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13.4.17

Usa bambina bianca con la bambola nera e i razzisti. Figlia di Martin Luter King: "Segno di cambiamento"

da  repubblica  di qualche  giorno fa  , mi pare  l'11 aprile  ,   ho letto questa  news

Usa, la bimba con la bambola nera e i razzisti. Figlia di King: "Segno di cambiamento"
La cassiera al negozio di giocattoli: "Prendine una che ti assomiglia di più", dice alla piccola bianca. L'episodio, postato dalla mamma su Fb, è virale. Migliaia i commenti, tra solidarietà e critiche durissime

dalla nostra inviata  FRANCESCA CAFERRI





NEW YORK - Quando la mamma le ha detto che poteva scegliere un regalo, Sofia, due anni, non ha avuto dubbi: voleva una bambola, ma non una qualunque. "Quando siamo arrivate al negozio ha scelto la bambola-dottoressa - racconta la madre, Brandi Benner - perché nella sua testa lei è già una dottoressa. Propone un controllo medico a tutti quelli che entrano a casa". Sarebbe una storia qualunque se Sofia non fosse bianca e la sua bambola-dottoressa nera. Ma le cose stanno così e la cassiera del negozio dove la bimba era con sua madre ha pensato bene di sottolinearlo.
"Le ha chiesto perché non prendesse una bambola che assomigliasse a lei - ha scritto la mamma sul suo profilo Facebook - e Sofia le ha risposto che la bambola che aveva le somigliava già: era una dottoressa, come lei. Era carina, come lei. Aveva lo stetoscopio, come lei. Mia figlia non si è fatta scoraggiare: magari un'altra bimba lo avrebbe fatto". Pubblicato venerdì su Fb, il post di Brandi Benner è diventato virale: condiviso più di 140mila volte, ha attratto oltre 19mila commenti, fra cui quello di Berenice King, figlia del reverendo Martin Luther King.



Non è una storia qualunque questa anche perché fu proprio un esperimento con le bambole condotto nelle allora segregate scuole degli Stati Uniti a portare, nel 1954, all'istituzione di scuole miste in tutto il Paese. Negli anni '40, un gruppo di psicologi usarono appunto le bambole per testare il grado di pregiudizio in cui crescevano i bambini: la netta preferenza dei bimbi - sia bianchi che neri - per le quelle bianche contro quelle scure e le parole con cui spiegavano la scelta, li spinsero ad affermare che la segregazione andava cancellata. "The Doll Experiment" fu riproposto nel 2010 da Anderson Cooper su Cnn e si capì che nell'era di Barack Obama, primo presidente afroamericano, molti pregiudizi razziali restavano intatti.



Ciò che è accaduto a Sofia acconta l'ennesima puntata della vicenda. Una bambina di due anni che non vede differenze fra sé e una bambola nera, una mamma che la incoraggia, una cassiera a cui la scena sembra assurda. Una metafora perfetta della spaccatura che attraversa la società americana oggi e che la mamma di Sofia si è trovata di fronte. Su Facebook molte le parole di solidarietà ma anche le critiche, spesso dai toni durissimi. "Non mi curo di loro - ha detto Benner - ai miei figli voglio insegnare l'amore".
Ma questa storia dimostra che per cancellare i pregiudizi ci vuole ancora tempo, anche se qualcosa si è mosso. "La scelta di questa bambina è il segno di un cambiamento che ci porterà a vedere oltre il colore della pelle e che metterà fine ai giudizi che si basano su questo", ha scritto su Facebook Berenice King.

Modena, Maria è immobile e senza più voce: «È una vita bella, la voglio vivere» Modena Paralizzata da dieci anni, per tre è stata creduta in coma e invece vedeva e sentiva ogni cosa Non ha mai perso speranza e ottimismo.

E' davanti a storie  come  questa , una delle tante  di coloro ha  scelto  di   continuare  a vivere   fra  le sofferenze  ,  che   mi rendo conto   ( OVVIAMENTE  RISPETTANDO  E NON GIUDICANDO  LA LORO SCELTA )   di come   siano più  "  tutelati  " nella  scelta    loro   di quelli   che  fanno  la scelta  di vivere  nella sofferenza  . Tutta  colpa  di   un manipolo   di  politicanti   che non ha  le  palle  il  coraggio   di portare   alla  discussione  parlamentare   e  quindi  fa  mettere  ai  voti   o   portarla  a l referendum    come  si fece  (   erano altri tempi   e  i vecchi politici    avevano più coraggio   ed  avevano il   vero valore   dell'etica    , SIC  ) per  il divorzio e  per la l'aborto  ,  la legge    sul testamento biologico  \  fine  vita  . 


Modena, Maria è immobile e senza più voce: «È una vita bella, la voglio vivere» 

Modena Paralizzata da dieci anni, per tre è stata creduta in coma e invece vedeva e sentiva ogni cosa Non ha mai perso speranza e ottimismo. 

MODENA L’occhio di Maria dice tutto. Spalancato su un mondo fatto di affetti e poche cose, chiuse in una stanza, grazie a un computer parla di dolore, ricordi e nostalgie. Ma anche di speranza e gioia di vivere “a qualunque costo”. Un atteggiamento straordinario, perché Maria Ragazzi, 68 anni, a causa di un incidente stradale, è completamente paralizzata da dieci anni. “Mi è stato tolto tutto – scrive - mi è rimasta solo la speranza, quella è radicata in me profondamente e non si può abbattere”.

In termini medici è tetraplegica, soffre di disfagia e anartria. Significa che non muove le gambe, le braccia e le mani, non parla, non può mangiare come gli altri e viene alimentata con una cannula. Gli restano l’udito, l’occhio destro e soprattutto una mente non solo vigile, ma vivace. E consapevole della propria condizione: “Sento una grande nostalgia per i tempi passati e vivo di ricordi; questa nuova esistenza non mi dispiace, anche se è molto vuota”.





















Qual fiamma tiene accesa la tua speranza?
«I miei figli».

Sei orgogliosa di loro.

«Molto».
Vive immobile in un letto, eppure per lei, “la vita è bella” come ha scritto nel suo diario. Un racconto intimo che è diventato un libro in uscita: si intitola “Ascoltami”, una richiesta semplice che suona come una preghiera.
Altri, nelle sue stesse condizioni, hanno cercato la morte, supplicando la fine di un calvario interminabile, prigionieri di un corpo diventato estraneo e insopportabile. Lei no.

Conosci la storia di deejay Fabo?

«Sì».

Che cosa ne pensi?

«È una libera scelta».
Se deejay Fabo ha disperatamente voluto far cessare la sua “non vita”, Maria al contrario vuole ostinatamente vivere, coraggiosa e indomita, anche se le sue giornate sono dure, anche se ogni centimetro del suo corpo porta evidenti i segni delle sofferenze patite. Le mani gonfie, le gambe innaturalmente sottili e il volto che non è più quello di una donna serena e che con pudore lei non vuole sia fotografato “perché non mi riconoscerebbero”.

Che cosa ti manca di più?

«La voce».

Vorresti poter parlare come un tempo?

«Sì, il computer non mi basta».
Ha sopportato tanto, Maria, e ancora tanto dovrà sopportare: questo non la spaventa: “Vive la vita, o quel che per lei ne rimane, assaporandola fino all'ultima stilla e ad essa non intende rinunciare, né porvi anticipatamente termine” spiega Roberto Masoni, il suo giudice tutelare. Così le piccole cose acquistano altre dimensioni: “Oggi – scrive Maria – Milena mi ha fatto assaggiare un frullato e una mousse di mela e ho deglutito finalmente dopo 5 anni di flebo”. E riesce a sorprendere tutti facendo progetti per il futuro: “Giusi mi ha dato una magnifica notizia: Vasco Rossi terrà un concerto al Parco Ferrari il primo luglio… Io spero di andarci perché lui mi piace tanto e conosco bene quel parco”.
Con l’occhio scrive, un sintetizzatore vocale legge le sua parole. “Ormai vivo solo per scrivere al computer che ho sempre detestato”. Maria, che insegnava italiano ai bambini stranieri, scrive ogni giorno, così è nato il suo diario “per aiutare quelli che si trovano nelle mie condizioni”.
Carlo Bonacini di Artestampa, che sta per pubblicare “Ascoltami”, crede nel libro di Maria. Per lui non è più un'operazione editoriale come le altre, ma qualcosa di più, nella quale spendere energie e mettersi in gioco. Riordinare il flusso di pensieri e ricordi di Maria non è stato semplice, tanto era il materiale su cui lavorare. E più il progetto andava avanti, più acquistava spessore. “La nostalgia che si respira negli scritti dei primi anni diventa riflessione sulla sua condizione d'inferma, occasione per fermarsi a pensare alle possibilità che ancora le restano, il significato più vero e profondo dell'esistenza. Maria è una donna colta e intelligente, ironica e sensibile. Si poteva lasciare cadere nel silenzio il suono di questa voce?”.
È un diario di viaggio, quello di Maria, attraverso tre vite. La prima simile a tante altre, fatta di una famiglia serena, un marito, due figli. La vita di oggi, nella struttura “9 Gennaio” con accanto gli infermieri, la logopedista Maria Letizia Lombardi e il tutore legale. E poi la vita di mezzo durata tre anni e peggiore, se possibile, dell’invalidità totale e permanente.
“Un mio collega che insegna matematica - scrive Maria - una volta in sala professori mi ha parlato di questo numero dicendo che il 7, rispetto ad altre cifre, è il numero magico per eccellenza, è l’emblema della totalità dello spazio e del tempo. È anche il segnale del cambiamento. Tutte storie; io non credo alla numerologia e in più odio la matematica”. Eppure la storia di questa famiglia modenese cambia il 7 luglio 2007.
È un sabato mattina, Maria e suo marito Italo decidono insieme di fare una gita in moto alla Pietra di Bismantova. C'erano già stati, ma “ogni volta rimanevamo stupefatti da tanta meraviglia e ricordavamo quando a scuola l'insegnante ci leggeva quei versi di Dante che la paragonava al monte del Purgatorio”. Italo e Maria salgono su una Yamaha 750 e partono. “Era bello stare abbracciata a Italo, condividere passioni ed emozioni”.
Lungo la strada, sull'asfalto, finisce la prima vita di Maria, quella luminosa. La descrive così: “Avevo raggiunto la pace e l’equilibrio ed ero felice di quello che avevo: un bel marito, due figli, un lavoro che mi piace e, finalmente, un benessere economico”. Poi il buio.
Vengono investiti da una motocicletta. “A un certo punto sento Italo gridare Mariaaaaa tieniti forte e senza che neppure io me ne accorga sono sdraiata per terra, sento un liquido caldo che scende lungo la gamba destra e sento un dolore lancinante alla spalla, la testa mi gira ma il casco è ancora al suo posto. Italo è a terra esanime ma muove una mano. Il suo casco è sventrato e si intravvede una lunga lacerazione sulla testa. I pantaloni sono strappati ed esce molto sangue dalla gamba destra. I due motociclisti che ci hanno investito sono doloranti ma lucidi anche se sotto shock. Subito si fermano in tanti”.
Italo avrà una gamba amputata e una lesione cranica irrimediabile, Oggi vive nella stessa stanza di Maria, anche lui sul letto, dove mangia e dorme. “Poveretto, nelle sua condizioni non può fare altro” commenta Maria. Lei invece sembra meno grave. “La diagnosi aveva messo in luce solo traumi in diverse parti del corpo, ma niente di grave”. Una volta dimessa dall'ospedale, però, perde conoscenza. La trovano i suoi figli vicino al letto.
Ecco come Maria racconta nel diario il suo risveglio.
“Non so quanto tempo è trascorso, ma sono distesa su un letto in una piccola stanza con un altro letto occupato da una signora anziana. Non riesco a muovere nessuna parte del corpo, ho un buco nella gola dal quale escono dei tubi di gomma, ho un occhio chiuso ma quello destro funziona. La stanza è luminosa, c’è un televisore a parete acceso. Il giornalista inizia il telegiornale dicendo che è venerdì 24 agosto. Ma come? Cosa è successo? Come mai sono in ospedale e non a casa?”.
Maria non riesce a parlare, a muoversi. “Sono sicura che si tratta di un problema temporaneo; domani andrà meglio. Ma anche i giorni successivi la situazione è la stessa. Vengono i miei figli ma anche a loro non riesco a fare capire che li sento, che capisco quello che dicono ma che non posso parlare. E passano i giorni, le settimane e i mesi”.
Tutti la credono in coma, colpita da ictus “probabilmente conseguenza di un trauma cranico”. Ma lei non è in coma. Sente e vede dall'occhio destro tutto quello che accade nella stanza, le parole di chi le fa visita, dei medici, del personale infermieristico. Sente e nessuno se ne accorge. Capisce ma non riesce a comunicarlo. Uno stress talmente forte e debilitante che le causerà anche crisi cardiache. Tre anni di incubo, al centro di un mondo che la considera perduta. Cosa si può dire di fronte a una persona in coma da tempo, un corpo che non ha più anima, destinato a restare in un penoso stato vegetativo? Maria ascoltava, impotente, incapace di gridare “io ci sono, vi ascolto, capisco ogni vostro discorso”.
La vita di mezzo finisce per caso. Una addetta alle pulizie sta lavorando nella stanza e urta un braccio di Maria, d'istinto le chiede scusa e guardandola in faccia nota un leggerissimo movimento dell'unico occhio aperto. Resta stupita: quella donna è in coma da anni, non sente nulla eppure... Nel dubbio le ripete la stessa frase di scuse e la reazione è la stessa: succede qualcosa di inaspettato, l'occhio ha un piccolo movimento. La donna delle pulizie corre a chiamare i medici. “Inizia una nuova vita”, scrive Maria La terza.

Maria,

riesci a sognare?

“Sogno spesso il mio gatto”
Non possono portartelo qui?
“No, ha un carattere molto selvatico”
Gli animali somigliano sempre ai loro padroni.
L’occhio di Maria sbatte. E’ il suo sorriso

Da Pavia a Nairobi al fianco dei bambini di strada


IL VIAGGIO
Da Pavia a Nairobi al fianco dei bambini di strada
Guido Bosticco, Guido Mariani e Vince Cammarata in Kenya con il èprogetto Ciak! Kibera e Amani per realizzare un documentario con gli ex ragazzi di strada ospitati
nei centri della ong Amani for Africa: "Negli slum tanti talenti da valorizzare"

di Anna Ghezzi





Guido Bosticco e Vince Cammarata di Epoché Pavia raccontano una giornata sui campi da calcio della baraccopoli di Kibera, a Nairobi, in Kenya. Professore di scrittura all'università di Pavia il primo, fotografo e videomaker il secondo, sono a Nairobi con il progetto Ciak! Kibera, organizzato dall'associazione Cherimus in collaborazione con Amani for Africa. In queste settimane stanno facendo workshop e seminari con un gruppo di ex ragazzi di strada che, alla fine del percorso, realizzeranno un cortometraggio

 professore, un giornalista e un fotografo e videomaker tra gli slum di Nairobi per girare un documentario insieme a un gruppo di ex ragazzi di strada. Sono Guido BosticcoGuido Mariani e Vince Cammarata di Epoché, agenzia giornalistica culturale di Pavia e partecipano in queste settimane a “ Ciak! Kibera ”, un progetto di cooperazione internazionale realizzato dall’associazione di arte contemporanea Cherimus , in collaborazione con Amani for Africa . L'obiettivo? Realizzare con gli ex ragazzi di strada che partecipano ai laboratori un cortometraggio, perché nelle baraccopoli non c'è solo povertà, ma anche talento e potenzialità.
Slum in inglese significa baraccopoli, il suono sbatte in faccia come la visione di queste "città nella città". Selve di lamiera e terra rossa in cui un'umanità varia si accalca, vive, dorme, ama. Da cui gli adulti ogni mattina si incamminano per raggiungere il centro di Nairobi e andare a lavorare. In cui migliaia di bambini vivono in strada, in piccole comunità, vivendo di espedienti, smettendo di studiare e giocare. Cercando di sopravvivere.
Un pezzo di slum visto dall'alto...
Un pezzo di slum visto dall'alto (foto di Vince Cammarata)
Nairobi, capitale del Kenya, è una città di più di tre milioni di abitanti: più di un milione di questi vivono in slum, baraccopoli e bidonville. Kibera, un’area situata a sud della metropoli, è il più grande slum dell’Africa, popolato da circa 700mila persone. Il progetto “Ciak! Kibera” si concretizza in una serie di workshop dedicati all’arte, alla musica, alla comunicazione e alle tecnologie multimediali e si rivolge a un gruppo di giovani residenti nelle periferie della capitale.
Alcuni degli alunni che partecipano al lavoro sono ex bambini di strada che hanno intrapreso un percorso di recupero e di reinserimento. Il lavoro si svolge in gran parte presso il centro di Kivuli, fondato nel 1997 dalle associazioni "gemelle" Koinonia basata in Kenya e l'italiana Amani. Kivuli, che in kiswahili significa "ombra", rifugio, accoglie bambini con un passato di vita sulla strada, cerca di reinserirli nelle famiglie da cui provengono con progettti che aiutano la famiglia a rialzarsi. E' una casa per gli ex bambini di strada, un centro di riferimento sanitario per lo slum di Kabiria, un pozzo di acqua potabile al servizio della comunità e ospita laboratori artigiani in cui lavorano anche alcuni rifugiati rwandesi scampati al genocidio.
Uno scorcio della Kabiria road a...
Uno scorcio della Kabiria road a Nairobi (foto di Vince Cammarata)
"Con questo progetto - spiega Emiliana Sabiu, fondatrice di Cherimus, laureata a Pavia ed ex studentessa del Collegio Universitario Santa Caterina - vogliamo allontanarci il più possibile dai cliché legati alla povertà e all’Africa, attraverso l’arte vogliamo esaltare i talenti ed evidenziare le potenzialità che questa città e i giovani con cui stiamo lavorando sanno esprimere.”
L'arte è il terreno di scambio, di comunicazione. “Stiamo lavorando - racconta Guido Bosticco di Epoché, docente di scrittura all’ Università di Pavia - con un gruppo di giovani di età molto diverse, dai 14 ai 27 anni, molti di essi vengono da esperienze di vita difficili. Alcuni sono studenti, altri hanno già una professione, anche nel mondo dell’arte e della comunicazione. Abbiamo impostato un lavoro differenziato che ha messo in luce il loro impegno e i loro interessi".
I ragazzi al lavoro (foto di Vince...
I ragazzi al lavoro (foto di Vince Cammarata)
"Sono tutti giovani che, nonostante le sfide affrontate, hanno un’eccellente formazione scolastica - prosegue Bosticco - e non hanno bisogno di altri stimoli, ma cercano un modo per incanalare la loro creatività e con il nostro lavoro cerchiamo di dare loro strumenti per farlo. Il nostro gruppo di lavoro è composto da artisti visuali, un regista, un fotografo e un musicista e il cortometraggio che stiamo producendo è un’occasione per trasferire competenze, dalla scrittura, alla realizzazione di un video, fino alla creazione di una colonna sonora. Una cosa è certa sin da ora, la formazione è reciproca poiché il lavoro che stiamo svolgendo è partecipativo ed è fonte per noi di grande ispirazione e di conoscenza sulla realtà di questa città dinamica e vivacissima”.Ieri era la Giornata internazionale dei bambini di strada e Amani e Koinonia hanno organizzato un momento di giochi e gare dedicate ai bambini e alle bambine delle comunità, Kivuli, Ndugu Mdogo e Casa di Anita che ormai la strada l'hanno abbandonata, e quelli che ancora vivono nelle varie "basi" nelle baraccopoli.Tornei di calcio, atletica, sfide e giochi perché ogni bimbo ha diritto a essere bambino, almeno una volta all'anno. Per l'intera giornata il team pavese ha gestito la pagina Facebook di Amani raccontando in diretta la giornata.

care donne II Treviso: "è lui", insegue e fa catturare l’uomo che l’ha stuprata Ventottenne s’improvvisa detective insieme al fidanzato e riconosce un giovane di colore: «È stato lui». Arriva la polizia

N.b
Indipendentemente   dall'appartenenza   etnica   del criminale  in questione  ,  questo  è l'esempio    che  " le  nostre " (  ma non solo  )  dovrebbero  seguire  sia    verso i  partner  ( vedere  prima url  sotto  )    sia   verso gli altri
   
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Lunedì notte era stata violentata, umiliata ed offesa per quasi due ore nei giardini di porta Altinia. Dopo la violenza, la polizia l’aveva soccorsa e all’ospedale i medici avevano confermato gli abusi. Ma lei, nonostante lo choc ed il peso di una così efferata violenza fisica e psicologica, non si è data per vinta ed ha voluto reagire, senza piangersi addosso per una cicatrice che l’ha segnata per sempre. Ha raccontato ai genitori e al fidanzato quello che era successo nella notte tra lunedì e martedì. E all’indomani delle dimissioni dall’ospedale, assieme al fidanzato, si è messa a caccia del suo violentatore. Ha battuto palmo a palmo la zona di via Roma tra i giardini di porta Altinia, Riviera Santa Margherita e i giardinetti di Sant’Andrea. In cuor suo sentiva che lì l’avrebbe trovato. E così è successo.Nel tardo pomeriggio di ieri, dopo qualche ora di ricerche, quando ormai il pessimismo stava per prevalere sulla sua forza di volontà, la giovane donna di 28 anni, che due notti prima, nei 
giardini di porta Altinia, era stata violentata (come confermerebbero i primi esami effettuati al Ca’ Foncello), ha riconosciuto in un uomo di colore il presunto autore degli abusi di lunedì notte ed ha chiamato la polizia. La donna, con il fidanzato, l’ha seguito a distanza, ha tentato di fermarlo, c’è stata anche una colluttazione finché, grazie alle indicazioni via cellulare, la pattuglia della squadra volante l’ha bloccato davanti all’Armeria Piacentini in via Roma. L’uomo è stato poi portato in questura a Treviso dove le procedure di riconoscimento e le verifiche da parte degli investigatori sono continuate fino a tarda sera.
Il fatto è successo pochi minuti prima delle 18. È nella zona dei giardinetti di Sant’Andrea che la 28enne trevigiana, assieme al fidanzato, riconosce in un giovane di colore colui che, tra le 23 e l’una della notte tra lunedì e martedì, l’ha violentata. La giovane prende il cellulare e chiama il 113. «Sono la donna che è stata violentata due notti fa, presto venite in Riviera Santa Margherita: l’ho riconosciuto è qui».
Dalla questura vengono fatte convergere un paio di pattuglie della volante. La 28enne, assieme al fidanzato, lo seguono a piedi e per telefono danno alla centrale le indicazioni sulla via di fuga. In Riviera trovano anche una pattuglia della polizia locale. Anche i vigili fanno la loro parte e si lanciano a piedi all’inseguimento del giovane di colore indicato dalla donna. Il fidanzato riesce anche a bloccarlo. C’è una breve ma violenta colluttazione. Lo straniero riesce a sfuggire. Ma la breve fuga termina in via Roma, davanti all’Armeria Piacentini dove gli agenti della polizia locale e i colleghi della questura, giunti nel frattempo sul posto, bloccano il fuggitivo che viene portato a bordo di una pattuglia della squadra volante nella sede di piazza delle Istituzioni, dove gli accertamenti sono proseguiti fino a tarda sera.




Lo so che molti miei utenti mi diranno che sono buonista o che non parlo dei crimini che gli immigrati commettono e menate varie ma ....

Lo  si che molti miei  utenti mi  diranno che   sono  buonista   o  che  non parlo  dei crimini  che  essi   commettono   e  menate  varie . Ma  : 1)  i crimini  li  pote leggere    su tutti i giornali   sia quelli  populisti e  malpancisti   ma  anche   ni  2)   preferisco   raccontare  anche un altro lato   che   viene   tenuto ai margini   dell'immigrazione 

da http://corrierealpi.gelocal.it/belluno/cronaca/ 11 aprile 2017

LA FESTA DELLA POLIZIA
Meme e Brahima ce l’hanno fatta e si sono integrati
Arrivati come rifugiati hanno studiato e ora lavorano. A entrambi consegnato un attestato per operosità e onestà

                       Roberto Curto



FELTRE. C’è chi ce la fa e si affranca dalla situazione di migrante e rifugiato. Così, ieri mattina, la Festa della polizia, è stata l’occasione per premiare due ragazzi africani, con storie molto diverse, di nazionalità diverse, ma entrambi fortemente motivati a cercare l’integrazione con il territorio che li ha ospitati. Sono Meme Gonbah Toure e Brahima Fofana: il primo della Liberia, il secondo dalla Costa d’avorio. Entrambi hanno ricevuto dal questore Morelli e dal prefetto Esposito l’attestato per operosità e onestà e l’applauso convinto del pubblico presente al Teatro de la Sena. La storia di Fofana, in particolare, dimostra come, con la volontà si possano rompere le barriere della diffidenza e trovare un proprio posto nella realtà locale.
Bisogna metterci impegno e Brahima ce l’ha messa tutta: «Sono arrivato nel 2015 e non appena ho potuto mi sono iscritto al corso serale di scuola media con lezioni al campus di Borgo Ruga perché volevo imparare l’italiano quanto prima possibile. Poi ho preso parte a un corso di formazione organizzato con “Garanzia giovani”, dedicato all’accoglienza turistica, dove oltre alla lingua ho potuto imparare, la cultura, la storia e le tradizioni. Sono stato mandato a fare lo stage in Birreria Pedavena e al termine del periodo di prova il Proprietario, Lionello Gorza, ha deciso di tenermi. Ora lavoro come aiuto in cucina. Mi trovo bene, si lavora sodo ma mi piace. Nel tempo libero mi piace fare sport, soprattutto giocare a calcio».
Lavora anche il liberiano Toure, che subito dopo avere ricevuto il premio si affretta a lasciare il teatro: «Mi aspetta il lavoro nell’orto», afferma. Anche lui, giunto a Feltre alcuni anni fa, ha mostrato la volontà di integrarsi e ha raggiunto il risultato.
Altro momento che ha strappato applausi è stato quello della consegna dell’attestato di “Amica della polizia” alla giovane Caterina e alla sua famiglia. La ragazzina è salita sul palco con il papà e dopo avere ricevuto l’attestato ha risposto con il saluto militare.



Roberto Curto

12.4.17

Solo due spettatori a teatro, l’autrice accusa il sindaco Lo sfogo di Chiara Pasetto: «Amareggiata a vedere tutte quelle poltrone vuote». Il sindaco Zocca: «Mi rammarico, ma il Comune non può rispondere dei gusti del pubblico»



invece di trovare un capro espiatorio fatti un esame di coscienza . Non è che la tua opera fosse un mattone o magari tu reciti da cane , o l'hai promossa male ?


POLEMICA A SAN MARTINO
Solo due spettatori a teatro, l’autrice accusa il sindaco
Lo sfogo di Chiara Pasetto: «Amareggiata a vedere tutte quelle poltrone vuote». Il sindaco Zocca: «Mi rammarico, ma il Comune non può rispondere dei gusti del pubblico»


L'attrice Lisa Galantini in scena nello spettacolo "Moi" di Chiara Pasetti

SAN MARTINO. Organizza la messa in scena del suo spettacolo al teatro Mastroianni di San Martino Siccomario e si ritrova con due persone in sala. È successo l’altra sera a Chiara Pasetti, giornalista, scrittrice e autrice del monologo “Moi” sulla figura di Camille Claudel, la scultrice francese morta nel 1943, sorella del poeta Paul Claudel e compagna del grande scultore Auguste Rodin. Da mesi aveva programmato la data; dopo la deludente risposta di pubblico, ha deciso di fare le sue rimostranze all’amministrazione comunale della cittadina e ai media locali.
«Lo spettacolo, in tournée da diversi mesi, è andato in scena al teatro Coccia della mia città, Novara, davanti alle autorità e a tantissimi amici, colleghi, professori, soci dell'associazione culturale “Le rêve et la vie” che rappresento e che insieme al Teatro della Tosse di Genova ha prodotto lo spettacolo - dice Chiara Pasetti - La sera dopo, invece, nonostante le presentazioni e il fatto che un amico avesse stampato diverse locandine a sue spese a San Martino Siccomario in sala c’erano due persone. L’attrice Lisa Galantini ha deciso di recitare lo stesso, dimostrando coraggio e professionalità, ma io sono rimasta amareggiata da questo trattamento, credo che sia mancato qualsiasi tipo di supporto da parte dell'assessore comunale alla Cultura Stefania Zanda, che da mesi era a conoscenza della serata. L’ho chiamata il giorno dopo, e non solo non si è scusata ma ha chiuso la conversazione».

Varese, in scena senza pubblico "per amore del teatro": lo spettacolo che nessuno ha vistoNessuno è andato a vederlo, ma ora non si fa che parlare di lui. E' l'attore Giovanni Mongiano, protagonista dello spettacolo 'Improvvisazioni di un attore che legge' e direttore artistico di TeatroLieve, rimasto solo sul palcoscenico del teatro del Popolo di Gallarate, in provincia di Varese. E' voluto andare in scena nonostante non fosse stato venduto neanche un biglietto. Con lui, c'erano il tecnico delle luci e la cassiera. "L'ho fatto solo per l'amore e la passione per il teatro - dice l'attore - e per il desiderio di andare in scena ugualmente. Ho recitato al meglio delle mie possibilità, e se non lo avessi fatto me ne sarei pentito amaramente e non avrei dormito la notte". Così sulla sua pagina Facebook aveva presentato lo show, con una frase che spiega tanto: "Come dice il personaggio dello spettacolo 'Se solo riuscissi a dire al mio cuore, arrenditi! E' che non ce la faccio... E' come se avessi i piedi incollati a queste tavole del palcoscenico!"
La lettera di protesta è arrivata anche al sindaco di San Martino Siccomario, Alessandro Zocca, che ha risposto così. «Il nostro Comune è estremamente sensibile alla promozione e alla diffusione dell'arte e della cultura e in quanto rappresentante della comunità, non posso che rammaricarmi per la mancata partecipazione di pubblico allo spettacolo di giovedì sera. Da quando amministriamo è la prima volta che uno spettacolo organizzato direttamente con associazioni del territorio veda una partecipazione così esigua».L’assessore Zanda precisa: «Lo spettacolo non aveva il patrocinio del Comune ed era stato programmato nel nostro teatro c in maniera autonoma, da parte della signora Pasetti e dell’associazione “Le Rêve et la vie”». Pertanto, pur avendo promosso lo spettacolo presso amici e conoscenti, come avrebbe fatto qualunque altro cittadino, mi ritengo estranea alla polemica». Quanto alla telefonata, «ho ritenuto opportuno interromperla per l’aggressività con cui la signora Pasetti si stava rivolgendo a me».
Marta Pizzocaro

la musica indipendentemente dal genere e dalla qualità fa parte della nostra vita nel bene e nel male ......


.... prima di riportare queste due storie spero di riuscire a rispondere ( all'altra se lui vuole ci penserà Criap ) a chi mi chiede : << perchè ui colonne sonore , perchè suggerisci musiche , fai riferimenti indiretti a canzoni , due racconti storie di canzoni artisti e altro , segnali libri musicali o attinenti ad esso come quello di cristian porcino >> .


Perchè Raccontare il mondo po le proprie esperienze ed stati d'animo attraverso le canzoni tì ( almeno per me è cosi ) aiuta ad esprimere meglio le tuer emozioni \ sentimenti . Raccontare quelle storie piccole che non conosce nessuno, gli universi più discreti, che non fanno notizia ma hanno tanto da dire, la quotidianità silenziosa di chi a volte è dimenticato, di chi solitamente non è ascoltato. Significa anche tornare alle origini capire chi siamo e dove stiamo andando , formare o rafforzare una propria identità , ecc 


La musica << fa il resto, colonna sonora di un mattino all'asilo in mezzo ai bambini o di un pomeriggio alla casa di riposo con nonni che non si ricordano più cosa hanno fatto il giorno prima ma "Bella ciao" te la sanno cantare dalla prima all'ultima strofa senza indugi. Si chiama Giving Voice, il progetto di Radio LiberaMente Modena. >> (Gazzetta di Modena)







ecco le storie a cui faccio riferimento

La prima  

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Modena, Federica Cipolli: una vita in musica iniziata a 4 anni
Recital e insegnamento per la pianista ora scelta come maestro collaboratore al Belli di Spoletodi Giovanni Balugani




MODENA. Di solito i grandi musicisti crescono in famiglie in cui la musica è parte integrante della vita dei genitori. Ma per Federica Cipolli non è stato così.
La propensione per la musica è stata per Federica qualcosa di naturale e non di imposto o derivante dalle abitudini di chi l’ha cresciuta. E così, che fare quando una bambina di 4 anni mostra un’attrazione naturale verso la musica? Quando canticchiando qua e là, in giro per casa, è palese che la voce di quella bambina sia speciale?
I genitori di Federica non hanno avuto dubbi: l’hanno avvicinata ulteriormente alla musica, aiutandola a coltivare quella passione che poi nel corso degli anni sarebbe diventata la sua vita. Ed è così che a soli 4 anni ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte, a esibirsi davanti a un pubblico e a partecipare a selezioni ed audizioni. Allenandosi anche sette o otto ore al giorno, perché il trasporto della mente e del cuore superavano anche i limiti del fisico. Tanto che a 14 anni Federica ha trascorso un’estate intera a suonare in preparazione di un esame, chiedendo troppo alle sue mani e ritrovandosi a doverle fasciare per proteggere i tendini.
Il lavoro, però, paga. A 20 anni si è laureata in pianoforte, all’Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi-Tonelli di Modena. Per poi entrare nell’accademia diretta da Mirella Freni.l lavoro, però, paga. A 20 anni si è laureata in pianoforte, all’Istituto Superiore di Studi Musicali Vecchi-Tonelli di Modena. Per poi entrare nell’accademia diretta da Mirella Freni.







Federica al piano suona LisztEcco uno dei due brani (Chapelle de Guillaume Tell, Liszt) con cui Federica Cipolli, pianista modenese 25enne, ha superato le audizioni per diventare maestro collaboratore al teatro "Belli" di Spoleto. Una vita dedicata alla musica quella di Federica, che suona da quando ha 4 anni. 
Ora per Federica si apre una nuova esperienza. Da qualche giorno si trova a Spoleto, in Umbria, dove sarà maestro collaboratore al teatro lirico sperimentale “Belli”: «Sono emozionata - 


racconta - e riuscire a superare la selezione non è stato semplice. Ho affrontato l’audizione il 30 maggio. Eravamo 50 pianisti provenienti da ogni angolo del mondo e i posti erano 10. Ce l’ho fatta e per me è stata una soddisfazione unica, anche perché sono la seconda più giovane tra i selezionati». Federica resterà a Spoleto fino ad ottobre e il suo compito sarà quello di preparare i cantanti durante le sessioni di prova: «Ma ho già chiesto qualche permesso per rientrare a Modena, perché dovrò suonare durante alcune serate dell’estate modenese».
Quando Federica parla è fin troppo semplice riconoscere l’amore per la musica e nella musica ha scelto l’amore, quello vero: «Sono monotematica, lo ammetto. Mio marito è un direttore d’orchestra e quindi la musica pervade a 360 gradi la mia vita. Per me suonare non è un lavoro, è un modo di vivere, è qualcosa che ti accompagna durante tutto il giorno. Che cosa ascolto? Classica, opere. Ma in qualche viaggio, quando io e mio marito vogliamo staccare un attimo, ascoltiamo Elio e le storie tese: testi demenziali, ma musica di valore».
Federica è energica e mentre si racconta candidamente confessa: «Nel periodo dell’accademia, durante le pause pranzo fuggivo per sostenere qualche esame». Ride.
Quali esami? «Diciamo che ho voluto accontentare i miei genitori e così mi sono iscritta a Scienze Giuridiche, studiavo di notte e ho conseguito la laurea triennale. E poi anche la magistrale in Public Management, sempre con lode. La musica è un lavoro stupendo, ma fragile. Non si sa mai se ti consentirà di vivere o meno e quindi ho pronta un’alternativa nel caso in cui la strada del pianoforte, economicamente parlando, si dovesse interrompere».
Quindi 25 anni, trilaureata, impegnatissima sul piano lavorativo, ma con anche un occhio verso il prossimo: «Insegno musica ai ragazzi, in particolare alle scuole Paoli nel progetto di musica pomeridiano. Adoro trasmettere la passione per la musica ai miei studenti, ma attenzione non significa imporla. Il mio compito è quello di fornire loro gli strumenti per comprendere la musica e di poter utilizzare tali strumenti a loro piacimento nel corso della vita. È bello sapere che se un giorno ascolteranno una canzone avranno il bagaglio di conoscenze necessario per potersi andare a cercare lo spartito, leggerlo e replicarlo con un pianoforte o una chitarra».
Una scelta, quella di conoscere la musica, che Federica fece autonomamente a quattro anni. E che da 21 anni la accompagna fedelmente.


la  seconda   storia

Modena, “Mani bianche”, cantare a gesti
Nasce a Modena Est un coro che coinvolge udenti, non udenti e persone con altre disabilità
di Martina Stocco


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MODENA. La musica, si sa, da sempre unisce e crea momenti di condivisione, ma in questo caso ancora di più. Di cosa stiamo parlando? Della realizzazione a Modena del progetto coro Mani Bianche, già attivo in altre città. Questo particolare coro, i cui corsi saranno svolti alla polisportiva di Modena Est, a partire da aprile, vedrà la partecipazione sia di bambini sia di adulti.



Tuttavia, la specificità del gruppo corale sarà la presenza sia di persone udenti sia non udenti o aventi altre disabilità. Com’è possibile realizzare un’attività simile ce l’ha spiegato Maria Pia Milani, neuropsichiatra infantile e volontaria del progetto. «Innanzitutto bisogna sottolineare che a Modena verrà importata la realtà dell’associazione Mani Bianche di Roma - ha detto Milani - che da tempo si occupa di questo genere di attività. Il coro Mani Bianche di Roma è un coro misto, dove bambini che possono utilizzare la voce cantano assieme ad altri che presentano, invece, deficit uditivi».
Esigenze e abilità differenti, come si amalgamano nello stesso coro?
«I ragazzi che fanno parte del coro Mani Bianche si esprimono attraverso la gestualità delle mani - ha spiegato la neuropsichiatra -indossano dei guantini bianchi, appunto, per metterne in evidenza il movimento. Non è un vero e proprio linguaggio dei gesti. Le parole delle canzoni non vengono tradotte alla lettera, ma vengono compiuti dei movimenti attraverso cui la musica viene interpretata: ciò che traspare è l’emozione. Il canale di comunicazione privilegiato non è, dunque, quella verbale».
Da Roma a Modena, com’è avvenuto il passaggio?
«Attraverso un passaparola, tra diverse persone, è nata l’idea - ha risposto l’intervistata - di poter realizzare questo coro anche in città».
Lo scorso gennaio si è svolto a Modena un corso teorico e pratico, della durata di due giorni, riguardante l’attività delle Mani bianche. Nell’occasione sono state individuate persone con diverse professionalità (musicisti, interpreti del linguaggio dei segni, neuropsichiatri) che possono, sull’esempio romano, ricreare quell’ambiente di condivisione. Mancava ancora un luogo dove poter svolgere l’attività corale: la scelta è ricaduta sulla polisportiva di Modena Est. «Spazio in polisportiva ce n’è a volontà - ha raccontato Ivan Baracchi, il presidente dell’impianto sportivo - e poi, quando abbiamo conosciuto le motivazioni del progetto, come l’inclusione e l’integrazione delle persone diversamente abili attraverso l'esperienza corale, non potevamo fare altro che sostenerlo. I ragazzi che vorranno partecipare al corso, lo potranno fare gratuitamente presso gli spazi della polisportiva. Oltre a questo, inizieranno a breve, tante altre attività». «Il coro Mani Bianche - ha concluso Milani - è ispirato all’esperienza venezuelana dove sono stati creati diversi cori di questo tipo. L’intento del governo, nell’ambito del programma di educazione, era di ridurre i livelli di criminalità attraverso la musica. Iniziarono ad impartire lezioni gratuite di musica e a mettere strumenti a disposizione dei giovani».

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia.

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da repubblica del 10 aprile 2017

Il mulino, antico e moderno al tempo stesso, nato in Calabria grazie a Facebook
Con il crowdfunding raccolto mezzo milione di euro. L'obiettivo: macinare grani antichi con un mulino a pietra. E già si punta a un franchising nazionale, con una prima succursale in procinto di aprire in Val d'Orcia. 

                                di CHIARA SPAGNOLO

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Il pane appena sfornato (foto tratte dalla pagina Facebook  del mulino ) 

Il sogno di Stefano Caccavari era macinare grani antichi in un mulino a pietra: niente rulli né calore, per non scaldare il grano e produrre farine pure come quelle di cento anni fa. Per realizzarlo ha cominciato cercando soci tramite un post su Facebook e mettendo a disposizione un terreno di famiglia a San Floro, alle porte di Catanzaro. In quarantotto ore il crowdfunding ha fruttato 72.000 euro, in tre mesi mezzo milione, sufficiente per trasformare il sogno in realtà. O meglio, realizzarne la prima parte, perché poi l’entusiasmo ha chiamato altre idee e, dalla nascita del mulino alla creazione di un marchio vero e proprio, il passo è stato breve.

I protagonisti del progetto

La storia di Stefano - studente ventisettenne di economia aziendale a un passo dalla laurea - incrocia tradizione e visione strategica del futuro, solide basi di un’attività agricola che la famiglia porta avanti nelle proprietà di San Floro da trecento anni, e uso spregiudicato delle tecnologie più moderne. A partire dai social network per promuovere l’impresa. Su Facebook è iniziato tutto il 14 febbraio 2016 e, di post in post, in tre mesi è stata raccolta la cifra necessaria, in quattro mesi è stato costruito il mulino, interamente di legno e con tecniche edilizie biocompatibili, senza neppure un centesimo di fondi pubblici.
A mettere soldi e passione 101 soci, molti calabresi ma anche stranieri, con donazioni da 10.000 euro arrivate persino dalla Svizzera e dagli Stati Uniti. Fino al taglio del nastro, avvenuto il 31 gennaio scorso, e le macine che hanno preso a muoversi. Per la fase di start up sono stati utilizzati 200 quintali di grano Senatore Cappelli coltivato dalla famiglia Caccavari nei terreni di San Floro - dove esiste anche un orto sociale con 150 soci - e altrettanti di qualità Verna, provenienti da due aziende agricole di Camigliatello Silano (Cosenza), le cui farine sono già in distribuzione. Mentre per l’anno prossimo si prevede di macinare quantità molto più consistenti, grazie al grano che venti aziende calabresi stanno coltivando, con i semi messi a disposizione da Mulinum.
L'interno della struttura

“Trentamila euro sono stati spesi per acquistare semi di grano antico dal Consorzio abilitato - spiega Stefano - a giugno inizierà il raccolto e poi la macina”. La pietra è l’elemento da cui inizia questa storia coraggiosa, ma anche il punto del non ritorno, ciò che fa la differenza tra i prodotti Mulinum e quelli industriali. “La pietra macina in purezza - racconta - in un processo lento e a freddo, che non scalda il grano e non ne brucia le vitamine. Al contrario, i mulini a cilindri, venti volte più veloci, utilizzano rulli elettrici che producono calore. Le farine nate così sono più raffinate e meno nutritive. Non è un caso che i prodotti industriali abbiano una lunga conservazione mentre quelli nati dal mulino a pietra durino al massimo tre mesi”.
E se il ritorno alla tradizione è funzionale al recupero di prodotti alimentari più sani, la scelta di fare questo esperimento in Calabria è la scommessa di chi non vuole lasciare la propria terra. Stefano infatti è riuscito a riportare a casa altri giovani costretti a emigrare per cercare lavoro, come Santo e Simone, che hanno lasciato il ristorante di Londra in cui erano impiegati stabilmente come cuochi per diventare pizzaioli al Mulinum. Oppure Gualtiero, che si era sistemato in un forno a Roma e ha colto al volo la possibilità di tornare ai ritmi lenti e all’aria buona della sua regione. In totale sono cinque i dipendenti del Mulinum, la piccola impresa meridionale (a cui collaborano anche Massimiliano Caruso e Gianluca Perrella) che raccoglie consensi da tutti coloro che ci hanno a che fare, siano aziende o consumatori.
Dopo aver iniziato con le farine è stato naturale passare alla produzione di pane, pizza e dolci, la cui vendita on line oggi non riesce a soddisfare la domanda. I cento chili di pane “brunetto” sfornati quotidianamente vengono spediti in tutta Italia e l’idea di un franchising comincia a serpeggiare sempre più spesso sulle colline di San Floro, dove si valutano progetti giunti da tutta Italia, a partire dalla prima succursale della Mulinum Spa, che dovrebbe aprire in Val d’Orcia, e per la quale è stato lanciato un altro crowfunding che ha consentito di raccogliere in pochi giorni il 70% dei fondi necessari. La caccia agli investitori per i mulini da costruire nelle altre regioni è partita.

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