15.6.16

Bilancio di Gommorra 2 stagione e l'imbecillità delle offese su Facebook per l'attore che interpreta Malammore

ATTENZIONE, SPOILER (se non avete visto le ultime due puntate di "Gomorra")





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 Quelloc he mi  è piaciuto  di Gommora  II   come  di Gommora  I  è che  a  differenza  delle  fiction classiche  sula mafia  si  è  riusciti e  le  polemniche e  il dibbattito   che  ha  cererato   sembrano confermarlo  a confondere la finzione con la realtà . Dimostrazione che si è riusciti a far immedesimare, cosa  assai rara nelle  fiction ,   i telespettatori nelle storie e nei personaggi che si è e interpretato con grande bravura ! Se tutti riuscissero a scindere il personaggio dall'artista potrebbero apprezzare ancora di più il lavoro e l'intera serie riservando le critiche e l'indignazione ai fatti che accadono ogni giorno e che vengono seppelliti dall'omertà e dalla vera "mala vita"!
Complimenti a tutto il cast e soprattutto a "Malammore"
Il problma  è   che Qualcuno, evidentemente, non distingue tra fiction e realtà.Qualche  dall'indignazione facile  a  caldo 
<< Questa probabilmente è la ragione per cui>>, come  riporta  l'unione sarda  d'oggi   << sulla bacheca di Fabio De Caro, l'attore che nella serie tv "Gomorra" interpreta Malammore, uno dei "fedelissimi" di Pietro Savastano, sono comparsi insulti e offese dopo la puntata di ieri sera in
cui il suo personaggio uccide una bambina.
A difenderlo - molti dei commenti più pesanti sono stati cancellati dal social - ci ha pensato, anche ma non solo, il collega Salvatore Esposito, il "Genny" di "Gomorra", che sul suo profilo ha scritto: "Chiedo a voi pochi di indignarvi ed urlare sì ma contro le persone che tutti i giorni nella vita reale compiono questi atti barbari e rovinano l'immagine della nostra amata terra. Noi siamo Attori e portiamo l'Arte che ci scorre nelle vene nel mondo , e dovremmo vantarcene tutti!!!".




infatti   il post   di Salvatore  Esposito il genny  delle due  serie  parla  chiaro o  almeno dovrebbe

Salvatore Esposito
6 h
·

Noi Attori di ‪#‎Gomorra‬ siamo dei professionisti ed il fatto che alcune persone confondono il personaggio con l'Artista significa che siamo riusciti a pieno nel nostro compito . Ma sta accadendo una cosa bruttissima che solo in Italia accade ovvero insultare sul personale il mio collega Attore Fabio de Caro per l'atroce atto( di cui non spoilerero' )che il suo personaggio Malammore ha compiuto nell'ultimo episodio . Chiedo a voi pochi di indignarvi ed urlare si ma contro le persone che tutti i giorni nella vita reale compiono questi atti barbari e rovinano l'immagine della nostra amata terra . Noi siamo Attori e portiamo l'Arte che ci scorre nelle vene nel mondo , e dovremmo vantarcene tutti !!! Al pubblico intelligente chiedo di aiutarmi a difendere il nostro lavoro e la nostra vita !! Grazie !!S.
concordo  con questo commento  riportato sulla  stessa  pagina   fb  di Salvatore   
 
 L’uccisione della piccola figlia di Ciro per mano di Malammore è stata una “pennellata” del maestro Sollima per turbare gli animi più di quanto la serie non faccia di suo.
Un sicario anonimo, piuttosto che uno privo di caratterizzazione emotiva (come ad esempio “Pit Bull”) non avrebbe sortito lo stesso effetto.
Io credo che sia stata una precisa scelta per delineare negativamente tutti gli “eroi” della serie.
In quanto camorristi, infatti, nessuno di loro merita apprezzamento (parlo, naturalmente dei personaggi).
Ecco dunque che Ciro uccide, soffocandola con le sue mani, la sua storica compagna Debora per paura che andasse alla polizia; Genny manda in galera il suocero e provoca la morte del padre nell’obiettivo di diventare il “supeboss”; Pietro ordina di ammazzare una bimba di soli 8 anni, ed infine…. Malammore, personaggio amato dal pubblico, leale, affettuoso con la nipote fino al punto da “tradire” per la prima volta Don Pietro suggerendole di fuggire…anche lui, dietro ordine, ammazza una piccola di soli 8 anni.
Sollima non vuole che nessun protagonista della serie ne esca da eroe…!! Il suo lavoro è molto meno apprezzato di quanto meriti.
 
 
 
 


14.6.16

i libri e la cultura ti fanno vivere meglio i caso di Sebastiano Prino una dela banda dela strage di chilivani ed altre storie ( adotta i figli dell'amica morta di cancro , una donna che fa il barbiere )

A miei lettori, comprendendo  anche qulli di googleplus,che mi  chiedevano    che fine avessero fatto i miei post   con il tag le storie  . eccoli accontentati   .

 La  prima storia    è  quella  del percorso   di riabilitazione  (  il carcere   ti cambia    sempre  che  lo voglia  o meno   )  carceraria   che   sta  affrontando  Sebastiano Prino     uno degli appartenti  alla banda    che   partecipo   alla strage di Pedesemene, più nota come strage di Chilivani


Ora non riuscendo a  copiare  questo articolo   dell'unione sarda del 13\6\20116  dal pdf  del quotidiano in questione  scaricato  tramite http://avxhome.in/newspapers  (   N.B  ricordatevi  di mettere  navigazione anonima   o di cambiare l'ip   visto  che dall'italia   non vi  si  può  più  acedere  direttamente  )  lo riprongo  qui tramite   il cattura  schermata  di  windos





la  seconda  è la storia dell'amicizia  fra  due    donne   dove Stephanie  adotta  i  sei figli  dell'amica Bethie  morta  di  cancro



ISIS minaccia le donne Tuareg, belle e possibili


 alla  faccia  di chi vede  nell'islam  solo  una fede \  una religione  che nega i diriti delle  donne  e  a  chi  mi dice 


**** Oh Giusè, ma ci credi pure a queste cazzate?
 
Giuseppe Scano
Giuseppe Scano non sono cazzate informati ******

****** No Giusè, non perdo tempo a leggere queste comunistate. Le cazzate o le capisci al volo o ciccia
Giuseppe Scano
Giuseppe Scano allora caro *****anche il sito di dagospia è che gli dedica unarticolo ècomunista ? allora chi sa perchè esse sono .minacciate dell’ISIS e di Boko Haram in Mali e in Nigeria. ?
 
 
*****
 
 
 
Giuseppe Scano
Giuseppe Scano **** ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi
 
 
****** Giusè, con rispetto, prrrrrrrrrr e buona notte. Un abbraccio


http://informare.over-blog.it/2015/09/isis-minaccia-le-donne-tuareg-belle-e-possibili.html  del  21 Settembre 2015




Ecco i Tuareg, la tribù nomade le cui donne musulmane non portano il velo e fanno sesso quanto e con chi vogliono.




(Flora Drury) - Per secoli i nomadi Tuareg hanno attraversato il deserto del Sahara, spesso condotti da ciechi che usavano il fine olfatto per trovare una via sicura tra la sabbia in eterno movimento. Gli uomini della tribù sono chiamati i “gli uomini blu del Sahara”, per via dei turbante indaco che dà un’aria misteriosa, ma dietro un antico stile di vita c’è una cultura così progressista da far impallidire i liberali occidentali.




LE TUAREG SONO MUSULMANE SENZA VELO


Le donne Tuareg possono avere più partner sessuali al di fuori del matrimonio e tenere le proprietà dopo il divorzio. Sono riverite dai generi, che non osano mangiare nella loro stessa stanza. E’ rude mangiare di fronte a una persona con la quale non può avere relazioni sessuali.
Ancor più sorprendente è il fatto che la tribù è musulmana, sebbene segua principi inaccettabili per il mondo islamico. Ad esempio qui sono gli uomini, non le donne, a coprirsi il volto. La fotografa Henrietta Butler, che nel deserto li segue dal 2001, ha ricevuto questa spiegazione: «Le donne sono bellissime, vogliamo vedere il loro viso».


LE DONNE TUAREG SONO PROPRIETARIE DI CASA E ANIMALI


Prima delle nozze, una donna può avere quanti partner desidera. Ha la stessa libertà di un uomo. Per anni gli uomini hanno potuto sgattaiolare nella tenda di notte e unirsi alla donna scelta, che lì dentro vive con l’intera famiglia, così cortese da fingere di non accorgersi di nulla. La regola che non si infrange è quella del corteggiamento e l’uomo deve lasciare la tenda sempre prima dell’alba. Tutto si svolge con discrezione e rispetto.





LE DONNE TUAREG SONO DONNE LIBERE


Questa libertà fa sì che le donne si sposino più tardi rispetto ad altre tribù, a 20 anni. Ricevono poesie scritte dagli amanti e loro stesse ne scrivono, avendo imparato l’alfabeto dalle madri. C’è molto romanticismo fra i membri dei Tuareg. Una volta sposate, le donne non perdono alcun diritto e alcun potere. Possiedono casa e animali, che sono la fonte primaria di sussistenza. Se la storia finisce con un divorzio (in genere deciso dalla donna), a lei restano le proprietà e i figli, a lui resta il cammello per tornare a casa dalla mamma. La mamma è la casa, la figura centrale attorno cui si sviluppa la comunità.





LE DONNE TUAREG POSSONO FARE SESSO EXTRACONIUGALE


Il divorzio non è per niente una vergogna, anzi spesso si fanno feste di divorzio per far sapere che quella donna è tornata libera. Non è una società matriarcale, gli uomini parlano di politica e fanno riunioni per decidere, ma il punto di vista femminile è consultato. E’ una società matrilineare, ovvero la linea di discendenza è femminile (da una regina), quindi è l’uomo ad appartenere ad un clan femminile, non il contrario.





LE DONNE TUAREG NON DEVONO COPRIRSI IL VISO


Il Tuareg ha una grande dignità personale. Se è assetato non chiede da bere, perciò il suo benvenuto è leggendario. I viaggiatori sono sempre trattati da re, accolti subito con cibo e acqua. Ora anche questa tribù, in Libia, soffre la minaccia dell’ISIS e di Boko Haram in Mali e in Nigeria. E qualche donna Tuareg ha cominciato ad indossare l’”Hijab”. Si spera che non sia una forma di regressione e che questa tribù riesca a mantenere vive le sue tradizioni, compresa quella di considerarsi superiore e meno primitiva di altre culture





Fonte: “Mail On Line”

13.6.16

anche da una barca si può guardare l'orrizzonte ritorno in sardegna sulla tratta genova -porto torres stretto di bonifiacio

 leggi anche   (  per riprendere  l'argomento )
come passare il tempo in nave senza cellulare ed internet II e come non svenarsi usandolo
come viaggiare senza abusare del cellulare , tablet ,ecc


il tema    del  contest  del mese di Giugno della   associazione fotografica  di cui  faccio parte   è: il mio posto. Ognuno di noi ha un luogo del cuore, fotografatelo e spiegate brevemente perché lo avete scelto. Bianco e nero, colori, paesaggio o qualsiasi altro scenario! Buon divertimento, a presto, ciao !

 ecco il mio  

Generalmente  mi piace  osservare l'orrizzonte    dall'alto ( vedi  foto  fatte  a Castelletto  colian di  genova  e  riportate   nei giorni  scorsi  qui  sul blog  e altre mio post  sulla  collina  di   \ panoramica  del mio paese    )  ma in questo caso  ho   scelto d'osservarlo   su una nave in mezzo al mare  


 . stretto di bonifacio . rientrando in sardegna da Genova il 1\6\2016











FERRARA Picchiata e buttata a terra Passante interviene e evita altri guai . e da qui che dovrebbe iniziare la lotta contro il femminicidio



  Leggi anche  sullo stesso  argomento
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2016/06/le-storie-dei-figli-dele-vittime-dei.html








 


Picchiata e buttata a terra Passante evita altri guai
Le ha rubato anche le scarpe. L’episodio ieri pomeriggio in via Darsena, una 21enne finisce all’ospedale Il rapinatore messo in fuga da un uomo che gli ha urlato: non si menano le donne


FERRARA. Quelli che non si voltano dall’altra parte. È quanto successo anche ieri a Ferrara in via Darsena dove purtroppo si è registrato un altro episodio di aggressione verso una giovane donna, interrotto - e qui l’aspetto positivo di questa triste vicenda - dall’intervento di una persona estranea ai fatti che ha avuto la prontezza d’animo di reagire alla violenza e al sopruso, mettendo in fuga il rapinatore ed evitando che procurasse ulteriori danni alla ragazza che aveva aggredito per rubarle la borsa. Un plauso a Mirco Zanella, 38 anni, vigaranese. È lui stesso a raccontare il fatto, mentre fornisce spiegazioni e testimonianze ai carabinieri intervenuti su posto, allertati da una sua chiamata al 112.
«Stavo uscendo con l’auto dal parcheggio sotterraneo di Darsena City dopo aver fatto spesa all’Interspar - racconta Zanella - quando ho visto un uomo di colore che picchiava violentemente e trascinava a terra una ragazza anche lei dalla carnagione scura. Non sapevo se si trattava di una lite tra parenti o fidanzati, ma ugualmente ho avuto l’istinto di fermare la macchina, scendere di corsa e urlargli mentre mi avvicinavano: non si picchiano le donne».
Il provvidenziale arrivo del passante ha così messo in fuga il violento rapinatore, che ha smesso di infierire sulla ragazza ma si è allontanato scappando in direzione dei giardini di via Ticchioni con la borsa che le aveva sottratto.
«Era un uomo alto - dice - portava ciabatte infradito e pantaloni corti di colore verde - spiega ancora l’uomo ai carabinieri che mettono a verbale - è stato molto violento e appena mi ha visto è scappato via velocemente».
Seduta a terra, piangente, è rimasta lei, la vittima di questa nuova violenza sulle donne. È una ragazza nigeriana, di 21 anni, residente a Torino e che ieri si trovava a Ferrara perché doveva incontrarsi con un’amica che vive in città. Mentre l’aspettava si è imbattuto in questo rapinatore che l’ha vista sola e indifesa e ha approfittato per aggredirla e rapinarla. Parla a fatica l’italiano, riesce a scambiare informazioni necessarie in inglese. Ed è lì che ha raccontato il suo dramma, seduta piangente sul cordolo di un marciapiede, scalza, perché il bandito le ha rubato anche le scarpe.
Non ha più nulla perché le ha sottratto anche soldi e cellulare. Al personale del 118 intervenuto per medicarla, ha spiegato a cenni del dolore dappertutto, alla testa, dove ha preso dei pugni, alle gambe e alla braccia perché è stata strattonata e trascinata a terra, ha anche dei tagli alle caviglie provocati dall’asfalto. I sanitari hanno preferito portarla al pronto soccorso per una visita ulteriore.
Alle forze dell’ordine poi il compito di mettersi sulle tracce del bandito, in base ai dati forniti dal testimone, con Polizia e Guardia di Finanza che hanno aiutato i Carabinieri nelle indagini, alla ricerca anche di eventuali filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza. Una nuova brutta pagina alla Gad.

  ha  ragione  ilfinale   del'articolo   <<   A bilancio comunque c’è la reazione alla violenza di un passante estraneo. Da qui bisogna ripartire. >>   e proprio   per  evitare  altri casi di femminicidio \  violenze  sulle donne   che  bisogna    fare  cosi  oltre  a fare , url dell'articolo ad  inizio post  , autocritica  e  guerriglia culturale    contro il  nostro modo  di considerare le  donne ovvero la nostra  cultura sessista  e maschilista  

Simonetta Spiri, Greta Manuzi, Verdiana Zangaro, Roberta Pompa - L'amore...

le storie dei figli delle vittime dei femmicidi ovvero gli orfani di stato



 in sottofondo


 
Di alcune storie ( salvo casi eccezionali ma relegati in fondo quasi all'ultima pagina prima dei programmi tv e dello sport in queli nazionali o nelle prime a livello locale regionale come il caso di quella di Vanessa ora diventa mele ed aver abbandonato il cognome del padre uxoricida ho raccontato nei dettagli la storia in qualche vecchio post del blog ) riguardanti i femminicidi si parla solo della violenza ma non del post violenza e soprattutto di figli\e che hanno visto uccidere la loro madre ed hanno ed ancora subiscono tutto il travaglio psicologico che ne consegue . Ed è questo articolo interessante  che  voglio riportarvi  .
da repubblica de 11\6\2016

di mria Novella de Luca


ROMA. Si sentono orfani due volte,sopravvissuti nel silenzio, avvolti nel lutto come una seconda pelle. Sono 1628, secondo l’ultimo parziale censimento, i più piccoli
hanno pochi mesi, i più grandi sono già adulti. Sono i figli, anzi gli orfani del femminicidio, la Giustizia li definisce “vittime collaterali”,un esercito di bambini le cui
madri sono state uccise dai mariti,dagli ex, dai compagni. Assassiniche poi si uccidono, o finiscono in carcere, ma per i figli è lo stesso: si ritrovano soli, affidati a parenti,dati in adozione, migranti tra istituti, comunità, case famiglia.
«Come può uno di noi coltivare un sogno, se in pochi istanti da figlia ti ritrovi orfana, e nessuno più si occupa di te, perché per lo Stato non siamo altro che fantasmi?
» si chiede Nancy Mensa, 22 [  foto  sotto  cn relativa  intervista  ] anni, tenace giovane donna che dopo l’assassinio della madre e il suicidio del padre, studia per laurearsi e diventare magistrato. Ed è oggi il simbolo di tutti gli orfani del femminicidio.
O Vanessa Mele,[  foto  a  destra   ] di Nuoro, chedi anni ne ha 30 e vive a Liverpool,e ha dovuto combattere contro un padre, Pier Paolo Cardia, che dopo aver sparato alla madre con la sua pistola
d’ordinanza,una volta uscito di prigione era riuscito ad avere la pensione di reversibilità della moglie. « Avevo soltanto 6 anni quando lui l’ha uccisa,sono cresciuta con i miei zii,è insieme a loro che ho deciso dicombattere in tribunale perché fosse dichiarato indegno di ricevere quella pensione, che spettava a me. Pensate che assurdità, lo Stato che pagava un omicida con i soldi della vittima...». Una battaglia legale lunga e difficile, che Vanessa ha portato avanti con il supporto della sua avvocatessa, Annarita Busia, fino a che il Parlamento non ha modificato quella legge assurda. E Vanessa, come Nancy, chiede che per gli orfani del femminicidio lo Stato istituisca un indennizzo, un risarcimento,
come avviene per i parenti delle vittime di mafia e del terrorismo.
Perché gran parte delle madri di quei bambini che la Giustizia con termine algido definisce “vittime collaterali”, avevano denunciato più e più volte i loro persecutori,ma nessuno le aveva protette, o peggio ascoltate. Figli e figlie che nel 50% dei femminicidi hanno assistito al massacro delle madri, come è accaduto al fratellino di Nancy Mensa, ad Avola, in una sera d’agosto del 2013. Bambini che smettono di parlare, di mangiare, non dormono più, fanno atti di autolesionismo, a volte deviano, spesso si rintanano nella droga.Un’emergenza che ad ogni strage familiare crea nuove “vittime secondarie”: oggi sono 1628,già un numero enorme. Un censimento che si deve alla tenacia di una studiosa, Anna Costanza Baldry,psicologa e criminologa, la prima a far emergere in Italia la tragedia degli orfani del femminicidio con il progetto europeo “Switch-off”, che vuol dire spento.
Come la vita di un bambino che si ritrova testimone del male assoluto: la mamma uccisa dall’uomo con il quale aveva condiviso la vita. Stragi non a caso definiti olocausti familiari. «Volevamo capire quanti fossero e come vivessero questi ragazzi. Quali sono le risposte familiari, giuridiche,sociali che vengono offerte.Ne ho incontrati molti, e tranne in alcuni casi, attorno a loro c’è il deserto. Pochissimi sostegni economici a chi li accoglie, rari sostegni psicologici, e poi una grande
solitudine. Quando si spengono le luci della cronaca e dei processi, sulle loro vite calano silenzio ed indifferenza.E molti non ce la fanno a salvarsi». Dai dati del progetto «Switch-off” emerge che il dramma maggiore è quello di sentirsi “figli di”, con il cognome di un padre diventato assassino.
Ed è per questo che Vanessa,non appena compiuti i 18 anni, il cognome di suo padre l’ha buttato alle ortiche, ed oggi si chiama Mele, come la madre. «Sono stata amata e sostenuta dai miei zii, ma non è stato certo lo Stato a pagarmi lo psicologo o gli studi. Io ce l’ho fatta, ma chi non ha una famiglia forte e mezzi economici rischia di soccombere. Per questo voglio aiutare chi ha vissuto la mia stessa tragedia». E dopo aver ottenuto il cambiamento della legge sulla reversibilità, oggi l’avvocata Annarita Busia e VanessaMele hanno scritto una proposta di legge perché i beni dei padri assassini possano essere automaticamente bloccati e sequestrati.
Spiega Busia: «Le leggi già ci sono, ma per ottenere il sequestro dei beni, le vittime devono sempre fare un procedimento civile. Noi chiediamo invece l’automatismo di queste misure, come già avviene contro i mafiosi e il gratuito patrocinio per le vittime dei femminicidi».
Per adesso però la risposta delle istituzioni è stata di assoluta indifferenza. È quello che denuncia Emanuele Tringali, avvocato di Nancy Mensa e dei suoi fratelli,fin dai primi giorni che seguirono all’assassinio madre Antonella e al suicidio del padre. Dice Tringali: «Bisogna puntare sulla prevenzione, sui tempi della Giustizia.Ma i figli dei femminicidi hanno diritto ad un risarcimento, perché nel 90% dei casi quelle stragi erano precedute da denunce non ascoltate, e quindi lo Stato ha una responsabilità. Non è una elemosina, è un diritto. Perché questi bambini non siano orfani due volte: senza genitori e senza diritti».


quindi , da  maschio faccio  io  l'appello del quotidiani  il maifesto      (  con relativa  autorcritica   )   a cui  hanno aderito  Abati Velio, Bevilacqua Piero, Baioni Mauro, Bianchi Alessandro, Camagni Roberto, Cervellati Pier Luigi, Fiorentini Mario, Dignatici Paolo, Gambardella Alfonso, Indovina Francesco, Masulli Ignazio, Nebbia Giorgio, Ottolini Cesare, Quaini Massimo, Roggio Sandro, Salzano Edoardo, Saponaro Giuseppe, Scandurra Enzo, Siciliani de Cumis Nicola, Stucchi Silvano, Toscani Franco, Vannetiello Daniele, Viale Guido    e  che triovate   qui

12.6.16

misteri e sprechi .tour suoi luoghi dell'altra storia della repubblica italiana III puntata disastro del Vajont ed Alluvione del 1966 in particolare quella di firenze


prima puntata piazzale loreto
seconda  puntata la strage  di portella delle  ginestre  e  il  delitto di Capocotta

« Oggi tuttavia non si può soltanto piangere, è tempo di imparare qualcosa »
(10 ottobre 1963, all'indomani del disastro del Vajont, denunciato preventivamente da Tina   Merlin 1926-1991  vedere   url soto   )


Archiviamo momentaneamnte , sarà ripreso bele puntate  successive  ,   ed  affrontiamo la prima delle  due   sugli sprechi  della  nostra repubblica  . Oggi parleremo del disastro del Vajont  e  del'alluvione di firenze (  di cui a  novembre  csi celebreranno  i 50 anni  ) . Fatti  ancora  vivi  (   chi sa  fino a  quando )  nella nostra memoria  con canzoni  , film  ,  ed  opere testrali , libri  ,ecc 
La domanda è d’uopo. Cosa c’entrano le  tragedie come quella   del Vajont  e  dell'alluvione  di firenze   ed ( prossima puntata )   il  terromoto in Irpina   in un una serie  di post  dedicati  allla contro storia  dell'italia repubblicana ?
La risposta è semplice: la decisione di edificare grandi opere, la cui finalità e quella di ammodernare  \  svecchiare   un Paese, non è mai un fatto neutro. Essa dipende dal rapporto tra costo e benefici. Se una grande opera è scarsamente utile, se non inutile, e oltretutto richiede grossi investimenti allora deve scattare un campanello d’allarme. Se poi, nonostante il rapporto costo/benefici sia negativo, si intravede una forte ostinazione a volerla costruire, allora quella grande opera, come minimo, nasconde interessi innominabili: speculazioni, ruberie, tangenti. Insomma  malaffare  che incurante  di  ciò  porta   a disastri ambientali  e  a tragedie  , se  non  addirittura  ad incremento d'esse  (  vedi il tre casi  citati )
Una grande opera, infatti, non è buona o cattiva in sé, ma va sempre rapportata alla sua effettiva necessità e soprattutto alla sua reale utilità o produttività.
Solo per fare un esempio paradossale: nessuno penserebbe di costruire un costosissimo mega cannone per disinfestare una zona lacustre dalle zanzare, ma se qualcuno insistesse per farlo allora è evidente che oltre che un cattivo progettista, quel qualcuno nasconderebbe pericolosi interessi.7 Infatti concordo  con quanto dice  la sezione   Grandi  opere  del sito   http://www.misteriditalia.it << (...)
Questa sezione di Misteri d’Italia intende dimostrare che, come è già accaduto in passato (lampante l’esempio dell’alta velocità ferroviaria Roma – Napoli), molti dei progetti relativi alla costruzione di grandi opere (alta velocità Torino-Lione, Ponte sullo stretto, Mose di Venezia in primo luogo) sono non solo inutili, ma anche dannosi. La loro progettazione è spesso legata solo a mera propaganda politica, la loro realizzazione a mega affari sporchi, smascherabili in toto, purtroppo, quando sarà troppo tardi ed immense risorse saranno state depredate.
Prima di credere, quindi, all’alibi dell’ammodernamento del Paese, è meglio documentarsi su quanto è già accaduto >> per evitare   se  è possibile che  davanti  a  tragedie   naturali  come nel caso  dei terremoti si ripetano  e  roori e cattiva  gestione per  non andare troppo indietro nel tempo   si veda il sisma  dell'Abruzzo e dell'Emilia  Romagna  .



  tratto da http://www.misteriditalia.it/cn/?page_id=4623 con ulteriori  url  d'approfondimento    e  da  https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont


Vajont 9 Ottobre 1963, ore 22,39: una enorme frana, una massa rocciosa pari a circa 270 milioni di metri cubi, composta da rocce e detriti, comincia a scivolare lungo il versante settentrionale del longarone-disastromonte Toc, su un fronte di 1.800 metri.
Un enorme boato risuona nella valle sottostante. In pochi istanti la gigantesca frana precipita nel lago artificiale, formato da una diga, nella vallata del Vajont, tra le province di Belluno (Veneto) e Udine (Friuli), sollevando una massa d’acqua di circa 40 milioni di metri cubi, alta oltre 100 metri, contenente massi del peso di diverse tonnellate.

Longarone prima e dopo il disastro del Vajont
. da  https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont

La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta – si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, aveva cominciato a muoversi.

La tragedia oltre a  quello che avete letto nlle righe precedenti   e  nei sito sotto  fu molto scomoda e  dura  da  ricordare   come dimostra il video sotto riportato   ( specie  il dopo ) se  la giornalista  Tina  merlin   che  con  i suoi articoli   pre  tragedia    in cui  contestava  la  costruzione  della   diga ,  tentò di pubblicare un libro sulla vicenda, Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont,  che tuttavia trovò un editore solo nel 1983.


La frana, precipitando, sviluppa un’energia pari a 172 milioni di Kwh e la massa d’acqua genera uno spostamento d’aria due volte superiore a quello provocato dalla bomba atomica lanciata su Hiroshima alla fine della seconda guerra mondiale.
La massa d’acqua si divide in due ondate. Mentre la prima spazza via le frazioni più basse che sorgono sulle rive del lago artificiale, la seconda – decisamente più violenta – si infrange sulla diga alta 265 metri – che resiste all’urto – ed in buona parte la scavalca, riversandosi con furia inaudita sulla sottostante valle del Piave. La stretta gola del Vajont la comprime ulteriormente e le permette di acquistare un’incredibile energia distruttiva. Un’onda alta più di 70 metri si abbatte sulla valle. Una biblica inondazione travolge il comune di Longarone e le frazioni vicine i cui abitanti percepiscono il mortale pericolo, ma non hanno neppure il tempo di fuggire.
Longarone viene totalmente rasa al suolo.
I morti sono 1.917: 1450 a Longarone, 109 a Castelvazzo, 158 a Erto e Casso, oltre a 200 tecnici ed operai della diga, con le loro famiglie. I feriti sono pochissimi.
Mera fatalità, disastro naturale oppure una tragedia prevedibile e prevista e che poteva essere evitata?
Studi approfonditi e diverse sentenze processuali hanno dimostrato che la tragedia del Vajont poteva essere evitata. Ma che diverse sottovalutazioni tecniche, la logica del profitto applicata ad ogni costo ed il cinismo dei dirigenti della SADE, la società elettrica che la ideò, la progettò e la costruì furono alla base di un disastro di enormi proporzioni che poteva non accadere.
Alle fondamenta della tragedia una semplice constatazione: la zona scelta per la costruzione della diga del Vajont era una zona franosa da secoli e da tre anni il versante montuoso che sovrastava il bacino idroelettrico, ancora in fase di collaudo, aveva cominciato a muoversi.

La tragedia oltre a  quello che avete letto nlle righe precedenti   e  nei sito sotto  fu molto scomoda ( specie  il dopo ) se  la giornalista  Tina  merlin   che  con  i suoi articoli   pre  tragedia    in cui  contestava  la  costruzione  della   diga ,  tentò di pubblicare un libro sulla vicenda, Sulla Pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont,  che tuttavia trovò un editore solo nel 1983.  Quindi è  una ferita  ancora  aperta  come   si vede  da  questo video    qua  sotto
  


L'alluvione  di Firenze   3-5  novembre  1966  
Oltre  alle  due  foto    meno note   rispetto a quelle classiche   che  si vedono   ( e  si vedranno  visto che quest'anno   si celebra  il  50 anni  )  in tutti i documentari di storia  e   giornali   , essa  ha   avuto un notevole    evento e ricordo mediatico   tanto da  far passare  in secondo  piano   i danni  imponenti   che  il maltempo  (  le bombe d'acqua    come le  chiameremo oggi )   ha  arrecato in ma in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il paese.
Altezza di una delle targhe che ricordano il livello raggiunto
dall'acqua nel '66 in via Isola delle Stinche
La targa che ricorda la scomparsa di Elide Benedetti, via San Giuseppe

Infatti alluvione non colpì solo il centro storico di Firenze ma l'intero Bacino idrografico dell'Arno, sia a monte sia a valle della città. Sommersi dalle acque furono anche diversi quartieri periferici della città come Rovezzano, Brozzi, Peretola, Quaracchi, svariati centri del Casentino e del Valdarno in Provincia di Arezzo, del Mugello (dove straripò anche il fiume Sieve), alcuni comuni periferici come Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Lastra a Signa e Signa (dove strariparono i fiumi Bisenzio ed Ombrone Pistoiese e praticamente tutti i torrenti e fossi minori) e varie cittadine a valle di Firenze, come Empoli e Pontedera. Dopo il disastro, le campagne rimasero allagate per giorni, e molti comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causò lo straripamento del fiume Ombrone, colpendo gran parte della piana della Maremma e sommergendo completamente la città di Grosseto.
Nel frattempo, altre zone d'Italia vennero devastate dall'ondata di maltempo: molti fiumi del Veneto, come il Piave, il Brenta e il Livenza, strariparono, e ampie zone del Polesine furono allagate; in Friuli lo straripamento del Tagliamento coinvolse ampie zone e comuni del suo basso corso, come Latisana; in Trentino la città di Trento fu investita pesantemente dallo straripamento dell'Adige.
Fa parte di una serie di straripamenti del fiume Arno che hanno mutato, nel corso dei secoli, il volto della città di Firenze.
Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966 a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo, fu uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia, e causò forti danni non solo a Firenze ma in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il paese.
.  (  continua  qui  su wikipedia   )

la chiesa che perde colpi nononostante papa francesco . il caso di Moniosgnor paolo atzei e del prete romagnolo che sembra esaltare durante l'omelia un uxoricida

dopo le  dichiarazioni di  monson paolo atzei   che  dice  bisogna  aiutare  prima i nostri  poveri   degli extracomunitari e  dei profughi  che vengono  in italia  ed  in europa    ( I II )   adesso un prete  che   sembra  quasio elogiare  un uxoricida  . Infatti    su fb   ho scritto a caldo 
Dopo padre atzei ( vedere post precednti ) un altro rappresentante di Dio che dice assurdità ed non conosce o interpreta a ..... le sacre scritture . E' in paradiso l'assassino, beninteso. Non la moglie (mai nominata) ne' il figlio. La colpa è del demonio che "disgrega la famiglia". Probabilmente anche delle femministe e dei gay che per lui sono agenti disgregatori del demonio stesso. Insomma, se sei un maschio bianco eterosessuale il cielo è garantito. Se sei una donna, un nero o un omosessuale allora sei il male incarnato.

  riguardante questa news 

   da  http://www.romagnamamma.it/2016/06/ammazza-moglie-e-figlio-il-prete-ora-e-in-paradiso/

Ammazza moglie e figlio. Il prete: “Ora è in paradiso”


sacerdote-preteHa ammazzato la moglie e il figlio di tre anni e poi si è suicidato però adesso “è in paradiso”. Ad assicurarlo è il prete che lo conosceva bene. La vicenda di Luigi Alfarano, 50enne oncologo di Taranto che ha ucciso la giovane moglie Federica De Luca, 30 anni, e il loro bambino Andrea (3 anni) ha avuto un epilogo inaspettato e decisamente sorprendente.
L’uomo che, a quanto pare, ha compiuto il gesto per evitare che nella causa di separazione il piccolo fosse affidato esclusivamente alla madre, adesso è già ‘santo’. A ‘canonizzarlo’, come raccontano i media locali, è stato il parroco della chiesa di san Pasquale, gremitissima per i funerali del medico.
Tantissima gente che è andata a rendere omaggio ad un uomo che nella vita si è dedicato a curare i tumori in una città devastata dall’inquinamento ma che ha terminato la sua esistenza terrena sterminando gli affetti più cari. Ed ha avuto l’onore di un gran bel funerale religioso, non come quel disgraziato di Michè, dell’omonima ballata di De André, che finisce in una fossa comune “senza il prete e la messa perché d’un suicida non hanno pietà”.
Oggi, evidentemente, c’è posto per tutti, in terra come in cielo: per i suicidi e pure per gli assassini. “Luigi, per il lavoro che faceva, aveva tutte le carte in regola per poter entrare in paradiso”, ha detto il parroco della funzione, don Tonino Nisi. Ed ancora: “Luigi è in paradiso, statene certi! Era un uomo buono”. Nessuna menzione, ovviamente, all’accusa di violenza sessuale e privata aggravata per la quale l’oncologo aveva patteggiato nel 2014 un anno e otto mesi di reclusione. La denuncia era partita da una ragazza di 19 anni assunta a tempo determinato dalla Fondazione Ant di Taranto, dove lavorava anche l’uomo.
E la strage familiare? “Nessuno si deve permettere di giudicare, di prospettare degli ambiti dove ci mettiamo i brutti, i cattivi e i buoni. Il Signore sa”. Che, poi, a dirla tutta, il religioso una sua spiegazione della vicenda ce l’ha: “La famiglia è un dono di Dio. E Luigi aveva una gran bella famiglia. Il demonio si è messo in mezzo perché non vuole la famiglia e la nostra gioia”. Altro che scientifica, altro che Ros, altro che Csi. Chiamate don Tonino e dategli un paio di manette: farà arrestare Lucifero. Anzi, no. Forse la storia è un po’ più complessa. In un altro passo della sua omelia il prete ha specificato: “Quella sera il Signore stesso ha realizzato questa pagina”. A questo punto alziamo le mani e ci rimettiamo alla volontà di don Tonino.