5.7.08

Il male del "benessere"


Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’obesità (1) rappresenta uno dei maggiori problemi di salute dei nostri tempi. Si stima che nel mondo vivano circa 300 milioni di individui obesi, distribuiti tanto nei paesi occidentali quanto in quelli emergenti, ma con differenze: mentre nei paesi occidentali le classi sociali più a rischio sono quelle a basso tenore economico e soprattutto culturale, in quelli emergenti le persone più a rischio sono quelle appartenenti alle classi privilegiate, che utilizzano l’alimentazione come mezzo di ostentazione del proprio benessere.


 


Negli Stati Uniti, “patria” dell’obesità, nel decennio 1980-1990 la prevalenza (2) di adulti in sovrappeso o obesi era del 55.9%; nel biennio  2003-2004 essa è arrivata fino al 66.3%, seguendo una tendenza all’aumento durante il decennio 1990-2000. Per quanto riguarda l’eccesso ponderale in età evolutiva, confrontando i dati del periodo 1976-1980 con quelli del periodo 1999-2004, la prevalenza del sovrappeso tra i ragazzi di età compresa tra i 6 e gli 11 anni è raddoppiata, mentre è triplicata tra quelli di età compresa tra i 12 e i 19 anni.


 


L’Europa per quanto riguarda gli standard nutrizionali (3) si sta sempre di più avvicinando agli Stati Uniti, pur non raggiungendo ancora quelli eccessi. Nei maschi europei adulti la prevalenza è passata dal 13% del decennio 1979-1989 al 17% del periodo 1989-1996, mentre nelle femmine europee adulte è passata dal 19,4% al 21%. Per quanto riguarda l’età evolutiva, i dati sono molto variabili, in relazione all’andamento economico dei singoli stati negli ultimi 10-20 anni. A paesi con prevalenza relativamente bassa come la Russia e la Polonia, danneggiate dal crollo dei partiti comunisti, si accompagnano situazioni più gravi come quella della Spagna (aumento della prevalenza del sovrappeso tra i 6-7 anni dal 23% del 1985-1986 al 34% del 1995-1996).


 


Studi condotti sull’Italia nel 1999-2000 hanno concluso che il 33.4% della popolazione adulta era in sovrappeso, e che il 9.1% era obeso. Nel Meridione l’11.4% della popolazione era obeso, contro il 7.5% nel Settentrione. Solo il 4.5% degli obesi aveva un titolo di studio alto, contro il 15% degli obesi con licenza elementare o senza titolo. Il dato indica che la mancanza di strumenti culturali adeguati implica la non conoscenza dei rischi per la salute e delle diverse proprietà dei cibi.


I giovani italiani tra i 7 e gli 11 anni sono per il 36% in sovrappeso o francamente obesi (la più alta prevalenza in Europa). Analogamente agli adulti, la percentuale aumenta scendendo dal Settentrione verso il Meridione. La perdita della cultura della “dieta mediterranea”, soprattutto all’interno delle generazioni più giovani di genitori, fa si che attualmente la popolazione italiana in età evolutiva tenda nettamente al  sovrappeso. Considerando il titolo di studio dei genitori, emerge che la prevalenza dell’obesità durante l’età evolutiva è proporzionalmente maggiore più basso è il livello di istruzione.


 


Attualmente, il 9.8% degli adulti e il 4% dei minori oggi è obeso (IMC superiore alle 30 unità). Uno studio della Società Italiana di Obesità prevede che nel 2025 queste percentuali cresceranno, rispettivamente raggiungendo il 14% e il 12,2% (notare l’aumento importante nella fascia dei minori). L’80% dei bambini obesi non riesce a recuperare il peso ideale, diventando adulti obesi che vivranno in media 10 anni di meno.


 


Le cause del fenomeno sono note da tempo: sedentarietà in continuo aumento (lavori poco dinamici, studio, ecc.), nutrizione inadatta, che privilegia cibi ”golosi” ma a eccessivo contenuto calorico, diete condotte senza le necessarie informazioni (4), irregolarità dei pasti (eliminazione della colazione, compensata da pranzi troppo abbondanti).


 


L’obesità non è solo una questione personale, bensì collettiva e sociale: tanto per fare un esempio, a Milano ogni anno si spendono 600 milioni di euro per ospedalizzazione e cure mediche di obesità, ma anche di sovrappeso, e malattie correlate.


 


I fattori genetici, associati all’ambiente di vita, rivestono un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’obesità. Studi recenti associano l’obesità ad un vero e proprio disturbo mentale; molti soggetti obesi hanno una vera e propria dipendenza dal cibo, tale per cui si riscontra una notevole analogia tra una parte degli obesi e quegli individui che soffrono di una dipendenza da altre sostanze di varia natura. In particolare, le analogie tra questi due gruppi di soggetti sarebbero riscontrabili sia a livello comportamentale, sia a livello delle strutture cerebrali implicate. Nell’ambito delle espressioni comportamentali, gli autori evidenziano la compromissione del controllo inibitorio, i meccanismi di ricompensa, la spinta all’assunzione del cibo, la elevata sensibilità verso stimoli che scatenano la ricerca di sostanze o cibo.


 


I pareri, comunque, sono tutt’altro che univoci, sebbene la tendenza generale sia quella di propendere verso l’importante ruolo dei meccanismi psicologici e psicopatologici.


 


 


The Snatcher


 


(1) Lo stato nutrizionale umano generalmente è quantificato mediante l’IMC- Indice di Massa Corporea: esso è il rapporto tra il peso corporeo in kilogrammi e il quadrato dell’altezza in metri. Esiste una scala di riferimento che classifica lo stato nutrizionale in sottopeso, normopeso, sovrappeso, obeso, a seconda del valore di IMC.


 


(2)  Per prevalenza si intende il rapporto tra i soggetti malati al tempo t e il numero totale di soggetti al tempo t, moltiplicato per una costante C, di solito 1000 o 100000.



(3) Per alimentazione si intende il regime abituale di introduzione degli alimenti nell’organismo, mentre nel concetto di nutrizione  l’attenzione è spostata verso l’individuo, che decide che cosa introdurre all’interno del proprio organismo. Questa scelta influenza la risposta dell’organismo stesso.


 


 


(4) Un dimagrimento troppo rapido comunica al Sistema Nervoso Centrale una situazione di carestia; l’organismo allora reagisce modificando il metabolismo, predisponendolo al maggiore accumulo di grasso da utilizzare come scorta, in previsione di future carestie.


 


BIBLIOGRAFIA


 


Comodo, N., Maciocco, G.: Igiene e sanità pubblica, Carocci Faber editore, capitolo 19.


 


Santini, F., Scartabelli, G., Pincher, A.: Obesità 2006: rapporto su una pandemia. Disponibile sul sito della Società Italiana dell'Obesità




AA. VV.: L'obesità dovrebbe essere considerata un disturbo mentale? Disponibile sul sito della Società Italiana dell'Obesità


Senza titolo 659

  VI PIACE LA SERIE TV CAMERA CAFFE' ?  :-)


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4.7.08

Non ti conosco... Italia!

A parlare sempre d'amore ci si appassiona troppo. A parlare sempre d'amore si passa per sognatori.
Uno sguardo a quest'italietta che non riconosco più, o meglio, che sto ancora qui a cercare di conoscere. L'Italietta che si addormenta e si risveglia sotto il sole cocente di luglio.
Dal Duomo al Colosseo ai Templi di Agrigento è l'italietta di quelli che arraffano tutto e di quelli che arrancano per avere almeno un briciolo di niente. La classica noiosa italietta dei se, dei ma: delle certezze di pochi e le paure di tanti.
Il paesino schiavo della sua immensa grandezza, un gigante millenario poco a poco incatenato al suolo da quegli orchi che si sparano in pancia gli ultimi brandelli di tossico che c'è da spartirsi.
L'italietta dei giovani già vecchi, fiacchi nelle idee, passioni, ardore, furore adagiati placidi sul calore dei piedi comodi nelle scarpe tanto sopite e la mente bacata dai futili vessilli.
C'era un tempo il BelPaese, quello che animava con i paesaggi e la compostezza delle sue tradizioni i desideri ed il cuore di chi lo guardava da lontano.
Eccolo oggi il BelPaese martoriato da chi ne tesse le fila più spesse, abbandonato al suo destino da chi già stenta ad interpretare il proprio destino.

Era un tempo l'Italia, la culla di grandi uomini, il palcoscenico di una natura talentuosa; l'Italia luminosa aggrappata alla sua storia ed all'incanto delle sue arti.
E' l'Italietta trasandata, l'italietta consumata dalle rughe di questo nostro maledetto frenetico tempo che si avvia verso il viatico.

E' l'Italia che non riconosco più, che in realtà, sto sforzandomi adesso di conoscere

Senza titolo 658

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      Nuove stelle.


Corrono gli astri
dietro le lune
a cercar spazi
ormai raggiunti
trovando le oasi siderali
occupate
incontro
alle comete remote
s'attarda sempre più
il vagito...
di nuove stelle.

Le occasioni perdute e ritrovate. Rileggere Pascoli

E’ forse inevitabile collegare quest’autore all’infanzia. Alla mia, segnatamente. Non posso esimermene, poiché fu il secondo poeta che incontrai, dopo Ungaretti (quello della Madre, non di “M’illumino/d’immenso”) e prima di Grazia Deledda, l’altra grande passione della mia gioventù. Nell’antologia - il “libro di lettura” - i versi di Fides spiccavano dietro un’immagine di bimba attonita, dagli occhi nerissimi e curiosi, immersa in un verde lussureggiante.


Come il vastissimo parco del mio collegio: mondo protetto, involucro coalescente, lontano dalle brutture e dalle violenze della realtà esterna, e cattiva. Un luogo che sarebbe piaciuto al Pascoli, così folto di siepi che il guardo escludevano e le suore candide, madri spirituali, spose d’un marito celeste. Giardini chiusi, fonti sigillate. Eravamo bambini e lui il cantore buono delle dolci ninnenanne, dei trepidi vagiti, delle umili e fragilissime nonnine… Inevitabile non associarlo all’infanzia, ho affermato. Sì. Eppure, errato.


Certo, Fides non aveva l’andamento solenne e austero della Madre ungarettiana, e ci coinvolgeva molto di più; ma come spiegare il senso d’inquietudine, di confuso smarrimento, di strisciante malinconia che mi assaliva dopo la lettura di quei versi?


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Percezioni vaghe e incomprensibili, ma reali.


Nel 1961 Pier Paolo Pasolini - che si laureò con una tesi su di lui - così scrisse a proposito del Nostro: “Non lo amo molto, Pascoli. Egli era un uomo arido, inibito, infecondo, ma a questo sopperiva con una vasta ispirazione […] linguistica. Tutte le esperienze innovative del nostro secolo, buone e cattive, hanno avuto origine in lui. Perciò egli è importante culturalmente. E, si noti bene, tutte le tendenze stilistiche, che si sono sviluppate dai suoi esperimenti - spesso rozzi e provinciali, sia pure - sono state tipiche dell’antifascismo culturale del Novecento. Un antifascismo puramente passivo: ma è già molto”.


Pasolini aveva ragione nel definirlo innovatore linguistico: chiaro, comunicativo, immediato, vicino alla sensibilità contemporanea, se non più a un mondo rurale scomparso. Ricorreva spesso all’onomatopea, che rende “internazionale” il linguaggio poetico: non per nulla il Nostro inseriva nei suoi testi molti vocaboli stranieri (come in Italy e The hammerless gun); espressioni disusate, per l’evocativo senso del mistero; il tutto in un periodo franto, dal ritmo ora cadenzato, ora sincopato, alla Debussy (ma perché non considerarlo, in qualche misura, un antenato dei nostri migliori cantautori?).


Tra gli aggettivi che Pasolini utilizzò per descrivere l’autore romagnolo, spicca l’ultimo, severo “infecondo”. Pascoli lo era anche fisicamente: pingue, molle, greve. Rintanato nella sua casa di campagna con l’inseparabile sorella Maria, cui dedicò diverse poesie (ma tutte o quasi “a margine” della sua produzione maggiore). Il segreto di Pascoli, ingenuo e perverso, resta tale: un desiderio celato, smorzato, sublimato.


Una falsa innocenza


All’inizio del Novecento l’Europa desacralizzata perdeva definitivamente i suoi valori millenari. Alle pressanti esigenze di nuovi soggetti sociali, che si affacciavano da protagonisti alla ribalta della storia, fascismo e nazismo opposero una reazione feroce in nome del passato. Furono movimenti anti-democratici, teorizzatori della divisione tra classi ed etnie, ovviamente bellicisti e misogini; o, per usare un neologismo molto efficace di Luce Irigaray, “uomosessuali”. L’inferiorità naturale della donna, sanzionata dalla legge fino a tempi recentissimi, cominciava a venir sistematicamente contestata, promettendo autentici sconvolgimenti di consolidati equilibri. Di qui la riaffermazione - belluina, benché vana - dell’ordine, della forza, e della sottomissione.


Il timido e impacciato Pascoli, anzi, il professor Pascoli, viveva più di altri le contraddizioni d’un mondo rovesciato, crudele, affascinante e incomprensibile. Il suo smarrimento era necessariamente anche sessuale: dopo le tragiche vicende che contrassegnarono la sua giovinezza, sognava di trascorrere la sua vita “soave/tra le sorelle brave,/presso la madre pia”. Una risposta tutt’altro che virile; ma, anche l’anelito a una vita attenuata, dove l’erotismo era apparentemente rimosso, perché incuteva paura, schianto, violenza. Altro che cantore dell’infanzia!


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Valida lezione


Fosse stato più consapevole, o coraggioso, il nostro poeta avrebbe potuto diventare un vero ribelle. Ma Pascoli non aveva la forza e, forse, neppure la possibilità - non nella sua condizione, non in quell’Italia umbertina - di trasformare la sua perversione in un elemento di lotta serrata alla società e all’ipocrisia della normalità, come riuscì a Proust e, ancor più, a Gide e a Virginia Woolf. Le sue aspirazioni restavano borghesi. Ma agiva da noi; e fu “già molto”. La parte più nobile dei nostri intellettuali preferì l’ambigua dolcezza del suo umanitarismo aprico alle muscolari fanfare mussoliniane; e fu “già molto”; sedusse Pasolini; e fu “già molto”.


Ogni cosa, ogni umile oggetto, situazione, persone divenivano per lui motivo di compassione, quindi di poesia. Precursore del minimalismo? Piuttosto, paritario: nel mondo malvagio e assurdo, il desiderio, l’aspirazione, l’illusione della bontà pure resta, in qualsiasi luogo essa si nasconda; sia pure in un animo vagolante e dubitoso. Non più divisioni nette fra bene e male: e fu “già molto”.


Così il Fanciullino garrulo e antico viveva nel cuore del poeta: e fu “già molto”; fu meglio; fu giusto.

PER I BAMBINI DI KABUL

Splinder (04/07/2008) Dal blog di Franca Bassi qui Leggi ancora...

Il “grande sonno” nazional-popolare. Critica e autocritica.

                          
                           [....] io vi darò tutto, basta che non domandate nulla [.....]

                                                                   da “Nerone” di Ettore Petrolini







Si fa un gran parlare di diritti, di tolleranza, di libertà, di informazione corretta, tanto da sconfinare assai spesso nelle discussioni e suggestioni di una Storia invece scritta ad libitum, ma si presta poca attenzione a cosa siamo quando tocca fare i conti con la propria capacità di percepire il mondo che ci circonda.



A pensarci bene, non è che sia poi una novità, e se a tutto ciò si aggiunge il misto-fritto di certi “ideali” che affannano le italiche genti alle prese prima con le parate militari del 2 giugno scorso e poi con le parate di Buffon agli Europei di Calcio, ci si può rendere conto dei limiti oggettivi di un popolo che rincorre affannosamente la propria carota, anche senza il bastone.



Altro che Berlusconi e le sue leggi ad personam: il vero problema di questo Paese siamo noi, perchè l’italiano medio non ha fame di “sapere”, come ricordava una delle più importanti voci del giornalismo “dal fronte”, Paolo Barnard, recentemente intervistato da Arcoiris.tv; da tutto ciò ne consegue che il sistema dei “bastian contrari” basato sul chiasso di coloro che si “indignano”, o che si richiamano al “no alla Casta”, con ogni probabilità non serve ad un bel niente.


Sarà anche la natura umana e la cosiddetta “psicologia del gruppo” che ci accompagna fin dalla notte dei tempi, resta comunque il fatto che, se le premesse di “contestazione al Sistema” rimangono tali e le regole del “branco” non passeranno mai di moda, a nulla servirà cercare un aggancio psicologico che permetta di trasferire il proprio pathos nelle urla e invettive di un leader, comico o meno che sia.


Il discorso è ovviamente anche riferito a Beppe Grillo e al suo movimento che, genuinamente nato sotto i migliori auspici e nel fragore delle proposte “contro” e dei “parlamenti puliti”, si è invece comportato come un vero e proprio sparring partner di Antonio Di Pietro attraverso una subdola propaganda a favore de L'Italia dei Valori, contraddicendo quanto aveva invece affermato a proposito delle sue idee a-politiche in vista delle elezioni di aprile scorso (l’articolo di Stefano Montanari è esaustivo, in tal senso).





Ma, dopotutto, cosa t'aspetti da un popolo ingenuo, che non legge e non sa più scrivere, narcotizzato dai Festival di Sanremo, dalle Isole dei Famosi, da Santoro, Grillo, Vespa e dall'onnipresente partita di calcio, se non il semplice transfert collettivodella propria indignazione ?

Di fronte a certi scenari, non è inverosimile pensare che se la finestra sul futuro a disposizione di George Orwell si fosse aperta sull'Italia di oggi, probabilmente lo scrittore inglese, assieme al suo pessimismo, sarebbe caduto in depressione o, in un momento d'orgoglio e di intuizione interpretativa, avrebbe abbandonato lo scrivere per diventare attore, tuffandosi nel cinema comico e facendo da spalla a Totò ne “I due colonnelli” al posto di Walter Pidgeon, e, chissà, prendendo spunto dal nostro curioso modo di essere “contro”, avrebbe accantonato un soggetto letterario come Wiston preferendogli possibilmente Boldi o DeSica alle prese con la figona di turno.


Lo stesso Platone, nell’allegorico “mito della caverna”, avrebbe probabilmente cambiato residenza ai suoi prigionieri lasciando nella grotta (per poi turarla, ovvio..) solo chi aveva il passaporto italiano, se immaginava che neppure con gli occhiali da sole saremmo stati in grado di affrontare la luce delle nostre coscienze alterate dai falsi capipopolo di oggi.


E, in tema di caverne, neanche i Flinston, nonostante la convivenza con dei dinosauri un po’ improbabili e soprattutto rincoglioniti, avrebbero comunque sopportato tanta mostruosità di atteggiamenti in un popolo che scende per strada in massa ad ascoltare le stesse cose di sempre da Beppe Grillo, o addirittura in tremila ad attendere, fieri dei loro colori, il ritorno della squadra di calcio del cuore, come è successo a Fiumicino qualche mese fa, oppure, peggio ancora, sfidare le Forze dell’Ordine e assaltando una caserma dopo la morte di un tifoso, quando per i morti della Thyssen non ci si è sporcati neanche le mani per raccogliere le pietre necessarie ad infrangere qualche vetrata degli uffici direzionali del colosso siderurgico tedesco.




Queste sono le conseguenze di quella che si potrebbe generosamente definire “fuga dalla realtà”, che è prim’ancora una fuga dalla Storia.


Perchè c’è una Storia, o meglio una Memoria storica, che dovrebbe essere abbastanza chiara, e i custodi simbolici dovremmo esserne noi, invece stiamo vendendo le nostre energie mentali ad un presente e ad una ribellione che sa tanto di scarsa presa di coscienza.

Di solito, poi, nel torpore e nella monotonia di ciò che rimane del proprio “spirito critico”, ritornano in auge i vecchi ritornelli sul confronto destra/sinistra, di chi è meglio o peggio dell'altro, in modo tale che i fondi di magazzino della propria Memoria si mescolino per bene quel tanto da non guastare le pretese di un “consenso” che, come in una sorta di The Matrix ma “all'italiana” (cioè con tanti nei e nessun Neo), sussiste e si alimenta con una realtà volutamente sfocata.


E questo vale soprattutto per coloro che, trovandosi alla sinistra del fiume della Storia, da quarant'anni hanno veleggiato nell'alibi del monopolio democristiano come causa e dirittura d'arrivo dello sfascio di questo Paese, quando non viene mai ricordato che la Storia di questo Paese è passata (purtroppo) per Teano ma si è fermata anche a Salerno, e non a Eboli: lì ci si è fermato solo Cristo, il primo comunista della storia.... fino a quando non ha conosciuto il compagno Togliatti e la sua amnistia, che di fatto ha chiuso un occhio sui crimini commessi durante il Ventennio, fino a chiuderli tutti e due nel permettere alle Questure italiane di rimanere nelle mani degli ex-appartenenti all' OVRA.

E poi c’è chi ancora se la prende solo con Andreotti e Craxi…quando il tutto il Sistema era ed è sorretto dalle alleanze della partitocrazia, dall'estrema Sinistra fino all'estrema Destra.

Occorre solo documentarsi per ottenere la rivelazione, e di libri in materia ce ne sono a bizzeffe, sempre se interessa l'argomento o che la cosa non ci stravolga troppo il divenire.


Altro che “compromesso storico”: il vero compromesso è stato raggiunto molti anni prima, quando in quel di Yalta i “Metternich” dell'epoca, di comune accordo, non fecero che ribadire il concetto di “espressione geografica” per l’Italia post-bellica, dal momento che tutti i Paesi, soprattutto i “vinti”, in realtà non furono mai messi veramente in condizione di scegliere, grazie anche alle compiacenze dei “valletti” politici dell’opposizione, vale a dire gli allora Pci e Psi.


Detto a mò di postilla, comunque è proprio vero: i comunisti di una volta erano tutta un'altra cosa.


E meno male che c'è l'ex sessantottino “di ferro” Mario Capanna a farci ancora ben sperare, grazie alla sua recente e inaspettata presa di posizione a favore dell’ex missino Gianni Alemanno a Sindaco di Roma perché “è contrario agli Organismi Geneticamente Modificati”(!).


Parafrasando, è un po’ come dire “Il cetriolo, anche se fa male, può anche andare bene. L’importante è che non sia transgenico”.



Ora, pensando al presente, come si fa a parlare di “cambiamento”, soprattutto con siffatti campioni di coerenza e con “tifosi” così distratti?

Cambiare da che cosa, poi? Da Berlusconi a Veltroni? Oppure ritornare al più disastroso Governo dal Secondo Dopoguerra in poi, retto da Romano Prodi nell’ultimo biennio?


Che senso hanno parole come “partecipazione”, “attivismo”, se non sappiamo neanche cosa cambiare e perchè?
Sarà sufficiente buttarsi nel mucchio di coloro che si richiamano a Grillo e ai “grillini”, per far pace con se stessi e poi raccontare al proprio vicino in pantofole “io non c’entro niente con tutto questo, ero in piazza con Grillo”?


No, troppo comodo, essere “contro” a queste condizioni.

Troppo comodo criticare il “conflitto d’interessi”, quando per quarant’anni abbiamo tollerato altri interessi e ben altri conflitti.


Troppo comodo parlare di “lavoro precario” e non rammentare come ci siamo fatti infinocchiare e cuocere alla piastra quando abbiamo creduto, ad esempio, alla storiella della “scala mobile che aumenta l’inflazione”. Il Sistema si legittima con il “consenso”.


Il “consenso” non significa solo votare Tizio o Caio: significa anche il rifiuto delle regole del buon senso e la scarsa conoscenza di ciò che ci circonda.


Ma il“consenso” è anche una parte non ben definita del Sistema che insegna a sbraitare e a contestare senza leggere il presente e soprattutto il passato, soprattutto quando alcune iniziative (come le “liste civiche”) valgono meno dell’aria fritta, e sanno tanto di pettinatura mascherata con il “riporto” per chi capelli non ne ha.



Con un po’ di nostalgia per i vecchi “caffé” letterari di una volta, sarebbe veramente opportuno ricominciare prima a riaccendere quel mozzicone di candela sito nel profondo della nostra scatola cranica e poi discuterne tra noi, dopo un buon bicchiere e un bel libro, e soprattutto aggiornare l'attualità con le proprie parole attraverso uno strumento così potente e (ancora) libero come Internet.


Poi ne riparliamo, ma con cautela.

Perché non si sa mai: visti i tempi che corrono, dopo le impronte digitali ai bimbi Rom e la riabilitazione dell’energia nucleare nonostante un referendum contrario, non è escluso che si possa proprio trovare un pretesto per bruciare i libri, magari per fronteggiare una possibile crisi energetica.


E anche questa, tutto sommato, non sarebbe una novità.


Quei pochi che hanno letto Bradbury ne sanno qualcosa, come coloro che hanno vissuto il rogo di Berlino.




Solo fantascienza o passato ormai lontano?

Sarà, intanto però qui da noi sembra che ci siano già le prove generali, fintanto che si riesca ad esplorare  il nostro personale universo, a partire dalle mura di casa,ammesso che se ne abbia voglia.

Per pensare (senza affaticarci mica tanto) ad un mondo nuovo.Anche nel semplice gesto di guardarsi un poco allo specchio e capire che la nostra realtà “riflessa”, per quanto ovvia e comunque vera, potrebbe aiutarci ad interpretare le ombre cinesi (..pure qua) che assalgono la nostra quotidianità.


Autore: Salvatore (HAVEADREAM) blog Liberi finalmente liberi

Le occasioni perdute e ritrovate. Rileggere Pascoli

E’ forse inevitabile collegare quest’autore all’infanzia. Alla mia, segnatamente. Non posso esimermene, poiché fu il secondo poeta che incontrai, dopo Ungaretti (quello della Madre, non di “M’illumino/d’immenso”) e prima di Grazia Deledda, l’altra grande passione della mia gioventù. Nell’antologia - il “libro di lettura” - i versi di Fides spiccavano dietro un’immagine di bimba attonita, dagli occhi nerissimi e curiosi, immersa in un verde lussureggiante.

Come il vastissimo parco del mio collegio: mondo protetto, involucro coalescente, lontano dalle brutture e dalle violenze della realtà esterna, e cattiva. Un luogo che sarebbe piaciuto al Pascoli, così folto di siepi che il guardo escludevano e le suore candide, madri spirituali, spose d’un marito celeste. Giardini chiusi, fonti sigillate. Eravamo bambini e lui il cantore buono delle dolci ninnenanne, dei trepidi vagiti, delle umili e fragilissime nonnine… Inevitabile non associarlo all’infanzia, ho affermato. Sì. Eppure, errato.
Certo, Fides non aveva l’andamento solenne e austero della Madre ungarettiana, e ci coinvolgeva molto di più; ma come spiegare il senso d’inquietudine, di confuso smarrimento, di strisciante malinconia che mi assaliva dopo la lettura di quei versi?
Percezioni vaghe e incomprensibili, ma reali.
Nel 1961 Pier Paolo Pasolini - che si laureò con una tesi su di lui - così scrisse a proposito del Nostro: “Non lo amo molto, Pascoli. Egli era un uomo arido, inibito, infecondo, ma a questo sopperiva con una vasta ispirazione […] linguistica. Tutte le esperienze innovative del nostro secolo, buone e cattive, hanno avuto origine in lui. Perciò egli è importante culturalmente. E, si noti bene, tutte le tendenze stilistiche, che si sono sviluppate dai suoi esperimenti - spesso rozzi e provinciali, sia pure - sono state tipiche dell’antifascismo culturale del Novecento. Un antifascismo puramente passivo: ma è già molto”.
Pasolini aveva ragione nel definirlo innovatore linguistico: chiaro, comunicativo, immediato, vicino alla sensibilità contemporanea, se non più a un mondo rurale scomparso. Ricorreva spesso all’onomatopea, che rende “internazionale” il linguaggio poetico: non per nulla il Nostro inseriva nei suoi testi molti vocaboli stranieri (come in Italy e The hammerless gun); espressioni disusate, per l’evocativo senso del mistero; il tutto in un periodo franto, dal ritmo ora cadenzato, ora sincopato, alla Debussy (ma perché non considerarlo, in qualche misura, un antenato dei nostri migliori cantautori?).

Tra gli aggettivi che Pasolini utilizzò per descrivere l’autore romagnolo, spicca l’ultimo, severo “infecondo”. Pascoli lo era anche fisicamente: pingue, molle, greve. Rintanato nella sua casa di campagna con l’inseparabile sorella Maria, cui dedicò diverse poesie (ma tutte o quasi “a margine” della sua produzione maggiore). Il segreto di Pascoli, ingenuo e perverso, resta tale: un desiderio celato, smorzato, sublimato.

Una falsa innocenza
All’inizio del Novecento l’Europa desacralizzata perdeva definitivamente i suoi valori millenari. Alle pressanti esigenze di nuovi soggetti sociali, che si affacciavano da protagonisti alla ribalta della storia, fascismo e nazismo opposero una reazione feroce in nome del passato. Furono movimenti anti-democratici, teorizzatori della divisione tra classi ed etnie, ovviamente bellicisti e misogini; o, per usare un neologismo molto efficace di Luce Irigaray, “uomosessuali”. L’inferiorità naturale della donna, sanzionata dalla legge fino a tempi recentissimi, cominciava a venir sistematicamente contestata, promettendo autentici sconvolgimenti di consolidati equilibri. Di qui la riaffermazione - belluina, benché vana - dell’ordine, della forza, e della sottomissione.
Il timido e impacciato Pascoli, anzi, il professor Pascoli, viveva più di altri le contraddizioni d’un mondo rovesciato, crudele, affascinante e incomprensibile. Il suo smarrimento era necessariamente anche sessuale: dopo le tragiche vicende che contrassegnarono la sua giovinezza, sognava di trascorrere la sua vita “soave/tra le sorelle brave,/presso la madre pia”. Una risposta tutt’altro che virile; ma, anche l’anelito a una vita attenuata, dove l’erotismo era apparentemente rimosso, perché incuteva paura, schianto, violenza. Altro che cantore dell’infanzia!
Valida lezione

Fosse stato più consapevole, o coraggioso, il nostro poeta avrebbe potuto diventare un vero ribelle. Ma Pascoli non aveva la forza e, forse, neppure la possibilità - non nella sua condizione, non in quell’Italia umbertina - di trasformare la sua perversione in un elemento di lotta serrata alla società e all’ipocrisia della normalità, come riuscì a Proust e, ancor più, a Gide e a Virginia Woolf. Le sue aspirazioni restavano borghesi. Ma agiva da noi; e fu “già molto”. La parte più nobile dei nostri intellettuali preferì l’ambigua dolcezza del suo umanitarismo aprico alle muscolari fanfare mussoliniane; e fu “già molto”; sedusse Pasolini; e fu “già molto”.
Ogni cosa, ogni umile oggetto, situazione, persone divenivano per lui motivo di compassione, quindi di poesia. Precursore del minimalismo? Piuttosto, paritario: nel mondo malvagio e assurdo, il desiderio, l’aspirazione, l’illusione della bontà pure resta, in qualsiasi luogo essa si nasconda; sia pure in un animo vagolante e dubitoso. Non più divisioni nette fra bene e male: e fu “già molto”.
Così il Fanciullino garrulo e antico viveva nel cuore del poeta: e fu “già molto”; fu meglio; fu giusto.








Cosa sai sul Trattato di Lisbona?

Cio che leggerai ti richiede 11 minuti del tuo tempo.. Si invita nel far circolare questo video ed informazioni.
http://it.youtube.com/watch?v=hY4bWFlPqts
Utile, ai fini della comprensione, anche questo articolo:
http://www.disinformazione.it/trattato_lisbona2.htm


Come potete, guardate anchequesto video, mai mandato dai media, e poi, se siete d'accordo, firmate la petizione per fermare il Trtato di Lisbona:http://it.youtube.com/watch?v=I0ldy6g8jEM



 




RAGAZZI FIRMIAMO TUTTI QUESTA PETIZIONE ON-LINE.....

COME L'IRLANDA, ESIGIAMO UN REFERENDUM SUL TRATTATO DI LISBONA, CHE POTETE LEGGERE INTEGRALMENTE NELLO STESSO SITO ( link quì sotto) DELLA PETIZIONE PRO-REFERENDUM!!!!

FIRMATE E DIFFONDETE:FERMIAMO QUEST'ASSURDO TRATTATO!!!!!
GRAZIE!!!
x09.eu/it/sign/






Senza titolo 657

  LA CONOSCETE LA FIABA IL SACCHETTO CON DUE SOLDI ?  :-)


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OLTRE LA PORTA

Grazie mio caro cla400 it.youtube.com/user/cla400




<
oltre la porta vi è il luogo dei miei sogni
è un mondo azzurro ed è tranquillo
non è un errore sognare
questa è la regola
non è mai un errore
lascia tutto dietro di te...e respira
ogni palpito del tuo cuore
disegna libero
ribellioni amorevoli
è grandioso concepire
che malgrado tutto
ancora riesci
sognare
e lontani
buffi litigi
non t'inquinano
e percezioni luminose
ti vengono a salutare
per condurti nel mare della luce
ascoltati
non ti dimenticare
come bisogna essere
e se pensieri cupi sopraggiungono
soffia con l'anima
e farai fiorire ciò che non voleva
la luce qui ti è testimone
qui la tua anima torna fanciulla
e vedi dentro l'invisibile
un dio che ama ancora i sogni
e tutti noi
questa è la porta
ora puoi ritornare quando vuoi
sognare non è un errore

Cado in ginocchio...

 



amnesty



Ogni  giorno
abbraccio rabbie
scivolando  su asfalti freddi
in ricerca  di  togliere
tali  disperazione che l'anima ascolta.
Non riesco
a  gioire
leggendo  i quotidiani
 guardare i  volti immortalati
con sorrisi finti ,insicuri
e  poi  parlano di  sicurezza!
Dialogo per  una Pace Mondiale
diplomazia  solo per portare  ancora  uomini
al macello!
Fermate la  violenza
si
ronde a  quattro nei  viali
con fiori ai balconi.
Cado in ginocchio
su  sassi  marchiateci tutti
con il fuoco per l'intolleranza
razziale
il dolore  arriva sino  al  cuore mio!

3.7.08

lo so che non è bello rubare il template altrui ma è troppo bello

termplate  del bellissimo blog  www.splinder.com/profile/IrisCatter


La forza è DONNA!

betancourt-Bogotá, 25 dicembre 1961) è una politica colombiana.


Figlia di un ex ministro dell'educazione e di una ex senatrice, ha vissuto all'estero la maggior parte della propria vita, soprattutto in Francia, dove ha studiato presso l'Institut d'études politiques di Parigi.
Militante nella difesa dei diritti umani, ha fondato il partito di centro-sinistra "Partido Verde Oxígeno". È stata rapita il 23 febbraio 2002 dalla guerriglia delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e liberata dalla prigionia il 2 luglio 2008, più di 6 anni dopo la data del sequestro
Ingrid nasce a Bogotá. Sua madre, Yolanda Pulecio, è un'ex Miss Colombia e una senatrice eletta dal collegio dei quartieri meridionali della capitale colombiana. Suo padre, Gabriel Betancourt, è stato ministro durante la dittatura del generale Gustavo Rojas Pinilla (1953-1957) e successivamente un diplomatico di stanza all'ambasciata di Parigi, dove Ingrid è cresciuta. Dopo essersi diplomata all'Institut d'Études Politiques de Paris (noto anche come Sciences Po), sposa un compagno di studi e hanno due figli, Melanie e Lorenzo. Attraverso il matrimonio Ingrid acquisisce anche la cittadinanza francese.
Il marito è un diplomatico francese e questo porta la coppia a vivere in diversi paesi, inclusa la Nuova Zelanda. Dopo l'omicidio di Luis Carlos Galán, candidato alle elezioni presidenziali colombiane con un programma elettorale di lotta al narcotraffico, Ingrid decide di far ritorno in Colombia (1989). Dal 1990 lavora presso il ministero delle finanze, da cui si dimette per intraprendere una carriera politica. Nella sua prima campagna elettorale distribuisce preservativi e presentando la sua candidatura come un "preservativo contro la corruzione". Il collegio sud di Bogotá la elegge, anche grazie all'aiuto della madre, ancora ben conosciuta nei quartieri, che la aiuta nella campagna elettorale.
Viene eletta nella Camera di Rappresentanti nel 1994 e lancia un proprio partito politico, il "Partido Verde Oxígeno". Durante il suo mandato critica l'amministrazione Samper, accusato di corruzione (caso Galil) e di aver accettato denaro riciclato dai narcotrafficanti durante la propria campagna elettorale. In questo periodo divorzia dal marito francese e si sposa nuovamente, con un colombiano.
Si candida senatrice alle elezioni del 1998 e in quella tornata elettorale raccoglie un numero di voti di preferenza superiore a ogni altro candidato. Riceve minacce di morte, che la spingono, attraverso l'aiuto dell'ex marito, a mandare i figli a vivere in Nuova Zelanda.
Quello stesso anno le elezioni presidenziali vengono vinte da Andrés Pastrana Arango, che ha anche il sostegno della Betancourt. Successivamente lei accuserà Pastrana di non aver mantenuto molte delle promesse fatte per ottenerne l'appoggio.
Dopo le elezioni del 1998 Ingrid scrisse un libro di memorie. Non poté essere pubblicato immediatamente in Colombia, uscì dapprima in Francia con il titolo di La rage au cœur ("La rabbia nel cuore") e successivamente in Spagna, in Colombia e nel mondo latino-americano con il titolo La rabia en el corazón e, nel 2002, in inglese col titolo Until Death Do Us Part ("Finché morte non ci separi") mentre in Italia, nello stesso anno venne pubblicato da Sonzogno, col titolo Forse mi uccideranno domani.
Come parte della sua campagna elettorale del 2002 (le elezioni vinte da Álvaro Uribe Vélez), Ingrid volle andare nella zona smilitarizzata di San Vicente del Caguán per incontrarsi con le FARC. Questa decisione non era insolita all'epoca, molti sono stati i personaggi pubblici che hanno approfittato dell'esistenza della zona smilitarizzata - creata da Pastrana per soddisfare una pre-condizione posta dalle FARC a qualsiasi negoziato - per incontrarsi con esponenti delle FARC.
Tuttavia, a tre anni di distanza dalla creazione della zona smilitarizzata e dall'avvio delle trattative, i colloqui di pace tra FARC e governo giunsero a uno stallo. Sin dall'inizio le FARC si rifiutarono di concedere una tregua durante i negoziati stessi, né vollero concedere ispezioni da parte di rappresentanti della comunità internazionale. Secondo i critici della scelta di Pastrana, la zona smilitarizzata si è trasformata in un'area sicura per le FARC, che vi hanno imposto la loro visione sociale rivoluzionaria comunista.
Nel febbraio 2002 un aereo in volo da Florencia a Bogotá (circa 1000 Km) fu dirottato da membri delle FARC e costretto ad atterrare vicino alla cittadina di Neiva, molti dei passeggeri furono sequestrati, tra cui un membro del Congresso. In conseguenza di ciò, Pastrana annullò le trattative con le FARC e revocò la zona smilitarizzata, accusando le FARC di avere rotto i termini del negoziato e di aver approfittato della zona smilitarizzata per crescere in forza mililtare e organizzazione logistica.
Nel 2002 la Betancourt era candidata alle elezioni presidenziali della Colombia e insieme ad un altro candidato, voleva visitare la zona smilitarizzata nonostante l'interruzione delle trattative e chiese di esservi portata da un aereo militare. Il presidente Pastrana e altri ufficiali rifiutarono la sua richiesta, sostenendo che né il governo né l'esercito colombiano avrebbero potuto garantire la loro sicurezza durante le operazioni militari tese a riprendere il controllo della zona. Inoltre il suo essere candidata era d'ostacolo; soddisfare la sua richiesta avrebbe anche significato che il governo in carica impiegava risorse per sostenere l'interesse politico privato dei due candidati.Vistasi negare il supporto governativo, Ingrid Betancourt decise di recarsi nella zona smilitarizzata via terra, insieme alla sua candidata-vice Clara Rojas e a un gruppo di persone del suo staff. Il 23 febbraio 2002 fu fermata dall'ultimo posto di blocco militare prima di entrare nell'ex zona smilitarizzata. Gli ufficiali insistettero per convincere il gruppo a non proseguire fino a San Vicente del Caguan, il paese usato come base degli incontri durante le trattative. Il gruppo proseguì il viaggio e la Betancourt venne trattenuta da uomini delle FARC che la tennero in ostaggio.
Il suo nome rimase in lista per le elezioni nonostante il sequestro; raccolse meno dell'1% dei voti.
Nelle prime trattative, le FARC chiesero la formalizzazione di uno scambio di prigionieri: 60 ostaggi politici contro la liberazione di 500 uomini delle FARC detenuti nelle carceri colombiane.
Inizialmente l'amministrazione del neo-eletto presidente Uribe escluse ogni trattativa in assenza di un cessate-il-fuoco preventivo e spinse per un'azione di salvataggio basata sulla forza, ma i parenti di Ingrid e di molti altri ostaggi - tenuto anche conto dell'inaccessibilità delle regioni montane e forestali dove gli ostaggi sono trattenuti - respinsero decisamente questa opzione temendone un esito infausto, simile all'episodio del sequestro del governatore del dipartimento di Antioquia, Guillermo Gaviria Correo, che le FARC uccisero non appena consapevoli della presenza dell'esercito nella loro zona.
Nell'agosto del 2004, dopo alcune false partenze e di fronte al montare delle proteste dei parenti dei sequestrati, degli ex-presidenti liberali Alfonso López Michelsen e Ernesto Samper Pizano e dell'opinione pubblica, sempre più convinta dell'opportunità e della validità umanitaria dello scambio di prigionieri, il governo Uribe sembra ammorbidire le proprie posizioni annunciando di voler porre il 23 luglio alle FARC una proposta formale di liberare 50-60 prigionieri in cambio degli ostaggi politici e militari.
Il governo si sarebbe impegnato a fare la prima mossa, rilasciando i prigionieri condannati per rivolta e concedendo loro di lasciare il paese o di aderire a programmi di reinserimento sociale. Le FARC avrebbero quindi rilasciato gli ostaggi in loro mano, tra cui Ingrid Betancourt. La proposta godeva del pubblico appoggio e del supporto dei governi francese e svizzero. La mossa venne apprezzata da diversi parenti dei sequestrati e da vari personaggi del mondo politico colombiano. Anche molti dei critici, che vi vedevano più una mossa propagandistica di Uribe, giudicarono il piano come praticabile.
Le FARC rilasciarono un comunicato il successivo 20 agosto in cui smentivano di essere state contattate in anticipo dal governo svizzero (come il governo colombiano aveva dichiarato). Nella nota auspicavano il raggiungimento di un'intesa apprezzando il fatto che il governo Uribe avesse fatto una proposta, tuttavia criticarono la proposta perché non prevedeva la possibilità ai prigionieri rilasciati di decidere di tornare a militare nelle file delle FARC.
5 settembre successivo la .....

.....stampa colombiana pubblicò quella che venne considerata una contro-proposta delle FARC. In essa si chiedeva al governo di individuare una zona franca per 72 ore di tregua, in cui i negoziatori governativi e gli ufficiali delle FARC avrebbero potuto incontrarsi faccia a faccia per discutere lo scambio di prigionieri. Il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere la località, il secondo alla trattativa ed il terzo all'abbandono dell'area da parte dei guerriglieri. Al governo fu indicata una rosa di possibili località del Dipartimento di Caquetá - Peñas Coloradas, El Rosal o La Tuna - in cui l'influenza politica delle FARC è forte e chiara. Qualcuno speculò che le FARC avrebbero potuto minare i terreni o predisporre trappole attorno alle guarnigioni militari locali durante la tregua.
La proposta delle FARC di incontrarsi col governo fu vista molto positivamente da Yolanda Pulecio, la madre di Ingrid, che vi vide un segno di "progresso",[...] "esattamente come il governo può incontrarsi con le forze paramilitari (di estrema destra), può anche incontrarsi con gli altri, che sono terroristi allo stesso modo".
Nel febbraio 2006 vi fu un appello del governo francese ad accettare uno scambio di prigionieri approvato dal governo di Bogotá e liberare i prigionieri trattenuti da meno di sette anni. Il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy disse che "era compito delle FARC dimostrare la serietà delle loro intenzioni di rilasciare l'ex candidata alle presidenziali Ingrid Betancourt e altri detenuti".
In un'intervista con il giornale francese L'Humanité del giugno 2006, Raul Reyes, un leader delle FARC ebbe a dichiarare la Betancourt "sta bene, nei limiti della situazione in cui si trova. Non è facile essere privati della propria libertà". Nello stesso anno Francesco Guccini le dedica una canzone: La giungla.
Nel maggio 2007 un poliziotto sequestrato, John Frank Pinchao, è riuscito a fuggire dalla prigionia e ha dichiarato di essere stato detenuto nello stesso campo di prigionia della Betancourt. Ha inoltre visto Clara Rojas, che durante la prigionia ha dato alla luce un figlio, Emmanuel.
Il 17 maggio 2007 è stata resa nota la notizia, riportata da un poliziotto sfuggito alla prigionia, che la Betancourt sarebbe ancora viva.[1].
Il 30 novembre 2007 il governo colombiano ha dichiarato che era stato trovato un video recente con la Betancourt ancora viva[2].
Nel giugno 2008 il quotidiano italiano l'Unità l'ha proposta per il Premio Nobel per la Pace[3].
Il 2 luglio 2008 è stata resa nota la notizia della sua liberazione avvenuta per mano di una task force di forze armate colombiane.Ingrid Betancourt è libera. La notizia è stata diramata dal governo di Bogotà che ha annunciato che, oltre all'ex candidata alle elezioni presidenziali - nelle mani dei guerriglieri della Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) dal febbraio del 2002 -, sono stati riportati in libertà altri 14 ostaggi: tre cittadini americani (Thomas Howes, Keith Stansell e Marc Gonsalve) e 11 militari colombiani, che a loro volta erano finiti in tempi e modalità diverse nelle mani dei rivoltosi. «Voglio ringraziare prima di tutto Dio e i soldati colombiani» sono state le prime parole pronunciate dalla Betancourt e raccolte dall'emittente radiofonica Caracol. Un riferimento, quello religioso, ripreso poi più tardi, all'arrivo all'aeroporto di Bogotà, dove la Betancourt ha detto di provare pena per i propri carcerieri.
«NESSUNO SPARO» - «Non ci siamo resi conto di quello che succedeva, perché non c'è stato un solo sparo, non è stato ucciso nessuno, ci hanno portato fuori alla grande» ha poi raccontato la donna alla radio militare colombiana. Una dura prova che non ha eliminato la sua voglia di lottare: «Aspiro ancora alla carica di presidente della Colombia» ha detto al suo arrivo alla base militare di Catam. E ha sottolineato di volersi impegnare per gli altri ostaggi in mano alle Farc «fino a quando non saranno liberati». «Lotteremo insieme finché non saranno liberati, la comunità internazionale ci può aiutare». Poi ha esortato le Farc e il loro nuovo capo, Guillermo Leon Saenz, a «comprendere che questo è un momento storico e fare politica abbandonando le armi». Infine ha chiesto al popolo colombiano di «credere nell’esercito».








Senza titolo 656

  L'AVETE VISTO IL FILM DI PUPI AVATI UNA GITA SCOLASTICA ?  :-)


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INGRID BETANCOURT E' LIBERA


Ora firmiamo per l'assegnazione del

Amici blogger e non, se condividete la proposta del Nobel per la Pace a Ingrid, firmate e aiutateci a pubblicizzare l’iniziativa di liberacittadinanza.it. Ingrid, assieme ad Aung San Suu Kyi, sono oggi l'emblema dell'impegno per un mondo non-violento, giusto e civile. Il meglio dell'umanità affidato alle donne.
Per vincere hanno bisogno anche di noi. PASSAPAROLA

Senza titolo 655

da corriere dela sera online  di poco fa



Colombia, liberata Ingrid BetancourtLa donna è stata rilasciata assieme ad altri quattordici ostaggi che come lei erano nelle mani delle Farc




BOGOTA' (Colombia) 


Ingrid Betancourt è stata liberata. La notizia è stata diramata dal governo di Bogotà che ha annunciato che all'ex candidata alle elezioni presidenziali, che era nelle mani dei guerriglieri della Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) dal febbraio del 2002, siano stati recuperati anche altri 14 ostaggi - tre cittadini americani (Thomas Howes, Keith Stansell e Marc Gonsalve) e 11 militari colombiani - che a loro volta erano finiti nelle mani dei rivoltosi.


Gli ostaggi, dopo la liberazione, sono stati trasportati in elicottero verso San Jose del Guaviare. La Betancourt, i tre statunitensi e gli undici militari saranno poi trasferiti nella base aerea di Toleimada, nel dipartimento di Tolima, a meno di 190 chilometri da Bogotà. Secondo quanto annunciato il ministro della difesa colombiano, Manuel Santos, tutte le persone rilasciate sarebbero in buone condizioni di salute.

La Betancourt, di origini francesi, era stata sequestrata e poi trattenuta in qualche rifugio segreto nella foresta. Secondo molti il suo sequestro era stato dettato dalle campagne da lei condotte, da senatrice, contro la corruzione e il narcotraffico. E dal rischio di una sua possibile affermazione elettorale. Prima di essere rapita la donna, che già da tempo era attiva in politica, aveva pubblicato un'autobiografia dal titolo «Forse mi uccideranno domani», in cui venivano denunciati per nome e cognome molti dei politici corrotti della Colombia.
L'emittente satellitare americana Cnn ha ricordato che nei giorni scorsi si trovavano in Colombia due mediatori impegnati sul caso, uno di nazionalitá francese, l'altro svizzero. Il ministro Santos ha anche spiegato che a convincere i guerriglieri a rilasciare gli ostaggi sarebbe stato l'accerchiamento condotto dalle forze armate colombiane che avrebbero indotto le Farc a disfarsi dei prigionieri senza arrivare allo scontro. Il blitz dei militari ha dunque avuto successo. Non si hanno notizie al momento di arresti di guerriglieri. A favore della liberazione di Ingrid Betancourt, nel corso di questi anni, si erano mobilitati gruppi di pressione in tutto il mondo. E un appello per il suo rilascio era stato tra i primi atti ufficiali della coppia presidenziale francese Sarkozy-Bruni.
«E’ la notizia più bella della mia vita». Così il figlio di Ingrid Betancourt, Lorenzo Delloye, ha commentato il rilascio della madre. Diverse attestazioni di gioia e felicitazione sono arrivate dagli ambienti politici di tutto il mondo. Papa Benedetto XVI ha espresso grande soddisfazione e per suo conto il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi,ha spiegato: «E' una bella notizia e speriamo in un segnale promettente per un cammino di vera pacificazione più ampio e duraturo in tutto il Paese».


02 luglio 2008


2.7.08

MILANO CITTÀ APERTA LIBERA E ACCOGLIENTE

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano

Siamo donne e uomini, cittadini italiani e cittadini stranieri che hanno deciso di essere in piazza insieme per offrire alla nostra città una occasione di festa, di riflessione e di conoscenza reciproca.


Con tante voci vogliamo rompere il silenzio pesante che da troppo tempo incombe a Milano su episodi drammatici che per decisioni del Governo ricadono su individui e comunità che nelle nostre città hanno radicato le loro speranze di una vita migliore.


Retate sui mezzi pubblici, ronde notturne, espulsione dagli alloggi, campagne contro le moschee, sgomberi violenti, schedature etniche di Rom e Sinti: sono solo alcuni esempi di un crescendo impressionante che vede misure legislative e scelte governative che vogliono l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt fino a 18 mesi e la criminalizzazione degli irregolari.


Eppure nella nostra città la società multietnica è ormai una realtà: italiani o stranieri, cristiani, musulmani o non credenti, viviamo tutti qui, frequentiamo le stesse scuole, lavoriamo fianco a fianco e facciamo tutti la stessa fatica per tirare a fine mese.


Siamo consapevoli che Milano, come molte altre città, è attraversata da manifestazioni sempre più evidenti di disgregazione sociale che colpiscono soprattutto i quartieri periferici, ma proprio perché viviamo in questa città e ne conosciamo i problemi, siamo convinti che per farvi fronte, legalità e sicurezza non possono essere interpretate solo come controllo e repressione.


La sicurezza va intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all'educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione.


La sfida è mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di produrre solidarietà, partecipazione e rispetto dei diritti, attraverso percorsi democratici e condivisi.


Ci sono molti amministratori, forze politiche e mezzi di comunicazione che oggi continuano a seminare ostilità e conflitti, indicando negli stranieri e nei poveri il capro espiatorio per tutti i problemi sociali, economici e urbani che determinano la condizione precaria di ognuno di noi, gettando un'ombra inquietante sul presente e sul futuro della nostra comunità.


Una società che imbocca la strada della xenofobia e del razzismo diventerà sempre più insicura e invivibile, perché la sicurezza non può nascere dall'emarginazione, ma dall'accoglienza e dal riconoscimento dei diritti di tutti sulla base di valori irrinunciabili:


- i principi di uguaglianza, di rispetto delle diversità e di giustizia sociale, presenti nella Costituzione italiana, devono vivere concretamente nelle politiche e nelle azioni amministrative.
- non si possono imporre regole speciali che violino il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi.


È necessario che si levino mille e mille voci per chiedere:
- abolizione della legge Bossi - Fini perché costringe alla clandestinità
- regolarizzazione di tutti coloro che lavorano e vivono in Italia
- tempi certi e rapidi per il rilascio dei documenti senza tassazione e con trasferimento delle competenze agli enti locali
- introduzione di una legge organica per i richiedenti asilo politico e umanitario
- superamento di forme abitative ghettizzanti e su base etnica (i cosiddetti "campi nomadi"), garanzia di condizioni abitative dignitose e non discriminanti.
- no al pacchetto sicurezza
- no al reato di immigrazione clandestina
- chiusura dei CPT no alla schedatura etnica
per questi motivi vi invitiamo ad essere presenti

SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milano
durante il pomeriggio sono previsti interventi e spettacoli
di Djiana Pavlovic, Mohamed Ba, Tommaso Vitale

promuovono: Arci, Camera del lavoro di Milano, Centro delle Culture, ass. Dimensioni diverse, ass. Punto Rosso, SdL Intercategoriale, Mosaico interculturale, ASMP, ass. Arci Todo Cambia, ass. Arci Zagridi, Comitato "Movimento Pais", Federación ecuatoriana de asociaciones, Rete di scuole senza permesso, Circolo Arci "Blob"

partecipano inoltre: Partito Umanista; Associazione 3 febbraio; Ernesto Rossi (pres. ass. Aven Amenza); Sinistra critica, Luciano Mulbahuer (Consigliere regionale Lombardia, Prc); AceaOnlus; Massimo De Giuli; Federazione milanese PRC; CRIC; Ass. Altropallone Ads Onlus; Vittorio Agnoletto (europarlamentare); Sinistra democratica per il socialismo europeo (zona 8); Ass. per una Libera Università delle Donne; ACCESSO Coop.sociale; Alessandro Rizzo (Capo lista Uniti con Dario Fo consiglio zona 4 Milano); Comitato No Expo; Arci Corvetto; Sinistra Zona 4; Alfredo Di Sirio, portavoce Movimento studentesco di Bergamo; Casa della Sinistra


adesioni: retemigrantemilano@gmail.com



Corri verso la vita...

 



Lasciati  andare
fatti  guidare
non far sprofondare  l'anima tua
nel ventre di madre  maligna.
Allontana la mente
da  luoghi offensivi
che onore non hanno.
Cuor  tuo salva,
da  falsi,
indegni comandi!
Controlla solo  il tuo cammino,
verso monti  alti
un pò  di  pace
potrai assaporare.
Resistere non è  possibile
nel  gridare nei  venti 
 nell'ascoltarti  sofferto
deluso, malinconico.....
Mio  guerriero
mi'inchino  a te
per  l'orgoglio che  sei
non solo  per me...
corri,
corri verso la tua  vita!






finalmente un ministro serio . che bello ritorna il grembiule a scuola

 visto che molti (  geniitori , amici , compaesani    che leggono il blog  e purtroppo anche alcuni di voi  )  non capiscono  la mia ironia e auto ironia   e mi prendono sempre o molto spesso  sul serio anche quando scherzo   e  faccio satira   ,  tengo a precisare che questo post che segue    è  in chaive  grottesca e satirica   perchè  chi  di voi mi segue  attentamente o  da tempo capisce  che   non la penso cosi .


Spettabile  signora  Gelmini


mi ha fatto  molto piacere la sua ultimainiziativa  essendo tr  quelli  a che applaude all’idea. La scuola (ma quando lo capirà certa gente?) è una cosa seria, un luogo che merita rispetto; una classe non è né una discoteca, né uno stabilimento balneare. Un professore sta lì per educare (non solo insegnare) e l’educazione passa anche per l’abbigliamento. Il grembiule promuove l’immagine dell’uguaglianza tra alunni e li educa da subito a non essere schiavi del consumismo.
Tra l’altro, un recente studio, rivela che il 76,5% dei pediatri chiamati a esprimersi su questa divisa, ritiene che vada indossata anche per ragioni igieniche (è un valido strumento per bloccare il propagarsi dei virus).VIVIAMO IN un Paese dove ogni tentativo di dare una regola è considerato un attentato alla libertà, un gesto autoritario. E’ incredibile, ma è così. La scuola (piaccia o no) deve avere le sue regole, c’è già la famiglia che non le dà! E a questo proposito lancio una proposta: e se mettessimo i grembiuli anche ai genitori ?
Non si fermi solo al grembiule o alla divisa , vada avanti e si concentri anche su altre cose più urgenti . Infatti le propongo vista la sua intelligenza e sensibilità di : 1) reintrodurre l'ora di religione obbligatoria vista la crisi di presti e di parroci . 2) crocifisso a scuola visto che molti presidi laicisti non lo metto più o lo fanno togliere ; 3) il ripristino dell'inaugurazione in chiesa dell'anno scolastico e del precetto pasquale , delle visite d da parte delle scolaresche alla madonna , e del precetto natalizio . 4) l'uso di punizioni corporali o chi viene vestito senza divisa o grembiule , o usa il cellulare durante le lezioni , o chi viene a scuola con cappelli lunghi o tagliati strani , o barbe incolte 5) imparare e cantare ogni mattina prima d'iniziare le lezioni il nostro inno , fare l'alza bandiera . 6) il ripristino dell'economia domestica 7) alzarsi in piedi appena entra l'insegnate



cordiali saluti e buon lavoro










A oriente, una stella

Mi piacerebbe che a parlare compiutamente della donna (anzi, delle donne) fossero anche uomini. Non che ciò non avvenga in assoluto: anzi, quando ad aver diritto di parola erano soltanto i maschi, miriadi di libri sono stati scritti, soprattutto per dimostrare, prima filosoficamente, poi teologicamente, poi… scientificamente, che la subordinazione femminile era giusta, se non necessaria.




Come reazione, nel recentissimo passato le femministe hanno rivendicato l’esclusivo diritto di dissertare su di sé. Ora che anche tale periodo sembrerebbe superato (e lo è di fatto) avviene l’inquietante, anacronistico e intollerabile fenomeno per cui il razzismo, la globalizzazione del pianeta ecc. vengono avvertiti come problemi di tutta l’umanità, mentre la “donna” rappresenta ancora una sorta di enclave protetta (?). C’è la “pagina della donna”, che l’uomo ovviamente non legge – anni fa un periodico femminile lanciò addirittura il quotidiano per la donna, lasciando capire, anche dall’eloquentissima pubblicità che lo corredava, che i quotidiani “seri” li leggono solo gli uomini -, e c’è la cultura delle donne, considerata comunemente una sub-cultura o, al più, qualcosa d’élitario.

Di fatto, la Cultura per eccellenza continua a essere maschile, sessuata e sessista, ma non ce ne accorgiamo più. Al contrario di quanto affermava il delirante testo d’un infelice autore, sesso e potere non vanno affatto d’accordo, non in società immature come la nostra, dove certi temi erano un tempo tabù e adesso – distorta in malafede l’ansia liberatoria del ’68 – è neutralizzato da una mercificazione borghese, di cui fanno naturalmente le spese le donne e che non merita né comprensione, né rispetto. Il potere è invece sessuofobo, in quanto, come ordine costituito, non tollera la carica dirompente, l’originalità e l’irrazionalità di ogni atto sessuale. Se non può cancellarlo, lo incasella entro limiti ben definiti e guai a superarli. Pur nato da una volontà sessuata, il potere, il sentire maschile ha cercato, e vi è riuscito, di apparire “neutro”, per assurgere alla dignità di sentire umano universale.




Ora, possiamo riflettere su una donna di cultura prescindendo dal fatto che sia donna? Si dovrebbe, lo so, ma è possibile, specialmente se si tratta di una donna del passato? Il Novecento italiano ha conosciuto una fioritura di scrittrici più o meno valide, ma tutte accomunate da una sofferenza. È vero che, nei secoli, la fantasia femminile è rimasta isterilita e come raggelata, ma il suo nucleo interiore, benché ripetutamente disprezzato dagli uomini come prova di fragilità, ancora sopravvive. La scrittrice sarda Grazia Deledda [foto in alto], recentemente rivalutata dalla critica, è stata testimone di questa sofferenza, ma anche di un’ansia di riscatto. I suoi personaggi cono quasi tutte donne che vivono in un Sud arcaico e profondo, esse stesse misteriose ed enigmatiche, che lottano, e per lo più perdono, per affermare – anche inconsapevolmente, ed è questo, in fondo, che affascina di più – il diritto a esistere. Anche ad amare, certo: ad amare e a godere.


Non vi riescono non per punizione divina, né per un “tradimento” di stampo verghiano, ma, assai più laidamente, per un contesto storico ostile. Se molte di queste donne, semplici, quasi elementari, a volte, aspirano a una felicità terrena e sensuale, il concetto dell’inferiorità supinamente accolta subisce un colpo mortale. La Deledda amava profondamente gli uomini, voleva sposarsi e ci riuscì, pur con qualche difficoltà; eppure, nel postumo Cosima, scrisse: “Ci sono molte donne che vivono nel ricordo di un amore fantastico, e l’amore vero è per esse un mistero grande e ineffabile come quello della divinità”. Tristemente, l’amore non gestito “alla pari” ha creato un’idolatria per l’uomo (maschio). Con le povere e spuntate armi dell’amore senza sesso, dell’amore-sacrificio o goffo romanticume, le donne hanno saputo giungere al Duemila. Forse, se oggi ammiriamo con rispetto lo splendido pube femminile che l’uomo Courbet ritrasse un secolo fa [a destra], lo dobbiamo anche alle inquiete isolane di Grazia Deledda.




Daniela Tuscano