Da un po’ di tempo, circola per i principali canali televisivi una sinistra pubblicità. Fatta bene, per carità, la musica giusta, le frasi giuste. È persino commovente quando ci scrive a caratteri cubitali “lottare contro un tumore e progettare una nuova casa” e continuando “avere il diabete e firmare un mutuo trentennale”, come se la disgrazia del diabete non bastasse, poi ancora “avere un bambino dopo un trapianto”. Mi verrebbe quasi da piangere se non fosse per la conclusione: “la ricerca è vita, oltre il 90% della ricerca è sostenuto dall’industria farmaceutica”. E lo dicono pure con orgoglio e con tanta positività; cioè la nostra salute, il nostro futuro è in mano ad un qualcosa che si chiama Industria, prima di tutto; siamo in mano a dei privati che decidono per il mondo intero cosa curare, come e a quale prezzo. Oltre il 90% della ricerca è finanziata da questi magnati delle multinazionali della salute, lasciando in mano a certi elementi il diritto di decidere sul presente e sul futuro dei malati. Insomma non so se andare a cercare una corda per attaccarmi al lampadario o ingurgitare acido muriatico. Perché la pubblicità sottolinea “la ricerca è vita”: ma dai, quindi siccome è vita la lasciamo fare alle multinazionali e alla qualsivoglia casa farmaceutica. Inizio a sentirmi un topolino bianco: prima ti riempiono la testa dei benefici che questi simpatici farmaci colorati possono dare, poi dopo una decina d’anni, e molte vittime lungo la strada, ti ricordano, scritto in piccolo infondo al bugiardino che potrebbe essere cancerogeno; se poi qualcuno chiede il risarcimento ti rispondono che loro non c’entrano, sui topi e sulle scimmie non ha avuto gli stessi effetti. Da una parte quindi abbiamo i nostri amici, così sottintende la pubblicità, dell’industria farmaceutica, ricercatori pagati per non ricercare paradossalmente: il loro compito è scovare malattie nuove, curarne altre, ma non troppo altrimenti mi togli la clientela, e naturalmente se ci sono effetti collaterali cercare di omettere il più possibile. Dall’altra parte invece i nostri ricercatori statali perché universitari, contratti da fame, laboratori del ’15-’18, precari a vita e se ci sono da fare tagli sulla spesa pubblica ecco la fetta più dispendiosa, per cui tagliare, tagliare, tagliare. Sottolineo il fatto che lo Stato ha tutto l’interesse nel trovare la cura di alcune malattie ecc: il malato, l’invalido, il portatore di handicap costano parecchio e ricade tutto sulle spalle del sistema previdenziale e sanitario. I privilegi restano, i malati pure.
Ogni volta che questa pubblicità mi passa davanti agli occhi penso ai camici bianchi che sono solita vedere nel Centro di ricerca che frequento. E penso a quel lunedì, quando si annunciò che i Referendum non avevano raggiunto il quorum: penso di nuovo ai camici bianchi, ai giovani ricercatori che stavano in silenzio come a dire “ma possibile che ci siamo andati solo noi?”. Una specializzanda, che sapeva che mi ero occupata della raccolta firme, mi venne incontro “hai visto?”. Sconcerto, rassegnazione e un pizzico d’amarezza, sicure entrambe che non avevano votato nemmeno i pazienti, i malati. La mia risposta tirò fuori il mio solito cinismo di circostanza “che ti devo dire, prenderemo l’aereo, come sempre, abbiamo fatto la solita figura da Repubblica delle banane”. Lei annuì. Lo stesso giorno, nemmeno a farlo a posta, un prete sedeva nella stanza del Day Hospital, ma aveva lasciato in Chiesa la tonaca del sacerdote e di lui rimaneva soltanto un uomo, sconfitto dalla malattia. I toni erano diversi da quelli dei giorni precedenti, quelli degli insulti, delle offese, dell’ignoranza e della morale a piacimento. “Ognuno è libero di pensarla come vuole” disse. Ma come? Non ero una nazista, una Mengele del 2005? Non ero una persona senza morale, passata da mangia bambini ad assassina di embrioni surgelati? Infine ammise persino che la legge era fatta male, che non bisognava mica scomodare Dio per questi fatti mondani. Chiesi quale terapia seguisse: mi rispose nessuna, perché certi farmaci, costosissimi, il Vaticano non li passa gratuitamente. Effettivamente
Stefania Calledda
4 commenti:
Come vedi non ho perso tempo ;)
grazie
Condivido, anche se solo in parte, quello che dici. Ho lavorato per 7 anni in laboratori di ricerca universitari in Italia dove i ricercatori precari a vita sono schiavi di quei pochi "baroni" che non fanno un cavolo "tanto lo stipendio è assicurato ogni mese". Ho avuto un esperienza anche negli Stati Uniti dove le cose funzionano meglio ma dove i ricercatori sono carne da macello votati alla corsa alla pubblicazione "altrimenti niente finanziamenti e tutti a casa". Mi è stata molto poco cordialmente sbattuta la porta in faccia, "non rientri nelle simpatie" mi è stato detto in occasione di un concorso per ricercatore di terzo livello. Nauseata sono andata via e passata dall'altra parte. Ora lavoro nella ricerca clinica di una azienda farmaceutica: vedo i successi di alcuni farmaci in sperimentazione sui pazienti, soffro quando qualche paziente, che accetta in tutta la libertà più assoluta di fare da "cavia", sta male. Sono a contatto con una realtà crudele, quella della sofferenza vera. Quella che non si vede da un bancone di laboratorio universitario. Certo, molte aziende farmaceutiche commettono atti tremendi, come omettere i possibili danni di un farmaco per permettere di incassare dala commercializzazione dello stesso. E questo va contro ogni etica ed è da condannare. Molte altre sono serie. Anche se prevedere tutti gli effetti collaterali di un farmaco con uno studio su qualche migliaio di pazienti è davvero impossibile. Molti si manifestano solo quando un farmaco è in commercio e usato su milioni e milioni di pazienti. Non è facile ma le aziende farmaceutiche danno speranze a chi speranze non ne ha più. Non credo che bisogna essere troppo estremisti nei giudizi: ma pensare che fino a a cento anni fa si moriva di polmonite ed ora vengono utilizzati farmaci sofisticatissimi come anticorpi monoclonali o farmaci creati con la tecnologia del DNA ricombinante. E pensare che studi di farmacogenetica potrebbero in un futuro portare alla formulazione di farmaci personalizzati è una grossa sfida che il mondo è pronto ad affrontare.
Ciao, grazie per il tuo intervento. Io vedo le cose dalla parte dei malati, ma il tuo punto di vista è molto importante. Sorido alla tua affermazione che esistono case farmaceutiche serie. Ma cara amica il problema sta a monte: le regole del mercato sono quele del profitto, della borsa, quelle del tanto acclamato business che non lacia spazio alla tua sensibilità. Perciò io non credo in questa purezza idilliaca che si va smerciando in tv.
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