2.6.13

amore ai tempi della crisi cosa si è costretti ad amare ai tempi della crisi

d'altronde  o salti   questa  finestra  o magia  questa minestra  ed  è quello che fa   questa  coraggiosa  ragazza  di cui leggete  sotto   , che soffre   , sbaglia  spera  e  si mette in discussione

dal suo blog  http://www.lerika.net



Amore ai tempi della crisi.

Wed
29 May 2013
A qualche mese dal mio arrivo a Casetta è il momento di interrompere la luna di miele, come in tutte le storie d’amore, è il momento della lista delle cose che urtano il sistema nervoso della vostra affezionatissima.
In punti, così scazzo di meno:
La linea adsl. Dopo varie ed eventuali tra cui merdafone/ non merdafone, 50 euro -di tasca mia- di “recesso anticipato” perché effettivamente l’allacciamento non si poteva fare (questo per dire: se al telefono vi dicono che siete coperti -mentre il mese prima Telecom diceva di no- uccideteli anche da parte mia) ora è più di un mese che attendo la riparazione dell’antenna che sta sul monte per avere almeno una linea *virtuale* con un operatore regionale. Come nei paesini sperduti in montagna. Solo che io abito in pieno centro di Genova. Ma va beh. Attendo e viaggio -con non poche restrizioni- con la chiavetta wind che almeno costa poco.
Il frigo continua ad emettere odori di morte e disperazione, nonostante i numerosi lavaggi a base di aceto. Me ne vergogno un sacco.
Il pavimento del bagno ha delle piastrelle fetenti e nonostante i ripetuti passaggi di scopa e straccio è un delirio tenerlo pulito. Me ne vergogno un sacco -parte II-
La lavatrice: dopo l’allagamento di qualche settimana fa (di entrambi i loculi: mio e del vicino), pare funzionare, ma non fidandomi, quando è in funzione, le faccio la guardia e svariono tantissimo durante la centrifuga.
Ho riparato da sola la calderina mentre il vicino (con cui è in comune nel piccolo ingresso) era in acido e sclerava come un tossico in astinenza (chi è il sesso debole, chi??). Dopo avergli allagato casa (vedi punto sopra) mi pareva comunque il minimo.
Lo stendipanni in mezzo alla camera da letto è inguardabile. Ma ormai fa parte dell’arredamento. E me ne vergogno sempre meno. Tranne se viene gente a trovarmi e c’è steso il set completo di culotte di Snoopy di H&M che uso nei periodi in cui mi sento brutta (cioè 3 settimane al mese circa).
Continuo a dare craniate sul tetto nonostante siano passati quasi 5 mesi da quando sono qui.
Ho l’armadio di polly pocket ed il tempo è ballerino: scatoloni e sacchetti con vestiti dentro per cambi stagione improvvisati sono parte del quotidiano.
La scalinata dalla microcucina alla stanza è ottima come portascarpe (assieme ad uno scatolone imboscato in bagno, ovvio). Me ne vergogno, sì, ma meno.
Ogni mattina rischio di cadere dalle scale sopracitate mentre mi trascino verso il cibo.
Vi ho già detto che la amo, questa casa?
Non vedo l’ora che arrivi l’aumento di stipendio.

Femminicidio, capirsi per combatterlo insieme


   leggendo  il manifesto   di questa  comunity  di facebook www.facebook.com/UccidiAncheMe


Informazioni
"Uccidi anche me" è un progetto fotografico di Fiorella Sanna e Francesca Madrigali.
Una serie di ritratti e interviste in cui volti e parole si mescoleranno tra loro per dare ancora più forza e più voce alla lotta contro il femminicidio.
Descrizione
Lo scopo del progetto "Uccidi anche me" è quello di sensibilizzare le persone sul tema del femminicidio, coinvolgendo donne e uomini che "donano" il proprio volto e le proprie opinioni e pensieri sul gravissimo fenomeno che sta assumendo il carattere di emergenza in Italia. Fotografiamo e intervistiamo le persone che stanno partecipando- già tantissime, fra le quali le nostre amiche e amici, sorelle, madri, artisti, esponenti della società civile e della politica.
Il nostro approccio non vuole essere “luttuoso” o peggio quello di accentuare gli aspetti della cronaca nera, ma al contrario vogliamo dare risalto alla forza di reazione delle donne e alla loro consapevolezza dei meccanismi che possono generare la violenza. Anche gli uomini sono parte attiva del progetto, in quanto la violenza sulle donne è un problema sociale oltre che di genere. Soltanto portando l'argomento ad un livello più esteso, "pubblico", di cittadinanza possiamo sperare di combatterlo efficacemente.  




ho trovato due articoli un po' dati certo , ma poco importa vista la loro attualità presi da ilfattoquotidiano
il primo  è  di  | 15 maggio 2013
Rileggiamo quel capolavoro di Simone Weil intitolato “L’’Iliade poema della forza”. Separare la forza dalla violenza sembra non sia cosa facile. Che cosa vuole una donna? Vuole un uomo forte, non un uomo violento. Come possiamo farci capire? Forse dovremmo esercitarci di più davanti allo specchio per imparare a pesare le parole, a influenzare l’anima dell’interlocutore e non solo per sedurre, ma soprattutto per salvarci la pelle.
Chi è un uomo forte? Probabilmente è quello che riesce a mantenere la calma nei momenti difficili, che conosce il suo valore anche quando gli altri non lo riconoscono, che è capace di sorridere, di resistere, di consolare, di proteggere. L’uomo forte è colui che conosce la sua stessa forza e che sa usarla a tempo e a luogo. L’uomo forte non è l’uomo violento.Noi invece, care, dolci e belle amiche siamo piene di qualità ma spesso inciampiamo nei nostri graziosi piedi, andiamo fuori tema, usiamo le parole con scarsa attenzione, il nostro coraggio è spesso imprudente, la nostra paura è spesso inutile.Dicevo dunque andiamo fuori tema, come è successo l’altra sera a ‘Servizio Pubblico e dispiace dirlo visto che parliamo di un grande e generoso lavoro svolto da molte donne che hanno collaborato per aiutare le più sfortunate tra noi. Parlo di Ferite a Morte e sono qui per dire che l’ultima cosa da fare è criticarci a vicenda. Non è quindi una critica la mia ma solo un’osservazione marginale, dove è proprio sui margini che si gioca la vita o la morte, come tante storie ci raccontano.Paola Cortellesi con la sua faccia spiritosa e il suo sorriso irresistibile mi è sembra piaciuta come donna e come attrice, ma nel suo intervento ha ripetuto più di una volta una frase pericolosa: “Meglio morta che con te…”. Questa è la distrazione di cui parlavo prima, l’ingenuità che si paga anche in termini di comunicazione.Il tema è tale che non ammette margini di errore oltre quelli già accaduti, che hanno provocato la morte. “Meglio morta che con te” è la frase sbagliata, quella giusta, secondo me, è “meglio viva che con te”, e questo perché con quell’uomo, che ha confuso fatalmente la forza con la violenza, non si può essere che morte.Mi piacerebbe che ci accorgessimo tutte che nell’esercizio di raccontare l’orrore, nei dettagli, nella coazione a ripetere e persino nel tentativo di satira dell’orrore stesso, esiste il pericolo di partecipare inconsapevolmente al grande spettacolo mediatico della violenza in genere e in particolare della più gettonata, quella sulle donne.Lo facciamo spesso, ci sbagliamo e a volte colgo un lampo di ironico compatimento nell'atteggiamento di chi, uomo di potere illuminato, ci concede visibilità ed è dalla nostra parte. Spesso non siamo all’altezza delle poche occasioni che ci vengono offerte, prendiamo grandi e piccoli abbagli senza riuscire a sfruttare l’attimo fuggente. Se non ora quando? Una frase magnifica, un’altra straordinaria performance che alcune donne hanno inventato, moltissime hanno praticato per poi alla fine essere semplicemente rimandate a casa. Come può succedere che preziosi minuti concessi in prime time a “Servizio Pubblico” vengano adoperati con generosità ma senza la dovuta attenzione?Dicono che l’attenzione sopravviverà al deserto, ma temo che prima si debba attraversarlo

il  secondo   sempre  dalla  stessa  fonte   un altro articolo interessante   di   Rita Guma | 6 luglio 2012

Ho letto in questi mesi centinaia di commenti di lettori agli articoli sul femminicidio e vi ho ritrovato clichè che ho spesso contrastato, dato che da oltre dieci anni mi occupo di diritti umani (di donne e uomini, etero, trans e gay indistintamente). Vorrei quindi fare chiarezza sui pregiudizi che a mio avviso animano molte persone in tema di violenza sulle donne, perché le violazioni dei diritti umani sono spesso questione di disinformazione e incomprensione.
Il termine femminicidio (o femmicidio) è ricorrente da anni a livello internazionale per descrivere fenomeni di violenza che interessano molti paesi latini – emblematici i casi del Messico (Ciudad Juarez), della Colombia, della Spagna – e anche altri paesi occidentali, sebbene siamo soliti attribuire ai soli paesi arabi e africani ed a ragioni tribali e religiose il triste primato.
Si parla di femminicidio quando la donna viene uccisa in quanto donna. Non sono casi di femminicidio l’operaia morta sul lavoro, la donna morta in un incidente d’auto o la soldatessa uccisa in guerra, a condizione che l’operaia non sia buttata dall’impalcatura dai colleghi maschi infastiditi ad esempio dalle sue assenze per cure parentali, il frontale non sia causato dall’ex della donna per vendetta e la soldatessa sia vittima di un proiettile in battaglia o di una bomba lanciata nel mucchio e non sia prima stuprata come arma di guerra.
Affermazione ricorrente è “se l’è cercata”, indicando in un comportamento ritenuto “libero” della donna la licenza per il maschio di fare quello che vuole: stuprarla – magari in branco – o ammazzarla di botte. Questo è un atteggiamento maschilista e portatore di cultura della violenza. Purtroppo è un atteggiamento duro a morire, anche perché apparso persino in qualche sentenza.
Affermazione differente, e che va meglio analizzata, è che alcune donne cercano l’uomo violentoovvero vedono benissimo che lo è e ci si mettono insieme lo stesso. Dietro tale convinzione ritengo si annidi una delusione: molti degli autori di tali considerazioni sono infatti uomini miti e colmi di attenzione verso le donne, ma nella loro vita sono stati spesso accantonati dalle ragazze che essi corteggiavano e che hanno preferito un tipo più aggressivo (che non vuol dire necessariamente violento).
Tuttavia faccio notare che la vera brutalità quasi mai si esterna nel periodo dei primi appuntamenti o del fidanzamento (in cui non emergono nemmeno altri difetti, come l’essere pantofolaio o anteporre il lavoro alla famiglia) perché le difficoltà quotidiane sono minime, lei sogna e lui cerca di dare il meglio di sé, mentre qualche accenno possessivo viene vissuto come un segno di passione. I difetti più o meno gravi emergono col tempo, quando finiscono la poesia e l’ansia della conquista, arrivano le responsabilità dei figli e le bollette da pagare, o si perde il lavoro. Allora ciascuno perde i freni inibitori ed esaspera o rivela la propria parte migliore o peggiore, come spesso avviene anche per i malati gravi. Perciò non è accettabile addossare alla donna la responsabilità di una scelta d’amore da pagare fino alle estreme conseguenze.
Va considerato anche che oggigiorno ci sono tanti uomini esasperati perché magari estromessi dalla vita dei figli con una separazione o un divorzio anche se colpevoli solo nei confronti della moglie, per adulterio o trascuratezza per via del lavoro o addirittura incolpevoli. Anche se molte violenze fisiche o psicologiche sono reali, non è insolito che, dopo la rottura, un uomo venga accusato infondatamente di violenze di ogni tipo (così come non mancano le false accuse di stalking) per evitare che gli siano affidati i figli o che il magistrato disponga l’affido condiviso.
Un adultero o un uomo che dopo anni non sopporta più la moglie non deve pagare perdendo i figli, specularmente a quanto avviene per una donna (e i figli non devono pagare l’astio fra i propri genitori perdendo di fatto uno di essi). Difficile che un uomo con una esperienza devastante come la perdita di un figlio per una ripicca sia comprensivo nei confronti delle donne, che vedrà come delle privilegiate dallo Stato quando gratificate con l’affidamento della prole e dalla società quando considerate sempre sicuramente vittime.
Questo non giustifica assolutamente la violenza contro le donne, ma può spiegare l’atteggiamento critico e persino duro di alcuni uomini di fronte agli articoli di commento sul femminicidio e la difficoltà di costituire un fronte unito contro la violenza alle donne.




Le scelte per avviare un'impresa nella crisi


Le scelte per avviare un'impresa nella crisi
di Marco Liera (*) - 26/05/2013
La grave crisi occupazionale spinge non pochi italiani a valutare l’alternativa imprenditoriale. In contemporanea all’ondata dei fallimenti (oltre 6mila da inizio anno)  quotidianamente aggiornati dal Sole-24 Ore, nel primo trimestre 2013 il saldo tra iscrizioni e chiusure di società di capitali è stato positivo e pari a 8.793 unità (fonte: Unioncamere). Insolvenze e cessazioni colpiscono soprattutto le ditte individuali e le società di persone. Il totale delle società di capitali attive a fine marzo è aumentato a quota 1,417 milioni.  Dal punto di vista macro, sembra di assistere a una schumpeteriana distruzione creativa, i cui eventuali effetti positivi tuttavia sono ancora da vedere. E a livello micro?La mancanza di opportunità più o meno interessanti di lavoro dipendente o quasi-dipendente non è di per sé una premessa sbagliata per l’avvio di una impresa. Le difficoltà possono far sprigionare energie innovative che in una situazione di maggior benessere forse resterebbero compresse in un angolo di qualche grandecorporation. La bassa disponibilità di credito bancario o altre fonti di finanziamento è certamente un potente freno oggettivo al “grande passo”.  Ma non sottovaluterei neppure i rischi della mancanza di una formazione organica destinata ai nuovi imprenditori. Quanta attenzione viene riservata dalle facoltà di economia all’imprenditorialità? Si possono avere grandi idee e possedere la capacità di fornire ottimi servizi e prodotti (capitalizzando magari il know-how lavorativo pregresso), ma senza adeguate conoscenze finanziarie e gestionali le probabilità di successo o di semplice sopravvivenza – già non molto invitanti - si riducono sensibilmente. Rielaborando i dati di un rapporto del Cerved Group del febbraio 2011 sulla mortalità delle imprese italiane, a cinque anni dall’apertura il 34% delle start-up è già in default. A questo dato vanno poi aggiunte le liquidazioni. Negli Stati Uniti la probabilità di sopravvivenza di una nuova impresa è storicamente inferiore al 50% al quinto anno.La destinazione di parte dei risparmi familiari (laddove disponibili) alla start-up (sotto forma di equity o di finanziamento soci) è una strada pressochè obbligata per chi non riesce ad accedere ad altre risorse. Questa strategia è solo apparentemente meno rischiosa per il socio fondatore di una Spa o di una Srl, perché riduce la “riserva di sicurezza” per il mantenimento della famiglia. Una riserva che andrà investita tassativamente in attività finanziarie a minor rischio atteso (depositi bancari, risparmio postale, titoli di Stato a breve termine). Gli impegni finanziari legati alla famiglia condizionano seriamente la possibilità di avviare una nuova impresa.Uno studio Bankitalia appena pubblicato (“Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche e finanziarie”) alza il velo sulla gestione delle 420mila società di capitali con meno di 10 addetti, che generano il 33% del valore aggiunto della nostra economia, circa 14 punti percentuali in più della media europea. Si tratta di aziende che hanno registrato tra il 2002 e il 2010 un tasso medio di crescita del fatturato annuo (11,7%) di oltre 7 punti superiore a tutte le altre. Le microimprese con meno di quattro anni di vita in particolare sono mediamente cresciute del 46,3%annuo, ovviamente con una dispersione elevatissima e con una forte variabilità dei volumi di affari nel corso del tempo. La redditività operativa è superiore a quella delle altre imprese, pare per “ una minore incidenza dei costi piuttosto che a un maggiore livello di ricavi”. Una delle chiavi del successo di una startup è proprio quello di tenere bassi i costi. E non indebitarsi troppo. Solo una microimpresa su cinque non ha debiti verso le banche, e vanta una crescita del fatturato superiore a quella delle imprese indebitate.
(*) Pubblicato sul Sole-24 Ore del 26 maggio 2013

i miei sogni ed i miei dubbi

quello che  non so   dire  o scrivere lo esprimo in musica  o  con parole d'altri  




Infatti  : <> ( Kahlil Gibran )  questa frase  può essere rapressentata  da  due canzoni  la prima  
 

la seconda  



lo  che molti mi diranno  che sono  un sognatore  \  un uomo pieno di  dubbi . Ma  chi lo dice  che  i dubbi  non sono costruttivi e  ti permettono d'andare  avanti  ?  a  volte  servono  e  t'aiutano  .
Infatti << Ogni volta che hai dei dubbi, o quando il tuo io ti sovrasta, fai questa prova.Richiama alla memoria la faccia dell'essere umano più debole che hai visto, e domandati se il passo che hai in mente di fare sia di qualche utilità per lui.Ne otterrai qualcosa? Gli restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?In altre parole, condurrà alla libertà milioni di persone affamate nel corpo e nello spirito?
Allora tu vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi. >> ( testamento di Gandhi ) .





La compagna



Hanno già scritto e detto tanto su di lei, ma io Franca Rame voglio ricordarla innanzi tutto con questa fotografia: giovane, sexyssima, d'una sensualità schietta e aperta. Bionda e solare. Giustamente esibita, perché non era una colpa, men che meno un peccato, come pure qualche miserabile le ha rinfacciato in questi giorni. Era una donna a tutto tondo, nelle sue infinite declinazioni. Ma era, soprattutto, una compagna. Cum-panis, cioè colei che divideva volentieri il pane con chiunque le sembrasse averne bisogno. A partire dal compagno per eccellenza, quel Dario Fo che lei stessa corteggiò per prima, dopo le prove in teatro. Lui si vergognava ad accettare l'invito: "Non ho un soldo". Ma lei: "Mi fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati affamati".
Non era un vezzo aristocratico, il suo. Lo sappiamo bene. Franca Rame ha fatto della sua arte una battaglia, una coralità. A fianco di mille lotte, in mezzo ai disoccupati, ai cassintegrati, agli operai, a favore della pace e del disarmo (si dimise da senatrice dell'Idv nel 2008 in polemica contro il rifinanziamento delle missioni militari). E delle donne, naturalmente. Sempre, e pagando in prima persona.
E va bene. Lo stupro. Basterebbe questo monologo a rendere immortale Franca. Lo scempio, dell'anima prima che del corpo, da lei subito nel 1973 per mano di fascisti con la complicità di carabinieri collusi, ha racchiuso in sé tutta la mostruosità di un odio inveterato, primordiale, per il genere femminile da parte del maschio selvaggio e ferito. Ferito nel suo frainteso senso dell'onore e del potere. Era più che ucciderla, lo stupro. Era una relegazione al silenzio, all'accartocciamento su sé stessa. Non avrebbe dovuto più parlare. Tornare mera forma, senza sostanza. Rendersi invisibile con la sua presenza disarmata e dolente. E invece no. Franca ne uscì con la parola vomitata, urlata e susurrata. Ne uscì da compagna, cioè davanti al suo pubblico. Con un titolo che non lasciava alcuno spazio all'immaginazione. Lo stupro era solo quello. Nient'altro. La sua psicoanalisi fu la platea, la coralità. Ancora una volta. Insieme. Cum-panis. In questo caso il pane del dolore, l'offerta del dolore. Sacrificio, sì, se per sacrificio s'intende non un'immolazione volontaria in nome di qualche divinità crudele, ma racconto del proprio travaglio. Il sacrificio di Franca è stato testimoniare la sopravvivenza, la strada da proseguire "oltre" e "dopo", non lo scatto finale di una vita. Franca ha saputo superarsi. Ha attraversato l'annullamento e ha vinto, ancor più bella e forte di prima.
Compagna politicamente, senza dubbio. Una storia a sinistra, si direbbe, volendo essere un po' volgari. Una scelta orgogliosamente di parte, la sua, e anche, talora, orgogliosamente sbagliata - frequentazioni, personaggi -. Ma, del resto, anche una scelta inclusiva e universale, volendo Franca comprendere tutti quegli emarginati, abbandonati ecc. cui alludeva durante il suo primo incontro con Dario.
Ma ecco, appunto, di là da tutti i meriti artistici, da quell'impasto d'arte e vita di cui lei fu probabilmente l'ultima interprete, è proprio il suo essere moglie che, forse, è stato poco sottolineato. Comprensibile, da un verso, per tutte le ambiguità che comporta. La donna come eterna seconda, la donna che trova significato solo nel e col marito. Ma noi affronteremo questo rischio, perché Franca la vedevamo originaria: compagna, anche in questo. La compagna dell'uomo nel giardino dell'Eden, non seconda, ma "a fianco" (letteralmente: "quella che sta di fronte"). Del tutto logico pertanto che Franca "la laica" concludesse il suo viaggio terreno scrivendo un altro monologo, su Dio, anzi su Eva, anzi su Eva-Dio: "Siamo nel paradiso terrestre. Dio è alle prese con la creazione del primo essere umano. Che non è uomo ma donna. La modella con argilla fine e delicata. Adamo verrà dopo, per tenerle compagnia. Ed Eva, che subito lo adocchia, si esibisce per lui in una danza selvatica...". E ancora: "Dio sicuramente c'è ed è comunista. Ma non è solo comunista, è anche femmina".
Qui il "cum-panis" è diventato l'uomo, in una Creazione rovesciata. Ma solo all'apparenza. Perché nella compagnia, nell'essere di fronte, non esiste gerarchia. Non esiste un primo e un gregario. Tutti siamo pari nella diversità.
Ma la prima compagnia di Franca è stata Dario, e viceversa. E' stata feconda e si è moltiplicata, quella coppia divisa e unita, turbolenta sempre (molti gli abbandoni, tra cui uno ancora una volta dichiarato in pubblico, e i ricongiungimenti). Non è stato un narcisismo a due. La vita di Franca (e di Dario) sarebbe stata una grande vita anche da sola, ma così, a fianco, anzi di fronte a lui, ha generato milioni di figli, una prole immensa, di arte, di esperienza, di battaglie.
Al termine, Franca ha ricordato che Dio è innanzi tutto Altro. Quell'Altro cercato fin dall'inizio, nel povero, nel diverso, nella donna, in una visione dell'umanità senza pregiudizio, razzismo, violenza (in questo senso "Dio è femmina e comunista", cioè a dire comunità). Quell'Altro ritrovato al funerale: rito senza chiesa perché chiesa originaria: che non era tempio ma assemblea, dove si spezzava il pane (cum panis) assieme. La chiesa dei primordi era costituita solo da individui, non da edifici, non da preti, non da simboli. Empirismo eretico? Forse. Franca era senza dubbio un'eretica (eresia=scelta). E, come tutte le eretiche ed eretici veri, interpella, disturba, scuote la nostra ortodossia.
Il Dio di Franca è stato laico, cioè del popolo. E' stato presente quanto meno lo si è invocato, o nominato in quel modo strano, balbettante e fuori sede. E' stato un Dio compagno che la compagna ha cercato con buona, indefessa volontà. Questa ricerca solitaria e all'unisono, questa continua tensione verso qualcosa che resti, è già traguardo.

1.6.13

Riaprire le indagini per Palmina, bruciata viva a 14 anni




da  http://www.sudcritica.it/


Palmina Martinelli era una ragazzina di quattordici anni. Abitava in una cittadina pugliese chiamata Fasano. Il 1981 fu l'anno in cui venne barbaramente uccisa, bruciata viva da chi aveva già deciso di destinarla al mercato della prostituzione. I due criminali responsabili della sua morte erano di casa della famiglia Martinelli e quel giorno in cui Palmina, minuta, viso dolce, si rifiutò per l'ennesima volta di far parte della sordida realtà di soprusi e violenze, che attanagliava la sua famiglia, i due entrarono in casa sua, decisi a darle una dura lezione. Uno, il compagno della sorella, ragazza madre costretta a prostituirsi, l'altro, socio in affari in un giro di prostituzione e droga.
targaUno scenario di degrado, che all'improvviso una cittadina come tante altre, con i suoi notabili e gente perbene, si trovò a dover fronteggiare. E qui che la storia di Palmina colpisce nella crudeltà proprio di quella società che tanto spesso distoglie gli occhi da realtà di violenze e miserie occultate nelle abitazioni, nel quartiere, persino nei piccoli paesi. Palmina, piccola, ultima tra gli ultimi, segnata da un destino infame, desiderava solo una vita normale. Per questo aveva per quel giorno progettato di scappare via con una sua amica che viveva in istituto, scappare forse in Germania dal papà di quell'amica.
Dopo la sua morte, che arrivò per lei a quasi un mese dal giorno in cui fu bruciata viva, la società civile con le sue istituzioni si dispose a definire quel fattaccio nei ripetuti processi. In primo grado e in appello i due imputati presunti assassini furono assolti per insufficienza di prove, in Cassazione poi dichiarati innocenti per insussistenza dei fatti. E nel processo di primo grado le parole di Palmina, testimonianza drammatica resa al medico di rianimazione del Policlinico di Bari Tommaso Fiorecon un fil di voce proveniente da un corpo dove non era distinguibile più nulla e raccolte dal pubblico ministero Nicola Magrone, finirono con l'essere tacciate come infamanti i suoi assassini. In sede processuale fu questa la tesi che i giudici accolsero: Palmina si sarebbe suicidata, addirittura dandosi fuoco da sola, ma in punto di morte avrebbe voluto calunniare quei ragazzi. In definitiva, dopo essere risalita tra dolori atroci dal suo stato di coma farmacologico, Palmina, aveva voluto infangare quegli individui. Con quella sentenza la società civile mostrò il suo volto più violento, sprezzante della morte, fino al disconoscimento della pietà verso coloro che nulla contano, che scarso peso hanno nella scala sociale dei riconoscimenti delle vite umane.gruppetto
Una ragazzina, vittima inerme di una violenza inaudita, fu giudicata in un processo in cui gli imputati erano i suoi carnefici. Da vittima, Palmina divenne colpevole. “Una condanna non detta, non scritta”, come ha detto il magistrato Nicola Magrone. Palmina giudicata e condannata, “Palmina arsa viva come una strega”. E sono sempre le parole di quel pm che in piena solitudine lottò per sottrarre Palmina all'efferato giudizio del consorzio sociale e del suo perbenismo.
Il 23 aprile 2012 a Fasano, il paese da cui Palmina non riuscì più a fuggire, l'intitolazione di una piazzetta a “Palmina Martinelli (1967-1981) giovane vittima di crudele violenza”, alla presenza del magistrato Magrone, del sindaco del paese e di una sorella di Palmina, Mina, è venuta di fatto a negare quella sentenza. Piccolo, tardivo atto di giustizia, che iscrive Palmina in quell'interminabile elenco di vittime, per la gran parte appartenente al genere femminile, della violenza che alligna nelle stesse famiglie, in cui invece la vita dei deboli dovrebbe essere tutelata e difesa. Vite di donne così tante volte lasciate sole, come sola era Palmina a lottare per se stessa, soppresse da una mano maschile con quella violenza che la nostra civile società non riesce ad espellere da sé, che non riesce a riconoscere appieno.Palmina doppiamente relegata tra i perdenti. Due volte oggetto di discriminazione in quanto piccola donna che aveva osato dire di no, coraggioso atto di rifiuto nei confronti di quegli individui  determinati a sfruttare il suo corpo e la sua vita. E per questo vittima più volte: dei suoi carnefici e del mondo in cui viveva e poi della società, che ha voluto rimuovere ed espellere da sé quella realtà miserabile in cui lei aveva avuto la sfortuna di nascere. Vittima di violenza di genere, ragazzina non degna di rispetto e considerazione nemmeno in punto di morte, nemmeno in un processo con i suoi assassini alla sbarra. All'unica testimonianza valida, quella di Palmina, non fu dato credito, non alla sua voce registrata in rianimazione al Policlinico e ascoltata in tribunale solo dietro insistenza del pm, non ai suoi racconti al pronto soccorso ai medici (tra i quali, proprio l’attuale Sindaco di Fasano Lello Di Bari), agli infermieri, ai carabinieri. Neppure la testimonianza del fratello che la trovò in casa avvolta tra le fiamme servì a restituire la verità e fare giustizia. Quell'assoggettamento al potere maschile, che si rivestiva di brutalità nell'angusto mondo di Palmina, trovò altra faccia in un potere istituzionale, che dettò una sentenza semplicemente ingiusta, atto colpevole ammantato di giustizia sociale. Fatto sociale e culturale, dove le istituzioni segnarono il passo di una retrograda e incivile cultura maschilista.Adesso, una targa alla memoria, tentativo di riparazione di un vergognoso torto verso quella ragazzina che fu Palmina, è riconoscimento collettivo, rispetto restituito alla persona e a coloro, gli ultimi, per i quali, soprattutto per loro, il diritto alla giustizia dovrebbe tradursi in realtà.

Nelle foto covella/Sudcritica: Nicola Magrone, Mina Martinelli e Lello Di Bari scoprono la targa; Nicola Magrone tra i ragazzi di Libera, associazione contro tutte le mafie.

come tutelare la salute anche senza soldi \ dimagrire mangiando

Con l'imperversare della crisi  , come dicevamo in precedenza 1 2 , oltre ad  aumentare in contemporanea  al cibo fatto in casa  ed  ai G.a.s  (  gruppi  d'acquisto  solidale  , cioè direttamente  dal produttore al consumatore  )  aumenta  la  spesa     a  scapito della qualità  alimentare  gli acquisti  in  grossi centri commerciali o cibi  d'asporto  e del  cibo spazzatura  . Ecco quindo  l'aumento  di malattie  alimentari    ed  in particolare   dell'obesità  giovanile  .

In questo  sito   oltre  ad  un decalogo   di come  mantenersi in forma   mangiando  bene  il  più possibile  . Ecco  come      dimagrire senza  troppe  diete  \  rinunce  http://tinyurl.com/mzzwubt cioè in sintesi  
 Ridurre il consumo di alimenti di originale animale.
Ridurre il consumo di alimenti che hanno subito un intensivo processo di lavorazione, fra cui il pane bianco;
Ridurre e cercare di eliminare il consumo dicibo-spazzatura.

IL decalogo  per  una buona alimentazione ovvero  tuta  una serie  di  consigli  (  ovvi   certo visti i  continui programmi  e rubriche  salutari   sui media  , ma poco seguiti   dalla massa  )  per tutelare la salute anche quando ci sono meno soldi da destinare alla spesa alimentare. Cibi a km0 e con gli avanzi piatti da gourmet





A ogni pasto principale inserire almeno una porzione di cereali e derivati (pane, pasta, riso,mais, patate), privilegiando prodotti integrali e a ridotto contenuto in grassi; non dimenticando mai di aggiungere un piatto 'generoso' di verdura cotta o cruda




Non eccedere nel consumo di prodotti di origine animale come carne, salumi e insaccati, latticini e formaggi. Durante la settimana, a pranzo e a cena, alternare la varietà privilegiando la carne bianca, inserendo  il pesce (ottimo quello azzurro) 1-2 volte a settimana, le uova 1-2 volte a settimana e limita i formaggi a 2-3 volte a settimana





I legumi secchi o freschi (ceci, fagioli, lenticchie, fave, piselli) - alimenti che appartengono da sempre alla tradizione gastronomica italiana - possono dar vita, combinati con i cereali, a saporiti ed invitanti piatti unici. E' bene introdurli nell'alimentazione almeno due volte a settimana




Preferire l'olio extravergine d'oliva sia per la cottura che come condimento a crudo. Usare un tipo di cottura che possa permettere di limitarne la quantità




Pianifica, per quanto possibile, il menù settimanale e fare la spesa seguendo una lista degli acquisti preparata a casa. Non lasciarsi mai influenzare dalle campagne di marketing che invitano ad acquistare sottocosto prodotti alimentari non realmente necessari e spesso di dubbia qualità




Ridurre le quantità di alimenti e riciclarli ( esempio mangiare  a pranzo  il giorno dopo  gli avanzi  o  fare  con essi nuovi piatti  . es  la  scorsa settimana  m'era  avanzata della pasta  ,  l'ho   riusata   facendo :   con delle uova  ,   del formaggio  e del pane ( avanzato  dai giorni scorsi )    grattugiato   una frittata  di pasta  )   è utile per risparmiare e guadagnare salute




  Bere spesso: l'acqua di rubinetto o di fontane  . vanno   benissimo  anche infusi o tisane non zuccherate oppure  con poco zucchero  o  un cucchiaio di miele  



  Vivere una vita attiva. Ogni occasione della giornata è utile per muoversi di più  . basta , per  chi non vuole  fare palestra  o   troppi sforzi  una  camminata  di  30 minuti al giorno  o  45  minuti alla settimana  .



Fare con regolarità almeno 3 pasti al giorno, cominciando dalla prima colazione.



 O se  come  me   soffrite  di fame  da stress ( fate  come  me   , anche se  non sempre  riesco a mangiare  roba  leggera  )    2  spuntini  mangiando  roba leggera  ( frutta,  verdura     crackers  , ecc  ) 




e  per  finire   sappiate  che  Le verdure possono essere utilizzate anche per realizzare primi e secondi piatti.



Infatti  A tavola scegliere alimenti di origine vegetale (frutta e verdura di stagione, legumi e cereali), possibilmente prodotti localmente (a filiera corta). Le verdure possono essere utilizzate anche per realizzare primi e secondi piatti. Non dimenticare: 5 porzioni al giorno tra frutta e verdura

culturamente mainate ha presentato Donna Fenice V – Crisalidi” di Barbara Cavazzana“

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