coma, per  un  emorragia cerebrale, ha poi  subito un pneumotorace, la rottura di sette vertebre, quattro costole, sterno e plesso brachiale destro.   Egli  s'è  << risvegliato logicamente diverso, cambiato. Nei 19 anni successivi ci sono stati momenti bui ma ho cercato sempre di non scoraggiarmi e alla fine il buio è diventato luce. Devo la mia rinascita, se così possiamo definirla, soprattutto alla mia famiglia e ai miei amici. Se avessi dovuto fare affidamento solo su certe istituzioni molto probabilmente non so se ce l’avrei fatta. La vita da disabile è diversa. >>  Ora   Ci sono molti tipi di disabilità più o meno evidenti, alle volte quasi invisibili. Troppe persone non possiedono la sensibilità per capire disabile non significa essere un alieno  \  strano.Infatti è   insufficiente per  non dire  carente   se non ipocrita  ed   commiserevole   l’educazione a partire dalla società, dalla scuola, dallo Stato.
 Manca , quindi , una visione d’insieme, che non sia caritatevole o di sostentamento. Latita soprattutto l’ascolto e il comunicarci un senso di normalità. Basti pensare alle organizzazioni scolastiche  e non che con le loro carenze riescono a rendere ancora più discriminatoria la nostra situazione. Per non parlare della totale assenza d’empatia da parte di troppi docenti impreparati e limitati al solo “vedere” o  a  pur  non  avendone   i titoli  o  la  specializzazione   a   fare  l'insegnante  di  sostengno   ai ragazzi disabili  pur  di  aver  punteggio er  assare  di ruolo  nell'insegnamento  . Fra le  domande   che avrei  voluto  fargli c'era anche   una    su  come fa  ad affrontare   la  vita  quotidiana  . Ma   una  nota  introduttiva  inviatami  precedentemente  e  da  cui  ho estrapolato    alcune righe    mi ha   anticipato  

  In ambito lavorativo la mia disabilità fa parte d’una sorta di limbo: o troppo o poco disabile. Molte aziende non mi hanno mai preso in considerazione perché, non potendo utilizzare il braccio destro, se gli serviva un istruttore amministrativo, erano “necessarie due mani funzionanti” per poter digitare e spostare i faldoni dei documenti. Allora venivo chiamato da aziende che cercavano magazzinieri appartenenti alla legge ’68 ma quando precisavo di non utilizzare un arto rispondevano meravigliati “di cercare una legge ’68 senza problemi fisici apparenti.” In dodici anni ho vissuto la rovina del centro di collocamento mirato. Sono stato convocato per colloqui fallimentari o addirittura inadatti quando cercavano un magazziniere, scaffalista, autista di muletto. Non sono mai stato indirizzato a un concorso pubblico. Non restava che tentare di mettersi in proprio puntando sui “famosi” aiuti per persone con disabilità. Fantascienza! L’80% di invalidità non era sufficiente per nessun tipo di aiuto e nel frattempo l’asl mi toglieva il sostegno fisioterapico perché “disabile cronico”. Dopo la parentesi in proprio decisi di studiare per i famosi concorsi pubblici, sostenuto dalla mia famiglia e dai miei amici. Dopo vari tentativi finalmente vidi la luce. Istruttore amministrativo in un ente pubblico a digitare sul computer e a spostare faldoni con una mano. Una cosa incredibile agli occhi di certe aziende. In questi anni la vita mi ha fatto incontrare e anche scontrare contro persone che, volontariamente o meno non mi interessa, ti portano a seppellire la tua già fragile autostima e a farti sentire inutile e dipendente dagli altri per qualsiasi esigenza invece di rassicurarti e insegnarti l’autonomia. All’interno di piccole realtà come quella in cui vivo si sente la mancanza di un sostegno, di una collaborazione, di un vero insegnamento alla disabilità. Per chi non la prova direttamente, la disabilità non esiste. Ci sono persone con disabilità che potrebbero dare tanto sia umanamente che fisicamente per tutto ciò che sono riuscite ad apprendere. Io ho la fortuna di essere riuscito ad entrare in un ambito lavorativo che amo e per il quale ho studiato: i servizi sociali. In questo ambito riesco a vedere che un cambiamento sia possibile grazie a politici e colleghi con una visione più moderna, aperti ad esempio alla tecnologia, alle nuove frontiere mediche, alla collaborazione. Soprattutto verso la disabilità, confido in una visione costruttiva fatta non solo di sussidi ma di coinvolgimento reale, di crescita comune. Tanti, troppi disabili si vergognano, si sentono emarginati dalla società in tutte le sue forme. C’è bisogno di una visione nuova del problema, di una costruzione empatica, solidale e coesa in tutte le espressioni sociali. Io ora sono felice anche per quello che la mia disabilità mi ha insegnato. Ho una famiglia meravigliosa e posso continuare a coltivare la mia grande passione che è la scrittura. Per cercare di condividere ciò che ho imparato in questi anni ho aperto anche un blog “Guida a una mano” nel quale cerco di dare qualche consiglio e stimolo alle persone che come me devono vivere senza l’utilizzo di un arto  superiore. Ad oggi il riscontro è stato più che positivo con tante persone che mi hanno scritto e risposto. 


Nel 2017 ha pubblicato il suo primo romanzo grazie a Felici Editore, una casa editrice che ha creduto in lui   e nelle sue  capacità. Egli     avrebbe <<  voluto scriverne un altro che parlasse di disabilità e discriminazione ma la paura di sfociare in tematiche troppo specifiche e annoiare il lettore mi ha fatto desistere. Fino a quando un giorno ho pensato: perché non spiegare il tutto allegoricamente, visto che la storia dell’uomo è piena di allegorie letterarie e artistiche che celano i più diversi significati. In quattro anni ho appuntato e incamerato tutto quello che sentivo e vedevo; ho scritto, strappato, riscritto, analizzato. Fino a quando ho preso il tutto e cercato di costruire una storia che potesse supportare il tema che volevo esprimere. Non è stato facile dare voce a ciò che percepivo, ma con il giusto tempo è nato “Oscurità e Luce – Il Cavaliere e il Druido” edito sempre da Felici. Un romanzo fantasy ambientato in una terra inventata, in una società celtico-medievale con magia, amore, uomini, donne, animali magici, natura, tanta azione, ritmo e, soprattutto, filosofia. Una dicotomia tra bene e male dalle varie sfumature, mai troppo distinte, che parla della discriminazione e dei suoi mostri e nel quale i personaggi potrebbero essere benissimo dei disabili. Un romanzo per tutti dove sono convinto che ognuno possa trovare un personaggio nel quale rispecchiarsi. Una storia che cerca una continua evoluzione, dal finale aperto che punta ad essere il primo basilare capitolo di una saga >>

 Dopo   avermi scritto  un po'  di  lui   ticca  a me   fargli   delle domande  


come  mai hai scelto  per  pubbblicizzare il tuo libro  la  rubrica di  un giornale , il fatto quotidiano in questo caso  . ed  non un  tuo   sito internet   o un blog ?

Non è stata una scelta specifica, ho inviato molte mail a partire dalle redazioni dei giornali, ai blog di letteratura, fino ad arrivare agli influencer. Ad oggi quelli del “Fatto Quotidiano” sono gli unici che mi


hanno preso in considerazione. Personalmente gestisco un sito internet www.romanzifantasy.com e un blog per persone diversamente abili www.guidaunamano.org e anche in questi ho pubblicato informazioni sul romanzo


come  mai hai scelto  un genere   poco trattato, almeno da quel che ne so ,  in italia  ,  il genere  fantasy  e  non invece   quello molto più diffuso il noir  o l'hard  boilet  ?

 Proporre fantasy italiano in Italia è difficile. Purtroppo c’è un pregiudizio che si protrae da anni, quello che gli italiani non siano in grado di scrivere fantasy di livello, perciò anche le case editrici di calibro maggiore non hanno interesse a investirci sopra. Sarebbe bello invertire questa tendenza, perché autori italiani capaci ce ne sono tanti


  come mai    lo hai intitolato oscurità  e  luce Il Cavaliere e il Druido? di soito     nel fantasy    druido  nero è sibolo di malvagità   e il cavaliere  simbolo di giustizia ?  cosa  c'è di vero e cosa  d'inventato nel romanzo ? fonti d'ispirazione  ? riferimenti culturali \ letterari ?

Nel romanzo il Druido Nero è simbolo di oscurità e il Cavaliere un Paladino della luce però da antagonisti diverranno quasi amici contro un nemico più grande e comune. Gli ideali in principio differenti si scopriranno più simili di quanto potessero immaginare. I riferimenti sono celtico/medievali ma la storia è tutta frutto della mia immaginazione

  è unico oppure come ho  letto da qualche parte  è il primo di una triologia   ?

Non è un romanzo autoconclusivo e punta ad essere il primo di una saga. Le ispirazioni e i riferimenti sono molti. Uno su tutti il gioco di ruolo; Tolkien sia letterario che cinematografico; Eddings e la Saga di Belgariad; le discriminazioni, contestualizzate in un periodo storico differente; la disabilità; la filosofia e il fantasy in ogni forma




30.10.22

LI MOLTI E MOLTI di Simone Sanna

leggi anche  
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/10/il-munduspatet-lhalloween-nellantica.html


 ERA IL 2 NOVEMBRE E COME OGNI ANNO MARCO E MARIA VAGAVANO PER LE VIE DEL PAESE CON I LORO CESTINI A CHIEDERE “LI MOLTI E MOLTI” PICCOLE OFFERTE DI NOCI,CASTAGNE ,GIUGGIOLE E QUALCHE SOLDO . COME OGNI ANNO SI FERMARONO DI FRONTE AL CANCELLO DELLA VILLA PIRODDA INDECISI O MENO SE ENTRARE.LI VI ABITAVA LA VECCHIA SIGNORA PIRODDA UN TEMPO MAESTRA DI SCUOLA E OGGI ADDITATA DA TUTTI COME UNA STREGA DEDITA ALL’OCCULTO. SI NARRA DI FANTASMI CHE SI AGGIRANO PER LE STANZE DELLA VILLA A TORMENTARE LA POVERA
SIGNORA,DI LAMENTI CONTINUI ,DI RUMORI DI PASSI NEL CUORE DELLA NOTTE. MARCO E MARIA SPAVENTATI MA ALLO STESSO TEMPO INCURIOSITI ATTRAVERSARONO IL CANCELLO E SUONARONO ALLA PORTA.
APRI UNA VECCHIA SIGNORA DAI CAPELLI ARGENTO E DALLO SGUARDO BUONO E I DUE BAMBINI PENSARONO CHE QUELLO CHE SI RACCONTAVA DI LEI ERANO BUGIE. LA VECCHIA CON GLI OCCHI LUCIDI ACCOLSE I BAMBINI DENTRO CASA.“FINALMENTE VI SIETE DECISI A SUONARE,VI VEDO OGNI ANNO FERMI DAVANTI AL CANCELLO”MARCO E MARIA SORRISERO E SGRANARONO GLI OCCHI QUANDO LA VECCHIA RIEMPI I LORO CESTINI DI OGNI PRELIBATEZZA. LI FECE ANCHE ACCOMODARE IN UNA STANZA PIENA DI GIOCHI DOVE MARCO E MARIA PASSARONO TUTTO IL POMERIGGIO.SI ERA FATTO BUIO E I BAMBINI DOVETTERO SCAPPARE PROMETTENDO ALLA VECCHIA CHE NON AVREBBERO AVUTO PIÙ PAURA DI LEI.IL GIORNO DOPO LA VECCHIA SIGNORA PIRODDA COME FACEVA ORMAI DA PIÙ DI 40 ANNI SI RECÒ AL CIMITERO A PORTARE UN FIORE AI SUOI CARI.ANDANDO VIA PASSÒ A SALUTARE UNA PICCOLA LAPIDE DOVE ERANO SEPOLTI DUE FRATELLINI ,SUOI ALUNNI,MORTI TRAGICAMENTE SOTTO L’INFERRIATA DEL CANCELLO DELLA SUA VILLA.DALLA FOTO SULLA LAPIDE I VOLTI DI MARCO E MARIA LE SORRIDEVANO.

CONTRO GLI STUDENTI REI D'AVER VOLUTO METTERE UNO STRISCIONE CONTRO UN CONVEGNO SI CONTRO GLI ULTRAS CHE IMPONGONO CO MINACCE D'ABBANDNARE LO STADIO NO

per approfondire leggere
  • Ultras - Wikipedia con ottimi riferimenti storici   e culturali   per  inquadrare  un fenimeno  ormai  sfuggito  di  mano   tanto d'essere  infiltrato  dale  mafie  e    dalla criminalità

Questa    vignetta   di un mio  contatto fb è la  sintesi     di quel  paragone    citasto  nel  titolo  del post  . Ma  ora  bado alle  ciancie    e veniamo  al post  in questione  .  
la  foto  sotto a sinistra   rappresenta   quello  che  è  successo  ieri  dopo il primo tempo  di Inter  - Sampdoria  a  San Siro  . dove la  curva   è stata  fatta svuotare da  capi  ultras  con la forza   e le minacce  dagli ultras in segno di rispetto👿☠😡😤🧠 per la morte   del capo  curva il  sessantanovenne Vittorio Boiocchi, che ha passato 26 anni della sua vita in carcere dopo aver commesso diversi reati quali rapina, traffico di droga e sequestro di persona. Secondo quanto riportato da La Gazzetta dello Sport i colpi sono stati sferrati in Via Fratelli Zanzottera mentre l’uomo era per strada e stava tornando a casa; è deceduto al pronto soccorso, dopo essere stato portato all’ospedale San Carlo in condizioni disastrose. Egli era un sorvegliato speciale , infatti aveva  l'obbligo d'allontanamento dallo stadio di San Siro ucciso per ragioni extra calcistiche. Il tutto,si può tradire secondo me, che il calcio ormai da 40 anni e le curve degli stadi sono in preda a persone che nulla hanno a che fare con lo sport. Ennesima vergogna di uno sport e di una federazione allo sbando totale. Una nazione dove il potere fa intervenire la polizia nelle università ma guai a mettere ordine negli stadi








mentre  finisco  di  scrivere questo mio commento leggo   su  https://footballnews24.it/ che  


[...]   il club della Pinetina starebbe valutando delle conseguenze: come riporta calciomercato.com infatti, la società starebbe considerando misure cautelative nei confronti dei tifosi costretti ad abbandonare lo stadio, come rimborsi o biglietti in regalo in vista dei prossimi match.

Cosa   giusta   ma  allo stesso  tempo  pulisci  coscienza  .  Le  società  calcistiche dovrebbero  , anche a  costro di passare  da  infami e delatori      collaborare  di  più   con  le  forze  dell'ordine  e  non fare  entrare  allo stadio   e foraggiare    certi elementi  .  

La "muratorina" negata per il latino è diventata professoressa degli ultimi altro che logiche meritocratiche

 a  confermare   l'articolo  sopra  riportato   c'è  questa  botta  e risposta    pubblicata   https://www.avvenire.it/opinioni/  sempre  del  29.10.2022

Da Palermo arriva una lettera emozionante contro le logiche meritocratiche ed escludenti. Con un grazie a Bruni e una storia che mi ricorda quella di mia madre e dice ciò che può fare la scuola e che dentro la scuola fanno donne e uomini di valore, che sanno “vedere” tutti i talenti e li aiutano a sbocciare


Gentile direttore,
vorrei rivolgermi al professor Bruni, e mi sembra strano chiamarlo così, perché sono professoressa anch’io e inoltre sono più anziana di lui. Ma la lettura di alcuni suoi articoli pubblicati su “Avvenire” è stata per me così illuminante (alcuni li ho utilizzati per scopi didattici) che non posso che chiamarlo così. Detto questo, oggi scrivo col cuore, dopo avere letto l’articolo dedicato al libro “Cuore” e concentrato sul concetto di “merito”, proprio quello aggiunto al Ministero dell’Istruzione (“Avvenire”, 23 ottobre 2022). Anch’io ho avuto una reazione di fastidio non appena l’ho sentito per la prima volta. Vede io sono la “muratorina” del suo articolo. Mio padre odorava, ed era sporco, di calce. E a 5 anni ho subito quella che lei magistralmente, chiama «profanazione del cuore». Infatti, la mia maestra, una suora, nel tentativo di fare un complimento a mia madre, disse che “non sembravo figlia di un muratore, ma sembravo nata sui tappeti”.
Così capii la divisione in classi e soprattutto che essere figlia di muratore non era una cosa buona. Sono cresciuta con uno strano dono rispetto all’ambiente che mi circondava: amavo i libri e la scuola. Sicuramente era un dono che ho avvertito prestissimo. La scuola era tutto per me. Ed è stata proprio la scuola della mia Repubblica che mi ha mandato avanti fino alla laurea, ma non senza difficoltà. Già alle scuole elementari avevo capito che volevo laurearmi e fare l’insegnante (allora dicevo «la maestra») ma per i miei genitori era già tanto farmi arrivare al diploma. Io, invece, a 13 anni ho deciso che avrei frequentato il liceo scientifico, imbrogliando mia madre che voleva mandarmi all’istituto tecnico per geometri. Non so perché mi sentivo attratta da materie, come latino e filosofia, pur non avendo idea di che cosa avrei incontrato. E proprio l’insegnante di latino fu il primo scoglio. Non mi sopportava, mi diceva che dovevo cambiare scuola e frequentare un istituto professionale perché ero «negata per il latino» (la maggioranza dei miei compagni aveva un insegnante privato oppure genitori diplomati che li aiutavano, i miei solo la seconda elementare).
Sono negata per il latino! È vero: ho preso lezioni private da adulta e non sono riuscita a compensare il vuoto, perché rivedo sempre quella lavagna e me, tredicenne (ero un anno avanti), muta che ascolto le sue parole: «È inutile che stai lì, tanto non lo capisci». Invece, io, la lotta di classe e in classe la capivo benissimo. Sono testardamente rimasta al liceo (avevo altri insegnanti che mi sostenevano), mi sono laureata in filosofia e ho vinto un concorso a cattedra per insegnare italiano nelle scuole superiori. Così sono professoressa da 32 anni e per 20 ho insegnato in un istituto professionale di Palermo collocato vicino al quartiere Zen (non so se il professor Bruni lo conosce).
Ho avuto alunni a cui ho insegnato l’ortografia di base, ho fatto educazione antimafia, ho onorato la memoria dei nostri morti e dei sindacalisti uccisi dalla mafia; soprattutto ho sperato che tutti loro facessero un salto di classe come era successo a me. Ma per tanti non è stato così. In ogni
caso, mai a nessuno ho detto: sei negato. Mai! A volte, quando leggo gli articoli di cronaca della mia città, e noto che non ci sono miei ex alunni tra i malfattori, mi piace pensare che forse ho contribuito a trasmettere anche l’amore per l’onestà e il senso civico.                    Sono stata la professoressa degli ultimi e, realmente, alunni con il dono dell’amore per la scuola ne ho incontrati pochissimi. A tutti ho dovuto trasmetterlo io nei modi più disparati e, a volte, disperati, con metodi da inventare volta per volta (tra cui una raccolta punti che funziona perfettamente), con i pochissimi strumenti che ci fornisce l’istituzione scuola.
Mi sono sempre trovata senza proiettori, né aule lettura, né aule calde e accoglienti, né cartine geografiche. Aule che sembrano celle, in cui ho insegnato e insegno portandomi dietro un proiettore comprato con i miei soldi (neanche il bonus docente lo riconosce come strumento didattico). Complessivamente, credo di avere fatto solo il mio dovere, rispecchiando il senso del lavoro che mi ha insegnato mio padre. Perché le ho scritto, perché mi rivolgo a Bruni? Per conforto, perché ho colto nel suo articolo un sentimento simile al mio e cioè che la scuola è e deve essere per tutti ed è la presenza tangibile di quella Repubblica delle stesse opportunità in cui credo fermamente. Grazie professore. Grazie da parte mia e dai miei studenti che ancora non sanno quello che diventeranno.


Piera Verace, professoressa Palermo




Il suo racconto, gentile e cara amica, mi ha emozionato. E condivido il suo ringraziamento a Luigino Bruni, che domenica scorsa – all’interno delle bellissime riflessioni che sta sviluppando tra grande letteratura ed economia (oggi continuano con il “Pinocchio” di Carlo Collodi) – ha dato un “la” potente alle nostre nuove messe a punto sul tema del merito e della meritocrazia, questione riaccesa dal cambiamento di nome del Ministero dell’Istruzione con l’aggiunta “e del Merito” e alla quale ieri abbiamo dedicato tre densi commenti.
Nodo che affrontiamo criticamente col nostro lavoro di cronaca e di analisi da molti anni, cercando di smontare luoghi comuni e di contrastare passi indietro nella scuola e nella società. Per questo ho deciso di lasciare a lei e alla sua voce limpida e forte gran parte di questo spazio di dialogo domenicale con i nostri lettori e le nostre lettrici. La sua storia e la sua vita di donna di scuola è diversa e uguale a quelle di tante e di tanti che hanno fatto fruttare i propri talenti pur partendo da condizioni svantaggiate e dovendo sovvertire le logiche meritocratiche e classiste che hanno a lungo dominato nel mondo dell’istruzione. La sua è una storia che mi tocca fortemente, per la bellezza in sé e perché ha punti di contatto con quella di mia madre, Graziella, che era figlia di artigiani (mio nonno materno falegname, mia nonna sarta) e che – nell’Italia degli anni Quaranta del Novecento – perciò era stata inesorabilmente instradata all’avviamento professionale, una volta il “secondo tempo” della scuola dei meno abbienti e vicolo cieco che precludeva ogni ulteriore possibilità di studiare. Era brillante e tenace come lei, quella ragazzina di Assisi, e spinta da alcuni insegnanti che s’incaricarono di motivare a dovere anche i genitori in pochi mesi pareggiò i conti con chi aveva frequentato le scuole medie, imparò pure il latino, e venne ammessa all’istituto magistrale, diventando poi maestra a neanche 18 anni.
Solo la morte prematura del padre, e il dovere di mantenere la madre divenuta disabile, le impedirono di laurearsi e di studiare anche il pianoforte che amava tanto. Ha insegnato tutta la vita, mia madre, seminando tanto e bene proprio come lei, gentile professoressa Verace. E io ne so qualcosa perché, ancora oggi, a distanza di anni, raccolgo frutti di stima e gratitudine da chi ha goduto del suo doppio magistero, che ha formato persone e cittadini. Questo è ciò che può fare la scuola e che dentro la scuola realizzano donne e uomini di valore, che sanno “vedere” tutti talenti e i accompagnano a sbocciare, senza rinchiuderli in gabbie o annientarli di pregiudizi. Grazie ancora, professoressa. E ancora buon lavoro.

San Pietroburgo, professore universitario licenziato perché contrario alla guerra: le studentesse lo applaudono


Denis Skopin è stato applaudito e abbracciato dalle sue studentesse di fronte all'Università di San Pietroburgo dove è stato professore associato prima di essere licenziato per aver preso parte, il 21 settembre scorso, a una protesta contro la guerra in Ucraina nella cattedrale di Sant'Isacco. Skopin, che è stato licenziato con un atto del prorettore "per aver commesso un atto immorale incompatibile con le sue funzioni educative e la continuazione di questo lavoro", ha tenuto un breve discorso, nel cortile dell'Istituto, di fronte alle sue studentesse sulla moralità. E ha spiegato che partecipando alla protesta contro la mobilitazione "stava esercitando il suo dovere morale di persona, cittadino e insegnante della Facoltà".

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Extraordinary moment as students at Russia’s oldest university in St Petersburg applaud and cheer a professor who has been fired for taking part in anti-war protests. Denis Skopin spent 10 days in jail and was given a summons to the military recruitment office.
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«Io, maestra nera nella scuola italiana. Oggi c'è chi non si vergogna più di essere razzista» la storia di Rahma Nur

  corriere  della sera   tramite  msn.it  \  bing    Rahma Nur insegna italiano, storia e inglese alla scuola elementare Fabrizio De André d...