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30.10.25

Realtà virtuale e dolore fisico: come una simulazione può alleviare la sofferenza

in curiosito     da  questa  news   


 ho  approffondito      ed ecco  cosa  ho  trovato 

 La realtà virtuale (VR) può essere utilizzata come terapia non farmacologica per il dolore, immergendo i pazienti in ambienti virtuali che distraggono dalla sensazione di dolore e promuovono il rilassamento. Questa tecnologia si dimostra efficace per alleviare sia il dolore acuto che cronico, incluso quello legato a malattie oncologiche e neuropatiche, riducendo la percezione del dolore attraverso un "shift attentivo" che riduce l'attenzione agli stimoli dolorosi. 
Come funziona

  • Distrazione e immersione: Utilizzando visori e cuffie, la VR immerge il paziente in ambienti interattivi che possono essere rilassanti (come paesaggi naturali) o coinvolgenti (come giochi).
  • Spostamento dell'attenzione: L'esperienza multisensoriale e coinvolgente aiuta a spostare l'attenzione dal dolore a un ambiente virtuale, contribuendo a ridurre la sua percezione.
  • Meccanismi fisiologici e psicologici: La VR può influenzare positivamente la biochimica e la fisiologia del paziente, aumentando la soglia del dolore e modificando la risposta del cervello agli stimoli dolorosi.
  • Applicazioni pratiche:
    • Dolore acuto: Può essere utilizzata durante procedure mediche, come quelle in oncologia, per ridurre il dolore e l'ansia durante il trattamento.
    • Dolore cronico: Programmi specifici vengono sviluppati per patologie come la fibromialgia, l'artrite e il dolore post-operatorio, offrendo esercizi di riabilitazione in modo motivante e ludico.
    • Pediatria: È particolarmente utile per i pazienti pediatrici, che possono essere più sensibili a procedure mediche, offrendo un'alternativa alle terapie farmacologiche. Vantaggi
  • È un approccio non invasivo e non farmacologico.
  • Può essere utilizzata per ridurre la dipendenza dai farmaci, come gli oppioidi.
  • Migliora l'esperienza complessiva del paziente, offrendo un maggiore comfort e riducendo l'ansia. 
SITI CONSULTATI

chi lo dice che i fantasmi siano solo per hallowen cioè 31ottobre -2 novembre


fonti   https://www.sportoutdoor24.it/viaggi/   e  wikipedia.it  e    la   copilot   

Il gotico non è solo un’epoca artistica: è un modo di guardare la realtà. Ombre, guglie, simboli e misteri che si intrecciano con la luce. Insomma, c’è un motivo per cui sempre più turisti cercano il luoghi gotici, dark e misteriosi in Italia per esperienze fuori dell’ordinario. L’Italia è famosa per il Rinascimento, ma nasconde ovunque una bellezza gotica profonda e viscerale, dai chiostri delle cattedrali del Nord ai borghi di montagna dove ancora si raccontano storie di fantasmi.I luoghi in Italia dove il gotico è un sentimento Dalle cripte sotterranee ai campanili che sfidano le nuvole, il gotico in Italia non è solo architettura: è un modo di sentire. È la ricerca di ciò che sfugge alla luce, il desiderio di scoprire la bellezza che si nasconde nell’ombra. Un invito a viaggiare con occhi diversi — e magari, ogni tanto, a lasciarsi spaventare. In senso buono.ecco una rassegna \ un viaggio tra i luoghi gotici più suggestivi da visitare in Italia.
Castello di Montebello - EMILIA ROMAGNA - Lungo la via che unisce Rimini, Bologna e Parma, si incontra una rete di manieri carichi di leggende. Il Castello di Montebello, vicino a Torriana, è famoso per il fantasma di Azzurrina, una bambina scomparsa nel 1375 e che, secondo i racconti, riappare ogni cinque anni.




 Santuario di San Bernardino alle Ossa - LOMBARDIA - A Milano, pochi lo conoscono, uno spettacolo di teschi e scheletri.





Chiesa della Gran Madre - TORINO
Secondo una tradizione infondata, la chiesa sorgerebbe sul luogo ove, nell'antichità, si trovava un tempio dedicato alla dea egizia Iside, conosciuta anche come "Grande Madre".Secondo le cronache storiche narrate dal Cibrario, nel corso dell'Ottocento davanti alla chiesa venivano esposti i cadaveri dei mendicanti o degli sconosciuti in attesa di riconoscimento; essi venivano precedentemente esposti di fronte al Palazzo Reale.Una delle due statue ai lati della scalinata, quella di sinistra, rappresenta una donna che tiene nella mano destra un libro aperto e con la sinistra leva un calice. Per gli amanti dell'esoterismo tale statua, rappresentante ufficialmente la Fede, non sarebbe altro che la stessa Madonna, con in mano il Santo Graal, e indicherebbe un punto che dovrebbe portare al ritrovamento del prezioso calice, il che indurrebbe a pensare che la leggendaria reliquia si trovi proprio in questa città.



Triora - LIGURIA - Oggi conserva ancora il suo aspetto medievale, fatto di vicoli stretti e pietre scure, e ospita un Museo della Stregoneria che racconta superstizioni e credenze popolari.



Catacombe dei Cappuccini - PALERMO, SICILIA - Migliaia di mummie — tra frati, nobili e bambini — sono esposte in silenzio.







San Galgano - Accanto, nella cappella di Montesiepi, è custodita una spada conficcata nella roccia, che secondo la leggenda apparteneva a un cavaliere diventato eremita.  Essa   è situata tra Siena e Massa Marittima, è descritta come una delle immagini più iconiche del gotico in Italia. La sua struttura è senza tetto, aperta al cielo, e questo dettaglio non è solo architettonico: diventa metafora visiva di una spiritualità che si fonde con la natura, della ricerca di luce attraverso le rovine.
🗡️ Accanto all’abbazia, nella cappella di Montesiepi, si trova la celebre spada nella roccia, che secondo la leggenda fu conficcata da Galgano Guidotti, un cavaliere che rinunciò alla vita mondana per diventare eremita. Questo gesto è carico di valore simbolico: la spada non è solo un’arma, ma un atto di pace, una rinuncia al potere e alla violenza.
 Nel contesto della pagina di https://www.sportoutdoor24.it/viaggi/  da  cui ho  preso  la  galleria  fotografica  e  parte  delle   informazioni    , San Galgano rappresenta:Un punto di convergenza tra leggenda e spiritualità.
Un esempio di come il gotico italiano sia esperienza emotiva, fatta di ombre, misteri e bellezza che sfugge alla luce.
Un invito a viaggiare con occhi diversi, cercando il sublime nell’incompiuto, il sacro nel silenzio.


Palazzo Ducale - VENEZIA, VENETO - Il gotico veneziano è unico al mondo: raffinato, scintillante e inquietante allo stesso tempo.


per  finire     buona  livella  a  tutti \e 



 

 buona livella ops due novembre

"La vita va così ": quando dire no è un atto d’amore Radici contro resort: la Sardegna che resiste

 

Una  commedia  che  fotografa  un italia legata  alle  proprie radici  anche davanti  alla necessità   di adeguarsi e  conformarsi al presente  . Riccardo Milani dopo il bel  Un mondo a parte, firma una nuova commedia sociale, La vita va così, sempre con Virginia Raffaele. Ad affiancare la popolare attrice c’è un attore che mastica risate da trent’anni, Aldo Baglio. La scintilla del film è la storia vera di un pastore
sardo che ha lottato contro i palazzinari per impedire la costruzione di un resort di lusso in Sardegna proprio sopra casa sua. . Infatti << la vita va così” non è solo la storia di un uomo che ha avuto il coraggio di dire di no. È anche la storia, ispirata a una vicenda reale, di una Comunità del nostro Paese stretta tra la necessità del lavoro e il rispetto del territorio, dove capita da sempre di essere messi uno contro l’altro, dove il conflitto porta spaccature, dolore e sofferenza. Ed è in storie come questa che cerco l’umanità che è rimasta nascosta in ognuno di noi, cercando sempre un punto di incontro possibile tra fronti opposti anche quando l’ostilità, fomentata, sembra prevalere.>> Riccardo Milani.
Esso  è    tratto abbbastanza  fedelmente   da una storia    vera  (  qui maggiori dettagli   https://tg24.sky.it/spettacolo/cinema/2025/10/27/la-vita-va-cosi-storia-vera  )  quella  di OvidioMarras: la sua determinazione, gli ostacoli, i sostenitori e le offerte milionarie rifiutate.  IL  film di Riccardo Milani ricalca fedelmente la storia di  “Dividere una comunità è una strategia vincente per esercitare il potere”, ha dichiarato il regista, riflettendo poi sul messaggio della pellicola: “Credo che si possa e si debba creare sviluppo rispettando il territorio, perché il sogno del lavoro e la difesa dell’identità dovrebbero sempre trovare un equilibrio. Depredare e deturpare l’ambiente ne diminuisce sempre il valore. Ovidio, con la sua semplicità e il suo rigore morale, ci dà una lezione di etica e dignità: non tutto si può comprare. Oggi più che mai, in un mondo dove tutto sembra piegarsi al profitto, è importante parlare di radici, valori e senso di appartenenza. L’identità dei luoghi va custodita: bisogna avere il coraggio di dire no.Ne “La vita va così come  fa  notare  https://www.locchiodelcineasta.com/l non esistono eroi mascherati o nemesi pronte a conquistare il mondo. Niente effetti spettacolari tra i palazzi newyorkesi o battaglie combattute a colpi di  cgi    cioè   senza   l’impiego di effetti visivi digitali per creare scene, personaggi o ambienti che non esistono nella realtà.E quindo   senza   un approccio narrativo o estetico esagerato, artificiale, spettacolare, dove la sostanza viene spesso sacrificata in favore della forma. Riccardo Milani, tuttavia, abbraccia una classica storia di buoni e cattivi, veicolando lo sguardo dello spettatore così da non lasciare troppi dubbi su dove sia il torto e dove la ragione. Al netto quindi di un soggetto eccessivamente deciso, che risparmia al pubblico la fatica di prendere una propria posizione, la sceneggiatura naviga in un mare tortuoso, caratterizzato da molteplici personaggi e da altrettante motivazioni che ne muovono i fili. A uno a uno, gli abitanti di questa piccola cittadina della Sardegna ci raccontano i loro sogni, le loro aspettative e la loro instancabile voglia di cambiamento. Tutto sembra integrarsi con armonia, tanto da suscitare il desiderio di scavare più a fondo nella vita di quei personaggi che, a conti fatti, restano fissati sullo sfondo come semplici comparse. Nel computo di una pellicola di appena due ore e piuttosto misurata nelle sue aspirazioni, questo grido rimane inascoltato. Così, la rappresentazione dell’Isola Tuerredda appare concreta e tangibile, ma altresì mascherata da un inesorabile velo di incompletezza.A supporto di questa lieve ma sostanziale superficialità, arrivano in soccorso i protagonisti. Se Aldo Baglio può risultare macchiettistico perché ingabbiato nei suoi tormentoni, Diego Abatantuono e Geppi Cucciari incarnano alla perfezione i loro personaggi: in un caso per il physique du rôle di cinico imprenditore e nell’altro per la naturale affinità con l’ambientazione. Il cast è impreziosito dalla straordinaria adattabilità di Virginia Raffaele, la quale appare capace di conformarsi a ruoli culturalmente e geograficamente distanti dalla sua romanità, come fosse la versione femminile dell’interprete tuttofare del cinema italiano: Pierfrancesco Favino.Le attenzioni di pubblico e critica sono inesorabilmente rivolte all’esordio cinematografico dell’ottantaquattrenne Giuseppe Ignazio Loi che, ricalcando la propria quotidianità di mansueto pastore, conferisce al personaggio un invidiabile taglio realistico e sincero, definendo così un carattere iconico e indimenticabile.Sullo sfondo di questa variopinta sfilata di comprimari, Riccardo Milani disegna un’Italia in evoluzione, la cui storia inizia all’alba del nuovo millennio e arriva sino ai nostri giorni. A cambiare sono le città, che via via sia piegano alla globalizzazione, e la tecnologia che si fa sempre più opprimente. Per contro, così come i paesaggi naturali appaiono insensibili al passare del tempo, anche i protagonisti non mostrano alcun deterioramento fisico. Lungi dall’essere un banale errore di messa in scena, seppur in contrasto con la coerenza e la continuità della narrazione, questo elemento si erge a metafora di un ideale inscalfibile e di un’immutabile solidità d’animo.  Infatti da un lato per sorreggere il ritmo di un film che si racconta tra diverse ellissi temporali, dall’altro per restituire l’idea di una società lontana di decenni, il film ricorre invano a effetti visivi posticci e si dota di una colonna sonora particolarmente coinvolgente, che con oculatezza fonda tradizione e modernità, ma a cui si fa ricorso in modo decisamente invasivo.Riscontrando ne “La vita va così” una versione apocrifa e meno spettacolare del western hollywoodiano “Mezzogiorno di fuoco”, l’esordiente non professionista Giuseppe Ignazio Loi si prende la scena e sfila tra i fotografi della Festa del Cinema di Roma come il più grande dei divi. In un Paese riconosciuto all’estero come anacronistico e stantio, Riccardo Milani indaga con intelligenza la dicotomia tra memoria e progresso, forgiando una narrazione imperfetta ma profondamente umana.

per  ulteriori   recensioni
https://www.mymovies.it/film/2025/la-vita-va-cosi/


Rovigo respinge : non vogliono soldi pubblici per migliorare la vita dei migranti La sindaca ha rifiutato dei fondi del PNRR per costruire alloggi per braccianti

A Rovigo il silenzio è più tagliente di mille parole: non è l’odio che parla, ma l’indifferenza che decide. E nel rifiuto di un tetto, si costruisce il confine tra chi merita e chi no. Infatti  Come espresso   nel  tag  consideravo i  fattti di rovigo  ( vedere  articolo sotto per  dettagli ) solo come   una  forma  di razzismo istituzionale .Ma poi vista  la  sottile  differenza   tra razzismo e discriminazione   che   in questi caso  si manifesta in modo emblematico attraverso le scelte politiche e amministrative della sindaca Valeria Cittadin, che ha rifiutato fondi del PNRR destinati alla costruzione di alloggi per braccianti agricoli migranti, bloccando di fatto il sistema di accoglienza. Infatti  ecco   🧩 Come si intrecciano razzismo e discriminazione in  questo caso  

ConcettoManifestazione nel caso di Rovigo
Razzismo istituzionaleL’idea implicita che i migranti non meritino investimenti pubblici. È una forma di razzismo che si esprime attraverso le politiche e le scelte amministrative.
DiscriminazioneIl rifiuto degli alloggi crea una disparità concreta: i braccianti migranti restano senza soluzioni abitative dignitose, esposti al caporalato e all’emarginazione.

Infatti  Razzismo qui non è espresso con insulti o slogan, ma con atti amministrativi che negano diritti e dignità. E la Discriminazione si concretizza nel non offrire pari opportunità di accoglienza e sicurezza, pur avendo risorse disponibili. 

Ma  ora  basta  parlare  io   lasciamo la  parola   all'articolo  del   https://www.ilpost.it/ Mercoledì 29 ottobre 2025

A Rovigo non vogliono soldi pubblici per migliorare la vita dei migranti
La sindaca ha rifiutato dei fondi del PNRR per costruire alloggi per braccianti, e bloccato di fatto il sistema di accoglienza
                            di Angelo Mastrandrea

Il centro di Rovigo, di sera (Angelo Mastrandrea/il Post)



La sindaca di Rovigo, in Veneto, è Valeria Cittadin. È un’ex insegnante e sindacalista della CISL, è stata eletta col centrodestra e preferisce farsi chiamare “sindaco”. Come diversi sindaci di destra, Cittadin ha posizioni molto nette sui migranti. I suoi colleghi e colleghe più pragmatici, però, accettano spesso fondi pubblici per gestire efficacemente la presenza dei migranti nelle proprie città. Cittadin, invece, questi soldi non li vuole.
Negli ultimi mesi ha cancellato un progetto per costruire alloggi e servizi per i migranti che lavorano nelle campagne, rifiutando oltre 1 milione di euro di fondi europei del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Inoltre ha bloccato il Sistema di accoglienza e integrazione (SAI) per i richiedenti asilo, quello dei cosiddetti centri di “seconda accoglienza”, più piccoli ed efficienti: altri 500mila euro all’anno. Infine ha chiesto e ottenuto di dimezzare i migranti ospitati nel Centro di accoglienza straordinaria (CAS) situato nell’ex convento dei Cappuccini, e ora vorrebbe chiuderlo.
Il suo ragionamento sembra questo: rendere la vita più difficile per le persone straniere dovrebbe scoraggiarle dal vivere a Rovigo. Il punto è che secondo diverse associazioni locali l’approccio di Cittadin non tiene conto del fatto che una persona straniera ben integrata è meno spinta ai margini della società e quindi verso la criminalità. Inoltre le limitazioni di Cittadin stanno producendo effetti poco graditi anche per il resto della popolazione locale.
Alla fine di luglio, dopo l’omicidio di un uomo di origine tunisina avvenuto durante un litigio nella centrale piazza Matteotti e alcuni altri episodi di violenza, Cittadin ha ottenuto dal governo nazionale l’istituzione nel centro della città di una «zona rossa», in cui i controlli delle forze dell’ordine sono rafforzati. Nei giorni seguenti ha emesso un’ordinanza che vieta di chiedere l’elemosina e impone limitazioni agli spostamenti negli orari serali. Cittadin ha spiegato che l’obiettivo del provvedimento è di «contrastare comportamenti che alimentano il degrado», attribuiti in particolare agli stranieri non bianchi, maschi, che di sera si incontrano nei bar del centro e in piazza Matteotti.
Con una seconda ordinanza, Cittadin ha poi esteso i divieti alla tradizionale fiera autunnale cittadina, che si è svolta dal 18 al 21 di ottobre. In quei giorni lungo le strade del centro c’erano più carabinieri, poliziotti e vigili urbani del solito. Nonostante le eccezionali misure di sicurezza la notte del 18 ottobre davanti a un bar lungo corso del Popolo, a poche decine di metri da Palazzo Roverella (l’edificio più importante della città), è stato ferito gravemente a coltellate un uomo di origine marocchina. La mattina dopo, su Facebook, Cittadin l’ha definita «una scena squallida, indegna, che si ripete ormai troppo spesso: una rissa tra cittadini nordafricani, in uno dei bar più frequentati da stranieri. È razzista dirlo? No. È semplicemente raccontare la verità».


Corso del Popolo, la strada in pieno centro in cui è avvenuto un accoltellamento (Angelo Mastrandrea/il Post)

Sul tema della sicurezza e della migrazione la sindaca Cittadin sa di poter contare su un consenso trasversale. Lo dimostra per esempio l’esito del referendum della scorsa primavera sulla cittadinanza per gli stranieri: a Rovigo votò appena il 29 per cento degli aventi diritto, e di questi il 37 per cento rispose “no” al quesito, che proponeva di dimezzare il periodo di residenza necessario a poter chiedere di diventare cittadini italiani. Poche altre città italiane hanno avuto una percentuale simile di “no”. Il Post ha provato più volte a parlare con Cittadin per questo articolo, e le ha inviato alcune domande, ma la sindaca non ha risposto.




L’ex convento dei Cappuccini dove si trova il Centro di accoglienza straordinaria (CAS) per migranti (Angelo Mastrandrea/Il Post)

Le misure di Cittadin hanno provocato diversi malumori tra i commercianti, che si sentono danneggiati. «Tante persone, soprattutto anziani e i più giovani, non escono più, soprattutto la sera», ha detto il presidente della Confcommercio locale Stefano Pattaro, parlando esplicitamente di «perdita della clientela». «Il messaggio che hanno dato con questi provvedimenti è che il centro di Rovigo è pericoloso ed è meglio non andarci, e questo ha allontanato non solo le persone del posto ma anche i turisti», dice Carlo Zagato, presidente della cooperativa Porto Alegre, che gestisce il centro di accoglienza nell’ex convento e una sartoria sociale dove lavorano alcune donne migranti.
Le persone più colpite, comunque, restano quelle migranti, che in città non hanno più spazi o iniziative riservate a loro. È possibile che per queste ragioni alcuni decidano di andarsene: in molti però vivono a Rovigo da tempo, hanno un lavoro e qualche rete informale di supporto, e insomma rimarranno qui a prescindere. Anche per questo per esempio alcune associazioni cattoliche come ACLI e Azione cattolica hanno scritto una lettera alla sindaca per chiederle di rafforzare «il sistema locale dei servizi». «Rinunciando all’accoglienza, l’amministrazione comunale si troverà comunque a dover sostenere con mezzi propri l’assistenza di singoli e famiglie migranti che si trovano sul territorio».
A Rovigo gli stranieri residenti sono poco più di 5mila, circa il 10 per cento della popolazione totale. Ogni anno ne arrivano poco meno di 1.500 con il decreto “flussi” per lavorare nelle campagne come stagionali, ma molti di loro finiscono a vivere in alloggi in subaffitto nei comuni della provincia. Altri 440, che hanno presentato una richiesta di protezione internazionale, sono ospitati nei CAS, dati in gestione dalla prefettura ad associazioni e cooperative sociali.
«Per rendere Rovigo una città tranquilla la stanno facendo diventare una città impossibile», dice il direttore della Caritas locale Davide Girotto. «Hanno cancellato tutte le misure che aiuterebbero i migranti a inserirsi, come i corsi di italiano e l’assistenza di uno psicologo per chi è in difficoltà, però poi dicono che i migranti non si vogliono integrare e quindi devono andarsene». Secondo lui a Rovigo non c’è alcuna emergenza legata alla sicurezza: i casi di violenze sono avvenuti tra persone senza dimora e si sarebbero potuti evitare se queste persone fossero state accolte e quindi fosse stata data loro una prospettiva diversa.
La Caritas ha aperto al pianterreno del seminario diocesano locale quella che viene chiamata “locanda”, che ha rimpiazzato la mensa chiusa dai francescani. Serve un pranzo gratuito fra le 11 e le 11:30. Ogni anno assiste circa 300 migranti, ma quelli che vengono a mangiare tutti i giorni sono una trentina: gli altri a quell’ora stanno tutti lavorando.
«La maggior parte di loro sono impiegati nell’agricoltura, molti lavorano anche nell’edilizia e nella logistica che noi definiamo da “nastro trasportatore”, cioè la più povera e con un’occupazione di bassa qualità», dice il segretario della CGIL locale Pieralberto Colombo. Secondo dati dell’INPS nel 2024 i lavoratori migranti nelle campagne del Polesine, in provincia di Rovigo, erano 6.500. Sono aumentati del 21 per cento dopo la morte di Satnam Singh, il bracciante indiano morto schiacciato da un macchinario mentre lavorava in nero in un’azienda agricola di Latina. Secondo il sindacato è il segno che molte aziende, temendo maggiori controlli, hanno regolarizzato i dipendenti che erano in nero.
Zagato, il presidente della cooperativa Porto Alegre, spiega che i migranti che non vengono accolti dagli enti pubblici o da associazioni e cooperative sociali finiscono spesso, soprattutto nelle campagne, in «alloggi impropri e molto affollati, gestiti dai caporali che guadagnano sul subaffitto, sul trasporto e sul vitto», in condizioni quindi di estrema vulnerabilità, che spesso si concretizza in disagi fisici e psichici.
A fine giugno nelle campagne di Porto Viro, un comune della provincia vicino al mare, la Guardia di Finanza ha scoperto 18 braccianti stranieri che lavoravano fino a 12 ore consecutive con temperature anche sopra i 30 gradi per 6 euro all’ora. Due di loro erano in nero e un terzo non aveva i documenti. Due caporali li portavano ogni mattina nei campi di quattro aziende agricole e la sera li riportavano in alloggi fatiscenti, dove non c’erano servizi igienici e docce.

L’ambulatorio nella frazione Concadirame che avrebbe dovuto essere ristrutturato (Angelo Mastrandrea/il Post)

Per arginare questo fenomeno la precedente giunta di centrosinistra aveva deciso di ristrutturare una ex scuola elementare e un ambulatorio medico a Concadirame, una frazione di 250 abitanti a nord della città. È il progetto che avrebbe portato a Rovigo 1 milione e 129mila euro di fondi europei, e che prevedeva alcune decine di posti letto, un servizio medico e sportelli di assistenza gestiti da associazioni e sindacati per contrastare almeno in parte lo sfruttamento dei lavoratori migranti.
La sindaca Cittadin però ha bloccato il progetto, perché secondo lei «il nostro comune non può farsi carico di ulteriori sacche di difficoltà».

29.10.25

James Senese e mimo jodice se ne sono andati Tuttavia, le loro opere restano una dichiarazione d’identità del nostro Sud e non solo

 In questi  giorni sono  venuti  meno   due grandi artisti napoletani   e non solo   . Il  primo è  james senese   che  con il suo sax, ha raccontato Napoli e i napoletani, le ferite e la bellezza di un mondo che non ha smesso di cercare riscatto. Figlio di un soldato afroamericano e di una donna napoletana, ha incarnato l’anima meticcia del Mezzogiorno: ribelle, poetica, viscerale.Con i Napoli Centrale, Senese ha dato voce agli esclusi e alle periferie, anticipando un linguaggio musicale e civile che univa il funk al dolore delle nostre strade.Senese è stato un artista necessario, un simbolo del Sud che non si arrende, che continua a raccontarsi con la verità della musica e la dignità della propria voce.




IL secondo è Mimmo Jodice, il fotografo che non scattava mai senza la moglie, ha lasciato Napoli orfana del suo sguardo. In ogni immagine, una pausa. In ogni pausa, una città che resiste.uno dei più

grandi fotografi italiani del secondo Novecento,la fotografia come misura della luce, del tempo, della memoria.   la Ia    di  bing   lo presenta come:

📸 Maestro della fotografia italiana, noto per il suo stile rigoroso, contemplativo, spesso in bianco e nero.
🏙️ Testimone della Napoli dimenticata, che ha ritratto con sguardo etico e poetico, lontano dagli stereotipi.

🎨 Collaboratore di grandi artisti come Andy Warhol, Sol LeWitt, Joseph Beuys, Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Alberto Burri.

🏛️ Protagonista di mostre personali in prestigiosi musei e gallerie internazionali.


gusto e sapori : salumi e formaggi il sapore di un arte antica botteghe sarde che resistono

Un profumo   che  conquista  figlio di un arte  antica  che    nel sud  d'italia   ed in particlare in  sardegna  ha    radici antiche  e profonde  sia  nella  cucina  che  nella produzione .  Infatti ci sono  antiche salumerie    specializate  nel preparli      che  ancora   resistono  



A Sassari c’è Alberti, la salumeria dei presidenti: un secolo di gusto, memoria e passione Fondata nel 1925 in via Roma la bottega ha servito avvocati politici e magistrati. Tra i clienti le famiglie di Enrico Berlinguer, Francesco Cossiga e Antonio Segni
di Rachele Falchi





Tutto inizia alla fine dell’Ottocento, quando nonna Rachele, rimasta vedova, porta avanti la famiglia con un piccolo negozio di generi alimentari all’angolo tra via Cavour e via Manno. Suo figlio Mario, poco più che ragazzino, impara presto il mestiere e a diciassette anni parte con la valigia per il “continente”. A Genova, Torino e poi Milano, lavora nelle grandi salumerie dell’epoca, respirando tecniche e professionalità che fa sue e decide di portarle per primo in Sardegna.
Nel 1925 apre la bottega di via Roma che porterà il suo nome fino ai giorni nostri. «Aveva imparato tutto ed era stato in grado di elevare il concetto di negozio alimentari racconta con orgoglio – racconta oggi con orgoglio Antonello Alberti, che per una vita ha portato avanti il lavoro cominciato da suo padre Mario –. Conosceva l’arte di bussare una forma di formaggio per sentirne il cuore, l’olfatto per capire un salume, la cura quasi maniacale per ogni dettaglio. Io son diventato discretamente bravo, ma mai alla sua altezza».
La salumeria diventa presto un punto di riferimento in città. Non solo per la qualità: «Questo mestiere non è solo servire, è anche consigliare, accompagnare le famiglie nel mangiare bene», dice Alberti. «Mio padre ripeteva sempre: “Ricordatevi che voi date da mangiare alla gente. Non potete sbagliare, perché non vendete un vestito che può essere cambiato o aggiustato: vendete qualcosa che entra nel corpo delle persone, avete una grande responsabilità”».
Negli anni, davanti a quel bancone sono passate le famiglie più note di Sassari, come quelle dei due presidenti della Repubblica, Francesco Cossiga e Antonio Segni, o del segretario del Pci Enrico Berlinguer, e non mancano gli aneddoti. «Cossiga, da ragazzo, una volta cercò di prendere una fetta di mortadella dalla macchina affettatrice… e si tagliò un dito!», racconta Alberti ridendo.
Oggi la tradizione Alberti continua grazie a Marcello Palmas e Maria Vittoria Salis, che da un paio d’anni hanno raccolto il testimone. Marcello è entrato come ragazzo di bottega nel 2009, ad appena 19 anni: è praticamente cresciuto dietro quel banco. «Provengo da una famiglia di commercianti nel settore alimentari, ma qui ho appreso tutto su cosa vuol dire davvero avere cura del cliente».
Con lui e la moglie, la norcineria ha aperto una nuova stagione: «Abbiamo potenziato la parte gastronomica – spiega –. Prima avevamo una vetrina, ora ne abbiamo due: proponiamo piatti pronti di alta qualità, dalla pescatrice alla catalana ai cibi della tradizione a seconda del periodo dell’anno».
Il negozio, però, è rimasto fedele a se stesso: gli stessi cartelli, lo stesso banco, la stessa aria di casa. «Abbiamo solo aggiunto qualcosa – dice – ma senza snaturare nulla». «Il loro compito sarà quello di anticipare le tendenze – conclude Antonello Alberti, che ancora bazzica in bottega come angelo custode –. L’importante è capire dove va la società, cosa desidera la gente e arrivarci un attimo prima».


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Mangatia, un secolo di profumi in via Università: dietro il banco c’è la storia di Sassari . Dalla campagna di Osilo al centro della città quattro generazioni di vita familiare tra formaggi, pane e memoria condivisa
                                   di Rachele Falchi





In via Università, a Sassari, dove il centro storico si stringe tra una manciata di botteghe che cercano di resistere ai tempi, c’è un profumo che non se n’è mai andato. È quello della salumeria Mangatia, aperta nel 1922 e arrivata oggi alla quarta generazione. «Tutto è cominciato con mio zio Pietro», racconta Pinuccio Mangatia, attuale titolare. «Aveva fatto il militare nei carabinieri, poi decise di aprire un piccolo magazzino qui, a Sassari. Con mio nonno Francesco, che stava fisso a Osilo, su quegli altopiani tra Nurra, Anglona e Logudoro, producevano burro, formaggi e salsicce. Mio zio caricava tutto sul calesse e veniva in città a vendere. Poi tornava in paese e ricominciava».
La bottega cresce negli anni Cinquanta, quando il padre di Pinuccio, Baingio, prende il testimone insieme alla moglie Maria Chessa, anche lei osilese. «Tutti osilesi, figli di osilesi», dice Pinuccio. «Mia madre restava in negozio anche quando mio fratello e io eravamo piccoli. Si divideva tra famiglia e bottega». Allora via Università era un’altra cosa: «Era la via Montenapoleone di Sassari – ricorda Pinuccio –. C’erano trentotto negozi, un via vai continuo di gente che andava al mercato. Tutti quelli dei paesi arrivavano alla stazione o alla fermata dei bus e passavano di qua per raggiungere l’altro punto nevralgico del centro storico, il Mercato Civico».
Il negozio è stato anche un punto d’incontro. «Da bambini giocavamo qui attorno», ricorda Pinuccio. «Ogni via aveva la sua banda. Quando avevamo fame, scappavamo in bottega per un panino con la mortadella. Il pane era quello del vicino forno Calvia».
Dopo il militare, nel 1982, Pinuccio decide di restare. Studia, si aggiorna, partecipa a corsi di salumeria a Torino e Milano, diventa anche sommelier.
Nel tempo, la bottega si consolida come un punto di riferimento in città. Pinuccio porta i sapori di Osilo e del territorio anche in televisione: alla Prova del cuoco con Antonella Clerici, presenta il pecorino di Osilo e il Granglona di Nulvi. «Non era per mettermi in mostra – precisa ma per dire che anche una piccola salumeria può rappresentare una terra e i suoi prodotti di eccellenza».
Oggi la clientela è cambiata, ma la fedeltà no. «Molti abitano fuori dal centro, ma continuano a tornare qui tutte le settimane per fare la spesa. Vengono per la salsiccia, per la ricotta mustia, per la pagnotta di Osilo, per i dolci. E poi ci sono i turisti. Ormai siamo su quasi tutte le guide nazionali più blasonate. Arrivano, entrano, e dicono: “Abbiamo letto di voi”. È una bella soddisfazione». Dietro il banco, Pinuccio lavora con la figlia Silvia, che rappresenta la quarta generazione. «Ha entusiasmo, sa usare i social, fa i reel del negozio. È lei la parte moderna di questa storia. Io ho convinto mio padre a comprare la prima macchina del sottovuoto, lei convince me a stare su Instagram». Accanto a loro ci sono Simone Tedde e Aimara Rodriguez, collaboratori fedeli.
«Sono validi e appassionati – dice soddisfatto Pinuccio Mangatia – È anche grazie a loro se riusciamo a mantenere questa qualità». Nel 2022, per i cento anni della bottega, la famiglia ha pubblicato un libro scritto da Nello Rubattu per Ludo Editore e ha festeggiato in strada, con il coro di Nulvi diretto dal fratello Fabrizio Mangatia. «Non servivano inviti - sottolinea - C’era il vino, la musica, i clienti, gli amici. Cento anni da festeggiare tutti insieme». Oggi Mangatia non è solo un negozio. È un frammento di memoria cittadina.


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Salsamenteria, la bottega dei sapori che punta su primi e secondi
di Enrico Gaviano

I fratelli Michele e Fabrizio Cherchi


Dal 1997 la famiglia Cherchi a Cagliari porta avanti un progetto di qualità che unisce salumeria e cucina. Prodotti selezionati piatti curati e una continua ricerca trasformano ogni pranzo in un’esperienza autentica fatta di passione e territorio
Dalla piccola salumeria di paese a Monserrato alla bottega con cucina nel centro di Cagliari. La “Salsamenteria” di via Sonnino ha chiuso nel 2017 un cerchio nel percorso dei fratelli Cherchi iniziato nel 1997. «Volevamo una bottega di qualità – dice Michele Cherchi – con prodotti che magari non si conoscono o si conoscono poco. Il nome Salsamenteria è stato scelto rispolverando un termine in uso nel passato e che è stato sempre sinonimo di negozio dove si vendono salumi e formaggi e altri prodotti tipici».
Partenza da Monserrato. «Abbiamo rilevato nel ‘97 una bottega in via San Gottardo tuttora aperta e dove lavora mio fratello Corrado – ricorda Michele –. Eravamo una famiglia monoreddito ma la maggior parte dei soldi veniva spesa in cibo di qualità. Una scelta che è diventata uno stile da seguire nell’attività aperta con il sostegno dei miei genitori».
Michele lavora alla Salsamenteria con il fratello Fabrizio e la sorella Alice. «La Salsamenteria è un nome che è piaciuto moltissimo anche all’agenzia a cui avevamo affidato la comunicazione per lanciare la nuova attività». Bottega con cucina dunque che ha dato a Cagliari una alternativa nel settore enogastronomico. «Fare una bottega con più servizi da offrire – spiega Michele – è stata una esigenza commerciale: non volevamo limitarci a essere aperti per fare la spesa. La cucina funziona a pranzo e non
diamo il semplice paninetto, il tramezzino, il business lunch o il sandwich».
Per esempio? «Abbiamo menù completo e fuori menù con antipasti, primi e secondi e ancora i panini: la focaccia con pancetta cotta, la tartare di manzo, la carne salada trentina, la trota salmonata e tanto ancora. Ovviamente i piatti di salumi e formaggi. In cucina Alberto Busonera e mia sorella Alice, ma tutti collaboriamo nel servizio di sala, siamo in 7 e c’è davvero bisogno del mutuo soccorso per servire ai tavoli e stare dietro i banconi». La qualità dei prodotti e la ricerca continua fa parte del lavoro che i Cherchi sta portando avanti.
«Il percorso di crescita è stato sempre nelle nostre corde, ascoltando le esigenze e le richieste dei nostri clienti – osserva Michele –. Mi sono messo a studiare dopo aver dato un’informazione sbagliata. Una cliente che aveva acquistato del blu shilton, un erborinato proveniente dall’Inghilterra, mi chiese da quale latte venisse ricavato. Risposi pecora ma poi mi venne il dubbio e scoprii che si trattava di latte vaccino». Ortofrutta, pane, conserve, caffè, vino e poi il punto forte di Salsamenteria: formaggi e salumi sardi, italiani e del resto del mondo.


«Abbiamo una novantina di formaggi diversi e un'offerta vasta di prodotti di salumeria – dice Michele –. Ovviamente l’isola è in primo piano: La Sardegna ha una qualità di materie prime alta e aziende che si sono impegnate per migliorare le loro produzioni. La biodiversità faunistica e floristica dell’isola è unica. Manca semmai la capacità di comunicare al meglio tutto questo». In particolare Michele Cherchi si sta impegnando per la promozione dei formaggi isolani. «Mi piace far conoscere questo mondo e fare dei corsi che aiutano a capire le nostre eccellenze. I formaggi sono un po’ come i vini: dipendono dal clima, dal tipo di animale che produce il latte e dalla sua alimentazione. E noi abbiamo sotto questo profilo molti punti favorevoli».

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A Oristano c’è Cibum, dal tagliere alla tavola I sapori tradizionali incontrano la ricerca. Salumi, formaggi e vini diventano esperienza. Nato nel 2016, rappresenta un nuovo modo di vivere la salumeria. Alessandro Soriga seleziona eccellenze sarde e italiane
di Caterina Cossu



Dove un tempo c’era una delle botteghe più conosciute della città, oggi si respira ancora l’aroma dei salumi e dei formaggi di qualità, ma con un’anima nuova. È la storia di Cibum, locale alle porte del centro di Oristano aperto nel luglio del 2016. Raccoglieva allora l’eredità della storica Salumeria di Epifania, punto di riferimento per gli oristanesi a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila.
Oggi il titolare Alessandro Soriga, quarantenne, l’ha fatto diventare un piccolo tempio di prelibatezze: «Dopo un'esperienza in una salumeria di quartiere, dove ho potuto imparare il mestiere dietro il banco e fare tanta formazione, ho deciso di mettermi in gioco – racconta Soriga –. L’idea è nata leggendo un articolo su una salumeria di Bologna che la mattina serviva i clienti con affettati e formaggi come in una bottega tradizionale, e la sera si trasformava in locale per apericena. Mi sono detto: perché non portare questo concetto anche a Oristano?».
Così è nato il concept di Cibum: un progetto che unisce tradizione e innovazione, e ha superato l’idea della «vecchia salumeria di quartiere». Questo è un luogo dove il gusto incontra la ricerca, l’artigianalità diventa racconto e, tra un tagliere e un calice, si continua a vivere una storia tutta oristanese di passione e qualità.
«Ho sempre detto che Cibum è in continua evoluzione perché il mondo della salumeria è pieno di stimoli – spiega –. Ogni prodotto che scopro mi suggerisce nuove combinazioni e ricette per i nostri panini, pinse e taglieri. Si tratta proprio di abbinare i sapori».
Una filosofia che si traduce quindi in una ricerca costante del prodotto artigianale, locale e nazionale, scelto direttamente da affinatori e piccoli produttori.
«Abbiamo sempre cercato le eccellenze, sia estere che italiane, ma con un’attenzione speciale per la Sardegna – spiega ancora –. La nostra isola offre una materia prima straordinaria: allevamenti e pascoli stanno migliorando e da lì nascono le vere qualità». Nel banco di via Verdi si trovano salumi di maiale sardo, qualche specialità di cinghiale e manzo, e collaborazioni con aziende locali: «Per esempio i fratelli Pinna di Gonnosfanadiga, e il marchio Bonesa di Ploaghe, insieme ad altri produttori che ruotano durante l’anno – elenca –. Tra le novità più apprezzate ultimamente c’è la mortadella di maiale sardo allevato allo stato semibrado, profumata al mirto e miele, che ha conquistato turisti e clienti locali».
Da grande appassionato e ora esperto, sul fronte dei formaggi Soriga osserva con interesse i cambiamenti del settore: «I freschi stanno prendendo piede, in stile francese. Le aziende puntano a vendere più in fretta, con stagionature più brevi, ma si trovano comunque prodotti di grande qualità, che incontrano i gusti del mercato».
Il locale è diventato in città un punto di incontro tra chi cerca un aperitivo curato e chi vuole semplicemente acquistare prodotti di alta qualità. Nella vetrina del gusto oristanese selezionata con proposte collaudate e novità sfiziose, il guanciale sardo è il re incontrastato: «È il più richiesto nei nostri panini e nelle pinse – conferma Soriga –. Ma anche pecorini, lardo e salsicce artigianali ci danno grandi soddisfazioni, affettati e nelle ricette».
E per completare l’esperienza, non mancano i consigli sugli abbinamenti: da Cibum, infatti, la cantina rispecchia la ricercatezza dei prodotti gastronomici. «Con i salumi stanno bene sia birra che vino, rosso o bianco. Ma le bollicine restano le mie preferite: sgrassano il palato e valorizzano i sapori – spiega ancora Soriga –. Ai clienti più affezionati propongo anche un gin tonic con gin sardo: un abbinamento sorprendente».

Sfiorata la tragedia: intelligenza artificiale scambia delle patatine per una pistola, ragazzino ammanettato.

Stavolta    non mi sembra  il caso di chiedere  suggerimenti  alla IA per  il  titolo   del  post  ma mi  acontento   di quello   dell'articolo Sfiorata la tragedia: intelligenza artificiale scambia delle patatine per una pistola, ragazzino ammanettato   che    ho preso da  ScreenWorld.it.







A volte la realtà supera la fantasia, e non sempre in senso positivo. È quello che è successo a Taki Allen, uno studente della Kenwood High School nella contea di Baltimore, Maryland, che si è ritrovato ammanettato e perquisito dalla polizia per aver semplicemente tenuto in mano un sacchetto di Doritos. Il motivo? Un sistema di sicurezza basato sull’intelligenza artificiale ha interpretato e confuso le sue patatine come una possibile arma da fuoco.
La vicenda solleva interrogativi importanti sull’affidabilità dei sistemi di riconoscimento automatico, specialmente quando vengono impiegati in contesti sensibili come le scuole. Allen ha raccontato la sua esperienza con parole che non lasciano spazio a interpretazioni: “Stavo solo tenendo un sacchetto di Doritos, con due mani e un dito fuori, e hanno detto che sembrava un’arma“. La conseguenza? “Mi hanno fatto inginocchiare, mettere le mani dietro la schiena e mi hanno ammanettato“.
Ma come si è arrivati a una reazione così drastica per un falso allarme? Secondo la ricostruzione fornita dalla preside Katie Smith in una comunicazione ai genitori, il sistema di rilevamento ha effettivamente generato un allarme per possibile presenza di arma da fuoco. Il dipartimento di sicurezza della scuola ha esaminato la segnalazione e l’ha cancellata, riconoscendola come un falso positivo. Tuttavia, Smith non si era immediatamente resa conto che l’allerta era stata annullata e ha proceduto a informare l’agente di sicurezza della scuola, il quale ha a sua volta contattato la polizia locale.
Il risultato è stato un intervento delle forze dell’ordine che ha coinvolto direttamente lo studente, con modalità che hanno comprensibilmente suscitato preoccupazione nella comunità scolastica. Si tratta di un episodio che mette in luce come la catena di comunicazione e i protocolli di risposta possano amplificare gli errori dei sistemi automatizzati, trasformando un malfunzionamento tecnologico in un’esperienza traumatizzante per un ragazzo. Omnilert, l’azienda che gestisce il sistema di rilevamento AI installato nella scuola, ha rilasciato una dichiarazione alla CNN in cui esprime rammarico per l’accaduto e preoccupazione per lo studente e la comunità. Tuttavia, e questo è forse l’aspetto più controverso della vicenda, l’azienda sostiene che “il processo ha funzionato come previsto“. Una affermazione che suona quantomeno paradossale, considerando che un adolescente è finito ammanettato per aver tenuto in mano uno snack.
I sistemi di rilevamento armi basati su AI analizzano le immagini catturate dalle telecamere di sorveglianza, cercando di identificare forme e pattern compatibili con armi da fuoco. Il problema è che questi algoritmi, per quanto sofisticati, possono essere ingannati da oggetti di uso comune che presentano silhouette vagamente simili. Un sacchetto di patatine tenuto in una certa posizione, con la mano parzialmente visibile, può apparentemente essere sufficiente a far scattare l’allarme. Una situazione assurda che fa capire quanto sia labile la possibilità che le intelligenze artificiali possano non rispondere nel modo corretto, come nel caso del RizzBot. La comunità di Kenwood High School si trova ora a dover elaborare questo episodio e, si spera, a rivedere le procedure per evitare che situazioni simili si ripetano. Resta da vedere se questo caso particolare porterà a modifiche nel modo in cui i sistemi di sicurezza AI vengono implementati e supervisionati nelle scuole, o se rimarrà semplicemente un’altra storia paradossale nell’era dell’automazione imperfetta.

ovviamente   ciò non vuol dire  che  sia  solo  negativa  infatti  


 

'Domani mi licenzio': la provocazione nascosta dietro la lettera murale apparsa vicino a Piazza San Silvestro a Roma

  da 'Domani mi licenzio': il messaggio nascosto dietro la lettera apparsa vicino a Piazza San Silvestro a Roma    di  https://www.funweek.it/

 È comparsa senza preavviso su un muro del centro di Roma, nei pressi di Piazza San Silvestro, attirando l’attenzione di passanti e curiosi: una lettera d’addio al lavoro dal titolo inequivocabile, “Domani mi licenzio”, stampata su un foglio A4, firmata con le iniziali “A.M.” e indirizzata ad un’azienda chiamata
“sFrutta S.p.A.”. Sembra a prima vista una provocazione ironica, ma nasconde un messaggio più profondo. Anche perché, a renderla ancora più enigmatica, c’è un QR code in fondo alla pagina che promette di spiegare le “ragioni del gesto”. Ma qual è il vero significato di quel messaggio? E dove porta il codice QR? Andiamo con ordine e partiamo dal principio. Nel testo affisso ai muri di Piazza San Silvestro si legge:

 DOMANI MI LICENZIO Datore di lavoro Responsabile delle Risorse Umane sFrutta S.p.A. Data: 22 ottobre 2025 Gentile Datore di lavoro, Con la presente, desidero formalmente presentare le mie dimissioni dalla posizione di persona infelice presso sFrutta S.p.A., con effetto a partire da domani. Questa decisione è stata difficile da prendere. Potete ascoltare le ragioni scansionando il QR code qui sotto. Vorrei esprimere il mio sincero ringraziamento? Per niente. Farò il possibile per non garantire una transizione fluida durante il mio periodo di preavviso; a cominciare da qui. Vi auguro un futuro prospero e ricco di successi. Cordiali saluti A.M. 


 Un tono decisamente sarcastico e liberatorio che ha colpito molti romani. Un messaggio addio al lavoro che diventa manifesto di chi si sente sfruttato e senza voce. Dove porta il QR di quel volantino Scansionando il QR, però, si arriva al brano “Domani mi licenzio” di Alice Mela, in cui l’artista canta: “Io domani mi licenzio e non me ne importa niente / Se non troverò di meglio, la gente non comprende”. Tra versi che oscillano tra rabbia e leggerezza, la canzone racconta il desiderio di riscatto di una generazione costretta tra lavori precari, affitti insostenibili e sogni messi sempre in pausa.  Il gesto, dunque, non è solo una provocazione urbana, ma una performance artistica: un modo per trasformare una lettera di dimissioni in un inno alla libertà personale e creativa.

ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa recensione

[...] Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare, ma che comunque fa parte della famiglia. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. E il nostro modo di amare non è diverso, Amal.[...] 
grazie a https://www.unavaligiariccadisogni.it/ per la citazione e la sua ottima recensione  e  i consigli   sul  suo facebook  Il mio percorso di lettura a tema... - » Una Valigia ricca di Sogni    per  capire  cosa  sta avvenendo In Palestina\ Israele 


 
ho finito di leggere ogni mattina a jenin di Susan Abulhawa con le lacrime agli occhi , non    sono    come m'ero promesso ed in parte c'ero riuscito ,a non  piangere.
A quanto già detto nel post precedente di cui avevo abbozzato una recensione a metà lettura posso   confermare     che ogni matina  a Jenin di   Susan Abulhawa che esso è un romanzo struggente che può fare per la Palestina ciò che il “Cacciatore di aquiloni” ha fatto per l’Afghanistan. Racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di "senza patria". Attraverso la voce di Amal, la brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja, viviamo l'abbandono della casa dei suoi antenati di 'Ain Hod, nel 1948, per il campo profughi di Jenin. Assistiamo alle drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato e diventato un soldato israeliano, il secondo che invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese. E, in parallelo, si snoda la storia di Amal: l'infanzia, gli amori, i lutti, il matrimonio, la maternità e, infine, il suo bisogno di condividere questa storia con la figlia, per preservare il suo più grande amore. La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, si snoda nell'arco di quasi sessant'anni, attraverso gli episodi che hanno segnato la nascita di uno stato e la fine di un altro. In primo piano c'è la tragedia dell'esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L'autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, racconta la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all'amore.Mi rilasso dalla tensione accomunata dalla sua lettura e in alcuni casi rilettura visto il mal funzionamento ( è un modello vecchio ) di ipad del kindle questa play list
concordo con questa recensione di © Maria Elena Bianco presa da https://www.lefrasipiubelledeilibri.it/ogni-mattina-a-jenin-susan-abulhawa/ “Pervasi dal sapore terroso della morte, quei giorni si conficcarono nei miei ricordi come particelle di polvere insanguinata, come l’odore dolciastro della vita in decomposizione e della terra bruciata”. Questo è un libro duro, specie letto da un occidentale con la vita facile. Tra le pagine la questione palestinese raccontata attraverso quattro generazioni che ci fanno camminare in un arco di tempo di 60 anni, dal 1941 al 2002. Una vita. È una saga familiare ma non di quelle a cui siamo abituati, no, è una storia atroce, dolorosa, particolare, intensa, dura. Vera. Ed è scritta con una delicatezza e poesia unica. La famiglia Abulheja, dal patriarca ai figli della nipote, Amal, voce narrante che ci racconta la sua storia, ci aiuta a capire cosa sia davvero l’atrocità della guerra. È una storia che trasuda umanità malgrado la storia di polvere e sangue in sottofondo. Commovente. Una volta entrati nel duro mondo di Amal, di sua madre Dalia, dei suoi fratelli, non ci si puó staccare da quelle pagine… Una donna che scrive di donne in un contesto in cui le donne non hanno potere di scelta e che insegna moltissimo. Nessuna delle donne protagoniste del libro ha vita facile, nessuna, eppure emerge sempre il coraggio, la forza, la resilienza. Ogni donna, anche quella mai nata, insegna al lettore una lezione.So di aver letto un capolavoro che spero leggiate.Consigliatissimo.

28.10.25

Halloween: quando la conoscenza fa più paura dei demoni di elisa lapenna

 https://nessundatodisponibile.blog/


 pensi che Halloween sia la festa di Satana, il problema non è la zucca. È la tua ignoranza benedetta.Ogni anno, la stessa processione di opinioni infervorate:


“È una festa americana!” 
“È un rito satanico!” “È solo un carnevale macabro per ragazzini travestiti!”

E ogni anno, nessuno che apra un libro prima di parlare.
Le vere origini: il Samhain celtico
Molto prima che il cristianesimo accendesse le sue candele, i popoli celtici celebravano Samhain, il passaggio tra la fine del raccolto e l’inizio dell’inverno. Era il momento in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si sfioravano, un tempo sacro di trasformazione, introspezione e rispetto per la natura.

Non c’erano mostri né diavoli, ma fuochi accesi per onorare gli spiriti e proteggere la comunità. Era la festa della ciclicità, del rinnovamento, della consapevolezza che la morte non è una fine, ma un ritorno.
Dalla persecuzione alla demonizzazione
Quando il cristianesimo si diffuse in Europa, si trovò davanti popoli che non avevano bisogno di intermediari per credere nel sacro. La terra, il sole, la luna e il fuoco bastavano. E questo, per chi voleva imporre un solo Dio e un solo potere, era inaccettabile.
Non potendo cancellare le antiche tradizioni, la Chiesa le assorbì e ribattezzò: Samhain divenne All Hallows’ Eve, la vigilia di Ognissanti. Ciò che restava, invece, fu condannato come superstizione, eresia, stregoneria.
Fu così che le sacerdotesse divennero streghe, le erbe curative divennero pozioni, e i riti della terra furono bollati come “opere del demonio”. Molti pagani vennero perseguitati, processati, arsi vivi. Il fuoco sacro dei campi si trasformò in rogo inquisitorio.
Dalla luce alla colpa: la distorsione del sacro
Curioso, vero? Le nostre chiese traboccano di corpi sanguinanti, croci, spine e dolore, come se la santità coincidesse con la sofferenza. Un’estetica macabra, eppure chiamata “sacra”.
I pagani, invece, soprattutto i Celti, veneravano la terra, la fertilità, l’equilibrio. Per loro, la morte era un passaggio naturale, non una punizione. L’oscurità non faceva paura: era solo una parte del tutto.
Poi arrivò la dottrina della colpa: il corpo divenne peccato, la conoscenza divenne pericolo, la donna divenne tentazione. E da allora abbiamo imparato a temere tutto ciò che non comprendiamo, a chiamare “male” ciò che non possiamo controllare.
La zucca e la conoscenza
La zucca non è un feticcio del demonio, ma una lanterna accesa nella notte, un simbolo di luce dentro una testa vuota. Halloween non celebra il male, ma ricorda che la paura nasce dall’ignoranza.
La vera oscurità non è fuori: è dentro chi rifiuta di capire, chi preferisce la condanna alla comprensione, la fede cieca al pensiero critico.
Halloween non è la notte dei demoni. È la notte in cui la conoscenza fa paura a chi non la possiede.

Riyad Idrissi: da Sadali a Cagliari con amore, dedica il gol contro il Verona ai genitori

da https://www.cronachedallasardegna.it/
27\10\2025

Foto: Cagliari calcio
 Riyad Idrissi, vent’anni ieri ha segnato il suo primo gol in serie A con la maglia del Cagliari contro il Verona e lo ha dedicato ai suoi genitori, che per lui hanno fatto tanti sacrifici. Come altri non avrebbero fatto dice.Riyad è di origini marocchine, nato e cresciuto a Sadali e formatosi calcisticamente nelle giovanili del Cagliari calcio, ruolo difensore.Dopo una stagione in serie B nel Modena, esordisce in prima squadra nella partita di Coppa Italia contro la Virtus Entella il 16 agosto 2025 e nel campionato di serie A il 24 agosto contro la Fiorentina.Ieri Fabio Pisacane lo mette in campo titolare dall’inizio della partita e lui ricambia la fiducia del mister segnando la sua prima rete in serie A, che da il via alla rimonta rossoblù contro il Verona al Bentegodi, poi conclusa da Felici.Idrissi gioca sia nella Nazionale U21 italiana che nella Nazionale marocchina. Lo scorso mese ha giocato con gli Azzurri contro il Montenegro e la Macedonia del Nord, portando a casa due ottime prestazioni personali.Amante della Sardegna e dei culurgiones fatti in casa che quando torna a Sadali pare non gli fanno mai mancare, Idrissi rappresenta al meglio il futuro del calcio isolano, fatto di passione, lavoro e sacrificio.Applausi e continua così Riyad.


Maria Vittoria Dettoto

L'Azione Centrata del Vasaio Trovare l'equilibrio nel cuore del movimento consapevole.da Apri la Mente Daily

“Non puoi fermare le onde, ma puoi imparare a cavalcarle.” - Jon Kabat-Zinn

Un giovane allievo si lamentava con la sua maestra vasaia. “Non riesco a trovare l’equilibrio,” diceva. “Medito la mattina e trovo la calma, ma appena inizio a lavorare, il mondo esterno mi trascina via e perdo il mio centro.” La maestra lo invitò al tornio. Prese un pezzo di argilla e lo gettò sulla ruota che girava. “L’equilibrio che cerchi nel ritiro è facile,” disse. “Ma l’equilibrio della vita non è immobilità. È
questo.” Le sue mani rimasero ferme e centrate, mentre l’argilla girava vorticosamente. L’argilla premeva contro le sue mani, e le sue mani premevano contro l’argilla. “Vedi? La ruota gira, l’argilla si muove. Le mie mani danzano con essa. Ma il mio centro,” e indicò il suo ventre, “è fermo. Non puoi fermare la ruota della vita. Ma puoi imparare a rimanere centrato mentre gira. L’equilibrio non è fuggire dal movimento; è trovare la quiete al suo interno.” La Neuroscienza dell’Azione in “Flow” L’esperienza del vasaio è nota in psicologia come “Flow” (flusso), un concetto introdotto da Mihaly Csikszentmihalyi. È uno stato di “azione consapevole” in cui siamo così immersi in un’attività che il tempo sembra svanire e il nostro senso di sé si fonde con l’azione. Neurologicamente, è uno stato di efficienza suprema. La corteccia prefrontale, sede del nostro critico interiore e della nostra auto-coscienza, riduce la sua attività (un fenomeno chiamato “ipofrontalità transitoria”). Smettiamo di analizzarci e ci affidiamo all’azione. Allo stesso tempo, le aree del cervello legate al compito sono altamente attivate e c’è un rilascio di neurochimici del benessere come la dopamina e l’anandamide. Jon Kabat-Zinn, fondatore dell’MBSR, spiega che la mindfulness è il fondamento per raggiungere questo stato. La pratica della mindfulness (essere presenti senza giudizio) allena la nostra capacità di rimanere “centrati”, come il vasaio. Questa consapevolezza diventa l’ancora stabile che ci permette di impegnarci con la “ruota che gira” della vita senza essere sbalzati via dall’ansia o dalla distrazione. Strategie per l’Equilibrio in Movimento L’equilibrio sostenibile si trova nell’azione, non nella fuga da essa. Inizia ancorandoti al respiro. Prima di iniziare un compito impegnativo, fai tre respiri profondi. Senti il tuo “centro” (spesso nell’addome). Questo è il tuo punto di quiete. Ritorna lì con l’attenzione ogni volta che ti senti sbilanciato. Pratica l’intenzione singola (Single-Tasking). Invece di dividere la tua attenzione, dedica un blocco di tempo a una sola cosa. Quando scrivi, scrivi. Quando ascolti, ascolta. Questa è l’essenza dell’azione centrata e combatte la frammentazione del multitasking. Esegui un compito quotidiano “come un rituale”. Scegli un’azione banale (lavare i piatti, preparare il caffè) ed eseguila con la piena attenzione di un maestro vasaio. Senti l’acqua, l’odore, il movimento delle tue mani. Questo allena il muscolo della presenza nell’azione. Controlla la tua postura. Il nostro corpo riflette la nostra mente. Quando ti senti stressato, probabilmente sei teso e sbilanciato. Fai un check-in posturale: raddrizza la schiena, rilassa le spalle, senti i piedi a terra. Un corpo centrato supporta una mente centrata. Ascolta il “feedback” dell’argilla. Se senti troppa resistenza o frustrazione in un compito, non spingere più forte. È un segnale che sei fuori centro. Fai una pausa, respira, e poi riprendi con un approccio più morbido e consapevole. Distingui tra azione e reazione. La reazione è impulsiva, sbilanciata e parte dall’amigdala. L’azione consapevole nasce da un centro calmo, anche se è rapida. Allenati a inserire una micro-pausa (un respiro) tra lo stimolo e la tua risposta.Pratica della Mattina: Il Rituale del Vasaio Siediti con la schiena dritta e le mani appoggiate sulle ginocchia, con i palmi rivolti verso l’alto. Chiudi gli occhi. Immagina la tua giornata come un tornio che gira. Immagina i tuoi compiti e le tue interazioni come l’argilla su di esso. Ora, senti le tue mani (la tua azione) e il tuo respiro (il tuo centro). Visualizzati mentre modelli la giornata con mani ferme, gentili e presenti, rimanendo perfettamente calmo e centrato mentre la ruota gira. Sussurra a te stesso: “Sono il centro calmo nel cuore del movimento.” L’Arte dell’Azione Centrata Spesso crediamo che l’equilibrio sia uno stato di immobilità, un lusso da trovare in vacanza o in un ritiro. Ma la vita è movimento. La vera sfida, e la vera maestria, è trovare l’equilibrio mentre danziamo. È imparare a essere come il vasaio: pienamente impegnati con il mondo, ma incrollabilmente connessi al nostro centro di quiete interiore. Non possiamo fermare la ruota, ma possiamo scegliere come rispondere al suo movimento. Possiamo irrigidirci e spezzarci, o possiamo respirare, trovare il nostro centro e imparare a modellare la nostra vita con la grazia e la potenza di un’azione consapevole.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...