Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
31.1.23
Il cambiamento radicale di una 31enne dopo i tatuaggi diventati virali e una vita criminale: oggi è rinata
Alyssa Zebrasky, 31 anni, una donna dell'Ohio le cui foto segnaletiche sono diventate virali per i
tatuaggi spaventosi sul viso, ha mostrato la trasformazione drammatica dopo aver subito trattamenti laser estenuanti per rimuoverli. La donna è stata al centro delle cronache per la prima volta nel dicembre 2018, dopo essere stata arrestata in Ohio per furto e possesso di droga. La sua foto segnaletica mostrava la fronte coperta da un tatuaggio a forma di ragnatela, insieme a un teschio ispirato al "Giorno dei Morti" intorno agli occhi, alle guance, al naso e alle labbra.
Nell'aprile 2019, Zebrasky e i suoi tatuaggi macabri sono tornati al centro delle notizie dopo essere stata arrestata nuovamente. Ma ora, più di tre anni dopo, Zebrasky ha cambiato vita completando un programma di riabilitazione. Come parte del suo processo di recupero, ha deciso di eliminare tutti i suoi tatuaggi sul viso per dimenticare l'ex fidanzato, membro di una gang (e che l’aveva costretta a tatuarsi), e cambiare vita. Dopo la riabilitazione, Zebrasky si è rivolta a una ong texana chiamata INK-nitiatve, che aiuta le persone a rimuovere i tatuaggi indesiderati e cominciare una nuova vita. Con il supporto della famiglia e del suo nuovo partner, con cui ha una "relazione più sana", Alyssa sta documentando il suo viaggio di rimozione dell'inchiostro sui social media.
tatuaggi spaventosi sul viso, ha mostrato la trasformazione drammatica dopo aver subito trattamenti laser estenuanti per rimuoverli. La donna è stata al centro delle cronache per la prima volta nel dicembre 2018, dopo essere stata arrestata in Ohio per furto e possesso di droga. La sua foto segnaletica mostrava la fronte coperta da un tatuaggio a forma di ragnatela, insieme a un teschio ispirato al "Giorno dei Morti" intorno agli occhi, alle guance, al naso e alle labbra.
Nell'aprile 2019, Zebrasky e i suoi tatuaggi macabri sono tornati al centro delle notizie dopo essere stata arrestata nuovamente. Ma ora, più di tre anni dopo, Zebrasky ha cambiato vita completando un programma di riabilitazione. Come parte del suo processo di recupero, ha deciso di eliminare tutti i suoi tatuaggi sul viso per dimenticare l'ex fidanzato, membro di una gang (e che l’aveva costretta a tatuarsi), e cambiare vita. Dopo la riabilitazione, Zebrasky si è rivolta a una ong texana chiamata INK-nitiatve, che aiuta le persone a rimuovere i tatuaggi indesiderati e cominciare una nuova vita. Con il supporto della famiglia e del suo nuovo partner, con cui ha una "relazione più sana", Alyssa sta documentando il suo viaggio di rimozione dell'inchiostro sui social media.
serafina battaglia prima collaboratrice giustizia del fenomeno mafie - da Donato Armesano
A questa persona ( qui e nei link , insieme alla colonna sonora sotto maggiori news su di lei e sulla sua storia bisogna intitolarle una via al suo paese e spiegare il perche '!!!! E tutte le scuole ogni anno dovrebbero portarle lì dove hanno ucciso la sua famiglia e dire cosa le hanno fatto e spiegare che cosa e 'l 'omerta '
da
Donato Arnesano
La mafia le ammazzò il marito. Ma lei, Serafina, non parlò perché era cresciuta nella trappola dell’omertà e della mafia. Poi però toccò al figlio, Salvatore, un bravo ragazzo cresciuto in un ambiente sbagliato. La mafia uccise anche lui. Per Serafina Battaglia cambiò il mondo e decise di abbandonare totalmente la vita di prima e rompere l’omertà. Era il 30 gennaio quando prese una decisione storica: dire ai giudici tutto quello che sapeva. Sicari, affari mafiosi che aveva il marito, informazioni. Tutto. Divenne la prima donna in Italia testimone di giustizia. Pagò un prezzo enorme oltre a quello della perdita del figlio: il totale isolamento dal mondo. Si mise contro tutti, dalla famiglia fino agli amici. Al punto tale che per trovare un avvocato ci mise un’eternità. Nessuno la voleva, tutti la evitavano per aver rotto il silenzio dell’omertà. Ma Serafina non si arrese mai. Testimoniò in tribunale e affrontò i boss mafiosi senza paura, addirittura incalzandoli, inveendo loro contro come mai era successo prima.“ Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”, diceva. Non mollò un attimo ma non vide mai l’arresto dei sicari di suo figlio. Abbandonata da tutti, morì a Roma, ancora in lutto, il 10 settembre 2004. Il suo aver detto “no” all’omertà aprì però un mondo. A lei, oggi, in questa ricorrenza importante, il ricordo di tutti noi.Fonte: Leonardo Cecchi
Collegamenti esterniLa mafia le ammazzò il marito. Ma lei, Serafina, non parlò perché era cresciuta nella trappola dell’omertà e della mafia. Poi però toccò al figlio, Salvatore, un bravo ragazzo cresciuto in un ambiente sbagliato. La mafia uccise anche lui. Per Serafina Battaglia cambiò il mondo e decise di abbandonare totalmente la vita di prima e rompere l’omertà. Era il 30 gennaio quando prese una decisione storica: dire ai giudici tutto quello che sapeva. Sicari, affari mafiosi che aveva il marito, informazioni. Tutto. Divenne la prima donna in Italia testimone di giustizia. Pagò un prezzo enorme oltre a quello della perdita del figlio: il totale isolamento dal mondo. Si mise contro tutti, dalla famiglia fino agli amici. Al punto tale che per trovare un avvocato ci mise un’eternità. Nessuno la voleva, tutti la evitavano per aver rotto il silenzio dell’omertà. Ma Serafina non si arrese mai. Testimoniò in tribunale e affrontò i boss mafiosi senza paura, addirittura incalzandoli, inveendo loro contro come mai era successo prima.“ Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”, diceva. Non mollò un attimo ma non vide mai l’arresto dei sicari di suo figlio. Abbandonata da tutti, morì a Roma, ancora in lutto, il 10 settembre 2004. Il suo aver detto “no” all’omertà aprì però un mondo. A lei, oggi, in questa ricorrenza importante, il ricordo di tutti noi.
Fonte: Leonardo Cecchi
- Serafina Battaglia, la prima donna contro la mafia videointervista su Rai Storia
- Fotogallery: su Serafina Battaglia e i suoi processi, su archiviofoto.unita.it (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
- "L'Ape furibonda" (Rubbettino) di C. Cavaliere, B. Gemelli e R. Pitaro include un ritratto di Serafina Battaglia: "Senza avvocato, senza soldi e messa all'indice"
COLONNA SONORA
“Pensa” Fabrizio Moro
" a finestra " Carmen Conosoli
“I cento passi” Modena City Ramblers
“Signor tenente” Giorgio Faletti
“Don Raffaè” Fabrizio De André
“Povera patria” di Franco Battiato
ed altre http://www.centropromozionelegalitalecco.it/index.php/la-libreria-della-legalita/canzoni
30.1.23
San Giovanni Bosco Lo spazio è curato da un insegnante in pensione In chiesa una biblioteca di periferia «La lettura per riunire il quartiere»
dal sassarese una storia in cui la chiesa rimedia o almeno ci prove alle deficenze dello stato
Sassari
Lo stanzone dell’oratorio è colorato dalle copertine di migliaia di libri. La parrocchia di San Giovanni Bosco ha la sua biblioteca e don
Franco Manunta, il parroco,
parla di un atto politico. Perché la lettura è educazione e
condivisione e lo è ancora di
più quando viene promossa
nel cuore di un quartiere con
le sue difficoltà ben radicate.
Dopo aver mosso i primi passi ormai un anno fa, la biblioteca dell’oratorio della parrocchia che si affaccia su via
Washington sarà inaugurata
ufficialmente domani pomeriggio, proprio nel giorno in
cui si festeggia don Bosco.
Ricca di libri e volumi di ogni
genere, è nata grazie alla passione e alla buona volontà di
un insegnante di musica in
pensione. Si chiama Tonino
Satta e tra gliscaffali divisi
per sezione sta portando
avanti una vera missione.
Tonino Satta
ha insegnato una vita alle
scuole medie. Alla numero 5
aveva anche messo su una
piccola biblioteca di mille libri. «Una volta andato in pensione, ho pensato di donare
la mia dotazione alla parrocchia – racconta Satta –. Don
Franco Manunta mi ha risposto che, insieme ai libri, serviva però anche un bibliotecario. E così è nato questo spazio. Nel giro di poco tempo
sono stati donati tanti altri
libri, adesso ne contiamo circa
ottomila». La biblioteca, che
sarà inaugurata domani alle
16.30, nasce proprio in una
parrocchia intitolata a un
santo che ha dedicato la vita
ai giovani e all’educazione.
«Qui non è stata spesa una lira – spiega Tonino Satta –.
Ma anche in povertà si possono fare delle belle cose. Questo è un progetto della parrocchia e io sono solo al servizio». Anche altri volontari
stanno dando la propria disponibilità per tenere aperte
le porte la biblioteca, alla quale si accede da piazza Fondazione Rockefeller. Diversi i
servizi garantiti: consultazione, prestito, aiuto alla ricerca, interscambio e anche consegna a domicilio per le persone con disabilità. I libri sono numerosi e per tutti i gusti: sezione ragazzi, religione, saggistica, narratori stranieri, narratori italiani, arte e
poesia.
Atto politico Quella dell’oratorio della parrocchia di
San Giovanni Bosco è una biblioteca di periferia. Prende
infatti forma in un quartiere
alle porte della città, in un luogo privo di altri servizi di questo tipo. Un quartiere con le
sue problematiche e anche le
sue diversità. «Secondo me
la biblioteca ha un valore politico – commenta il parroco
della chiesa di via Washington, don Franco Manunta –.
Io insegnavo filosofia e mi riferisco al senso platonico. E
quindi al riunire il demos, il
popolo, la gente. Questa biblioteca nasce in un quartiere con molte forme e tante
identità e, credo, anche poco
conosciuto dal resto della città. C’è la parte delle case popolari, quella delle cooperative e poi una parte più borghese. Zone che, spesso, neanche comunicano tra loro». Secondo il parroco è dunque
importante che la biblioteca
sia stata aperta proprio qui.
«La biblioteca è formazione,
istruzione, è porsi delle domande – aggiunge il sacerdote –. Per questo dico che ha
una funzione politica. Il mio
desiderio è che questo spazio diventi un punto di riferimento. Penso per esempio ai
ragazzi che abbandonano la
scuola perché non si sentono
coinvolti: leggere significa
pensare e riflettere».
Il bibliotecario volontario Tonino Satta |
-------
don Gaetano Galia
Sassari
Il 31 gennaio è la
festa di san Giovanni Bosco, un grande educatore.
Ne approfittiamo per riflettere su una tematica educativa a lui molto cara: il valore della riconoscenza. Don
Bosco cita spesso nei suoi
dialoghi e nei discorsi ai
suoi ragazzi questo contenuto. Mi piace proporre
questa riflessione che attiene sia alla sfera dell’etica laica che religiosa.
Di fatto il grazie è sempre
più merce rara. Sa dire grazie solo chi è sensibile, chi si
coglie bisognoso degli altri,
chi sa che la relazione è il segno del nostro
limite, il sigillo della necessità della complementarità con l’altro.
L’uomo è relazione e non
può vivere da solo ma si completa con l’altro.
La riconoscenza, allora,
consiste nel saper individuare il bene ricevuto. Si richiedono alcuni passaggi
fondamentali: è necessario
uscire dall’io, dal narcisismo, da quell’istinto naturale all’autosufficienza che regna in ciascuno di noi, dal
nostro smisurato egocentrismo. Non può essere riconoscente chi è supponente,
arrogante, superbo e quindi non percepisce il valore
di ciò che gli viene donato.
È un problema culturale:
siamo nel tempo del tutto è
dovuto e tutto è scontato.
Forse dovremmo sdoganare maggiormente questo
meraviglioso sentimento e
ringraziare più frequentemente genitori, medici, insegnanti, negozianti, badanti, meccanici… Non dice grazie chi, con i soldi, crede di poter comprare tutto,
e una volta pagato, non sente il bisogno di ringraziare!
Chi crede di poter comprare anche l’amicizia, l’amore, la stima, l’affetto, Dio.
Chi disprezza gli altri non
ha bisogno di nessuno. Ci si
accorgerà solo nel momento della sofferenza che non
aver coltivato le relazioni
con i propri simili porta alla
solitudine e all’isolamento.
Facciamo un esame introspettivo: cosa avvertiamo
quando doniamo qualcosa
e ci viene detto grazie? Ci
sentiamo valorizzati, apprezzati, riconosciuti, incoraggiati, stimolati a fare
sempre più del bene. Quando, al contrario, facciamo
un bel gesto, un regalo e
non veniamo ringraziati, ci
percepiamo tristi, delusi,
scoraggiati e perdiamo l’entusiasmo di essere generosi. È fondamentale riproporre a livello educativo la
bellezza della meraviglia e
del desiderio. Se i nostri figli desiderano solo oggetti
e non si meravigliano più
del mistero della vita, del fascino delle relazioni, dell’incanto delle emozioni, formiamo persone infelici.
Persone che ricercano la felicità nell’ultimo oggetto
proposto dal mercato per
poi stancarsi e rincorrere il
prossimo. Meravigliarsi delle cose semplici, dà un senso alla vita e gli adulti devono educare a questo, più
che correre essi stessi verso
l’ultimo prodotto.
Dobbiamo educare i nostri figli alla riflessione e ad
approfondire l’origine dei
doni, il valore dei doni, l’affetto che c’è dietro un dono. Elementi che richiedono meditazione e silenzio.
La fretta, la velocità, il mondo virtuale non consentono di apprezzare ciò che riceviamo.
La gratitudine, quindi, è
un sentimento positivo perché aumenta la nostra sensazione di benessere, di vitalità, ci aiuta a fidarci degli
altri e a “donarci” al prossimo.
Se prendessimo l’abitudine di usare con più frequenza la parola “grazie”, vedremmo che anche i nostri
interlocutori avrebbero un
atteggiamento ispirato alla
cortesia, alla gentilezza, alle buone maniere, in quanto la gratitudine è un gesto
che apre a rapporti umani,
non formali, ma carichi di
umanità. La riconoscenza è
contagiosa. Ma anche non
aspettarsi il grazie è un elemento di grande saggezza:
il dono più bello è quello
non opportunistico o strumentale, ma gratuito. L’apice della generosità matura!
Il meccanismo è molto
evidente nel rapporto genitori-figli. Per una parte della vita i ruoli sono chiari: i genitori danno, i figli ricevono. Poi è solo il senso di gratitudine che spinge i figli a a
invertire i ruoli e a diventare a loro volta genitori di padri e madri invecchiati. Ma
proprio per questo, più che
mai bisognosi del nostro
aiuto, della nostra riconoscenza, del nostro affetto. E
della nostra gratitudine.
Grazie!
*cappellano del carcere
di Bancali
la chiesa
intitolata
a San Giovanni
Bosco
e il cappellano del carcere di Bancali don Gaetano Galia autore dell'articolo |
L’educazione dei ragazzi di Maria Giuseppina Tamponi ( alias Peppy .ta1)
E' vero dopo la la laurea , anche se ho amici\che insegnanti , non frequento più la scuola e non h mai insegnato . Ma concordo con questo post
Si parla di cosa sia più giusto dare come valutazione, smile voto scritto o numerico, si parla di come non bisogna demonizzare il web, si parla di comprensione. Peccato però che non si fa affatto un mea culpa su come siamo arrivati ad avere ragazzini di 14 anni che spingono un coetaneo sotto un treno per motivi non futili di più, di ragazzini che bullizzano i propri insegnanti, di ragazzini che rapinano mini market… forse qualcosa è andato storto, forse dovremmo fare un piccolo esame di coscienza e riportare questi ragazzi nel mondo reale dove i brutti voti spesso te li da la vita, dove le porte chiuse sono assai di più di quelle aperte, dove nulla viene regalato come incoraggiamento!
non solo aggiungo che mi fa piacere che lo faccia una persona giovane lontana dalla mia generazione dove non c’era tutta questa comprensione e giustificazione da parte dei genitori se combinavi qualcosa di grave anzi a casa quando tornavi prendevi “il resto” come diceva mia mamma per quelle più gravi . Concludo con quanto dice Spano Marianna : << Dietro questi figli ci sono dei genitori che hanno fallito alla grande, quando nasci e cresci con dei valori queste cose non accadono. Dalle chat di classe capisco tanti comportamenti di alcuni ragazzini perché i primi a non sapersi comportare sono proprio i genitori e qui mi fermo.
La parola dei miei genitori era sacra ai miei tempi, spesso non condividevo e non accettavo cercando spesso di ribellarmi, ma infondo ascoltandoli perché dietro quelle parole sapevo ci fosse un motivo x il mio bene.
Fare il genitore è difficile e complicato al giorno d'oggi, ma abbiamo avuto ottimi insegnamenti e faccio affidamento su quelli. >>
29.1.23
L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana di Emiliano Morrone
da
https://www.corrieredellacalabria.it/2023/01/28/lintuito-del-giornalista-e-la-strage-di-piazza-fontana/
Sabato, 28 Gennaio
Ultimo aggiornamento alle 20:00
LA STORIA
«L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana»
Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto…
di Emiliano Morrone
Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto. La strage di piazza Fontana favorì la carriera di un giovane giornalista, proveniente da Cosenza. Ho tirato fuori questo ricordo di mio zio Luigi Morrone, detto Gino, che dopo quella strage diventò una firma di punta del quotidiano nazionale “Il Giorno”. Buona lettura.
Milano, 12 dicembre 1969. Quel giorno ero di “corta” (leggi “giorno di riposo per i giornalisti”) e, non so perché, mi ero vestito come un commissario di polizia. Camicia bianca, abito di buon taglio, cravatta scura, un bel cappotto grigio quasi nuovo. Avevo bisogno di starmene in pace: il 29 dicembre mi sarei sposato e avevo una certa fretta di compilare la lista degli invitati. Scelsi di rintanarmi nella nuova sala stampa dei carabinieri, in via Moscova, che disponeva di comodissime poltrone e, soprattutto, non era molto frequentata.
Quando entrai, diedi un’occhiata al panorama: ero solo tra una pila di luccicanti telefoni appena installati e alcune poltrone in pelle assolutamente invitanti. Cominciai il mio “lavoro”, ma fui subito interrotto dal trillo fastidioso di uno dei telefoni. Non risposi, mandando mentalmente al diavolo lo scocciatore. Il telefono insisteva. Fui tentato di staccare e riattaccare. Ma poi prevalse il buon senso: poteva essere una chiamata importante. Non appena misi all’orecchio il microfono, dall’altra parte udii una voce concitata: “Capitano C. (era il comandante del pronto intervento), è scoppiata una bomba in piazza Fontana… alla banca, ma forse è scoppiata una caldaia…”. Riattaccai, in gran fretta raccolsi le mie cose e mi precipitai all’uscita. Cercai un taxi e diedi l’indirizzo, nel frattempo cercavo di riordinare le idee, di organizzarmi. Pensai: in piazza della Scala devo scendere e correre a piedi, la zona sarà transennata.
Ero giovane e atletico (45 anni fa!), perciò bruciai le tappe e arrivai in una piazza gremita di gente vociante e disperata. Mi diressi con decisione all’ingresso e un poliziotto si fece subito da parte lasciandomi entrare. Il mio look assolutamente casuale e involontario aveva funzionato. Fino ad allora avevo sempre pensato che l’inferno fosse una trovata geniale per spaventare i piccoli peccatori come me, ma una volta nel salone sventrato della banca capii che l’inferno esiste davvero ed era proprio lì sotto i miei occhi sgomenti. Spaventoso, terrificante, apocalittico: cadaveri dilaniati; dappertutto, persino spiaccicati sulle pareti, sangue e pezzetti di pelle umana; gente che soffriva e urlava; una grande buca al centro del salone, coperta con dei tavolacci, mostrava tutta la violenza di una bomba ad alto potenziale appena scoppiata. E poi sirene, lettighe, medici e infermieri.
Un cronista, entrato al seguito del cardinale giunto a benedire le salme, davanti a tanta atrocità, non resse e piombò a terra come morto. Anch’io ero come paralizzato. Ma il mestiere, il senso del dovere mi richiamano alla realtà: comincio a contare i corpi dei poveretti dilaniati dal micidiale ordigno, prendo con meticolosità appunti, cerco di contattare il giornale. Esco dal salone, a caccia di un telefono (quelli interni erano tutti fuori uso), lo trovo nella farmacia accanto. Il vicedirettore del giornale, informato, scende all’ingresso della sede e dirotta verso piazza Fontana tutti i giornalisti che a quell’ora cominciavano i loro turni di lavoro. “Cercate di contattare Morrone, è dentro la banca”, urlava. Ebbi qualche problema a rientrare, ma alla fine, non so come, tornai in quel maledetto salone. Quel tragico pomeriggio riuscii a rendermi utilissimo al giornale. Al caporedattore chiesi timidamente: “Non firmatemi l’elenco dei morti e dei feriti”. Riattaccò, ma il giorno dopo la mia firma fu adeguatamente collocata.
Passai una notte insonne, c’era un tg regionale che dava il numero dei morti, un numero diverso dal mio. Chiamai il giornale più volte e alla fine il capocronista mi urlò: “Vai a dormire, quel tg ha un disco e ripete sempre la stessa notizia, sono esatte le tue informazioni. Buonanotte”. Io, che ero visibilmente provato, diciamo pure sotto shock, mi ero rifugiato a casa della mia ragazza, Giuliana, che da lì a poche settimane sarebbe stata mia moglie. La mia futura suocera Cristina era impegnata, con un efficace lavoro di olio di gomito, a ripulire le scarpe quasi nuove, sporche, diciamo imbrattate di sangue e tagliuzzate da tante piccole schegge di vetro. Alla fine tornarono lustre. Ma io quelle scarpe non le ho più calzate.
28.1.23
Ci sono cose che .....
.... Ci sono storie e fatti che è davvero difficile ed ancora più complesso commentarevista la brevità del post ne approfitto per rispondere a chi prende aglio per cipolla e mi segue tanto per farsi i .. o farsi due risate ignorando che spesso i poli opposti s'attraggono e che a volte capita di condividere \ trovare un punto in comune con chi la pensa all'opposto di te e di cui combatti le idee
come il caso che mi è successo recentemente su fb quando ho condiviso il post di Povia contro Zelenski a San remo ecco lo scambio di commenti
- Tommaso SalGli hai mandato una cinquantina di euro?
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- ù
Tommaso Sal
Giuseppe Scano Tu hai fatto una condivisione, non un lancio, se condividi significa che ti piace e sei d’accordo, quindi bando al braccino corto e sgancia la grana.
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- Tommaso SalGiuseppe Scano Come no, sei tu che hai condiviso il tizio che chiede soldi quindi sei solidale, devi dare il buon esempio, versagli la grana e poi posta la ricevuta.
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- 3 g
- Giuseppe ScanoAutoreTommaso Sal LOL . veramente non sempre condivido ciò che rilancio . lo faccio per dare voce a chi non ha voce oppure è, ai margini dei media . Ma soprattutto per intavolare un discorso \ dibattito . evidentemente ancora non ha imparato a conoscermi
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- 2 g
- Tommaso SalGiuseppe Scano Tu hai fatto una condivisione, non un lancio, se condividi significa che ti piace e sei d’accordo,quindi bando al braccino corto e sgancia la grana.
- e qui ho evitato di replicare ulteriormente perché è come lavare la testa all'asino con il sapone
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