Zonaro, la frontiera
Sanremo era mèta del turismo ricco, soprattutto inglese e russo (zarista), capitale della Belle Époque, ma a Zonaro non sfuggiva quel suo lato finitimo, sorta di Colonne d'Ercole italiane, e ne predilesse la parte più umbratile e defilata, anch'essa di confine. Zonaro era reperto vivente: nato a Padova, ultimo lembo di Levante italiano, fu l'ultimo ritrattista ufficiale del sultano Abdulhamid e, al crollo dell'Impero, si stabilì nel Finisterre, ultimo lembo italiano, stavolta d'Occidente, dove terminò i suoi giorni, in esilio, anche Maometto VI, fratello di Abdulhamid. Zonaro (con)visse con l'ultimità, e in definitiva con la favola: l'Oriente delle odalische e degli eunuchi, dei diwan e delle terme, che si chiamava Costantinopoli; e Zonaro, come il Sinan di De André, era egli stesso turco, un turco padovano-sanremese, un turco italiano
. Sarebbe piaciuto ad Alessandro Spina, cioè Basil Khouzam, lui pure un ultimo, un siro-libico italiano. Testimoni d'una fratellanza d'arte e letteratura, favolistica perché inattuale, favolosa perché crudele, pur nella brillantezza dei colori e l'eleganza della prosa. Non sorprende che il tempo ordinario, il tempo smemorato, di quest'eternità non conservi nulla, anzi la ignori; solo fuori della storia, essa troverà dimora.
© Daniela Tuscano
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