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17.12.24
L'intelligenza artificiale le impone il velo nel fumetto. La studentessa tunisina non ci sta
16.12.24
Il prof della Sapienza laureato con gli esami di un omonimo perde il ricorso contro l’ateneo: confermate le sanzioni disciplinari.,
Nuova batosta per Sergio Barile, il professore di Economia dell’Università La Sapienza di Roma sospeso dall’ateneo per aver ottenuto una laurea in Fisica sfruttando un caso di omonimia con un altro studente. La vicenda si trascina da anni tra sedi giudiziarie, aule accademiche e scrivanie amministrative, e culmina ora con una decisione del Tar del Lazio, che ha respinto il ricorso del docente contro le sanzioni disciplinari imposte dall’università. La vicenda è iniziata anni fa. Nel 2018 Barile viene contattato dagli uffici della Sapienza e informato che, secondo i loro registri, gli mancherebbe solo la tesi per conseguire la laurea in Fisica, titolo per cui avrebbe iniziato a studiare nel lontano anno accademico 2003-2004. In quella stessa annata, però, il professore non aveva dato nemmeno un esame. Di fatto, quella carriera accademica apparteneva a un suo omonimo, nato incredibilmente lo stesso giorno, e che era stato attivo negli studi fino a superare tutti gli esami, salvo la tesi.
La sovrapposizione dei due nomi
La confusione, farà poi sapere l’università, era stata causata da un errore informatico: durante la migrazione di dati dal vecchio sistema «Enidata» al nuovo «Infostud», le carriere accademiche dei due Sergio Barile si erano sovrapposte. Una coincidenza straordinaria, certo, ma anche un’occasione che, secondo le indagini, il professore avrebbe sfruttato senza farsi troppe domande. Nel 2019, infatti, Barile risponde al sollecito dell’università per sanare la situazione economica: paga le tasse arretrate per oltre 7mila euro e presenta domanda per discutere la tesi. In breve, completa il percorso e si laurea in fisica. Solo che, come scoperto successivamente, non aveva sostenuto alcun esame negli anni precedenti.
La scoperta della funzionaria della Sapienza
Nel 2021, al momento di ritirare la pergamena di laurea, una funzionaria della Sapienza si accorge però che qualcosa non torna. Il numero di matricola assegnato al professore corrispondeva a un altro studente, mai laureato. Partono le verifiche, e il quadro che emerge è grave: il docente avrebbe approfittato dell’errore informatico per appropriarsi della carriera accademica altrui, pur essendo consapevole di non aver sostenuto nemmeno un esame nel corso di Fisica. L’università denuncia la situazione alla Procura e, una volta concluse le indagini, il docente viene mandato a processo con l’accusa di falso ideologico. Sotto il profilo amministrativo, invece, interviene direttamente l’ateneo che cerca prima un dialogo con il docente: Barile si difende affermando di aver manifestato fin dall’inizio le sue perplessità agli uffici amministrativi, ma l’ateneo non trova riscontri di queste comunicazioni. Anzi. Da qui, l’avvio del procedimento disciplinare dell’università, culminato con una sospensione di sei mesi, la perdita dell’anzianità di servizio e l’interdizione dagli incarichi istituzionali per la stessa durata.
La decisione del Tar del Lazio
Ma Barile non ci sta. Nel tentativo di ribaltare le sanzioni, si rivolge al Tar del Lazio, sostenendo che l’università ha agito fuori dai tempi previsti dalla legge per avviare il procedimento disciplinare e che le sue azioni fossero fraintendibili come errori in buona fede. Ma i giudici amministrativi ora respingono il ricorso rifiutando ogni obiezione del docente: le scadenze non sono state violate e l’ateneo ha agito in maniera congrua, motivata e proporzionata. Secondo il Tar, Barile non poteva non sapere che quella carriera accademica non fosse sua e si è scientemente avvalso di un curriculum altrui. Inoltre, le giustificazioni del professore, come il presunto invio di comunicazioni per segnalare perplessità, non hanno trovato alcun riscontro documentale. Mentre prosegue il caso sotto il profilo penale, affinché si possa fare definitivamente luce su come sia stato possibile che un errore amministrativo di tale portata sia stato utilizzato per ottenere una laurea, il Tar ha confermato le sanzioni disciplinari inflitte dalla rettrice della Sapienza.
fonte proviene da Open.
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Solo 17 anni fa era un dormitorio. Oggi è fra i siti monumentali più visitati d’Italia. Cosa è successo a Venaria, paesotto alla periferia di Torino? Bisogna tornare alla primavera del 1996 quando Walter Veltroni, alla fine del suo ultimo comizio elettorale in piazza San Carlo a Torino viene avvicinato dal Comitato dei cittadini di Venaria che gli raccontano di una Versailles caduta a pezzi. La visita avviene con una torcia nel cuore della notte: lo scenario è una magnificenza spettrale. A Venaria Reale i Savoia, nella loro riserva di caccia, a partire dal Seicento costruiscono una reggia di 80mila metri quadrati e 60 ettari di giardini. La residenza mozzafiato ha vita travagliata: prima Napoleone la spoglia dei suoi tesori, poi sono gli stessi Savoia, tornati al potere, che la cedono al demanio per farne una caserma. Finisce abbandonata per quasi un secolo, mangiata dai rovi, devastata dai crolli e vandalizzata.
Qualche mese dopo quella visita, Veltroni diventa ministro della Cultura e annuncia il recupero della Reggia. Si lavora in squadra: il governo di centrosinistra ci mette 41,6 milioni (per trovarli, s’inventa il Lotto del mercoledì, dal quale arrivano oltre 30 milioni); la Regione Piemonte, di centrodestra, 11,4 milioni; l’Unione europea 196,7. Parte il più grande e costoso cantiere di restauro di un bene culturale mai fatto prima in Europa. Dura dieci anni e coinvolge 300 ditte, 100 progettisti e 1.800 operatori che riportano a nuovo 100mila metri quadrati di superficie, compresi 9.500 metri di stucchi e mille di affreschi. Il 13 ottobre del 2007 la Reggia di Venaria apre al pubblico.La gestione è affidata al «Consorzio delle residenze reali sabaude», formato da Ministero della Cultura, Regione Piemonte, Comune e due Fondazioni legate a Intesa Sanpaolo, che contribuiscono con 6 milioni di euro l’anno. Oggi la Reggia è conosciuta in tutto il mondo: con quasi mezzo milione di visitatori l’anno (+30% rispetto al 2022) in Piemonte si piazza al secondo posto tra i luoghi più visti, dopo il Museo Egizio. Nel 2023 ha fatturato 16,3 milioni di euro (+5,7% sul 2022), mentre quest’anno toccherà quota 17 milioni. Il modello di gestione si ispira a quello dei castelli della Loira (vedi Dataroom del 3 luglio 2024), che significa offrire arte e cultura per addetti ai lavori, e contemporaneamente visite adatte a tutti, famiglie con bambini comprese. Innanzitutto la Reggia è facile da raggiungere perché collegata anche da treni, bus e piste ciclabili, ed è aperta tutto l’anno con orario continuato. I visitatori sono accolti dalle video-proiezioni di personaggi in abiti d’epoca che li accompagnano da una sala all’altra per mostrare com’era la vita di Corte, ammirare quadri e oggetti appartenuti ai Savoia e le scuderie che ospitano il celebre Bucintoro.
IL palazzo ospita mostre d’arte importanti: da Andy Warhol a Caravaggio, a quella su Tolkien; e si può assistere allo spettacolo dei giochi d’acqua, concerti ed eventi come quello che questa estate ha illuminato i giardini con 5mila candele. La reggia si può affittare per eventi privati, ed è possibile noleggiare biciclette per raggiungere il vicino parco della Mandria. Dotata di caffetteria, gelateria, due ristoranti, uno dei quali stellato, e uno shop con centinaia di prodotti. Solo queste attività commerciali garantiscono ricavi per oltre 1,5 milioni di euro l’anno. Nelle scuderie c’è anche una scuola: il Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali. L’ingresso alla Reggia di Venaria costa 16 euro, ma con 30 euro si acquista il Royal Pass valido 4 giorni: consente di visitare 16 Residenze Reali Sabaude, la Basilica di Superga e uno sconto sul biglietto per il Museo Egizio e quello Nazionale del Cinema. Esattamente come accade nella valle della Loira, i castelli piemontesi fanno «sistema» così che i più famosi - la Reggia, Palazzo Reale e Stupinigi - trainano gli altri. Nominate Patrimonio Unesco, le Residenze Sabaude condividono un sito web in 4 lingue, iniziative di promozione e l’organizzazione di eventi collettivi, come le Camminate Reali. L’obiettivo, spiega il presidente del Consorzio, Michele Briamonte, è quello «di rendere questi beni straordinari attrattivi per il grande pubblico ma senza snaturarli, perché puntare all’auto-sostentamento significa ridurre progressivamente la necessità di contributi pubblici e allo stesso tempo fare da volano all’economia del territorio».Per avere un’idea di come ha trasformato la cittadina di 32 mila abitanti, sede di industrie dismesse, occorre leggere il rapporto del comune di Venaria del 2007: zona operaia con bassa scolarizzazione, «città-dormitorio» per chi lavora a Torino, caratterizzata da «un impoverimento sostanziale del tessuto sociale ed economico». C’è chi aveva soprannominato il centro «piazza Corleone», per via dei mafiosi mandati al confino. Anche il turismo, all’epoca legato al parco della Mandria, è «a frequentazione giornaliera, consuma risorse, lascia cumuli di rifiuti difficili da gestire e non è ben visto dalla popolazione». A 17 anni dall’inaugurazione della Reggia, i dati del comune raccontano un’altra storia: la pedonalizzazione di parte del centro storico ha visto fiorire negozi, boutique e strutture ricettive. Crescono i visitatori da tutto il mondo (+44% di presenze negli ultimi dieci anni). Gli alberghi passati dai 4 del 2007 ai 24 di oggi, e sono stati aperti 61 b&b. I ristoranti da 29 a 51. L’Osservatorio turistico del Piemonte ha valutato anche le ricadute sull’intero territorio delle Residenze Reali Sabaude: negli ultimi cinque anni le strutture ricettive sono passate da 2.065 a 6.990 (+238%), con 2,4 milioni di turisti (+11,8) che spendono mediamente a testa fino a 173 euro nelle attività commerciali della zona.Dal punto di vista del tessuto economico e sociale, il reddito medio lordo è passato dai 13.934 euro del 2007 agli attuali 22.409 euro, con un aumento del 60,8%, ben più alto – ad esempio – di quello registrato nella vicina Torino (+49%). Le imprese con oltre 50 dipendenti sono salite da 16 a 26 (in provincia di Torino sono invece calate del 2,3%). Dati che abbassano il tasso di disoccupazione: era dell’8% (più alto della media provinciale, 7,23) e oggi del 7%. Invertita anche la tendenza a una bassa scolarizzazione: i laureati sono passati dal 4% (sotto la media provinciale, che era del 7,82%) all’8%, e i diplomati saliti dal 18 al 43%. Il sindaco Fabio Giulivi non ha dubbi nel mettere in relazione questa crescita con il maxi-investimento fatto sulla Reggia: «Oggi Venaria è più bella, più sicura perché il numero dei reati è sceso, e sicuramente è una città più consapevole del proprio potenziale». Nel 2025 sarà Città europea dello Sport e da qui partirà la Vuelta di Spagna.Questo è quello che accade quando una comunità non si arrende: val la pena ricordare che i tentativi di riportare in vita quell’inestimabile patrimonio da parte di Associazioni e Comitati sono stati ignorati per decenni. E quando finalmente hanno trovato ascolto, l’investimento è stato fatto con un piano coordinato e di lungo periodo. Già a metà del secolo scorso il grande filosofo tedesco Hans Georg Gadamer scriveva: «La cultura è l'unico bene dell'umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande». E’ talmente vero che uno studio di Unioncamere dice: ogni euro investito in attività culturali e creative ne attiva altri 1,8 nell’indotto. Eppure in Italia la spesa pubblica per la cultura ci piazza agli ultimi posti in Europa: impegniamo appena lo 0,3% del Pil; peggio di noi fanno solo Irlanda, Grecia e Cipro (0,2%). Una tendenza in atto da 15 anni, e a partire dal 2025 è previsto un altro taglio di mezzo miliardo.
15.12.24
scelte difficili per un emotivo ed impulsivo\istintivo
La sera del 14 luglio 1789, giorno storico della Rivoluzione Francese, sul suo diario giornaliero Luigi XVI annota: «Oggi niente di nuovo». Mai una sensazione fu più sbagliata. Primo gennaio 1900: il direttore dell’Ufficio brevetti di New York scrive: «Quest’ufficio rischia di diventare inutile. È stato inventato tutto. Non c’è altro da inventare». Mai una previsione fu più errata. Questi due aneddoti, che come tutti gli aneddoti hanno all’origine qualcosa di vero, ci sono venuti a mente analizzando ciò che sta accadendo nel mondo e le possibili ripercussioni sul nostro futuro di europei. Anche noi, come il re francese, non percepiamo fino in fondo la pericolosità delle situazioni da noi stessi create; anche noi, come l’alto funzionario americano, facciamo previsioni insensate. Convinti che essendo noi i buoni e gli altri i cattivi, per potenza divina loro soccomberanno. Non sappiamo, per esempio, se credere alle minacce di Putin. Che possiede: il più grande arsenale nucleare, uno scarso senso dell’umorismo, un elevato grado di follia. La sua Russia è una falsa democrazia, ma con vero consenso di popolo. L’Europa, invece, non è un popolo ma una popolazione: per nulla coesa e sempre più infiacchita da ideologie strampalate. È arrivato il momento delle scelte difficili. Sarebbe catastrofico farci condizionare da sensazioni e previsioni sbagliate.
Debbo abbandondare ma per il momento non ce la faccio , mia evasione ( principalmente ) la lettura dei fumetti in particolare quelli disney . come suggerisce l'editoriale di topolino n 3603
Invece sugli altri miei probelmi ci sto lavorando e credo che dovrei iniziare a fare Let bee ( cit musicale ) e fare come sta facendo
Rosy Giglio
determinata.19 h ·
Non vale la pena trascorrere il tempo discutendo su ogni cosa. Sto imparando a non reagire a tutto ciò che mi viene riferito. Sto imparando che non ho bisogno di ferire chi mi fa del male. A volte il massimo segno di maturità è allontanarsi. Sto imparando che l’energia che spendo per ribattere e discutere mi impedisce di concentrare le energie su cose utili per me. Sto imparando che non posso piacere a tutti, e va bene così. Sto imparando che di tanto in tanto, non dire nulla, dice tutto. Sto imparando che rispondere alle provocazioni, dà potere a un’altra persona sulle mie emozioni. Non posso controllare ciò che dicono gli altri, ma posso decidere come reagire.


Luigi Mocci, il centenario che disse no al posto fisso: "Mai pentito, meglio il lavoro nei campi"
unione sarda
L’8 dicembre ha soffiato su una torta con cento candeline nella sua casa di via Orsini, a Sanluri, al fianco dell’inseparabile moglie Rosina Muntoni che di anni ne ha 98 e con la quale il 31 dicembre festeggerà 71 anni di matrimonio, traguardo che consegnerà loro il record di coppia più longeva della città. «Ci saremmo sposati anche prima, ma era morta mia madre e bisognava rispettare il lutto», spiega lei assisa sulla poltroncina dalla quale non perde mai di vista quell’ex ragazzo che dal fronte della seconda guerra mondiale le spedì un mucchio di lettere che lei conserva ancora. «Avevo chiesto il permesso a suo padre di poterle scrivere e lui mi disse “Va bene, purché non siano troppe”. Ma io appena potevo le mandavo lettere d’amore molto lunghe. Lei no, era più corta, poche righe e basta».Dunque, tornando alla carriera. «I miei genitori avrebbero voluto che lavorassi in ufficio, per questo dopo la scuola dell’avviamento iniziai all’ufficio catastale del Comune. Dovevo sistemare le carte anche dei paesi del circondario, eravamo in sette. Ma non ero felice e ogni giorno guardavo questo mio collega: aveva avuto un figlio ogni anno, il più grande ne aveva 15, ma non stava mai in famiglia e lo stipendio non bastava per mantenerla. Mi sono detto: chi me lo fa fare? E poi volevo aiutare mio padre che soffriva di asma e faceva fatica a lavorare nei terreni e badare agli animali». Da qui la decisione di mollare tutto. «Il mio capoufficio era molto credente, ogni domenica andava in chiesa per la prima messa. Allora un bel giorno l’ho aspettato fuori e gli ho detto “Da domani non vengo più”. Non ci credeva ma avevo ragione io, lì dentro non mi hanno più visto». La vita però aveva in serbo ancora molte sorprese per Luigi Mocci e il lavoro nei campi ha dovuto aspettare. Prima venne il militare. «Il primo anno l’ho fatto nel nord Sardegna. Una notte eravamo accampati a Serra Secca, a Sassari, ci svegliarono al suono di tromba e il generale annunciò “Oggi nasce la nuova Brigata Sassari”. Dovevamo tenerci pronti per partire». E così fu. Presto arrivarono la traversata da Cagliari a Napoli, il viaggio in treno per Brindisi e poi il fronte tra Bologna e Rimini e la battaglia di Monte Cassino. «Nacque il Corpo di Liberazione e noi eravamo con gli Alleati, facevamo saltare i ponti o i binari dove sarebbero passati i fascisti e i tedeschi».
L’incarico
Il rischio di finire dietro una scrivania era ancora in agguato. «Il sergente maggiore affidò a ognuno di noi un compito. Io rimasi per ultimo e alla fine mi disse “Tu stai nell’ufficio del generale”. Io gli risposi che non sapevo parlare l’americano, sapevo dire solo “okay”. Eppure ci capimmo».
A casa
Tornato a Sanluri iniziarono i preparativi per il matrimonio. «Ho trasportato ogni pietra che è stata usata per costruire questa casa. Il 31 dicembre del 1953 vennero celebrate le nozze e dall’amore tra Luigi e Rosina nacquero Brunella, Raffaele, Maria Pina e Annalisa. «In campagna ho faticato parecchio, ma sono sempre stato felice».
L'Italia dealfabetizzata: la complessità si disperde nella semplificazione mediatica e se accorgono adesso mentere prima deridevano come cassandre o complottisti i come Giulietto chiesa o Tullio de Maiuro lanciava l'allarme
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14.12.24
il caso della saga ( romanzi e serie tv ) L'amica geniale un finale aperto ed enigmatico proficuo e bello .
IL 9 dicembre è finita dopo 4 stagioni l'Amica Geniale . La serie, che ha saputo raccontare con maestria le vicende di Lila e Lenù, due amiche cresciute in un rione di Napoli, ha ottenuto un successo straordinario, con oltre 6,2 milioni di visualizzazioni su RaiPlay e più di 3 milioni di telespettatori, raggiungendo il 18,2% di share. La sua capacità di toccare le corde emotive del pubblico, grazie a una narrazione intensa e coinvolgente, ha trasformato L'amica geniale in un fenomeno culturale di portata internazionale.
[..] L’idea di Un’amica geniale 5 ha mai sfiorato l’intera squadra di lavoro, Ferrante inclusa?Non credo sia contemplabile, proprio perché il romanzo rimane romanzo. Non c'è motivo di scrivere una quinta stagione, ha funzionato di suo in questo modo. La coerenza potrebbe perdersi e diventeremmo solo dei mercanti con una fastidiosa tendenza a mercificare il prodotto. La storia è completa e conclusa, va bene così.
Le ultime parole di Lenu dedicate a Lila 
Quando la scuola non si fa carico dei problemi e non educa in profondità . Oramai è più comodo vietare che risolvere i problemi.il caso del liceo di torino dove «Resta a mangiare in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto»: sul registro la nota a due liceali
Resta in classe dalle 14 alle 14,30 nonostante il divieto». Questo è il testo della nota sul registro presa dai liceali che si sono fermati a mangiare a scuola. Segno dei tempi. Una volta veniva sanzionato chi era trovato fuori a bighellonare, oggi chi vorrebbe stare dentro, al sicuro. È successo giovedì al liceo Regina Margherita di Torino, linguistico, scienze umane ed economico sociale, dove è obbligatorio uscire nella pausa pranzo anche nei giorni in cui l’orario arriva a otto ore. Non c’è nessuno che possa sorvegliare. Per protesta alcuni ragazzi della classe 3AS, liceo economico sociale Cambridge, hanno deciso di restare, evitando di mangiare il panino fuori come fatto finora. Seduti sulle panchine o cercando ripari di fortuna in caso di pioggia. Persino in una lavanderia a gettone. I genitori avevano già scritto il mese scorso al direttore dell’Ufficio scolastico regionale Stefano Suraniti nel tentativo di trovare una soluzione al problema, dopo aver affrontato la questione con la dirigente scolastica Francesca Di Liberti. Non essendo una scuola a tempo pieno, il liceo non dispone di una mensa e non è possibile obbligare i docenti o il personale Ata a fare sorveglianza sui minori durante la pausa. Ma sta di fatto che una volta alla settimana alcune classi hanno il rientro pomeridiano per altre due ore di lezione. In questo caso, due ore di inglese in più. Quindi entrano alle 8 ed escono alle 16,30, con appena mezz’ora di pausa pranzo. Da trascorrere fuori. «La scuola ha allestito dei bellissimi spazi riposo con i fondi del Pnrr, soldi che sono stati investiti per il recupero del benessere dei ragazzi – hanno fatto notare le rappresentanti di classe nella lettera all’Usr –, ma se poi non si possono utilizzare in momenti di reale necessità non ne comprendiamo la spesa». I ragazzi hanno violato la regola che impone loro di uscire da scuola, dove non possono stare se non per le lezioni e ben sorvegliati. Ne potrebbero dedurre che non sia un luogo adeguato dove studiare, incontrarsi, dibattere. Si dirà che a scuola non si può restare fuori orario per una questione di responsabilità nei loro confronti, norme burocratiche varie, contratto collettivo nazionale del lavoro, locali inadeguati. Succede in molte altre scuole superiori, un problema simile si era presentato l’anno scorso al liceo artistico Cottini. I genitori si sono anche offerti di pagare una sorveglianza extra, come alle elementari. Ma davvero i liceali non si possono autogestire per mezz’ora? La questione sarà esaminata lunedì dal Consiglio d’istituto del Regina Margherita, chiamato a decidere per tutte le classi che hanno la pausa di mezz’ora. Ma si teme che qualunque scelta venga adottata debba aspettare il prossimo anno scolastico. Altre norme, altra burocrazia a bloccare le scuole che per altro cercano disperatamente di cambiare. Alle superiori si moltiplicano gli indirizzi, i programmi, le curvature. Ma l’organizzazione del tempo e degli spazi non si adegua e resta indietro. Sarà per il prossimo anno.Infatti «Se possiamo insegnare l’inglese ai bambini delle elementari, perché non possiamo fare lo stesso con l’educazione emotiva ed alla legalità ?». Gabriele Plumari, manager e autore di narrative psicopedagogiche, ha ben chiaro il tipo di approccio che, al giorno d’oggi, sarebbe indispensabile tra giovani e adolescenti. Nei suoi libri, infatti, l’autore affronta i drammi adolescenziali per proporre una rivoluzione educativa e culturale, ma che possa essere alla portata di tutti. «Si tratta di un’educazione non solo della mente, ma soprattutto del cuore» racconta Plumari: i suoi libri, "Paolo e i Quattro Mostri" e "10 – La Perfezione dell’Imperfezione" fanno
Per Plumari, la chiave è formare una generazione capace di affrontare le difficoltà con empatia e resilienza, rompendo il ciclo di sofferenza che troppo spesso caratterizza la crescita. L’anima creativa del manager, inoltre, ha uno stile ben preciso, basato sulla semplicità e la chiarezza. «Vorrei raggiungere tutti, anche chi non legge abitualmente. Non mi interessa impressionare con lo stile. Mi interessa che il mio messaggio arrivi forte e chiaro, e che sia capace di sostenere i bambini più vulnerabili, di formare genitori più consapevoli e di aiutare gli insegnanti a gestire la complessità delle nuove generazioni. «Dietro ogni tragedia c’è l’opportunità di riscatto, e dietro ogni difficoltà si nasconde una possibilità di crescita», aggiunge Plumari, convinto che una rivoluzione “gentile” sia indispensabile, ma perfettamente attuabile. «Basta solo volerlo. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi».
Diario di bordo \ settimana incom n 92 anno II La colpa dell'amico di Ramy, dubbi sulla svolta in siria , bonus rimpatrio , patriarcato non è solo occidente , anarchico capitalismo il centro è ancora necessario per vincere le elezioni o è una formula stantia ,
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Sulla Siria, ecco a voi il posizionamento dei grandi giornali. Il Corriere della Sera crede alla svolta dei ribelli islamici, convinto che al Jolani e i suoi "amichetti col barbone" come li etichettano in nostri teocon non imporranno la sharia in stile Isis. Repubblica, invece, è più cauta e riporta i timori delle ragazze che non vogliono la legge islamica. Una 20enne, per dire, due giorni fa si è sentita urlare da alcuni miliziani “copriti i capelli”, cosa che sotto Assad - che lei non rimpiange - non accadeva. Staremo a vedere.. Altro appunto, sempre sull’interessante intervista di Andrea Nicastro a tre donne siriane. Dice una di loro: “Prendiamo il divorzio. Per la Sharia, la legge islamica, l’uomo può ripudiare la moglie mentre lei deve chiedere al giudice. Però le musulmane divorziano. Invece per i cristiani è vietato”. Verissimo. Ma i cristiani lo vietano moralmente sia all’uomo che alla donna, a parità di condizioni, e questo fa tutta la differenza del mondo. Poi sia chiaro: su Al Jolani e il suo governo di ribelli non si può che sospendere il giudizio, in attesa di quello che verrà. La speranza è che non finisca come la Libia che, quindici anni dopo la presunta primavera araba e le bombe Nato è ancora lì a leccarsi le ferite.
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Chi scrive è dell’idea che chiunque intenda indossare il velo islamico o coprirsi i capelli come hanno fatto le nostre bisnonne ed le nostre nonne e ancora si trova in certi paesi del sud d'italia è libero di farlo. E poi : per gli immigrati , per i nuovi italiani o italiani di fede islamica tra il burqa e le tette al vento ci sarebbe una giusta via nel mezzo che può anche contemplare l’hijab, se per libera scelta. Però quando si parla di certi argomenti occorre anche fare la tara sull’educazione ricevuta: sentir dire da una siriana che “Allah ci ha omaggiate con l’obbligo dell’uomo di provvedere a noi” non è proprio il miglior viatico per l’emancipazione della donna. << Se al mondo esiste ancora una cultura patriarcale, nel senso inteso dalle femministe occidentali oggi, ecco dove si palesa >> come dicono a destra
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L’Austria ne inventa una che nemmeno i nostri Salvinisti hanno fin ora propostoo fatto invece del Superbonus, il “bonus rimpatrio”. In pratica lo Stato darà mille euro ai siriani che intendono tornare al loro Paese visto che le procedure di asilo per loro saranno sospese per un bel po’.
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Trovo divertente la frase di Javier Milei, oggi a Roma per ricevere un premio: "Io detesto lo Stato: sono dentro per poterlo distruggere". Prendiamo i popcorn e godiamoci lo spettacolo del primo esperimento di anarco-capitalismo reale.E vedremo se sarà migliore o peggio del capitalismo atttuale
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Se un ragruppamento politico a prescindere che si tratti di maggioranza o opposizione debba per per poter governare o farte una lista elettorale affidarsi ad un centrista e quindi al centrismo formula ormai logora e vetusta della politica italiana . E' il caso di Ernesto Maria Ruffini che sarà una bravissima persona, come dice Prodi “conosce il Paese (di sicuro le sue dichiarazioni dei redditi), ma è sconosciuto e a quanto mi risulta poco capace di scaldare i cuori. Una sorta di Mario Monti che non ce l'ha fatta, con la pecca ancor più tragica di aver guidato il Fisco per anni, cioè l’ente più odiato dai “borghesi moderati” e dagli evasori il cui voto dovrebbe andare a conquistare. Avete idea a quanti milioni di elettori ha fatto recapitare una cartella esattoriale in questi anni? Gli avversari politici non glielo farebbero notare ogni tre per due? I titoli si sprecano: “Mr Tasse guida il campo largo”. Annamo bene. Infatti - Ernesto Maria Ruffini assicura che non scenderà in campo. Se ha imparato a fare promesse da Lucia Annunziata, stiamo freschi. Resta ancora un mistero glorioso il motivo per cui il governo Meloni, salito al potere, abbia lasciato l’Agenzia delle Entrate uno dei pochi e enti non assegnato ai clientes o ai parenti nelle mani di un signore nominato da altri e che forse un giorno diventerà leader dell’opposizione. Mah.
13.12.24
Ha suscitato indignazione la decisione dell’Amministrazione di Palermo di concedere UN BOSS DI MAFIA, MAI PENTITO, HA PARLATO DEL SUO LIBRO IN COMUNE!
da Giallo di questa settimana
A sollevare il caso è Ismaele La Vardera,31 anni, il deputato regionale, nonché ex inviato della trasmissione “Le Iene”, Mandalà sono stati vicinissimi a Provenzano. Eppure ad Antonino Mandalà è stata concessa una sala ufficiale del Comune di Palermo per presentare il suo ultimo libro. Sì, avete capito bene, a un boss che non si è mai pentito e che non ha mai collaborato con la giustizia viene concesso di tornare, in pompa magna, nei luoghi delle istituzioni con tanto di autorizzazione da parte del
Comune. Signor sindaco di Palermo, come è possibile una cosa simile? Mi auguro che prenderà provvedimenti”. È indignato il deputato regionale nonché ex inviato della trasmissione Le Iene Ismaele La Vardera. C’È CHI LO DIFENDE: «HA SCONTATO LA PENA» In una terra di contraddizioni come la Sicilia, succede che Antonino “Nino” Mandalà, 85 anni, considerato dagli
inquirenti il capomafia di Villabate e vicino al boss Bernardo Provenzano, già condannato nel 2014 in via de"nitiva a seme anni per associazione mafiuosa e mai pentito, l'estate scorsa abbia presentato il suo romanzo “Marika” all'interno dei locali della Real Fonderia Oretea del Comune di Palermo. La vicenda ha suscitato clamore ed è defragrata in questi giorni con la denuncia pubblica da parte di La Vardera. La presentazione era stata organizzata dall'associazione “Amicizia fra i popoli”. Oltre all'autore c'rano il moderatore Antonio Dolce, la scrittrice Sandra Guddo, l'ex provveditore agli studi di Palermo Rosario Gianni Leone e Pino Apprendi, garante comunale per i diritti delle persone detenute. Quest'ultimo ha
difeso l!iniziativa: «Mandalà ha scontato la sua pena. Nei pochi incontri avuti con lui, ha manifestato la volontà di riconciliarsi con la vita a"raverso la scri"ura. Non sono un prete e non do assoluzioni, non sono un magistrato e non condanno nessuno, credo solo nel carcere che riabilita e alla vi"oria dello Stato». Non è però la prima volta che Mandalà, noto anche come “l!Avvocato” per la sua laurea in Giurisprudenza, presentava un proprio libro negli spazi del Comune di Palermo. Era già accaduto nel 2016, sempre alla Real Fonderia Oretea, per “La vita di un uomo”, romanzo dedicato al figlio Nicola all!epoca detenuto in regime di 41bis. In quella occasione al centro del diba"ito c!erano la vita dei detenuti e lo stato delle carceri, temi sempre cari a Nino Mandalà, che nel suo blog ha de#nito il 41bis «una misura disumana che contraddice tu"i gli standard proclamati dalla Costituzione italiana e dalla Dichiarazione internazionale sui diriti dell!uomo». La latitanza di Bernardo Provenzano è stata resa possibile da una rete capillare di pizzini, meticolosamente smistati da collaboratori ben rodati, mentre il boss rimaneva nascosto nelle sue masserie, nella sua terra, pronto a fuggire da un covo all!altro. Nicola Mandalà, figlio di Antonino e capo della famiglia di Villabate, condannato all!ergastolo per l!omicidio dell!imprenditore Salvatore Geraci, è stato proprio un uomo di #ducia di Provenzano, al punto da accompagnarlo nei suoi viaggi in Francia, dove veniva sottoposto a delle cure. In tanti oggi si chiedono: a cosa serve la memoria quando la stessa poi magicamente svanisce nelle sedi istituzionali in cui dovrebbe essere saldamente preservata? Nei giorni delle commemorazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lungo le strade di Palermo e nei luoghi della memoria si celebrano manifestazioni e si organizzano concerti e iniziative per sensibilizzare i giovani. Tu"o questo, con la ferma volontà di comunicare alle nuove generazioni la linea di demarcazione tra ciò che è giusto e sbagliato. Ma qualcosa, evidentemente, non ha funzionato.
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