Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
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30.10.11
Questo nostro amore

Questo nostro amore
28.10.11
un politico sardo , miracolo rinuncia a 3884 euro d'indennità Altolà degli uffici contabil della regione i: "Non si può"
finalmente arriva l'autunno
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
27.10.11
La fine d'un mondo
Zona di passaggio, d’immigrazione. La mia bisnonna vi era salita dalla Lunigiana, anche questo un nome rarefatto, quasi spettrale. Dietro code di bauli, schiene, carri. E s’era poi insediata nel rigoglioso Ponente, concluso un matrimonio borghese, vissuta - poco tempo - felice.Luogo di pietra e di storia. Da pochi giorni cancellato, travolto, assorbito da una colata di fanghiglia e liquame. Una storia sgretolata, assieme con le code di bauli, i frantoi, la grazia mediterranea, le poesie di Montale, l’ansia scalpitante di vita. Un mondo intero è stato distrutto e sepolto, per l’oblio d’un paese di montagna convinto d’essere un paese di pianura (Ascanio Paolini). Per la sciatta dimenticanza della nostra storia impervia e onerosa.
E la chiesa settecentesca di Monterosso rimembrava quella, inerpicata e inagibile, di Bussana vecchia: anch’essa distrutta, da un terremoto, centocinquant’anni fa. In una disgrazia, però, telluricamente “normale”. Qui no, qui la natura sembra essere impazzita, disfatta e ribelle di fronte allo scialo di cemento, oggetti, bitume, grattacieli ammassati per avidità, incuria, e - anche in tal caso - oblio.
Lo strazio si è ripetuto a Pompei. Ancora una volta. La città campana sembra essersi sciolta nel pianto. Il suo è un lungo, straziato “basta”. Anneghi il rosso pompeiano, le Ville dei Misteri, quella nostra antichità pagana e orientale che ci ricapitolava come uno scrigno prezioso. Crolla qui l‘Italia: nell’asettica indifferenza d’un popolo smemorato, infisso nell’indifferente pianura dell’oggi, e che si ritroverà un giorno del tutto scalzato, e demotivato, e nullo, senza capir perché.
24.10.11
Pellegrini per passione
- da http://www.sardegna24.net/ del 24\10 2011
-
quando la satira non è satira ma ci cinismo nonenciclopedia su Marco Simoncelli
23.10.11
L'abdicazione
Il terrore della morte è naturale e, per questo, momentaneo. Nemmeno il più profondo. La morte vera viene da dentro, direbbe ancora Manzoni; è il senso del giudizio individuale; è, in fondo, la solitudine tremenda. Gheddafi, un tiranno sanguinario, che non aveva avuto pietà dei suoi nemici, ora, in mezzo alla folla dei suoi carnefici, i monatti che di lì a poco l'uccideranno, è dunque tornato a essere un uomo, un uomo-preda, dall'occhio incredulo e annebbiato, incapace di comprendere il mistero della sofferenza. Ma riottoso ad essa. Tra quelle mani adunche che lo strattonano, la sua umanità assopita ha conosciuto un moto di ribellione antica, la percezione d'una profanazione, lo stupro del corpo umano, la più elevata delle creazioni.
La vendetta, rispetto alla giustizia, ci getta brutalmente in faccia il lato ferino dell'uomo, la sua degradazione. Capovolge i valori morali. Snuda la parte selvaggia e tremebonda del Sapiens in lotta per uscire dalla bassa naturalità. E, al tempo stesso, fa risorgere fra gl'intricati pruni della bestialità quel grido, quel no, quell'eccesso cui non sappiamo, non vogliamo più abituarci. E occorreva un despota abbattuto, ormai ridotto al rango d'animale braccato, a dimostrare che niente, e nessuno, potranno mai giustificare quel ritorno all'origine, quella desacralizzazione della sofferenza ancor prima che della fine. E non importa
si tratti di malattia, di esecuzione o altre modalità con cui un uomo viene eliminato: importa quel modo, quella deprivazione, quell'umiliazione, quell'abdicazione direi, dalla nostra completezza, quando torniamo semplice grumo e polvere, per mano d'altri grumi, d'altra polvere, in un flusso continuo, in una casualità dove gl'individui, le cose, il mondo, la terra, non hanno alcun vettore e alcuno scopo, un brulicare infame e negletto, una cellula sclerotizzata, un errore di laboratorio.
A questo siamo ridotti? Sic transit gloria mundi? Le parole sono importanti, scandiva Nanni Moretti, e il contesto pure, aggiungeremmo noi. La disumanizzazione parte sempre dal linguaggio. Lo scempiato che di recente ha piegato il motto dell'Imitatio Christi ai suoi interessi di bottega, e che del dittatore libico si proclamava grande e sincero amico, avrebbe potuto benissimo evitare di spacciarlo per eufemismo e manifestare il suo vero pensiero con un più banale e volgare, ma almeno sincero: e chi se ne frega. Era ciò che intendeva. Un cinico, aziendalistico voltar pagina: via uno, avanti il prossimo. E' la legge del mercato.
Ma l'uomo è davvero solo mercato? Solo grumo? Solo naturalità? Solo vendetta? E, anche, solo gloria e potenza?
No. L'uomo è uomo senza aggettivi. L'uomo coi suoi limiti, con le sue paure, con la sua profonda cattiveria e la sua celeste bontà. L'uomo non è solo. Non può esser solo. Nel momento della massima debolezza, nel momento dell'abbandono, l'uomo deve prendersi cura di sé stesso, e degli altri. Se degrada l'altro, degrada la sua stessa immagine.
Ci resta il sapore del disgusto, dell'orrore, e, perché no, della pietà di fronte all'immagine del Gheddafi macilento e sballottato verso un abominio che nemmeno comprende appieno. Perché quell'icona, per quanto bestemmiata in vita, è anche la nostra. E' per noi che tremiamo. E' per quell'istintualità senza Dio, per quella fessura da cui passeremmo tutti, se Qualcuno non ci richiamasse a un più intimo, rotondo e pieno senso di noi stessi.
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