19.3.06

Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano

 


In questi giorni di scontri di piazza, di noiosi duelli televisivi, di giornalismo da quattro soldi e di tante altre questioni che si aprono senza essere richiuse, io ho un moto inquieto. O meglio, sono proprio incazzata con gli eventi, con i soggetti di questa storia a passo di gambero, sempre per citare Umberto Eco. Mi chiedo come si fa a proporre ancora una volta in Europa, questa grande multinazionale della finanza e della banche, questa bandiera stellata che ancora non ci illumina, ma al massimo ci oscura ponendo l’Europa un passo indietro, verso lo stato liberale ottocentesco, questa politica neoliberista della flessibilità, che dal mio punto di vista ha solo un nome: precariato. Già il solito precariato ottocentesco alla base del rapporto servo-padrone che fa del lavoro un ricatto. Questo secondo il neoliberismo è il futuro ed invece è il passato più nero della nostra storia. Io non posso non indignarmi di fronte alla distruzione dello Stato Sociale, che avrà tanti difetti per carità, ma rappresenta nella spirale della Storia un punto d’arrivo, una concezione dello Stato che può essere migliorata, ma non abbattuta a colpi di antiche, obsolete randellate liberali. La verità è rivoluzionaria diceva Gramsci: sì, e allora vi sbatto in faccia la mia verità! La flessibilità va bene, ma solo per noi formiche, parenti ed amici si sistemano nel più sicuro angolo dell’amministrazione pubblica, dando sfogo ai clientelismi più nauseabondi della nostra classe politica. Ci chiedono di diventare imprenditori di noi stessi, ma infine il lavoro non è che quello che avremmo trovato addirittura prima della rivoluzione industriale ed oltre, quello a cottimo, quello senza sicurezze, per cui ho sentito dire ad un imprenditore noto che ci vogliono meno sicurezze e più flessibilità. Ma che mondo stiamo costruendo? Il movimento operaio lottò con tutta la veemenza della disperazione per costruire questo Stato Sociale di sanità pubblica, di istruzione di pubblica, di sicurezza sul lavoro e di un futuro pensionistico che garantisse ai suoi figli di non finire in mezzo ad una strada e di avere anche da anziani, una vita dignitosa. Dignità, ecco la parola chiave. E la nostra classe politica in piena crisi postfordista, chiuse le fabbriche, si beava delle piccole aziende del nord est, la più grande idiozia di questo secolo ormai alle spalle: oggi schiacciate dalla globalizzazione vanno nei paesi in via di sviluppo dove la manodopera è talmente a basso costo che non facciamo che creare nuove sacche di povertà e di sfruttamento, dove per anni nella civile, si fa per dire, Italia, i lavoratori erano lasciati alla mercè dei loro datori di lavoro perché trattasi di piccole imprese di massimo quindici operai dove le garanzie sindacali e legislative sono assenti. E tutti a brindare alla piccola impresa padana, ed io mi mangio le mani davanti a questo proletariato senza coscienza, a questo sindacato venduto agli interessi del partito. La contrattazione nazionale da fastidio, da fastidio cioè il potere, l’unico rimasto, della classe operaia e che se ne dica questa esiste ancora ed anzi, proprio in questo periodo di crisi quest’ultima s’allarga con la proletarizzazione dei ceti medi che deve contrastare un sottoproletariato allo sbando sempre più crescente che si butta sul primo partito che promette; spazi lasciati al notabilato, alla mafia, al clientelismo o direttamente non vota. Ritengo sia allucinante quello che oggi sta accadendo: paradossalmente sono le forze di sinistra, gli operai e tutti i lavoratori dipendenti a scendere in piazza per salvare le aziende dei propri datori di lavoro. La borghesia italiana ha dimostrato di non essere in grado nemmeno di creare ricchezza e lavoro, di fare gli investimenti che gli spetterebbero, secondo una visione liberale e capitalistica, altro che comunismo. E i comunisti? I comunisti vanno a fare i disegnini nelle tavole di contrattazione per spiegare come si gioca al “piccolo capitalista”: e dall’altra la sciagura del mondo imprenditoriale italiano, fermo agli anni ottanta, che perde denaro in borsa come al casinò. Qualcuno dovrà spiegare a questa gente che non è il monopoli. Io m’incazzo, perché anche noi formiche avremmo tanto da dire, noi che riusciamo a vedere solo l’angoscia del futuro. Il paradosso regna incontrastato: gli operai difendono il padronato dal processo di smantellamento dell’industria, per salvare posti di lavoro non certo per un atto di carità cristiana, la borghesia sperpera in borsa non investendo e non creando ricchezza se non quella delle loro ville multimiliardarie, i comunisti salvano il capitale perché la rendita è pure peggio. E gli studenti scendono in piazza per ricordare al mondo che loro sono il futuro e che questo futuro che si sta creando è precariato, povertà, un ritorno al passato spaventoso per cui, per me che mi sento europea perché vengo dalla questa storia di lotte per la dignità e per la vita davvero, non posso che schierarmi con i ragazzi francesi e dire al mondo intero “anche le formiche, nel loro piccolo, s’incazzano!”.


 


Stefania Calledda

1 commento:

AntaresStardust ha detto...

colpita da questo scritto.

Purtroppo stiamo anzi stanno costruendo un mondo meschino, perchè noi piccole formiche possiamo solo incazzarci, ma purtroppo il potere decisionale sta altrove.

C'è sempre la speranza che qualcuno di illuminato venga a dirigere la nostra politica, ma ne esisterà davvero qualcuno?

Lo spero.