23.8.21

cazzo siamo già a 40 femmicidi ed ancora non è ancora finito l'anno l'ultima vittima è Vanessa Zappalà

leggendo Lorenzo Tosa apprendo dell'ennessimo femminicido il n 40 dall'inizo dell'anno( qui l'elenco Osservatorio femminicidi - I casi nel 2021 )mi tocca dare rqgione a Scanzi : << Uccisa per avere lasciato il compagno. Nel 2021 siamo ancora a questi livelli di degrado umano, di ferocia morale, di ignoranza sentimentale. >>

questa notte Vanessa, mentre camminava con alcuni amici ad Aci Trezza (Catania), il paese dei Malavoglia, è stata raggiunta dall’ex fidanzato, che ha estratto una pistola e le ha sparato addosso cinque colpi, di cui uno l’ha centrata alla testa, uccidendola sul colpo.
Vanessa aveva 26 anni, una vita intera davanti. E invece è diventata la vittima numero 41 (solo nel 2021) di questa piaga senza fine che si chiama femminicidio.“Non chiamatelo amore. Non chiamatelo raptus. È solo altro sangue sulle mani di uomini che odiano le donne” la piange la Uil Sicilia. Mesi fa Vanessa aveva denunciato a più riprese l’uomo per stalking per la violenza e la morbosa gelosia, chiedendo e ottenendo anche per un breve periodo i domiciliari. Ma non le è bastato a salvarsi la vita.E quella domanda che ogni volta ritorna identica: a cosa serve denunciare? A che serve ribellarsi, uscire allo scoperto, se lo Stato non riesce a difenderti e proteggerti? Quale donna avrà più il coraggio di denunciare sapendo quello che rischia?

luogo del delitto 

Vanessa è vittima due volte. Del suo assassino e dello Stato che non l’ha saputa proteggere. E complice chiunque resti zitto e indifferente. Addio Vanessa.

Perchè volesse sapere di più morboso o meno ecco la cronaca del fatto

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La ragazza di 26 anni uccisa a colpi di pistola dall’ex fidanzato ad Aci Trezza

Quest’anno è la vittima numero 40 di questa piaga silenziosa. La donna aveva denunciato l’ex per stalking, ma non le è bastato a salvarlsi la vita

femminicidio

Un altro femminicidio. Un numero in più di questa strage silenziosa e quotidiana. Vittima una giovane donna di 26 anni, uccisa la scorsa notte ad Aci Trezza, frazione marinara di Aci Castello, nel catanese, con diversi colpi di pistola mentre passeggiava sul lungomare nei pressi del porticciolo. A sparare, secondo le prime testimonianze raccolte dagli investigatori, sarebbe stato l’ex fidanzato, ricercato dai carabinieri che indagano sulla vicenda. Pare che la vittima avesse già in passato denunciato l’ex per stalking. Anche un’altra ragazza che faceva parte della comitiva sarebbe rimasta ferita, raggiunta di striscio da un colpo alla schiena.

Femminicidio ad Acitrezza, uccisa 26enne, ricercato ex fidanzato

Il femminicidio si è consumato intorno alle tre di notte ad Aci Trezza, nel luogo in cui Verga ha ambientato i suoi “Malavoglia”. Vanessa Zappalà si trovava in compagnia di alcuni amici quando l’ex fidanzato l’ha raggiunta con la scusa di un chiarimento, prima di tirare fuori l’arma
e sparare diversi colpi, uccidendola sul colpo. Nella sparatoria è rimasta ferita di striscio anche un’amica della vittima. Il comando provinciale di Catania ha avviato le indagini. L’uomo, che risulta attualmente ricercato, era già stato denunciato dalla donna per stalking, che aveva chiesto e ottenuto per lui gli arresti domiciliari, ma ciò non è bastato per salvarle la vita.

Uil Sicilia: “Non chiamatelo raptus, non chiamatelo amore”

Vanessa Zappalà è la quarantesima vittima di femminicidio in Italia, la terza nel giro di 24 ore, considerando anche il duplice omicidio di Carpiano, dove ieri un 70enne ha ammazzato moglie e figlia 15enne prima di togliersi la vita. Una notizia che ha sconvolto nel profondo la comunità catanese. “Non chiamatelo amore. Non chiamatelo raptus. E’ solo altro sangue sulle mani di uomini che odiano le donne” scrivono Uil Sicilia e Uil Catania in un comunicato congiunto. “Con strazio e rabbia apprendiamo questa notizia che allunga in provincia di Catania e in Sicilia una lista tragica, lunghissima, inquietante. Mai come oggi attuale, uno striscione su via Sangiuliano dalla nostra sede provinciale invita a non chiamare amore né raptus il femminicidio. Nessuna giustificazione è tollerabile, nessuna pena può bastare. È tempo che nelle scuole diventi obbligatoria per tutti l’ora di educazione al rispetto della vita. Se volete, vi proponiamo di tenere queste lezioni seduti attorno alla panchina rossa che abbiamo inaugurato due anni fa nel cortile della Uil di Catania e sulla quale è incisa questa frase di Isaac Asimov: la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci. Oggi, Isaac Asimov avrebbe pianto con noi”.

 La  repubblica 23 AGOSTO 2021
Ragazza di 26 anni uccisa in strada a colpi di arma da fuoco nel Catanese: ricercato l'ex fidanzato È successo sul lungomare di Acitrezza, la giovane stava passeggiando con degli amici

                                            di Natale Bruno
Vanessa Zappalà
Omicidio tra la folla la notte scorsa ad Aci Trezza, frazione di Aci Castello. Una ragazza di 26 anni, Vanessa Zappalà è stata assassinata con diversi colpi di arma da fuoco, uno dei quali l'ha raggiunta alla testa. L'ex fidanzato, Antonino Sciuto, è ricercato dai carabinieri: l'uomo era stato denunciato più volte per stalking  La scena del delitto La giovane, originaria di Trecastagni, nel Catanese, è stata colpita mentre stava passeggiando insieme ad alcuni amici. Nella notte è subito iniziata la caccia all'uomo nel suo paese d'origine, San Giovanni La Punta, sempre nel Catanese. Ferita di striscio e poi medicata dai medici del 118 sul posto, un'amica della giovane. I carabinieri lo stanno cercando l'omicida in ogni angolo di San Giovanni la Punta, paese della cintura dell'Etna nel quale il giovane vendeva automobili. E proprio con un'auto non sua si è allontanato ieri notte da Aci Trezza. Erano le tre passate, poco prima aveva ucciso Vanessa, con cui aveva avuto una relazione complicata, da un po' la separazione, la gelosia e i continui attacchi di stalking nei suoi confronti, tanto che lei più volte aveva chiesto aiuto.


Femminicidio nel Catanese, le ultime foto di Vanessa su Instagram





Omicidio tra la folla la notte scorsa ad Aci Trezza, frazione di Aci Castello. Una ragazza di 26 anni, Vanessa Zappalàè stata assassinata con diversi colpi di arma da fuoco, uno dei quali l'ha raggiunta alla testa. L'ex fidanzato, secondo le prime informazioni ottenute da Repubblica si chiama Tony Sciuto, ed è ricercato dai carabinieri intervenuti sul posto. L'uomo era stato denunciato più volte per stalking ed era già sottoposto a misure cautaleari. Vanessa stava trascorrendo una serata lieta in compagnia della sua migliore amica, Ylenia, e della cugina, Chiara, tra i lidi del lungomare di Aci Trezza, in provincia di Catania, in estate principale luogo della movida. Una delle due ragazze con Vanessa è rimasta ferita di striscio e medicata dai medici del 118. Su Instagram pochi minuti prima di morire aveva postato le storie che oggi custodiscono il suo ultimo momento di vita e di libertà: uno spritz al lido Esagono, locale assai frequentato dai giovani catanesi in estate. (Alessandro Puglia)

La tragedia a notte fonda nei pressi del parcheggio accanto al porticciolo di Aci Trezza: Vanessa in compagnia di altri amici che cammina a piedi e lui che inizia a sparare, un paio di colpi. Uno ferisce al capo Vanessa, che muore sul colpo, un altro di striscio colpisce alla schiena una sua amica. Sono momenti drammatici durante i quali sono gli stessi amici della giovane ad indicare ai carabinieri del comando provinciale di Catania chi ha sparato.La foto segnaletica di Sciuto
Inizia la caccia all'uomo che è ancora in corso. Le foto segnaletiche dell'omicida sono state distribuite a tutte le auto di polizia e carabinieri: una con la barba, una senza. Sono decine i posti di blocco nei paesi della cintura dell'Etna: quelli limitrofi di Tremestieri, il paese in cui viveva Vanessa, la ventiseienne assassinata, e San Giovanni La Punta il centro in cui abitava Sciuto e nel quale lavorava. militari dalla scorsa notte, senza sosta, hanno compiuto decine di perquisizioni nelle abitazioni dei parenti piu' stretti e degli amici dell'uomo accusato di omicidio. Sono stati attivati tutti i controlli tramite le celle dei telefoni cellulari per capire quale spostamento abbia compiuto l'uomo dopo avere sparato nella borgata marinara. Le ricerche nella tarda mattinata sono state estese anche in Calabria, c'e' il sospetto che Sciuto, utilizzando un'automobile non sua, abbia deciso di allontanarsi dalla Sicilia. L'uomo era stato sottoposto al divieto di avvicinamento a Vanessa che in piu' occasioni l'aveva denunciato per stalking, reato per il quale la procura di Catania aveva chiesto e ottenuto dal gip gli arresti domiciliari.
Alcuni \e  mi diranno basta parlare di queste cose , gli diamo troppo spazio si crea solo emulazione . Ma bravi facciamo come nel fascismo o nelle dittature che vietavano ed vietano di parlare dicronaca nera , nascondiamo il problema come gli struzzi che nascondono la tersta sotto la sabbia .Io sono il primo a credere - e crederò sempre  anche   a  costo  d'essere  considerato   effeminato  ,  difensore  della  nazifemministe,  amante  del gender  e  menate  varie  - che il femminicidio, così come il razzismo o l’omofobia, non lo combatti solo non parlandone o con le famose “pene più severe” ma in un modo più profondo, complesso, cambiando la testa delle persone, a cominciare dall’educazione dalle scuole e nei centri givanili , cambiando alla radice il linguaggio, la società, il maschilismo patriarcale di cui è impregnato.Inffatti c'è ancoa sui media e non Qualcuno parla ancora di “omicidi per troppo amore”. No: sono omicidi per troppa ferocia, per troppa ignoranza, per troppa demenza. Ma è un processo lungo, richiede decenni e migliaia di fattori  fra  cui  il coragio di  rimettere  indiscussione  un antico  e   ormai vetusto  sistema educativo  fatto   di tabù  , fissazioni   e disinformazione    del tipo  : <<  ma  vogliono imporci la  cultura    gender  >> . Nel frattempo, non può essere concepibile che una donna che ha denunciato a più riprese il proprio stalker (prove alla mano) possa morire così, per mano di quella stessa persona, libera di girare con un’arma da fuoco, senza alcun controllo o protezione. Queste notizie sono devastanti per la fiducia delle donne nello Stato e nelle istituzioni , passi indietro di anni nella lotta al femminicidio e  alla  sua   base  cultutrale  . Bisogna rivedere tutto. E non dite , concordo  con Lorenzo ,  che “ci sono altre priorità”. Perché non esiste nulla di più urgente.
Quando  dobbiamo aspettare  perchè  finisca   questo massacro   che   venga  uccisa qualche  parlamentare   ?  

22.8.21

in italia manca la cultura della disabilità il caso di Patrizia Saccà, ex atleta della Nazionale paralimpica di tennis tavolo che non riesce a viaggiare decentemente in treno



se non fosse che la protagonista è ex  partecipante alle paraolimpiadi  med  in esse  medagliata  tale storia sarebbe rimasta ai margini come le tante dissaventure ( metaforicamente parlando ) che devono affrontare i disabili non solo ovviamente quelli in sedia a rotelle perchè anche se l'italia è stata il primo paese ad fare ed ospitare le paraolimpiadi manca una cultura della disabilità seria e non la semplice improvvisazione o l'applicazione di qualche coraggioso amministratore locale che deve barcamenarsi in leggi astruse e contradditorie sulla disabilità e sulle barriere archittetoniche . Ma ora basta polemica e veniamo alla storia




"Bagno per disabili non utilizzabile, spazio limitato. Viaggi impossibili sui treni per noi paraplegici"

                                          di Cristina Palazzo

Patrizia Saccà
La denuncia di Patrizia Saccà, ex olimpionica paralimpica, oggi allenatrice di tennis da tavolo. "Un'odissea il viaggio in carrozzina sul treno regionale da Torino a Varazze"
   republica 22 AGOSTO 2021





"L'unico bagno per disabili quasi sempre non funzionante, postazioni strette per avere la sedia a rotelle accanto e discussioni per i pochi posti per chi ne ha più diritto. Noi disabili motori non abbiamo scelta eppure ancora oggi sui treni regionali ci troviamo a vivere viaggi che si trasformano in odissee, bisogna intervenire con vagoni nuovi e riservando posti a chi non può solo cambiare vagone".
L'appello arriva da Patrizia Saccà, ex atleta della Nazionale paralimpica di tennis tavolo, medaglia di bronzo a Barcellona nel '92 e d'argento ai World Master Games di Torino nel 2013, oggi allenatrice di tennis tavolo. Testimonial di WeGlad (Welcome Gladiators), l'app nata per mappare locali, ma anche vie, marciapiedi e aree della città per le persone in carrozzina, oggi sottolinea le necessità di ampliare i servizi sui treni regionali "che si sa in estate sono sempre molto usati, per questo è importante fare in modo che anche chi ha una disabilità motoria, quindi è su carrozzine elettriche o manuali, abbia la giusta forma di attenzione e l'accesso al servizio".
La sua denuncia parte da un'esperienza personale. Venerdì ha preso il treno da Torino per andare a Varazze, in Liguria, per seguire da allenatrice le due atlete paralimpiche Allegra Magenta e Vittoria Oliva. Così, come richiesto per chi ha disabilità, ha prenotato il posto e comunicato le sue esigenze. "Servono almeno 24 ore di anticipo per permettere l'organizzazione con pedane e operatori".
Il treno dell'andata è partito da Porta Nuova alle 6,25. "Ero nella carrozza per disabili che ha l'unico bagno accessibile in carrozzina di tutto il treno, che come spesso succede non funzionava. Non c'era la luce all'interno - aggiunge Patrizia Saccà - il capotreno molto gentile si è offerto di darmi il telefonino per fare luce ma ho dovuto spiegargli che spesso essere paraplegici vuol dire anche avere il catetere e questo non si può fare avendo un telefono in mano".
Sul treno del ritorno, invece, "la porta non si riusciva a chiudere e ad aprire, serviva uno sforzo immane tanto che un signore ha cambiato bagno, ma lui può farlo io no. Dovrebbero accertarsi sempre che l'unico bagno funzioni perché non abbiamo alternative". Non solo il bagno, il problema maggiore tanto da essere andata su tutte le furie "e credo di aver anche esagerato ma ero esasperata", è stato lo spazio in carrozza.
"Ero stipata, accanto a una signora con una carrozzina elettrica, quasi incastrata, mentre al ritorno mi sono sistemata in corridoio dopo aver litigato con una coppia. Non metto in dubbio che avessero diritto di stare nello scompartimento per disabili ma eravamo in troppi, visti i limiti del Covid. E io quei tre scalini che mi separano dal resto del treno non posso superarli, non posso cambiare posto. Ho così chiesto almeno al marito che assisteva la moglie di spostarsi ma nulla".
Il diverbio è degenerato finché Saccà si è spostata in corridoio "probabilmente ho esagerato, anche con un controllore che mi ha detto che non potevo stare lì mentre c'era chi era seduto a terra. Mi spiace aver esagerato ma questo è il risultato di dover combattere sempre per avere ascolto. Non può divenire una lotta tra disabili su chi ne ha più diritto, per questo l'appello alle Ferrovie a usare vagoni nuovi e riservare i posti ma anche agli utenti alla comprensione. Chi ha un bastone - conclude - accede in stazione con i propri piedi, io no e come me tanti a cui voglio dare voce. Serve la volontà politica di cambiare le cose. Sono stufa di sentirmi dire di averne meno diritto o di spostare la sedia a rotelle altrove, dopo essermi trasportata sul sedile. La sedia a rotelle sono le tue gambe, non le allontani se puoi".

Stiv Gavrilovic salva la bimba di 11 mesi caduta nel porto canale a Rimini



Mi auguro che quel nome e quel suffisso , vedi post sotto , non siano troppo indigeribili per una certa ben nota propaganda sovranara ... ehm... sovranista o pseudo tale perchè :<< Se non dimentichi mai le tue radici, rispetti anche quelle dei paesi lontani >>

Un verso spettacolare di quando ancora gli anticorpi ora quasi affievvoliti al becero nazionalismo o identità chiusa erano apena all'inizi . Infatti chi è legato alla propria storia ed alla propria cultura non solo non disprezza gli altri ma li comprende meglio poiché riesce a capire quanto per loro contino le proprie tradizioni, solo dalla negazione di se stessi possono nascere razzismo e violenza per il diverso... Ohibò, un eroe italiano che non si chiama Rossi o Locatelli, reggeranno anche a questa  storia      che riporto qui  sotto    e  di cui  trovate    qui il  video 

 Stiv Gavrilovic, 42enne di origini serbe ma che lavora a Rimini come 2° capo scelto della Guardia costiera, ha salvato una bimba di 11 mesi caduta col passeggino nel porto canale di Rimini tuffandosi senza esitazioni . Una bimba di appena 11 mesi era caduta in acqua nel porto di Rimini dopo che passeggino su cui si trovava era scivolato accidentalmente. A salvarla dall’annegamento Stiv Gavrilovic, 47enne di origini serbe ma che abita in romagna da 25 anni, dove presta servizio come 2° capo scelto della Guardia costiera. È lui l’eroe che ha portato in salvo la piccola tuffandosi immediatamente in mare dopo aver capito cosa stesse accadendo.È stata questione di istanti. Le urla della madre, il volto della bimba che rapidamente si inabissa, i brividi lungo la schiena.Ma non ha avuto il tempo per riflettere. Senza pensarci un attimo, Gavrilovic si è tuffato nel canale, ha afferrato la bambina e l’ha portata sulla banchina, salvandola da morte certa.



“Quando ho visto il volto di quella bambina che spariva sott’acqua” ha detto, “mi sono subito venuti in mente i miei tre figli, e ho sentito un brivido. In momenti del genere però uno si sforza di non pensare a niente. Ho spento il cervello e mi sono tuffato". Il tutto davanti agli occhi terrorizzati della madre e di alcuni passanti che hanno assistito preoccupati alla scena. “Sono convinto che chiunque, a cominciare dai miei colleghi, avrebbe fatto lo stesso”, ha dichiarato Gavrilovic. Il militare ha ripercorso quegli istanti frenetici: “Quando ho visto il volto di quella bambina che spariva sott’acqua, mi sono subito venuti in mente i miei tre figli, e ho sentito un brivido freddo lungo la schiena. In momenti del genere però uno si sforza di non pensare a niente. Ho spento il cervello e mi sono tuffato”. Erano circa le 19.30 di ieri sera e Gavrilovic si trovata negli uffici della Capitaneria di porto di Rimini, a due passi dal luogo dell’incidente.




Ed aggiungo io , al post riportato sopra di Lorenzo Tosa  ed  da  https://www.nextquotidiano.it/stiv-gavrilovic-salvataggio-bimba-11-mesi-porto-rimini/    che    non avremo  e      forse   ci  saranno  meno   storie     come questa 




  visto   che  gli imbecilli    sono sempre  esistiti  anche  ad tempi miei  quando internet  non c'era   





21.8.21

le altre olimpiadi le paraolimpiadi DIETRO OGNI DISABILITÀ C’È UNA STORIA DA CCONTARE: DOBBIAMO GUARDARLA CON OCCHI DIVERSI» .


Oggi 19 Aug 2021
                   di Sandro Orlando
Le Paralimpiadi sono una lezione di vita
L’ATLETA, DEPUTATA E VINCITRICE DI «BALLANDO CON LE STELLE», SPIEGA L’IMPORTANZA DI QUESTO APPUNTAMENTO. «DIETRO OGNI DISABILITÀ C’È UNA STORIA DA RACCONTARE: DOBBIAMO GUARDARLA CON OCCHI DIVERSI» . ECCO CHI PUNTA ALLA MEDAGLIA D’ORO

federico morlocchi    nuotatore 
il nostro porta bandiera  




Ai Giochi paralimpici di Rio, si mise a piangere quando Monica Graziana Contrafatto vinse il bronzo nella finale dei 100 metri.. Solo quattro anni prima, l’amica e at-leta dell’Esercito aveva potuto seguiree in tv le Paralimpiadi di Londra dall letto di un ospedale dove era ricoverata per l’amputazione di una
gamba: ed era stata la vittoria di un’altra velocista paralimpica, Martina Caironi, a trasmetterle la voglia di provarci, per riscattarsi dalla tragedia che l’aveva coinvolta durante una missione in Afghanistan. A Rio Monica, Martina e Giusy si erano poi ritrovate tutte e tre, condividendo l’emozione di quelle gare, e la gioia del podio.
Giusy Versace, deputata di Forza Italia, conduttrice televisiva ed atleta, chenella sua carriera sportiva
vanta diversi record e la partecipazione a tre Europei e due finali nelle gare dei 200 e 400 metri amputati dei Giochi del 2016, ricorda connostalgia «l’atmosfera magica» di quelle Paralimpiadi, e ammette: «Mi viene da rosicare perché a Tokyo avrei voluto esserci anch’io, ma negli ultimi anni ho dovuto dare priorità all’attività politica, e questi Giochi li guarderò da spettatrice. La delegazione italiana conta peraltro dei numeri importanti, e anche una presenza femminile superiore al passato».«A RIO, NON ANDÒ COME AVREI VOLUTO»
«Le mie Olimpiadi non le ho vissute benissimo», continua Giusy («dammi del tu e non scrivere ex atleta, perché quando diventi atleta lo resti per sempre nell’anima»), «ero arrivata a Rio stanca, dopo che a Londra la Federazione aveva deciso di lasciarmi come riserva, anche se
avevo i minimi Mi ero preparata per anni a quell’appuntamento, ma in finale qualcosa non è andato. Eppure se ripenso a quei momenti, mi vengono i brividi: c’è tutta un’energia che non si può descrivere». Ci pensò poi la mamma a consolarla: «Mi disse: “Ricordati che tu ora seii entrata nell’Olimpoll’Oli ddeii più forti, e che la tua medaglia più importante l’hai già vinta 11 anni fa”». Era il 2005 e Giusy aveva 25 anni, quando in un incidente d’auto perse entrambe le gambe. «Prima ero una giovane manager in carriera nellaMilano della moda, correvo tutto il giorno, ma non in senso sportivo».

«A RIO, NON ANDÒ COME AVREI VOLUTO»
«Le mie Olimpiadi non le ho vissute benissimo», continua Giusy («dammi del tu e non scrivere ex atleta, perché quando diventi atleta lo resti per sempre nell’anima»), «ero arrivata a Rio stanca, dopo che a Londra la Federazione aveva deciso di lasciarmi come riserva,, anche se avevo i minimi. Mi ero preparata per anni a quell’appuntamento, ma in finale qualcosa non è andato. Eppure se ripenso a quei momenti, mi vengono i brividi: c’è tutta un’energia che non si può descrivere»
Ci pensò poi la mamma a consolarla: «Mi disse: “Ricordati che tu ora seii entrata nell’Olimpo dei più forti, e che la tua medaglia più importante l’hai già vinta 11 anni fa”». Era il 2005 e Giusy aveva 25 anni, quando in un incidente d’auto perse entrambe le gambe. «Prima ero una giovane manager in carriera nellaMilano della moda, correvo tutto il giorno, ma non in senso sportivo».  
Da quella tragedia si risollevò subito, dimostrando una grinta e unadeterminazione che neanche immaginava. Già due anni dopo Giusy riprese a guidare, poi si avvicinò all’atletica, cominciando a correre con un paio di protesi in fibra di carbonio. «Paradossalmente ho imparato ad amare la corsa quando ho perso le gambe. Lo sport è stato per me una grande opportunità di riscatto, mi ha aiutato a superare i momenti bui e a dimostrare a me stessa e agli altri chi sono

Da quella tragedia si risollevò subito, dimostrando una grinta e unadeterminazione che neanche immaginava. Già due anni dopo Giusy riprese a guidare, poi si avvicinò all’atletica, cominciando a correre con un paio di protesi in fibra di carbonio. «Paradossalmente ho imparato ad amare la corsa quando ho perso le gambe. Lo sport è stato per me una grande opportunità di riscatto, mi ha aiutato a
superare i momenti bui e a dimostrare a me stessa e agli altri chi sono».
LA PISTORIUS ITALIANA
Diventa così la prima velocista senza le gambe, la «Pistorius italiana». Nel 2011 poi fonda anche l’onlus Disabili No Limits, per spingere i ragazzi con disabilità a praticare un’attività sportiva. «Se c’è una cosa grande dello sport è che ci aiuta a raccontare le storie delle nostre vite con una chiave diversa, agevolando l’inclusione», dice. «In Italia siamo indietro, in troppi vivono ancora la propria condizione con disagio».
Sempre nel 2011 arrivano i primi risultati di rilievo, come il primato europeo sui 100 metri. La mancata partecipazione ai Giochi di Londra non la fa perdere d’animo, e trova il modo di raccontare le Paralimpiadi del 2012 come commentatrice su Sky, diventando un volto televisivo

 Poi, mentre continua ogni giorno ad allenarsi, partecipa anche al programma Rai Ballando con le stelle, che vince, e scrive un libro ( Con la testa e con il cuore si va ovunque, Mondadori), per raccontare la sua storia «Perché dietro ogni atleta con disabilità c’è una storia fatta di sacrifici,cadute e nuovi inizi, un percorso chemerita di essere raccontato», ripete Giusy. «Raccontare le nostre imprese sportive aiuta la gente a guardarci con occhi diversi, e io l’ho sperimentato di persona», continua. «Un tempo quando andavo in spiaggia e mi staccavo le gambe, le persone intorno a me manifestavano un certo imbarazzo.
O ggi sono i bimbi che mi riconoscono in quanto atleta o ballerina Rai». L’attività parlamentare non le ha assicurato altrettanta visibilità, anche se a Montecitorio c’è una proposta di legge che porta la sua firma per inserire il diritto allo sport nella Costituzione, in quanto strumento educativo prezioso a cui tutti devono poter accedere. Ma non importa, in fondo si considera un’estranea alla politica, e per chi l’ha conosciuta guardandola ai Giochi di Rio, resterà sempre associata alla lezione che la vita è un regalo, e va vissuta senzamai mollare.


LA GRETA TUMBERG AMERICANA

 




La schiacchiatrice ha avuto problematiche cardiache dopo le due dosi e precisa: "Lo rifarei, ma solo nel momento in cui mi venissero date delle spiegazioni"
repubblica  20 AGOSTO 2021 


Francesca Marcon in azione con la maglia della nazionale azzurra (ansa)






Il suo messaggio affidato ai social, con una storia su Instagram, è deflagrato nel dibattito continuo tra vax e no-vax. Eppure con quel suo post, Francesca Marcon ha voluto sottolineare le problematiche emerse, secondo la pallavolista del Volley Bergamo, dopo la seconda dose di vaccino. "Non sono assolutamente no-vax" ci tiene a precisare la schiacciatrice veneta, attualmente ferma per una pericardite (infiammazione del pericardio, ndR): l'unica sua missione è raccontare la sua storia e provare a sensibilizzare il pubblico, aumentare la consapevolezza di coloro che scelgono di vaccinarsi.

Francesca Marcon, cosa è successo?
"Dopo la prima dose di vaccino ho avuto i disturbi classici, dopo la seconda la situazione è peggiorata. Non so cosa mi sia successo, non ho mai avuto problemi cardiaci, ma i dolori sono iniziati prima del 3 agosto, giorno della seconda dose, quando poi si sono acuiti notevolmente".
Quando è precipitata la situazione?
"Dovevo iniziare le vacanze cinque giorni dopo la seconda dose, ma non stavo bene: sono partita lo stesso ma sono stata male, il dolore al torace è aumentato e così sono andata al pronto soccorso dove mi hanno diagnosticato una pericardite".
Dovuta a cosa?
"Non si sa, ma ho provato a sentire diversi specialisti: mi hanno detto che la pericardite è tra gli effetti collaterali dei vaccini a mRna".
La sua pericardite, quindi, è dovuta al vaccino?
"Io non so cosa sia realmente successo, non so se tutto questo sia stato causato dal vaccino o se avessi qualcosa di latente nel mio corpo. Non sono assolutamente no-vax, e questo lo affermo con forza: tutta la mia famiglia è vaccinata e il Covid mi ha spaventato molto, non vedevo l'ora di trovare una soluzione a questa minaccia. Mi spiace solo che nessuno mi abbia detto, dopo la prima dose e i miei primi disturbi, che potevo andare incontro a problemi di questo tipo. Magari avrei fatto degli accertamenti".
Firmando il consenso si presuppone che si leggano tutti i possibili effetti collaterali...
"Ho capito. Però, per esempio, quando sono andata a fare il vaccino il medico presente mi ha chiesto se avessi delle infezioni in corso ma chiaramente non potevo saperlo. Io credo nella scienza e nella medicina, ma avrei voluto essere più informata. Magari si potrebbe rendere obbligatorio un sierologico, magari sensibilizzare maggiormente il pubblico".
Oggi come sta?
"Sono sotto cura, ho dolori al torace che vanno e vengono, un senso di affanno costante e stanchezza sempre presente".
Non è possibile che abbia contratto in precedenza il Covid in una forma asintomatica?
"Ci ho pensato, ma noi pallavoliste siamo tutte 'tamponate'. Eppure Bergamo è stata l'unica società senza casi di Covid, a differenza delle altre squadre. Forse l'ho avuto senza essermene accorta, magari ho avuto gli effetti del long Covid. Però perché prima di inocularti un vaccino, non ti vengono fatte certe domande? O, in alternativa, non viene fatto un esame sierologico?".
Quindi non ha potuto iniziare la stagione.
"Non ho potuto prendere parte al raduno, la squadra ha iniziato due giorni fa. Dovrò sottopormi a un periodo di cura, un controllo tra una settimana ma al pronto soccorso mi hanno preventivato tre mesi di stop dal mio lavoro".
Rifarebbe il vaccino?
"No, io non lo rifarei ma è la mia brutta esperienza che incide nella scelta. Lo rifarei nel momento in cui mi venissero date delle spiegazioni".
Oltre a rovinarle le vacanze, le ha compromesso la stagione.
"Io vivo di pallavolo, avevo deciso di fare uno degli ultimi anni ma vedremo. Sono molto giù, mi auguro di stare meglio il più in fretta possibile, ma mi chiedo: 'chi mi risarcirà per quanto accaduto?'. Credo sia giusto parlarne, raccontare il mio caso, che è stato particolare. Tutti i miei familiari, ad esempio, non hanno avuto nulla".

A seguire le vicissitudini di Francesca Marcon è stato il dottor Roberto Corsetti, cardiologo e medico dello sport del Centro Medico B&B di Imola.

Dottor Corsetti, cosa è successo a Francesca Marcon?
"C'è una consecutio temporum abbastanza stringente. Francesca era in perfetta salute, non ha mai avuto storie pregresse di infezioni del pericardio o del miocardio e non ha mai avuto anamnesi di sofferenza cardiaca. La sequenza logica e temporale dei fatti è questa: ha fatto una prima dose di vaccino, quindi una seconda in data 3 agosto e, dopo appena due giorni, in fase di inspirazione ha iniziato ad avvertire dolori (che prima non aveva) che partivano dal torace e si irradiavano al braccio. Ho pensato che questi sintomi potessero essere dovuti a un problema cardiaco: ho prescritto degli esami, che nell'immediato hanno dato risultato negativo, come anche l'elettrocardiogramma. Ma poi i sintomi sono peggiorati, ho mandato l'atleta al pronto soccorso mentre era in vacanza e nuovi esami hanno mostrato marker di infezione positivi, mentre un ecocardiogramma effettuato mostrava un versamento pericardico. Quindi la diagnosi è stata pericardite".
Come sta adesso la pallavolista?
"È in convalescenza ed è sottoposta ad una cura farmacologica anche pesante. Tra qualche giorno faremo altri esami: seguiremo il quadro clinico e l'evolversi della situazione".
La pericardite è tra le possibili controindicazioni del vaccino?
"Può essere un effetto collaterale dei vaccini a mRna. Lo confermano e lo sottolineano studi pubblicati da riviste scientifiche"


La kombucha millenaria ora è bevanda di tendenza, Boomer e generazione Z: la bocciofila a ritmo trap , ed altre storie


donne che fuggono e donne che resistono afganistan .

La protesta delle donne afghane: in marcia con una bandiera di 200 metri per dire no al regime


La protesta forte, vibrante, delle donne afghane contro il regime dei talebani che vorrebbe cancellare le conquiste degli ultimi anni e riportarle indietro con la storia. Manifestazioni ovunque nel Paese in nome della libertà e dell’indipendenza. Le immagini del video arrivano da Kabul: in testa al corto sono soprattutto coraggiose donne, ma a seguire ci sono tanti uomini in marcia con una bandiera afghana enorme, lunghissima, srotolata lungo le auto . «La nostra bandiera nazionale è la nostra identità» urlano, sfidando i talebani con le loro armi sempre imbracciate e minacciose. E i social vengono inondati da queste immagini che sanno di rabbia e di disperata fame di libertà. Credit Twitter Jordan Bryon e Aditya Raj Kaul





La gioia di Zahra finalmente in salvo in Italia: "Ma non dimenticate le mie amiche a Kabul"
di Vera Mantengoli
La famiglia dell'imprenditrice vive a Venezia e aveva lanciato un appello per la sua salvezza
19 AGOSTO 2021 






La gioia di trovare un posto sicuro, il dolore di lasciare chi ami nel pericolo. È lo stato d’animo di Zahra Ahmadi, attivista e imprenditrice di 32 anni di Kabul, sbarcata ieri intorno alle 13 a Roma Fiumicino. «Non ringrazierò mai abbastanza gli italiani per avermi portata in un luogo sicuro» ha detto al fratello Hamed, fondatore della catena di ristoranti Orient Experience e volto di tante campagne di inclusione sociale. «Sono preoccupata per le mie amiche che sono rimaste in Afghanistan e chiedo all’Italia di non dimenticare chi è ancora là. Il mio arrivo sarà il punto di partenza per aiutare tante altre donne rimaste bloccate in un Paese che non dà futuro».
Zahra, stremata da cinque lunghissimi giorni vissuti tra il caos dell’aeroporto e rifugi di fortuna, ha potuto riabbracciare il fratello Hamed, dal 2006 a Venezia dopo le minacce di morte ricevute dai talebani per due cortometraggi girati all’epoca e considerati antireligiosi. Poi è stata subito accompagnata da funzionari del ministero della Difesa in un luogo in cui starà in quarantena.
Hamed era partito all’alba da Venezia in treno per farle sentire la vicinanza di tutta la famiglia, sapendo che avrebbe potuto soltanto vederla da lontano, non scattare foto, né fare video. «Ci hanno permesso per qualche secondo di abbracciarci e ci siamo stretti forte forte, non avremmo più voluto staccarci» ha raccontato trattenendo le lacrime. È stato lui sabato a lanciare un appello per liberare la sorella che ha rilasciato la sua ultima intervista proprio a la Repubblica, poche ore prima che scoppiasse l’odissea in aeroporto culminata con i falling men. «Sabato alla sera si è nascosta in aeroporto» racconta il fratello ripercorrendo le tappe che l’hanno portata in Italia.





Afghanistan, il dramma delle donne incinte nel Panshir: sette su dieci non vanno più in ospedale e rischiano di perdere il figliodi Massimo Lorello19 Agosto 2021



«Domenica i talebani le hanno perquisito i bagagli e preso il computer. Aveva pochissima batteria e ha suonato alla prima casa che ha raggiunto, ma non c’era energia elettrica. Non volevo perdere le sue tracce e così ho chiamato degli amici che erano in aeroporto e l’hanno portata a casa sua. Lunedì ho chiesto a delle persone fidate di nasconderla. Martedì ha provato a recarsi in aeroporto, ma ha trovato i talebani che bloccavano la strada ed è tornata indietro, angosciata per come si stava mettendo la situazione». Infine mercoledì, schivando i talebani, è riuscita a raggiungere l’aerea militare sicura e a quel punto è crollata dal sonno». Zahra aveva di recente partecipato a una manifestazione contro i talebani insieme a tanti altri giovani. Si era conquistata il suo lavoro da ristoratrice in una società maschilista come poche e non voleva rinunciare più alla libertà. «Ci sono altre donne come me in Afghanistan» ha ribadito «Non abbandoniamole».

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di Barbara Schiavulli 18 Agosto 2021

20.8.21

Afghanistan, arrivata in Italia l’attivista Zahra Ahmadi dopo gli appelli del fratello Hamed, ristoratore a Venezia


Afghanistan, arrivata in Italia l’attivista Zahra Ahmadi dopo gli appelli del fratello Hamed, ristoratore a Venezia
DI ANASTASIA LATINI //

CRONACA ITALIA

19 AGOSTO 2021, 22:54Zahra Ahmadi, attivista per i diritti delle donne, è arrivata in Italia con il ponte aereo dall'Afghanistan, dove è scappata. Riabbraccia il fratello Hamed Ahmadi, imprenditore culinario a Venezia


Una storia a lieto fine quella di Zahra Ahmadi, attivista e ristoratrice arrivata in Italia dall’Afghanistan oggi, riuscita a scappare dalla presa dei talebani sul Paese. Nei giorni scorsi erano stati molti gli appelli del fratello Hamed Ahmadi, rifugiato politico in Italia dal 2006 e fondatore della catena di ristoranti Orient Experience, con vari locali in Veneto. Insieme a Zahra, sul volo organizzato dalla Farnesina, c’erano 202 profughi di guerra accolti in Italia con il ponte aereo che sta operando per mettere in salvo collaboratori, traduttori e attivisti afghani.

Zahra Ahmadi arriva in Italia e riabbraccia il fratello Hamed

Lo annuncia lo stesso Hamed Ahmadi su Facebook, il risultato tanto atteso: “Sono in aeroporto e sto in questo momento con lei!



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Non posso tanto trattenermi! Ma scrivo. Come prevedevo tristezza e gioia! Lacrime e sorriso! È stata emozionante ed affettuosa! Ci siamo guardati uno ad altra! La promessa era di non abbracciarci per via del COVID- ho guardato al colonello! L’ho visto emozionato e con un gesto mi ha incoraggiato di abbracciarla!!! Non riuscivamo a staccarci…“. Il ristoratore e la sorella, l’attivista Zahra Ahmadi, non si vedevano da 7 anni, dato che Hamed non può più tornare in Afghanistan per il suo status di rifugiato.


Zahara, invece, aveva preferito rimanere a Kabul per continuare il suo lavoro e aiutare le sue connazionali.



Oggi finalmente l’abbraccio, dopo la grande paura: “Mi ha ripetuto grazie ed io lo dico a voi… a tutti… di alto e basso e di destra e sinistra! Volete sapere dopo cosa mi ha detto: Mi ha parlato delle sue amiche e mi ha supplicato di proteggerle! Mi ha detto che è stanca ma felice! Alla fine mi ha detto a dirvi: Non dimenticateci! Io non conto… sono solo una e sono qui ad aiutarvi per aiutare gli altri… e poi ci siamo staccati!


Ti amo sorella mia. Ben arrivata alla tua nuova vita e sappi che proteggerò il tuo passato“, ha concluso emozionato Hamed.
Gli appelli per far fuggire Zahra Ahmadi dall’Afghanistan

Nei giorni scorsi, con l’avanzata dei talebani su Kabul, la situazione era diventata estremamente preoccupante e Hamed Ahmadi aveva lanciato vari appelli per portare in salvo la sorella. Immediata la mobilitazione, che ha visto politici veneti e attivisti cercare di aiutare Zahra ad arrivare in Italia, tra cui Nicola Pellicani e Alessandra Moretti del PD, oltre a Luca Zaia, governatore leghista del Vento.


Sono stati coinvolti i ministri Luigi Di Maio e Lorenzo Guerini, che hanno predisposto il trasferimento dell’attivista tramite la Farnesina.




La 32enne si era dapprima nascosta in una casa con alcune amiche e poi era riuscita a raggiungere l’aeroporto di Kabul, bloccato dai militari americani e poi sgomberato dai talebani. Ore di paura quando il fratello ha perso i contatti, ma fortunatamente Zahra Ahmadi è riuscita a salire su un volo insieme alle ricercatrici della Fondazione Veronesi. “Lascio con rabbia questo Paese, ma grazie alla possibilità di venire in Italia ho ancora la speranza che non sia tutto finito, di poter aprire altre porte“, ha dichiarato lasciando il Paese.

La storia di Hamed Ahmadi, dall’Afghanistan a Venezia

Hamed Ahmadi è arrivato in Italia nel 2006, dove sarebbe dovuto rimanere per breve tempo, per presenziare alla Mostra del Cinema di Venezia. Nella kermesse, il giovane regista aveva portato un docu-film e un cortometraggio, quest’ultimo in particolare gli è valso minacce di morte in caso fosse tornato in Afghanistan. La vita di Hamed, a quel punto, cambia totalmente: a 25 anni chiede lo status di rifugiato e rimane in Italia, entra in un centro di accoglienza a Venezia e inizia a lavorare come mediatore culturale.


L’incontro con altri rifugiati, provenienti da Iran, Turchia e con alle spalle l’esperienza del lungo viaggio per scappare alle persecuzioni, dà vita a Orient Experience, un progetto culinario nato per dar voce alle storie dei migranti tramite la cucina. Grazie all’aiuto di amici che hanno creduto nel suo sogno, nel 2012 apre il primo ristorante, seguito da altri quattro negli anni successivi in vari sestieri di Venezia, tra cui Cannaregio e San Barnaba.



L’ultimo, Africa Experience, mette al centro i piatti di origine africana, ma lo scopo non è solo far conoscere le cucine di origine e le influenze culinarie dei viaggi attraverso Paesi lontani per arrivare in Italia. Hamed punta anche a dare un lavoro ai migranti, facendoli integrare al meglio nel tessuto sociale.
Il successo con Michelle Obama e il ricongiungimento con la famiglia

Orient Experience è un vero e proprio successo che attira anche Michelle Obama: Hamed Ahmadi partecipa alla serie Netflix per bambini sulla cucina Waffles + Mochi dell’ex First Lady. I ristoranti nel frattempo sono diventati 5, con varie sperimentazioni, come SudEst 1401, che gioca sulle contaminazioni culinarie della migrazione balcanica-siciliana. La squadra di Hamed si è allargata, aprendo a diversi soci e a decine di dipendenti, tanto da attirare l’attenzione anche di Gambero Rosso.

Ahmadi ha potuto anche riabbracciare la sua famiglia, con il ricongiungimento familiare. I genitori e la sorellina erano già arrivati in Italia, unica a mancare era Zahra, che aveva scelto di restare in Afghanistan per continuare il suo lavoro di attivista per i diritti delle donne.
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LA TRANSESSUALITÀ NON È UN PRANZO PER GENDERQUEER di ©® Daniela Tuscano

 


Neviana Calzolari, sociologa, attivista, scrittrice e volto tv. Eppure ben poco mainstream, anzi, fra le osservatrici più acute (e critiche) del panorama politico-sociale dei nostri tempi. Una voce autorevole anche riguardo al ddl Zan, che rifugge da semplificazioni manichee e opposti ideologismi. Voce che sa accompagnare e da cui traspare una forte attitudine educativa. Voce della quale si sente il bisogno. gruppo Il gruppo I-Dee di Milano e l’associazione Ipazia di Catania l’hanno incontrata.
– Questo ddl è stato pensato per combattere l’omotransfobia, quindi con buone intenzioni – esordisce Neviana –, ciò nonostante rimango scettica su certa terminologia, in particolare sull’”identità di genere” che allarma buona parte del mondo femminista e – ormai nessuno lo nega più – anche moltissimi intellettuali di area progressista. Sembra paradossale dirlo, ma io, in
quanto donna transessuale, non mi sento rappresentata. Fra le “categorie” elencate nell’articolo 1 le persone transessuali infatti non compaiono. Come collocarle? Nel genere o nel sesso? Per i promotori della legge si tratta di distinzioni inutili, poiché la transessualità verrebbe compresa nel più ampio cappello dell’identità di genere. Ma è una motivazione semplicistica e fuorviante: la transessualità, occorre ricordarlo, non riguarda il percepito, bensì i corpi, e nemmeno si possono assimilare donne e uomini alla nascita a persone che hanno completato il percorso di transizione, come se la differenza tra i loro vissuti fosse inesistente.
I-DEE/IPAZIA – Ma sottolineare questa differenza non comporta una discriminazione?
NEVIANA – Discriminare significa, appunto, fare la differenza. Dipende poi come la si intende: se come disparità di trattamento, pregiudizio… o, invece, come presa d’atto d’una realtà. Ovviamente è quest’ultima a interessarmi. Sesso biologico e sesso anagrafico non sono costruzioni identitarie fittizie. L’identità sessuale concerne sia la biologia, sia il vissuto dei singoli. La sovrapposizione confusiva tra sesso e genere, che il ddl innesta in chiave antifemminista, si sperimenta nei consultori pubblici (spesso promossi dalle stesse associazioni trans), dove viene incoraggiata un’adesione quasi caricaturale agli stereotipi di genere. L’ideologia di genere, comunemente sbandierata come il nuovo che avanza, riecheggia i luoghi comuni più stantii riguardo a femminilità e mascolinità. Che cosa ci identifica come donne: il trucco? I tacchi? Gli abiti? Il luogo dove ci si “traveste” (a me è stato chiesto anche questo…)? Il comportamento? Devo dimostrarmi sufficientemente carina, accogliente, premurosa per venir considerata donna a tutti gli effetti? Mi rendo conto delle difficoltà nel formulare talune valutazioni, ma proprio per questo il centrosinistra necessiterebbe d’un pensiero politico organico sul tema, oggi del tutto assente.
– Perché parli di antifemminismo?
– Perché le persone T vengono spinte ad aderire a una polarizzazione rispetto alle istanze del movimento femminista, il quale, al contrario, da sempre si batte per l’eliminazione degli stereotipi di genere. Senza dimenticare che, negli ultimi anni, gli assessorati di centrosinistra hanno finanziato indifferentemente tanto le associazioni femministe storiche, come l’Udi o la Casa delle Donne, quanto attività come Arcigay che muovevano da esigenze diverse e in alcuni casi opposte a quelle del femminismo stesso. Ho parlato di antifemminismo, ma dovrei aggiungere transfobia; riflettiamo: cosa c’è di più transfobico di una donna T incoraggiata a comportarsi come una bambolina o di un uomo T costretto a recitare la parte del bullo?…
– Ma le persone T non potrebbero ribellarsi a questi condizionamenti?
– Non è facile, perché la rinuncia comporterebbe ai loro occhi la completa emarginazione sociale e molti problemi nei consultori. La maggior parte delle persone T puntella il senso di sicurezza nel costruire la propria identità a partire dagli aspetti più appariscenti e superficiali. Al contrario del messaggio glamour veicolato dai media, il percorso di transizione è profondamente drammatico. Cambiare la propria identità sessuale significa addentrarsi in una “terra di nessuno” dove abbandoni il sesso di nascita senza poterti appoggiare del tutto a quello d’elezione. La maggior parte delle persone T non riesce ad accettare che resti comunque una differenza – un discrimine per tornare al discorso precedente – fra la propria esperienza umana e quella di chi nasce e si identifica col sesso biologico. Ecco perché contesto le banalizzazioni insite nel ddl: non bisogna mai rimuovere questi vissuti così complessi anche perché le persone T sono vittime di odio e violenze proprio in base alla loro storia e non a prescindere da essa. Se anziché attaccarsi ossessivamente agli stereotipi o insistere sull’approvazione sociale ci si concentrasse su di sé e sul fatto di essere orgogliosi del proprio cammino si vivrebbe sicuramente meglio. Certo in modo più adulto e maturo, perché la transessualità non implica solo sofferenza ma anche gioia, fierezza, serenità.
– Negli ultimi anni, specialmente dopo lo scalpore suscitato da alcuni episodi di cronaca, assistiamo a un aumento d’interesse degli uomini verso le donne T, quasi che ricerchino in esse non solo il “proibito”, ma anche quella femminilità passiva, asservita ai desideri del maschio, cui le donne biologiche non sono più disposte a sottostare. Certe trans “mediatiche” non perdono occasione di ripetere che loro “sono più donne” di tutte…
– Non solo. Le donne T più ossessionate dalla differenza arrivano a simulare le mestruazioni, sporcano gli assorbenti con sangue finto e vivono nel terrore che il partner scopra la loro transessualità. Nessuno osa parlarne perché collide con la narrazione edulcorata diffusa dai mezzi di comunicazione di massa, invece le trans dovrebbero riconoscere, e combattere, questo vissuto omertoso e profondamente menzognero. Quanto all’interesse, o meglio all’attrazione, di taluni uomini nei loro confronti… beh, non fa che confermare quanto detto. Non interessano le persone reali, ma soltanto il loro presunto lato oscuro, tabù. Sono viste come “monstrum”, non come esseri umani da conoscere e amare. Si tratta di un’attrazione del tutto morbosa, perversa, patologica.
– Non denota pure lo smarrimento maschile, la sua incapacità di accettare l’emancipazione della donna? Ricercano le trans perché con la loro adesione, talora esasperata, ai modelli di sottomissione rappresentano l’antitesi del femminismo.
– Senza dubbio. Per questo, invece d’insistere sull’identità di genere, le donne T e le donne biologiche dovrebbero esaltare le loro rispettive diversità, farne un punto di forza per contrastare il maschilismo di cui entrambe sono vittime. Anche una donna alla nascita non corrisponde quasi mai ai luoghi comuni impostile dalla società e “costruisce” sé stessa indipendentemente dalle aspettative dominanti. È un’occasione da non lasciarsi sfuggire.
– In un precedente incontro hai sottolineato l’importanza del fattore educativo…
– Non è esattamente così. Rispondevo a una domanda precisa a proposito della giornata contro l’omolesbotransfobia e le eventuali applicazioni in ambito scolastico. Io non ho alcuna formula da proporre, anzi, me ne guardo bene! Occorre certo una educazione al rispetto umano, ma in senso ontologico e in tutti i campi. Penso alla presenza sempre più invasiva della pornografia, che ormai non risparmia nessuna fascia d’età. Ecco, in questo caso si renderebbe necessaria un’alleanza tra scuole e famiglie per prevenire un fenomeno che, sia rivolto verso etero sia verso persone omosessuali o trans, rappresenta la forma più banalizzante e schiavistica della sessualità. Una cosa è sicura, non andrei a parlare della mia esperienza nelle scuole inferiori. I ragazzi più grandi possono in qualche frangente accedervi, ma i piccoli vanno aiutati a comprendere a partire dalla loro esperienza, non da quella di adulti spesso alle prese, essi stessi, con un vissuto complesso e non del tutto risolto.
Daniela Tuscano

19.8.21

Il Vaticano si scaglia contro il referendum per l’eutanasia legale

Puntuale come la pioggia a Pasquetta, arriva il commento di Monsignor Paglia. Nel frattempo la raccolta firme ha superato, di gran lunga, le 500mila adesioniLa grande notizia è che in questi giorni la raccolta firme per il referendum sull’eutanasia ha toccato quota 500.000, che significa vittoria, obiettivo raggiunto (ma si punta già alle 750.000).Quella triste - e oltremodo prevedibile - è che il Vaticano, tramite il Monsignor Paglia, si è scagliato contro l’eutanasia parlando di “eugenetica” (eh???) e di “pericolo che avvelena la cultura” (ah...)La verità è che viviamo in uno Stato laico, è il 2021 (non il 1500) e 7 italiani su 10 sono favorevoli all’eutanasia (cattolici compresi), esiste una sentenza della Corte Costituzionale che impone al Parlamento di legiferare in materia e gli unici che avvelenano la cultura sono quelli che si ostinano a decidere per gli altri come devono vivere e quando morire. Infatti Mentre la raccolta firme prosegue spedita in tutta Italia, superando già le 500mila adesioni, arriva – puntuale come il cattivo tempo nel giorno di Pasquetta – la posizione del Vaticano contro il referendum per l’eutanasia legale. La posizione di buona parte della Chiesa cattolica sul tema è nota da tempo e le parole di
Monsignor Vincenzo Palma – presidente della Pontificia Accademia per la Vita – non fanno altro che confermarla.  Secondo     quantoi riporrta quest articolo di  https://www.nextquotidiano.it/
[...] 
In un’intervista pubblicata su Vatican News, il prelato si è fatto megafono del pensiero del Vaticano e della Chiesa cattolica sul tema dell’eutanasia legale in Italia, senza commentare scelte analoghe fatte in altri Paesi sparsi per il mondo.“C’è la tentazione di una nuova forma di eugenetica: chi non nasce sano non deve nascere. E insieme con questo c’è una nuova concezione salutistica per la quale chi è nato e non è sano, deve morire. È l’eutanasia. Questa è una pericolosa insinuazione che avvelena la cultura. Si sta man mano incuneando nella sensibilità della maggioranza una concezione vitalistica della vita, una concezione giovanilistica e salutistica in base alla quale tutto ciò che non corrisponde ad un certo benessere e ad una certa concezione di salute viene espulso”. [...] 



 

Una posizione chiara, ben definita e atavica che, però, non contestualizza bene il senso della raccolta firme che ha superato le 500mila adesioni nel nostro Paese. Come ricorda bene Marco Cappato – deus ex machina dell’iniziativa – il referendum non prevede l’inserimento prevede alcun obbligo di scelta ma consente a ogni singolo cittadino di decidere autonomamente. Un qualcosa che è stato rimarcato anche dalla sentenza della Corte di Cassazione sul caso di Dj Fabo. Una sentenza che, come previsto dalle norme italiane, fa giurisprudenza. E, in attesa che il Parlamento promulghi una legge seguendo le indicazioni dei giudici ermellini della Corte Suprema, tutte le decisioni devono essere prese seguendo quel parere.

Ora   mi  si  chiamerà assasino  ,  che non rispetto    la  vita  ,la  vità è    di Dio  è  l'unico che    può  dartela  o toglierla  , ecc.
Ma  io chiedo    è vita    quello  di  vivere   in un letto ,  senza  parlare  , mangiare   e bere  ,  muovere  un muscolo  (  se  va bene  ) o  rimanere  addormentati ?   Pur  essendo contrario  , preferisco il suicidio  assistito  o  la  fine  delle cure  inutili  , all'aeutanasia  perchè non mi và che siano  (  a seconda  della gravità dei casi  )   gli altri  a decidere  se mantenerti in vita  o  pure  pore  fine  ad essa ,  io  firmato  per  il referendum . Infatti   come      da testamento   biologico  mi sembra  giusto che  ogni uno  di  noi  scelga    se acccettare il dono  della  vita  o  rifiutarla  in quanto  Dio  oltre  ad   aver creato la vita  ci ha  anche dato il libero arbitrio  ovvero la scelta   se   acettarla   fino in fondo     viverndo anche  come  un vegetale  oppure    di porre ad  esso  fine  .  Ma  soprattutto poterlo fare    senza  dover  emigrare  all'estero  o  clandestinamente . Capisco la  chiesa  e  quindi  anchele  doiverse religioni    che  vi s'oppongono  , ma almeno lo si faccia  con  criterio non sparando  giudizi  perchè   se  una \o  sceglie di ricorrervi   nn lo fa  mica  per gioco  o  a cuor leggero .
Invece di impedire alle persone di scegliere se e come morire, dovrebbero impedire a taluni loro rappresentanti di rovinare molte giovani vite.
Sarebbe decisamente più utile e cristiano