5.3.17

anoresia , incoscienza , generosità , passioni ( non solo bimbiminkia ) , delle nuove generazioni

eccovi  alcune   storie  .  ne trovate altre  sulla mia  bacheca  di fb  e  o su quella di 
La Cronaca Italiana


La prima  è  la vittoria  (   uno su  mille   che la  fa    ) contro l'anoressia  

01 marzo 2017

CASTIGLIONE DELLE STIVIERE
Anna racconta la sua anoressia: «Così sono uscita dall’inferno»
A tredici anni i primi disturbi alimentari, poi il controllo delle calorie e infine il rifiuto totale del cibo I genitori l’hanno affidata a un’équipe dell’ospedale di Pieve: «A medici e assistenti dobbiamo tutto»





CASTIGLIONE DELLE STIVIERE. Una storia di gravi disturbi alimentari, di un’adolescente che porta con sé la consapevolezza che uniti si può vincere la paura degli altri e si può risalire la scala dell’inferno. Non senza impegno, ma uscire a rivedere le stelle è possibile. È la storia di una ragazzina che oggi ha quindici anni e che soffriva di anoressia da due anni (la chiameremo Anna, anche se non è il suo vero nome) e di una famiglia di Castiglione delle Stiviere che ha affrontato con lei un lungo calvario. E che ha saputo, non senza fatica, trovare una via d’uscita, un aiuto e una soluzione.
Tanto da arrivare alla guarigione di Anna, una cosa che sembrava impossibile. «Non è stato facile» dicono i tre componenti della famiglia, uniti in un racconto intimo che li ha visti prima separati e isolati e ora seduti attorno allo stesso tavolo a parlare del lungo percorso non ancora terminato.
«Vorremmo far conoscere la nostra storia per dare una mano a chi vive questa situazione – dicono in coro – abbiamo perso del tempo ma siamo riusciti a trovare il giusto percorso e questo ci ha permesso di essere aiutati. Non c’è nulla di male a chiedere aiuto, questo è il primo consiglio. Perché servono specialisti e perché da soli non si può fare nulla. Bisogna stare attenti alle piccole cose che sfuggono nella routine quotidiana o si camuffano nelle tensioni tipiche degli adolescenti verso la propria famiglia».
«Forse il tutto inizia così – racconta Anna, che ha cominciato ad avere disturbi alimentari a tredici anni – di preciso non so dire come sia iniziata. Forse alle scuole medie, con le amicizie, i primi discorsi sull’essere apprezzata, ma anche i primi rapporti con il cibo spazzatura». E allora ecco la dieta forzata, il vomito indotto, il corpo che si fa sempre più sottile, come il rapporto con gli altri.
Questa storia aggiunge un elemento, figlio della nostra epoca, molto spesso sottovalutato, il mondo dei social. Facebook, Tumbler, ma soprattutto Instagram. La colpa non è tutta loro, ma in questa vicenda (e non solo in questo caso) i social entrano da co-protagonisti.
«Arrivata alle scuole Superiori il confronto con le compagne, nel contatto diretto e via social, piano piano mi ha spinto alla ricerca di informazioni sul cibo e sull’essere sana. Questo volevo essere, una ragazza sana. Ho scoperto le cure proposte dai social, quella dell’acqua e limone e dell’acqua e fragole ad esempio, per purificare l’organismo. O quella del the verde. Bevevo litri di the verde. Poi sono arrivata alla fase vegetariana e alla fine vegana. Non volevo grassi, latticini, cibi animali. Poi sono passata alla fase dell’ortoressia, la scelta e l’eliminazione volontaria dei cibi. Poi al calcolo delle calorie, in ultimo sono arrivata a ingerirne solo 200 al giorno, fino alla scoperta di cibi con 5 calorie (le gallette) o con 1 caloria (la Coca-cola 0 o quella Light). Ero sola, per me esisteva solo la bilancia. Mi pesavo di continuo. Mangiare a tavola con i miei era una lotta. Mentivo di continuo, a me stessa e ai miei genitori. A loro dicevo che mangiavo di pomeriggio ma non era vero. Se facevo sport non volevo mangiare, avrei ripreso quello che avevo perso. Masticavo 80 volte prima di ingurgitare il cibo; mangiavo lo yogurt, ma poco e con il cucchiaio girato, sfiorandolo e basta. Tenevo un diario, i miei genitori lo hanno visto dopo. Ci scrivevo quello che mangiavo e che non volevo più mangiare. Ero in un nido, continuavo a perdere peso, esistevo solo io, chiusa in me stessa».
Non è una questione di piacere agli altri – continua Anna – ma solo di ossessione verso il cibo. Non è vero che non hai fame; ne hai, eccome. Qualcosa dentro di te, però, ti dice di non mangiare. Sono uscita da questo inferno con le unghie. Ho chiesto aiuto ai miei, e dopo una dura lotta con me stessa ho trovato nell’equipe di Pieve persone che sanno come si entra in quel nido costruito con tanta cura e tanto dolore. Voglio dire alle altre ragazze che quel nido non è vita, la vera vita è la libertà di non aver paura di mangiare. Nascondersi in quel nido non ci protegge, ma ci isola e tutto perde valore e si resta soli. Chiedere aiuto, anche se difficile, è fondamentale. Chiedere aiuto, uscire dal nido e riassaporare la libertà restituisce tutto, ma è un percorso lungo, bisogna aggrapparcisi con le unghie. E così torna il sorriso...».
«Abbiamo scoperto un mondo di cui non avevamo alcuna coscienza – raccontano i genitori – pagine e pagine sui social, foto, applicazioni, blog dove si parla di fantomatiche diete, di soluzioni per purificare il corpo e renderlo sano, dove vengono messi in mostra corpi scheletrici e l’autolesionismo come vetrina di esposizione».
In questo caso funziona il contrario di quanto insegna ogni personal trainer che si rispetti. E cioè: dividi il problema e affrontane un pezzo alla volta. La nascita di questo problema va guardata nella sua complessità, senza tralasciare nulla, senza poter separare una cosa dall’altra, perché tutti questi elementi concorrere insieme a genera e far esplodere il problema.
«Per questo è complesso – afferma la famiglia – serve l’aiuto di un’equipe preparata che lavori coordinata. Noi abbiamo avuto questa fortuna, ma non è stato facile. Il medico di base è spesso impreparato e inoltre, svuotato della sua funzione, non può essere di grande aiuto. Siamo stati a Gussago (Brescia) ma in quella struttura curano dai 16 anni in su. Siamo stati al reparto di neuropsichiatria al Civile di Brescia, ma anche in quel caso la struttura non è adatta a questi problemi, che sono di diversa natura. Ci sono stati mesi di attesa. Siamo stati anche da una psicologa, però non si è rivelata la persona giusta. Spesso il problema viene letto come causa di noia, indecisione se non di eccesso di possibilità, anche perché colpisce soprattutto ragazze con situazioni familiari e una situazione economica sicure. Dopo mesi di attesa siamo arrivati all’ospedale Poma, al reparto di Neuropsichiatria. E da lì, finalmente, ci hanno indirizzati a Pieve di Coriano dove, nel reparto di Pediatria, c’è un settore di neuropsichiatria, Qui abbiamo trovato l’equipe giusta, a cui va tutta la nostra riconoscenza. Da quel momento, lentamente, abbiamo iniziato una lunga risalita. L’équipe è formata e specializzata in disturbi dell’alimentazione ed è in grado di affrontare la situazione nella sua complessità. Dobbiamo tutto alle dottoresse Accorsi (primario), Bellissimo, Faldoni e Di Genni, alla coordinatrice Ferraresi e a tutto il personale infermieristico e agli Oss che hanno preso a carico la nostra situazione. Nostra figlia è stata ricoverata in una struttura che ha pochi letti e meriterebbe molto più spazio: purtroppo ci sono molte situazioni come la nostra. Il fattore tempo è decisivo, non serve perderne. Se fossimo arrivati qui prima, sarebbe stato meglio per tutti».
Il tempo gioca un ruolo decisivo in tutta la vicenda, sia sul fronte dei genitori – «abbiamo vissuto mesi duri, di lotte e di liti feroci, ma anche di attese alla ricerca di un aiuto che abbiamo trovato e che oggi ci vede frequentare un gruppo di genitori per parlare e confrontarci» sia sul fronte di Anna.


Luca Cremonesi



 la seconda  ( come la terza , non ricordo la  fonte  , ricordo solo che  è un dei tanti giornali  del gruppo GeoLocal (  pagina  fb La Cronaca Italiana ed  account  twitter  @gelocalcronacaitaliana

Empoli, il piccolo Gabriele ha chiesto ai genitori una colletta in favore dei suoi coetanei vittime del terremoto. Poi ha devoluto i soldi all'associazione di volontariato Misericordia. Il suo gesto non è rimasto innoservato tanto che L’Empoli calcio l'ha premiato con una maglia e invitato ad assistere ad un allenamento per farla firmare dai giocatori azzurri

Gabriele Bochicchio (a sinistra), accanto il fratellino Lorenzo e dietro i genitori Stefania e Massimiliano (Foto Agenzia Carlo Sestini)

EMPOLI. Un detto popolare dice che, dai bambini c'è solo da imparare. Il loro animo puro, il loro altruismo e la loro generosità devono essere presi da esempio da molti aduli La generosità e l'altruismo dei quali fare tesoro questa volta sono quelli del piccolo Gabriele Bochicchio. Un "pulcino" di 8 anni, ma con un cuore grande, anzi gigantesco che ha deciso di aiutare chi non è stato fortunato come lui. Gabriele vive a San Pantaleo, una piccola frazione collinare adagiata sulle colline di Vinci. Va a scuola e gioca a pallone nel Montalbano. Come tutti i suoi coetanei passa le giornate tra i banchi e in mezzo al campo di pallone.
A fine agosto era a casa con i genitori, quando sullo schermo della tv ha visto passare le terribili immagini del terremoto che ha colpito il Centro Italia. Case crollate, paesi straziati, piccole frazioni come quella dove abita lui completamente distrutte. Bambini, proprio come lui che hanno perso tutto quello che avevano. Scene che lo hanno impressionato e colpito, a tal punto che parlando con i genitori ha deciso di fare una scelta inconsueta e generosa. Pochi giorni più tardi, l' 8 settembre, sarebbe stato il suo compleanno, da festeggiare come sempre con amici e parenti e soprattutto con tanti regali. Ma lui ha detto no e ha chiesto a mamma e a papà di non ricevere regali ma di utilizzare i soldi che amici e parenti avrebbero speso per farlo felice per aiutare chi ha più bisogno.
«Di regali e giochi ne abbiamo già tanti a casa - racconta il papà Massimiliano - qualcuno in più probabilmente non lo avrebbe reso più felice».
Niente doni, ma un regalo ben più grande è prezioso lo ha fatto a quei bambini come lui, ai quali il terremoto ha strappato il sorriso. E così ha messo su una colletta con il denaro raccolto tra amici e parenti e che doveva essere utilizzato per i doni. Con la somma raccolta lui e la famiglia hanno effettuato un bonifico alla Misericordia di Empoli per aiutare l'Arciocnfraternita nei progetti di aiuto e sostegno alle famiglie terremotate. «Abbiamo scelto la Misericordia perché so quanto impegno mettono in queste iniziative - racconta ancora il papà - proprio alla Miserciordia di Empoli ho fatto l'obiettore». Ha spalancato le sue braccia a chi aveva più bisogno, il piccolo Gabriele, ma un gesto così nobile non poteva certo cadere nel vuoto. È così giovedì 2 marzo proprio la Miserciordia ha voluto donare a Gabriele, quei regali a cui lui aveva rinunciato per il suo compleanno.
Nella sede dell'Arcionfraternita in via Cavour il piccolo Gabriele è arrivato emozionantissimo insieme al papà Massimiliano, alla mamma Stefania e al fratellino Lorenzo. Ad accoglierlo Fabrizio Sestini - presidente della Misericordia - e Alessia Puccini responsabile locale della Onlus Empoli for Charity, l'associazione benefica dell'Empoli calcio che collabora proprio con la Misericordia nei progetti di aiuto alle popolazioni terremotate. Al piccolo Gabriele è stato consegnato un kit con zaino, quaderno e altro materiale dell'Empoli, oltre ad una maglia della squadra azzurra, con l'invito ad assistere ad un allenamento per farla firmare dai calciatori azzurri. «Sono molto contento» ha detto con un filo di voce un emozionantissimo Gabriele. Ma di tante parole questa volta non ce n'è bisogno. Questa volta a fare la differenza è stato un gesto. Semplice ma allo stesso tempo immenso.



Si fanno i selfie lungo i binari e bloccano il traffico dei treni

Protagonisti tre giovani di Montelupo che sono stati identificati dai carabinieri per aver mandato in tilt la circolazione sulla linea Empoli- Firenze



MONTELUPO. Mezz’ora di traffico bloccato sulla linea Empoli Firenze. Il motivo? Tre selfie di troppo che altrettanti giovani si sono fatti lungo i binari ignari o comunque non curanti del fatto che questo avrebbe provocato il blocco della circolazione ferroviaria. Con centinaia e centinaia di passeggeri bloccati nelle stazioni del tratto interessato. E in attesa per decine di minuti che la circolazione potesse ripartire.

L’allarme è scattato intorno alle 15,30 di venerdì 3: «Ci sono persone lungo i binari», questa la notizia data anche da “Muoversi in Toscana”. E si è subito pensato a un incidente, a qualcosa che giustificasse la presenza di persone poco prima della stazione di Montelupo venendo da Firenze, in un tratto vicino a una galleria.Da qui l’intervento della polizia ferroviaria di Empoli. Essendo, però, impegnati in un servizio vicino a Pisa, sul luogo sono giunti prima i carabinieri della stazione di Montelupo fiorentino. Che hanno perlustrato tutto il tratto fino a capire chi erano le persone che erano state segnalate da un macchinista di uno dei treni in transito.In pratica all’altezza di un’ ex vetreria abbandonata sono stati trovati i giovani che, dall’immobile abbandonato, aveva deciso di trasferirsi in prossimità dei binari per farsi selfie col telefono, come da loro stessi candidamente affermato.
Sono tre i ragazzi, giovani e italiani, che i carabinieri hanno trovato e identificato. Nel frattempo nelle stazioni i disagi si stavano accumulando. Con centinaia di pendolari e studenti in attesa dei treni e di notizie su quanto stesse accadendo lungo la linea.Alla fine il bilancio del loro svago è stato pesante. Hanno subito ritardo numerosi treni regionali: 3167 Firenze Santa Maria Novella – Livorno Centrale 30 minuti; 11779 Firenze SMN – Siena 30 minuti; 3115 Firenze SMN – Grosseto 20minuti; 23363 Firenze SMN – Pontremoli 30 minuti; 23384 La Spezia - Firenze SMN 30 minuti; 3156 Livorno Centrale - Firenze SMN 20 minuti; 6876 Siena - Firenze SMN 25 minuti.
Non solo: grazie ai selfie Rete ferroviaria italiana è stata costretta anche a due cancellazioni: la corsa numero 11724 Empoli –Firenze Porta a Prato e la
11725 Firenze Porta a Prato – Empoli.Il traffico ferroviario è ripreso a scorrere regolarmente dopo le 16. Per quanto riguarda i responsabili dei disagi, dopo la loro identificazione, bisognerà capire ora se i carabinieri proseguiranno con una denuncia per interruzione di pubblico servizio.


Mezzana Bigli, il maestro delle campane ha solo 14 anniIl campanaro più giovane d’Italia è di Mezzana Bigli e ha solo 14 anni. Riccardo Stabilini, studente del primo anno del corso per geometri, ha la passione delle campane, dei campanili, delle chiese. Suona ogni domenica le cinque campane della parrocchiale del paese; manovra con le corde quelle della chiesa della frazione di Cascine nuove; è un abile “tastierista” del suono a percussione e ha una collezione di oltre cinquanta campane che conserva in ogni angolo della sua casa. L'ARTICOLO
«Si dice che campanari si diventa – dice Riccardo – ma nel caso mio, pare che campanaro sia nato per pura vocazione. A soli due anni mi portavano sotto il campanile del paese e, al suono delle campane, dicono che rimanevo estasiato». Riccardo Stabilini cominciò da piccolo a disegnare, a mano libera, campanili e chiese ed imparò a distinguere i vari rintocchi di campane: dai concerti festosi ai suoni funebri, fino ai rintocchi battesimali.
«A otto anni – dice – imparai a suonare utilizzando le campane che mi regalavano genitori e parenti, sino alle prime esperienze da campanaro nella chiesa del mio paese. A Mezzana c’è una centralina computerizzata che, attraverso una tastiera, fornisce gli impulsi alle cinque campane in Fa-crescente che dominano dall’alto il paese. Ho imparo a comporre anche diverse melodie».Ogni domenica, prima della messa, Riccardo si esibisce nella chiesa del paese, poi si dedica al suono a corde, cioè alla vecchia maniera, delle due campane della chiesa di Cascine Nuove. «Sono un autodidatta sia con il suono a computer sia con l’uso tradizionale a corde, ma l’ultimo passo l’ho fatto imparando il suono delle tastiere a percussione – spiega il 14enne –. E a Castelnuovo Scrivia, sulla chiesa di San Desiderio, è ancora funzionante una tastiere che si aziona a colpi di palmi delle mani: un suono straordinario di cinque campane in Mi bemolle. Mi sono esibito già alcune volte sotto le indicazioni di alcuni campanari del Monferrato. È stata una vera emozione destare la gente con un concerto a distesa».Riccardo ha anche una collezione di campane: «Tra le varie campane metalliche che negli anni ho ricevuto in regalo, ne spiccano alcune di valore storico tra cui una in bronzo risalente a metà ‘800, comprata da un antiquario, un’altra altrettanto antica, anche se più piccola, che ho inserito nella torre campanaria del mio modellino di chiesa antistante la casa, una nuova e di ottimo valore realizzata l’anno passato dalla celebre fonderia di Reggio Emilia. È una collezione destinata a crescere».Intanto Riccardo pensa al suo futuro. «Dopo il diploma di geometra, vorrei specializzarmi in “campanologia”, la scienza che studia i suoni delle campane e i loro restauri – dice -. A Mezzana Bigli, due delle cinque che svettano dal campanile sono rovinate e potrebbero essere proprio le prime su cui intervenire. E poi il restauro delle chiese. Per ora ho disegnato a mano libera le facciate delle parrocchiali di Mezzana, Sannazzaro, Pieve del Cairo, Mede, Castelnuovo».Dinanzi casa il modellino della chiesetta in legno costruito da papà Paolo e mamma Raffaella con quattro piccole campane ben accordate: «Le uso per esercitarmi con un allenamento ormai quotidiano». E, quando Riccardo non è a scuola, suona anche il mezzogiorno per l’intero rione con un ben accordato scampanio.

Paolo Calvi 


arte non alienata la foto di Boubah Barry studente della Guinea e Cisgiordania, l'ultima provocazione di Banksy: un albergo con vista sul muro


Un segno di libertà per alcuni, per altri il simbolo di una deriva intollerabile. La fotografia che ha scatenato il dibattito social tra conservatori e liberal è stata scattata da uno studente della Guinea, Boubah Barry, e ritrae una draq queen in minigonna seduta accanto a una donna con il volto coperto dal niqab nel metrò di New York. Sul suo profilo Instagram il giovane ha scritto: ''Questa è l'immagine della libertà. Signor Presidente, non abbiamo nessun problema con la diversità e riconosciamo la libertà del credo religioso. E' scritto nella Costituzione. Credo che dovrebbe leggerla qualche volta''. Anche la draq queen ritratta nell'immagine, Gilda Wabbit, ha subito condiviso lo scatto sui social network dove però in breve tempo sono comparsi commenti diametralmente opposti a quelli del giovane che per primo l'aveva pubblicata. ''Questo è il futuro che vogliono i liberal'', ha cinquettato un utente conservatore, cui molti hanno fatto eco. Tra retweet e critiche, sono arrivati 
anche meme e parodie  che trovate  sfogliando questa  SlideShow di repubblica 


 la seconda  ----   sempre  da  repubblica  ----  è  l'ultima provocazione di Banksy



Cisgiordania, : un albergo con vista sul muro



La guesthouse garantisce la "peggior vista al mondo", quella della barriera creata dagli israeliani a separazione dai territori palestinesi. L'artista inglese, già autore di precedenti incursioni nel West Bank e a Gaza, l'ha arredata con le sue opere. Inaugurazione l'11 marzo

di ARTURO COCCHI

03 marzo 2017



Si chiama "The walled off Hotel", letteralmente l'"albergo fuori dal muro". E' la struttura alberghiera che promette la "peggior vista del mondo", e questo nonostante sia corredata dell'opera del celeberrimo artista di strada in incognito Banksy. "Walled off", che pronunciato in anglosassone stretto diventa un tutt'uno che somiglia non casualmente a "Waldorf" (Astoria) è sorto a Betlemme, (Cisgiordania, o West Bank), laddove gli israeliani hanno fatto erigere una barriera di separazione-protezione rispetto all'area palestinese e guarda proprio su quel muro della vergogna. L'hotel aprirà ufficialmente i battenti il prossimo 11 marzo ed è letteralmente arredato delle opere satiriche dell'artista inglese. Il clou è nella camera 3 (La stanza di Bansky), dove gli ospiti dormono in un letto king size sotto un'opera che mostra un palestinese ed un israeliano impegnati in una battaglia di cuscini.

Banksy ha già fatto trovare suoi murales sulla barriera e anche a Gaza. In una delle sue incursioni, più segrete che mai, ha disegnato sulla stessa barriera, l'immagine di una ragazza che si libra nell'aria sostenuta da palloncini, che guarda proprio sul nascente hotel (anche se risale a oltre una decina d'anni fa). In un'altra, l'anno scorso, a Gaza, ha disegnato quattro murales, tra i quali uno su una porta di metallo, raffigurante la dea greca Niobe rannichiata sulle macerie di una casa distrutta. Il dipinto, "Bomb damage" (danno da bomba) è stato creato su quello che resta di una casa di due piani che era stata distrutta durante l'"Operazione margine di protezione" del 2014.
Cisgiordania, l'ultima provocazione di Banksy: un albergo con vista sul muro
Il propretario del "Walled off Hotel", il 42enne Wisam Salsaa, lo ha mostrato per la prima volta ai media. Il progetto non è quello di una semplice provocazione, ma di un  vero e proprio esercizio destinato a diventare operativo. Le camere sono nove. Alcune danno direttamente sulla torretta di guardia che sovrasta il "muro. Saranno offerte a partire da 30 dollari a notte. Il progetto ha richiesto 14 mesi di lavoro, tutto tenuto in gran segreto, anche per tutelare l'anonimato di Banksy. Secondo quanto hanno appreso oggi i giornalisti ammessi al press tour, l'albergo è la più importante nuova costruzione nell'area da anni.
Tra le altre caratteristiche dell'esercizio, una suite presidenziale e un museo dedicato alle opere a tema politico dell'artista. Ha l'impronta di un "gentleman club" del periodo coloniale inglese cui è stata assoggettata l'area. Al suo interno, una cavità ospita una figura umana in dimensioni naturali dal segretario agli Esteri del Regno Unito, Arthur James Balfour, nell'atto della firma della "Balfour declaration": si tratta del documento, scritto nel 1917 dal ministro al leader della comunità ebraica britannica Walter Rotschild in vista della futura vittoria alleata nella Grande Guerra, che ha gettato le basi della nascita di uno stato israeliano in Palestina.
Cisgiordania, l'ultima provocazione di Banksy: un albergo con vista sul muro
Banksy, artista la cui identità rimane ignota, ha creato le sue prime opere a Bristol. Ratti, poliziotti che si baciano o in tenuta antisommossa, ma corredati da facce a smiley: questi i suoi format attraverso i quali si dipana un'estetica tutt'altro che banale e intrisa impegno sociale e politico. I suoi murales hanno poi cominciato ad apparire, rigororosamente dal nulla, a Londra. Via via la sfera d'azione s'è ampliata su scala globale. Lavori in molti casi geniali, che hanno suscitato interesse crescente, fino a essere battuti all'asta per valori superiori al milione e mezzo di euro.




nuova moda o mancanza di fantasia o nostalgia ? Dopo il vinile, le musicassette: la rivincita del vintage

come  da  titolo  mi chiedo   ed  ancora  riesco a  darmi una risposta  se  il ritorno al passato  è  una nuova moda  \ tendenza  oppure  è  un movimento  di nostalgici  o un tentativo  di inglobare nel mercato  coloro poco avvezzi  alle nuove  tecnologie  o malati  di Alzheimer   che ricordano solo il passato  ?  

4.3.17

quando il progresso uccide la fantasia , le tradizioni , la manualità Previsioni meteo perfette: a Bologna nel 2020 il super computer europeo

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va bene il progresso e che tali cose possono essere usati per prevenire e ridurre l'impatto che terremoti , ecc creano , ma qui si uccide la fantasia ed il tentativo d'indovinare o studiare



Previsioni meteo perfette: a Bologna nel 2020 il super computer europeo
di Roberto Pezzali - 03/03/2017 18:058 da  http://www.dday.it/



In una ex fabbrica di sigarette sorgerà a Bologna il nuovo centro meteo europeo. Verranno installati super computer capaci di previsioni precisissime da distribuire poi ai centri meteo dei vari paesi aderenti. Sarà pronto nel 2020.
Sorgerà in Italia nel 2020, a Bologna, il nuovo centro europeo per le previsioni meteo a medio raggio. Lo European Centre for Medium-range Weather Forecasts (ECMWF) ha preso l’altro ieri una decisione “storica”: spostare la sede di Reading per trasferirsi in Italia, all’interno di una vecchia fabbrica di tabacco.
Il primo computer utilizzato dall’ente meteo europeo era un Cray-1A, installato nel 1978 e continuamente aggiornato nel corso degli anni.

Poi è arrivato un dual Cray XC-40, il computer attuale in grado di elaborare tutti i modelli metereologici per l’Europa negli ultimi anni. Ma quest’ultimo, dopo i recenti aggiornamenti hardware, sarà l’ultimo super computer meteo installato in Inghilterra.

Gli edifici del centro infatti non idonei per ospitare gli elaboratori del futuro, oltre al fatto che il centro tutt’ora non è alimentato da energie rinnovabili e fonti alternative come invece ci si aspetta da un datacenter simile.
Ecco quindi che entra in gioco Bologna: “E’ evidente che le condizioni attuali non ci garantiscono la flessibilità necessaria per crescere ulteriormente come potenza di calcolo creando previsioni ancora
più accurate” ha dichiarato il direttore generale del centro Florence Rabier.
Con un budget di 100 milioni di euro e 300 dipendenti il centro sarà ultimato per il 2020 e verrà installato un super elaboratore capace di elaborare modelli di previsioni con 15 giorni di anticipo e precisione di gran lunga superiore a quella attuale. Le previsioni saranno poi condivise con gli altri centri meteorologici europei. 

Ecco  che  praticamente   si  è ( o si  è molto vicini a  farlo )  realizzato  cio'  che  era  una  semplice  storia  disney   di 30-32  anni  fa . Una storia  in cui   :  Archimede  pitagorico  aveva inventato  stanco   delle discussioni    campagnole   tipo :  il mio ginocchio duole  pioverà , le rondini volano basso sarà il sole , ecc  inventa una macchina  che provvedeva  con  una precisione  del  100 %  il tempo atmosferico   da li   un mese 








questa dovrebbe essere la buona scuola non quella di renzi e degli altri politicanti

come dicevo   nel titolo   ecco  di come  dovrebbe essere   non solo  nozionismo ed  accademismo .  Infatti  , sarò nostalgico  , ma  ho  ricordi  bellissimi ( io  da ribelle  la reputavo antiquata  )  quando i  alle  elementari  , all'epoca   non  era  vacanza    ci portavano  nel  giorno dei defunti  al cimitero e il 4  novembre  ( all'epoca era    festa  nazionale  )   all'anniversario della  vittoria  , all'ora   si chiamava  cosi     .
Il  primo esempio

In terza elementare si studia la filosofia greca, in quinta si arriva a quella cinese. È questo il programma del laboratorio di filosifa per le scuole elementari di Nicola Zippel, professore liceale, che ha recentemente pubblicato il libro "I bambini e la filosofia", edito da Carocci. "La filosofia aiuta il bambino a organizzare il libero pensiero: è una guida della riflessione. Spesso i tabù che abbiamo sull'infanzia sono preconcetti del mondo adulto, i bambini - conclude Nicola Zippel - sono pronti a parlare di tutto




 è quello  di  Hoppipola  un nido  d'infanzia  che  fa  parte    del  " circuito "  di  nidi  d'infanzia  http://www.associazionenidilecasette.com/ 
da  il  loro    sito  
L’associazione di promozione sociale “Le Casette”, nasce dalla passione comune di quattro ragazze per l’educazione della prima infanzia: Eliana Molinaro (presidente) Tiziana Bravi (vice presidente e coordinatrice psicologa) Silvia Melotti (segretario) e Diana Franzin (tesoriere). Dopo aver frequentato insieme “il Guscio- Nidi Familiari Artigiani”, corso accreditato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, coordinato da Confartigianato Udine e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nasce l’idea di creare un’associazione di promozione sociale per supportare l’apertura e mettere in rete nidi familiari in tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia e che mirasse alla qualità dei servizi offerti pensando ai bambini e alle famiglie.
Nasce così, il 30 Maggio 2014, l’associazione Le Casette FVG – Nidi familiari e prima infanzia.
Per questi servizi sono riconosciuti i contributi regionali alle famiglie dei piccoli iscritti per l’abbattimento delle rette in base all’ Isee. qui maggiori dettagli



  ora   l'articolo   de il messaggero     veneto 


“Hoppipolla”, il nido dove i bimbi crescono tra gli animali e la natura
Gli educatori seguono i bambini, facendoli crescere nel rispetto dei “ritmi”. E la ricetta è semplice: curare l’orto, accudire gli animali, ascoltare musicadi Erica Rizzetto



SEQUALS. Assecondare i propri ritmi e quelli del territorio, mettere a dimora sementi e vederle germogliare, accudire gli animali e sentirsi liberi di esprimere tutto se stessi.
Un ritorno alla natura, questo, che potrebbe dare pace ad adulti e bambini e che, proprio per questi ultimi, è possibile a Sequals, grazie all’attività di due giovani educatori: Silvia Melotti e il compagno Davide Ceccato hanno creato il nido familiare Hoppipolla – che in lingua islandese significa “saltare nelle pozzanghere” –: un luogo accogliente, che permette ai piccoli di vivere in un contesto di crescita rispettoso dei ritmi e dei bisogni del singolo, in cui tutti possono letteralmente toccare con mano il territorio e i suoi frutti.
La nascita di Hoppipolla
Silvia, 34 anni, e Davide, 39, formano un coppia affiatata anche nell’ambito professionale. Nel 2015 decidono di aprire le porte della propria casa per accogliere bambini dai 6 ai 36 mesi e le loro famiglie, complici la nascita dei loro due figli, l’amore per la natura e il desiderio di offrire un contributo alla comunità in cui hanno scelto di vivere.
«Abbiamo deciso di “fuggire” dalla città alla ricerca di un luogo il più possibile immerso nella natura – racconta Silvia –: sognavamo una piccola comunità, dove stabilire legami autentici».
Silvia, originaria di Verona, e Davide, di Pordenone, hanno trovato a Sequals la loro dimensione. «Sequals ci ha accolto e aiutato, in particolare durante la mia gravidanza – aggiunge Silvia –. Il paese ci ha aiutato a creare relazioni di amicizia e abbiamo sempre voluto ricambiare: aprire un servizio utile alle famiglie ci è sembrato il modo migliore».
La formula del nido familiare risulta quella ideale per creare un ambiente in cui i bimbi possano sentirsi a casa e sviluppare le loro competenze in un ambito armonioso.
Così, la sala prove di Davide, che è anche maestro di musica, dopo un adeguamento strutturale diventa l’ambiente che accoglie i bimbi iscritti al servizio: otto al momento, che si dividono secondo orari diversi, permettono a Silvia di gestire contemporaneamente non più di cinque bimbi.
Una casa nella natura
A guidare Hoppipolla è il concetto di “famiglia aperta”: gli educatori condividono sia la loro esperienza professionale sia quella genitoriale. «Cerchiamo di offrire una quotidianità speciale – dice Silvia – fatta di attività pensate con la testa e con il cuore».
Fondamentale è il contatto con la natura e con il cibo sano, biologico e a chilometro zero. «La nostra casa, e perciò l’ambiente in cui svolgiamo il servizio educativo, si trova ai piedi di una bellissima collina circondata dal bosco – spiega Silvia –. Questo offre ai bimbi l’occasione d’incontri particolari come quelli con i caprioli».
«Inoltre – aggiunge – abbiamo diversi animali domestici: tartarughe di terra, pecore, galline, gatti e un cane femmina di razza labrador, cresciuta con i nostri figli, con cui i bimbi imparano ad accudirlo: possono dargli da mangiare, accarezzarli, osservarli».
Il tempo passato all’aperto qui è fondamentale: nei 200 metri quadrati di superficie recintata ci sono una piccola stalla, un orto e un frutteto. «L’orto e il frutteto offrono occasioni di condivisione e molte attività sono inerenti al ciclo naturale delle stagioni: con i bimbi raccogliamo i frutti, osserviamo gli alberi e le piante aromatiche, sperimentiamo la semina di piante e fiori».
Altro tema fondamentale in casa Hoppipolla è la musica. «La musica è una costante nel progetto educativo – sottolinea Silvia –. Abbiamo una grande varietà di strumenti musicali a disposizione
dei bimbi e proponiamo molti laboratori di avvicinamento alla musica e alla danza».
Da quest’anno, nella famiglia Hoppipolla c’è anche una nuova collaboratrice, che consentirà di lavorare con un gruppo più numeroso e con fasce d’età diverse.






i miei dubbi etici e morali sulla vita e sull'accanimento terapeutico

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Mentre si continua a parlare della scelta di Dj Fabo e di una legge su eutanasia e fine vita, arriva la testimonianza-appello di Marisol Calligaro. 47enne di Buja affetta da tetraparesi spastica perinatale, Marisol è disabile dalla nascita




. «Sono orgogliosa della mia voglia di vivere. Il rischio di una norma è che le persone siano incentivate a lasciarsi andare».   il resto della  sua  storia la   trovate in questo  articolo  de il messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/ del 1-3-2017

L'unica  cosa   che mi sento  di  dire   su   questi argomenti    sono  due  o tre   cose  :
  • Impariamo a rispettarci profondamente. È meglio per tutti. Più rispetto c'è più libertà ci sarà e meno le nostre sofferenze saranno usate contro noi e contro gli altri. Ho nel cuore Marisol e Fabo e tutti quelli amano la libertà.
  • la  condivisione  
  • Commenti
    Debora Bobo Demontis Il rischio di un vuoto normativo è che le persone decidano di farla finita a costo di atroci sofferenze. Nell'ultimo anno, in Italia, ci sono stati 800 suicidi di malati (dati istat), chi ha preso questa decisione se ne frega delle norme, agisce. Nessuno vuole incentivare il suicidio, si chiede solo una legge di civiltà, che permetta di terminare la propria vita con dignità.

    Elisa Ranedda Ma lei ci è nata cosi, e lo ha accettato. Ma una persona che nasce sana ed è abituata a poter fare qualsiasi cosa, ritrovarsi immobile e cieco è come essere già morto.
    Mi piaceRispondi14 h
    Daniele Jommi Il mio parere è che in Italia c'è paura ingiustificata dei farmaci antidolorifici oppiacei. Nessuno deve sentire talmente tanto dolore fisico da voler morire: si deve medicare PRIMA di arrivare a tanta sofferenza. Non sono solo questi i problemi, ma in Italia potremmo iniziare a migliorare con le cure palliative. Dovremmo iniziare da qui.
    Debora Bobo Demontis Mio personale parere, in Italia risentiamo dell'assioma cattolico sofferenza uguale espiazione. C'è il culto del dolore che avvicina a Dio e non viene tollerato che si chieda sollievo.
    Mi piaceRispondi115 min
  • io che sono contrario all'eutanasia   fatta tanto per  fare   come  questo caso  :  <<  Laura, 24 anni, depressa: "Lasciatemi morire, la vita non fa per me". >> ogni volta che sento storie a favore (https://goo.gl/PwabCu ) o contro il fine vita mi chiedo : ma perchè , e soprattutto chi sono IO per imporre i miei principi ed il miei valori etico \ morali a chi sceglie tale soluzione per porre fine alle loro sofferenze , debbo proibire \ vietarlo a chi vuole farlo o vuole farsi assistere in quest'ultimo  istante di vita ?

3.3.17

L’infermiera simbolo della lotta a Ebola lasciata morire dopo il parto. Il marito: “Nessuno voleva toccarla”



per parafrasare una bellissima canzone di Guccini : << che sempre l'ignoranza è uguale a morte ed il silenzio fa paura >>

 da http://sociale.corriere.it/ 2 marzo 2017 Luca Mattiucci


L’infermiera simbolo della lotta a Ebola lasciata morire dopo il parto. Il marito: “Nessuno voleva toccarla”







ROMA – In Africa si può morire ancora di Ebola, ma per colpa dello stigma che colpisce gli ex malati. È così che ha perso la vita l’infermiera liberiana Salome Karwah (operatrice del centro di Medici Senza Frontiere), simbolo della lotta al virus e per questo tra i nominati come persona dell’anno nel 2014 della rivista Time per il suo lavoro in prima linea contro la malattia. È morta a Monrovia, la capitale dello Stato africano, la scorsa settimana dopo aver dato alla luce un figlio, ha raccontato il marito alla BBC, perché gli infermieri non hanno voluto toccarla per paura di contrarre Ebola, anche se era risultata negativa al test della malattia.
James Harris ha detto che la moglie aveva dato alla luce il loro quarto figlio con parto cesareo il 17 febbraio – ma era stata ricoverata di nuovo in ospedale a causa di gravi complicazioni. «Siamo stati tenuti in attesa nella nostra auto per tre ore, perché le infermiere avevano paura di toccarla» ha dichiarato Harris. «Io personalmente sono andato in pronto soccorso per portare una sedia a rotelle a mia moglie e accompagnarla in sala operatoria. Quello che davvero fa male era vedere una infermiera di turno che, invece di occuparsi dell’emergenza, è rimasta alla reception guardando Facebook». Gli operatori sanitari non hanno agito con maggiore urgenza, continua il marito, «perché era un superstite Ebola e forse hanno pensato che lei avesse ancora la malattia» denuncia Harris. I funzionari dell’ospedale hanno fatto sapere che il caso è oggetto di indagine.
Il caso di Salomè evidenzia come lo stigma ancora circondi la malattia, nonostante grazie allo sforzo dell’Oms e di organizzazioni umanitarie si sia riusciti a bloccare i contagi. Harris ha spiegato che sua moglie aveva perso molti parenti a causa di Ebola compresi i suoi genitori, ma era sopravvissuta e aveva potuto beneficiare di un vaccino. Time Magazine aveva descritto Salomè come “una donna straordinaria” che era tornata alla clinica dove era stata curata come prova vivente che Ebola può essere battuto.La Liberia, il cui sistema sanitario era già in crisi, è stato devastato a partire dal 2014 dall’epidemia di Ebola. Prima dello scoppio dell’emergenza c’erano solo circa 50 medici che lavoravano in tutto il paese, nonostante gli aiuti internazionali l’assistenza sanitaria è oggi ancora ai minimi storici ed è quasi inesistente nella maggior parte dello stato.






quasi inesistente nella maggior parte dello stato.