11.4.24

chi reputa l'immagine di una donna che allatta un bambino un " valore non condivisibile " è un bigotto o malato di mente " , il caso della statua di Vera Omodeo

facendo scrollando la home di facebook ho trovato questo post


9 aprile alle ore 10:06 ·

( DIO CI GUARDI DAGLI IMBECILLI)!Secondo gli scienziati della commissione tecnica (architetti del Comune di Milano, un architetto membro della commissione per il paesaggio e una persona nominata dalla Sovrintendenza) non si può collocare quest’opera in piazza Duse, come richiesto dai familiari di Vera Omodeo, perché la scultura raffigurante una madre che allatta il figlio, richiama "valori rispettabili ma non universalmente condivisibili".IO LA PUBBLICO NELLA MIA BACHECA, spero lo facciano in molti, perché è un’opera bellissima come bellissime sono le mamme che allattano. (Opera di Vera Omodeo) .








  che  conferma  quanto dice   la  nostra  utente   

Preferiti  
E certo, dire che solo le donne allattano non è "inclusivo". Da notare che hanno consigliato un istituto religioso (in realtà, intendevano "cristiano": è l'unica religione che detestano), come a dire: queste bigotterie lasciatele ai bigotti.
Purtroppo la replica è sullo stesso tono: "La statua non ha nulla di religioso anche perché è mezza nuda". E la Cappella Sistina? E la Verità del Bernini, in San Pietro? E le miriadi di Madonne del latte a seno scoperto? E lo stesso Cristo in croce, non esattamente vestitissimo? Cadono le braccia, con o senza maniche. 🤦
Potrebbe essere un'immagine raffigurante il seguente testo "REPUBBLICA MILANO Maurizio Molinari Tiratura: 8.709 Diffusione: Letori: 79,152 Rassegna 05/04/24 05/04/24 oglio:1/2 storia Statua della maternità la Commissione boccia la donazione Omodeo di Sara Bernacchia lcaso No del Comune alla statua dedicata alla maternità "Valorinor condivisi da tutti" diSara Bernacchia Toponomastica Femminile numeri sono simili anche Italia, polemica poiché che intende quella T statua dedicata aggungel' associa Rachele presenta una figura femminile. Telpress Peso:1-2% 2-39% Sezione:CULTURA"


inizialmente   a  caldo     m'era  venujto   da commentare     "  Che amarezza  " . M  poi leggendo che Come di consueto a VivaRai2 Fiorello commentando le notizie del giorno, ha detto la sua in modo ironico su questa polemica: "Cosa c'è di non condivisibile in una donna che allatta? Siamo stati tutti allattati. Qualsiasi statua non può rappresentare tutti, allora ogni statua andrebbe rimossa? Prendiamo il discobolo: non va bene perché altrimenti quelli del lancio del peso non si sentono rappresentati? Sono felice di non capire, scrivetelo pure: Fiorello non capisce" .
ed  credo  che  pure  io   farò cosi    con   




tali persone perchè  comeun commento  al  mio   post   su  fb   : << Una Donna che allatta è qualcosa di tenero. Una donna che "esibisce" invece il proprio seno, o altre parti, trovo si rendera succube degli istinti malsani di alcuni "animali maschi" >>

PRESENTADA #SUITE 11- francesco medda

 


Il mese scorso, prima dell'uscita del disco mi sono divertito con un esercizio di scrittura per raccontare il contesto (paesaggistico, sociale e familiare) che ha visto nascere e svilupparsi il percorso che mi ha portato a generare il nuovo lavoro. Lavoro che è ben rappresentato da questo testo/manifesto, uscito nella sua prima versione nel libro Mala Manera di Malasorti (S'ardmusic/Abbà) e poi potenziato grazie al contributo di tanti amici, in particolare Marco Lutzu, Omar Onnis, Giacomo Casti e Pier Gavino Sedda. Come cresci in una terra colonizzata, la cui cultura è stata resa minoritaria, periferica e subalterna rispetto a quella dominante, una cultura di cui non controlli la narrazione? Con autorazzismo e autocelebrazione, esaltazione e disperazione, sempre alla ricerca della specialità, in un senso o nell’altro. Dalle mie parti è il rapporto con il mare la metafora perfetta: per alcuni, luogo infido dal quale arrivano sciagure, per altri, trampolino per il dominio del mondo da parte dei nostri antenati nuragici.A livello musicale, questa schizofrenia si manifesta spesso con una esaltazione dell’«etnico», con suoni speziati ed esotici fintamente immutabili nel tempo, allo stesso modo di un abito pseudo-tradizionale sfoggiato da un gruppo folk. Si tratta di una narrazione tossica! Tutto quello che è vivo cambia, si evolve, non è mai fermo. Così come affermava il leader del popolo Kanak della Nuova Caledonia, Jean-Marie Tjibaou, «l’identità è davanti a noi».Per chi, come me, vive la propria cultura con serenità, attingere al locale non è esotico, identitario, ancestrale, millenario, speciale, specifico e unico. È semplicemente normale. È normale parlare e pensare nella nostra lingua, giocare con gli elementi della cultura e contaminarci con qualsiasi cosa ci incuriosisca, fottendocene di tutto, senso e significato compresi. È normale su matzamurru, sa cassola, sa burrida, su scabèciu e sa frègula, piatti poveri della tradizione del sud dell’Isola, inclusivi e mutevoli a seconda degli ingredienti a disposizione. Ma è altrettanto normale la pizza, la nouvelle cuisine, il McDonald’s, il poke e la cosiddetta cucina etnica, quella italiana compresa.Quando manipolo i suoni, parto dalla normalità de su matzamurru. Rigetto qualsiasi forma di chiusura rigorosa, monolitica e conservatrice, e mi sento parte di quella comunità di artisti che, ovunque nel mondo, producono musiche che vogliono essere specchio del circostante. Non è la rivisitazione o la scrittura convenzionale a portare avanti la mia ricerca, ma la combinazione dei diversi elementi a mia disposizione, anche quelli apparentemente più distanti, nelle forme più pazzesche e fantasiose. Con i timbri a spadroneggiare, a prescindere da note e tonalità. Cambiare sempre, evolversi e variare. Questa cosa mi piace un sacco, forse perché la varietà ha sempre fatto parte del mio habitat. I paesaggi, le lingue e le musiche mi hanno messo a disposizione un archivio sonoro sconfinato e in costante evoluzione. Da queste parti è ancora facile ascoltare la musica tradizionale, sia nelle cantine dove ci si incontra per bere un bicchiere di vino, sia nelle numerose feste popolari. Ma non c’è solo questo. La diffusione dei media ha portato altri suoni che oggi sono un tutt'uno con l’ambiente, come la techno, l’hip hop (e le sue derivazioni) e le musiche provenienti da Napoli, dall’Africa, dal Sud America e dai Caraibi, pompate dallo stereo delle macchine e dalle casse bluetooth dei ragazzi. E poi ci sono le voci delle persone, di qua e di altrove, comprese quelle di Radio Tunisi. I canti degli uccelli: fenicotteri e pappagalli, gabbiani, tordi, merli, storni, falchi, folaghe, anatre, aironi, cornacchie e civette. C’è il traffico. E su tutti c’è il vento, che mischia ogni cosa. Ho imparato che l’ambiente e tutte le sue componenti condizionano la vita delle persone, e di conseguenza anche la mia dimensione creativa.Vengo da dove tutti questi mondi si incontrano in modo spontaneo: culture tradizionali e contemporanee, paesaggi sonori e voci, che nella mia musica vengono filtrate in tempo reale attraverso il dub giamaicano e la cultura hip hop, due generi che consentono la libertà espressiva necessaria per dare forma alle mie idee. E tutto ciò senza abbandonare mai troppo il mio vicinato. Quello che mi ha visto crescere, in cui le case di mattoni in terra cruda e quelle “non finite”, ma già abitate, in blocchetti di cemento e mattoni rossi forati, coesistono con antichissime pietre sacre, palazzi da città dormitorio e chiese campestri di origine medievale ormai inglobate nel tessuto urbano. Le reti metalliche arrugginite, le tinte sgargianti, il cemento, la lamiera, il catrame, le antenne, l’erba e le canne palustri spadroneggiano nel paesaggio fisico e visivo del mio quartiere.Sono nato tra il mare, i monti e gli stagni. Nel sud di un’isola che si trova nel Mediterraneo e che guarda all’Africa. La nostra cultura è antichissima, un lungo filo mai spezzato tra il passato lontano e l’oggi. Ma mai chiusi entro noi stessi, siamo sempre stati interconnessi con il resto del mondo. Probabilmente come chiunque altro.Curiosando tra i suoni del mondo mi sono innamorato della cumbia, una musica nata in Colombia che è diventata un linguaggio universale. Mi affascinano i bassi, gli strumenti, il ritmo e la sua dimensione divertente, ipnotica e stradaiola. Il suo essere musica che parte dalla dimensione del conflitto e che unisce tre grandi comunità umane. Quella africana, da cui provengono gli schiavi deportati nelle Americhe, le popolazioni locali, spesso sterminate, e i colonizzatori europei. Nonostante abbia radici in vicende drammatiche, sanguinose, ingiuste, la cumbia è uno spazio musicale dove diverse culture musicali convivono, si mischiano e suonano insieme.Mi piace rubare. Dalle mie parti si dice: s’òmini chi no furat no est òmini (l’uomo che non ruba non è un uomo). Forse anche per questo ho preso la cumbia e l’ho fatta mia, cercando di condirla con i suoni provenienti dal mio immaginario. Chissà se su matzamurru è venuto bene?Questo disco l’ho fatto così. Ho ritagliato campioni di cumbia e ci ho incastrato beat hip hop, glitch, e i suoni dell’orchestra di musica popolare sarda più punk che ci sia, ovvero quella di Gavoi, composta da tumbarinos, flauti di canna, triangolo, tumborro e voci. Ho sintetizzato i bassi sinusoidali, che sono poi stati doppiati con il sax contrabbasso da Maurizio Floris. Su questa base ho adagiato vari campioni di musica popolare sarda e mediterranea. Ci sono le voci registrate dagli etnomusicologi negli anni ’50 e ’60, alle quali ho applicato l’autotune per dar loro, alla maniera dei berberi del Nord Africa, una dimensione ultraterrena. C’è la ricchezza ritmica e timbrica del cantu a tenore, con su ballu turturinu di Orosei e su ballu ‘e càntigu di Seneghe. Ancora, c’è l’organetto diatonico suonato da Pierpaolo Vacca e la mandola di Mauro Palmas. E sotto un paesaggio sonoro costante, nel quale il matatu keniano si intreccia con i suoni di luoghi dotati di una fortissima identità timbrica (mercati, ambienti naturali, i territori sardi occupati dalle basi in cui si tengono le esercitazioni militari) in costante dialogo con il clarinetto suonato da Francesca Romana Motzo.Ho scelto di combinare questi «ingredienti» dando loro la forma di una suite, in cui i diversi strati sonori fluiscono, si sovrappongono, dialogano tra loro e si sostengono a vicenda, scompaiono e riappaiono senza soluzione di continuità. In cui abbondano gli sfasamenti ritmici tra i suoni sincopati della cumbia, il dub solidamente in quattro e le musiche della tradizione Sardegna con i loro cicli ternari. Una suite interamente suonata dal vivo, elaborando i suoni con dubbing e live electronics. Una suite in cui ho cercato di mettere dentro tutto ciò che ero quando l’ho composta, senza risparmiarmi.
GLOSSARIO
Bena: antico aerofono sardo di canna ad ancia battente. Ormai perlopiù in disuso, può essere singola (bena), doppia o tripla (benas).
Burrida: piatto o zuppetta di pesce presente con nomi simili ma con ingredienti diversi anche in Catalogna, Provenza e Liguria. Nella versione cagliaritana si prepara con il gattuccio di mare, condito da un sughetto fatto dal suo fegato insieme a noci, aceto, aglio e alloro.
Cassola: sa cassola de pisci a sa casteddaja è la zuppa di pesce tipica della tradizione cagliaritana, realizzata con quello che, nelle diverse stagioni, offre il mare.
Cantu a tenore: pratica di canto a quattro voci maschili diffuso nella Sardegna centro-settentrionale. La voce solista (boghe) viene accompagnata da un trio composto da bassu, contra e mesa boghe che, con voci gutturali, intona sillabe nonsense. È iscritto nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’Unesco.
Frègula: antichissima pasta di semola di grano duro tostata in forno che si presenta in forma di palline irregolari.
Matzamurru: zuppa di pane raffermo. In genere si usa su cocoi, il tipico pane di semola di grano duro, condito con pomodoro, formaggio pecorino e brodo di carne.
Scabèciu: è un metodo di conservazione dei cibi con l’aceto, diffuso dalla Persia alla Penisola Iberica, passando per il Mediterraneo, e che arriva, portato dai conquistadores, sino al centro e sud America. Nel cagliaritano si usa principalmente per il pesce (a volte fritto) e si fa con olio, aglio, aceto e quello che si desidera.
Tumbarinos di Gavoi: ensemble tipico del paese di Gavoi (NU), composto da tamburo in pelle di capra, flauto di canna (su pipiolu), un triangolo di ferro battuto, ai quali in tempi più recenti si è aggiunto l’organetto diatonico. Esegue musiche da ballo accompagnando la voce che intona versi in lingua sarda tramandati oralmente. Lo si può ascoltare ancora oggi in occasioni di festa e soprattutto il Giovedì Grasso in occasione de sa sortilla ‘e tumbarinos a Gavoi.
Tumborro: strumento della tradizione sarda costituito da un arco musicale sul quale viene tesa una corda, mentre una vescica di maiale piena d’aria funge da risuonatore. La corda può essere percossa o sfregata con un archetto realizzato con un ramo di legno flessibile.
Matatu: mezzo di trasporto pubblico collettivo usato in Kenya.
CREDITS
LTSUR-156/24 ARROGALLA - SUITE
Prodotto, registrato e mixato da Francesco Medda a San Gregorio (CA)
Artwork e illustrazioni di Carol Rollo
Pubblicato da La Tempesta Sur
Mastering al Suvitastudio di Castelsardo (SS)
Direzione Artistica di Davide Toffolo
Pier Gavino Sedda (Associazione Tumbarinos di Gavoi): tumbarinu, triangulu, tumborro, bena, pipiolu e boghe
Cuncordu e Tenore de Orosei: voci
Maurizio Floris: sassofono contrabbasso
Massimo Loriga: scacciapensieri e gralla
Maurizio Marzo: chitarre
Mauro Palmas: mandola
Pierpaolo Vacca: organetto diatonico
Ratapignata: Mamma faimì movi riddim
Campioni di canti femminili tratti da “Musica Sarda. Canti e danze popolari” di Diego Carpitella, Pietru Sassu & Leonardo Sole (1973).
PAESAGGI SONORI
Matatu (Nairobi)
Kawangware Market (Nairobi)
Pescatori di Sant’Elia (Cagliari)
Gabbiani (Nora)
Mercato di Sant'elia (Cagliari)
Uccelli nel lago (Naivasha)
Medina (Tunisi)
Foresta Badde Salighes (Bolotana)
Àrdia (Samugheo)
Castello Medusa (Samugheo)
Vulcano spento (Longonot)
Iris nel traffico (Nairobi)
Telaio (Nule)
Parco del Molentàrgius (Quartu Sant’Elena)
Mercato Ballarò (Palermo)
Storni nel Nuraghe Santu Antine (Torralba)
Cala Inferno (Alghero)
Capre (Desulo)
Maschera di Su Bundhu (Orani)
Slum di Kibera (Nairobi)
Mucche (Bolotana)
Le navi del porto salutano Sant'Efisio (Cagliari)
Alba nello slum (Nairobi)
Alba in centro città (Tunis)
Cervi in amore (San Gregorio)
Terme di notte (Benetutti)
Un gregge lontano a Montes (Orgosolo)
Esercitazioni militari notturne (Teulada)
Fotografia di Alessio Cabras

10.4.24

L’utopia ha l’ onore della pace e l’ onere della guerra di Pierluigi Raccagni

L’ utopia, dixit la Treccani in senso limitativo è un sogno irrealizzabile,in senso positivo è una critica alle cose esistenti senza fine pratico. Ad esempio la pace universale è un’utopia,la pace dopo la guerra e la guerra dopo la pace e’ il corso del mondo.La cultura del nostro tempo passa per l’ omologazione del tutto. Ma non è così.Democrazia  e libertà ad esempio,costruiti nella storia da centinaia di rivoluzioni e guerre di liberazione vs.l’imperialismo fanno parte di una  storia che ha emancipato donne e uomini dalla sofferenza di vivere.La sconfitta del Male Assoluto è costata milioni di morti, la pace di Hitler e Mussolini ha coinciso con le loro tombe,grazie a Dio.Ognuno pensi quello che vuole,perbacco,ma racimolare sentenze salvifiche il proprio tornaconto è lo spirito che giustifica in qualche modo la violenza sugli umili.La pace perpetua di Kant che comporta il rispetto dei vinti,  l’ anarco comunismo solidale,storico,liberatorio e libertario di tradizione secolare, che rifiuta la guerra imperialista aggressiva, rimangono valori di coerenza.L’ autonomia di una  ragione idealistica, che ci possa salvare  dalla merceologia delle  idee e già un passo avanti per non cadere nella pace assoluta solo nei tempi di guerra : la pace,solitamente,ha i suoi onori,gli oneri sono la guerra. ( oggi oltre a Gaza e Ucraina ci sono 56 guerre dimenticate,ad esempio) Anche  una visione umanistica,solidale,non qualunquista, di una parte del volontariato e del terzo settore , di spiritualismo laico o religioso anche trasversale, e’ sempre una certezza di convivenza.Sì,basta che la paura di un senso comune di falsa libertà nella sfera dei consumi,non diventi il miglior modo per un ponzio pilatismo sugli affari correnti, mentre il dogmatismo Komunista a prescindere sa di nostalgia canaglia stalinista.L’utopista narcisista invece è il piccolo borghese qualunquista, che trova giovamento in un  irrealizzabile, che adombra la responsabilità quotidiana verso l’ ingiustizia. Quando con presunzione ci si pone davanti alla storia come fossimo solo noi a interpretarla, ci si traveste da guerrieri quotidiani del pacifismo bellicista( l’ ossimoro è in  voga in questi tempi),nell’ autorefenzialita’ dell’ essere anticonformisti,contro il pensiero unico.Sai quanta gente ogni giorno sceglie con piccoli grandi gesti di umanità , solidarietà, sincerità percorsi di umile utopia senza fanfare filantropiche?Soprattutto quando rifiuti il servilismo verso i potenti,non ti giri dall’ altra parte verso le ingiustizie ,conscio di sapere di non sapere.I desideri di volontà di potenza scambiati per bisogni,il menefreghismo totale sulla complessità della vita, le avversioni  da basso ventre contro i diritti civili: i tifosi dell’ utopia mercantile contro l’ Europa e l’ Occidente del capitale e delle multinazionali, sono la vulgata corrente pure dall’ estrema destra.Non parliamo dell’ antisemitismo di moda,si tifa per la guerriglia degli ultimi,ma solo su Facebook. Alla fine tutto va bene. Pure il generale fascista può  sembrare un antagonista,vs i poteri forti.Perché oggi se vince la sinistra vince il falso progressismo,se vince la destra trionfa la libertà di essere fascisti. Intanto vado al massimo in attesa della rivoluzione…degli altri…


Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui 💙

Jannik realizza il sogno di Arthur, un ragazzo affetto da paralisi cerebrale, palleggiando insieme a lui 💙

Pappagalli e cornuti, vizi incendiari, figurine stupefacenti, incursori alcolizzati, residenze insolite, scoperte cacofoniche , diplomazie bestiali

 

  • l Fatto Quotidiano
  • » Tommaso Rodano



  • Turchia I pappagalli ripetono: “Mio marito non c’è, puoi venire”. E la coppia divorzia Questa notizia che arriva dalla Turchia somiglia alla sceneggiatura di un cinepanettone, potremmo chiamarlo Natale allo zoo: gli insoliti protagonisti sono due pappagalli che fanno la spia. Un uomo infatti ha scoperto il

    tradimento della moglie proprio grazie alla preziosa testimonianza dei pennuti canterini. “Tornando a casa – spiega Leggo – ha sentito ripetere dai suoi pappagalli la frase: ‘Mio marito non c'è vieni’. Ha unito subito i puntini e capito che sua moglie stava approfittando delle ore in cui lui non era a casa per avvisare il suo amante”. Dopo la spifferata dei pappagalli, il marito tradito ha chiesto il divorzio alla moglie. Ma non è finita qui, perché gli uccelli sono stati accompagnati in tribunale e usati come testimoni chiave nella causa per la separazione: l’avvocato del distinto cornuto, Ted Buckland, ha postato su X l’immagine dei due pappagalli fuori dal palazzo di giustizia di Istanbul.

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    Un incidente drammatico e grottesco all’ospedale di Ribera (Agrigento): un paziente ha mandato a fuoco il suo reparto fumando una sigaretta. Il 53enne Costica Brustureanu, pace all’anima sua, è l’unica vittima del suo sventurato gesto: “Durante una seduta di ossigenoterapia si è tolto la mascherina per

    fumare – spiega Repubblica –. La scintilla dell'accendino ha generato le fiamme e l’immediata esplosione della macchia dell’ossigeno”. Poteva andare ancora peggio: “Le squadre dei vigili del fuoco hanno evacuato gli altri quattro ricoverati, trasportandoli nelle sale del pronto soccorso, tra fiamme e fumo che hanno invaso il reparto al primo piano del nosocomio”. Non era necessario specificare in modo tanto fantasioso che fumare fa male, o addirittura uccide, come c’è scritto sulle scatole delle sigarette. Dopo l’incidente l’intero reparto è stato dichiarato inagibile e anche il piano superiore, dove si trova la chirurgia, è stato evacuato per motivi precauzionali.

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    In Italia per una coppia di adulti è già un’impresa eroica potersi permettere un contratto 3+2 in un bilocale a Centocelle. In altri luoghi e altre epoche c’era spazio per la fantasia: due coniugi americani hanno vissuto per 15 anni dentro Disneyland (ma lontani dagli occhi di tutti). La notizia è diventata virale nei giorni di Pasqua. “Owen e Dolly Pope – scrive il Messaggero – hanno vissuto nell’enorme parco divertimenti in California tra il 1955 e il 1971 (...): la coppia era responsabile della ‘Fattoria dei

    pony’, la principale attrazione equestre di Disneyland. Alloggiavano a Frontierland, un’area del parco divertimenti californiano dedicata al selvaggio West, nascosta alla vista della maggior parte dei visitatori”. Owen e Dolly, a quanto risulta, sono gli unici due abitanti di Dinseyland della storia, selezionati dal fondatore in persona: “Furono contattati nel 1951 da Walt Disney come consiglieri per le attrazioni equestri. Ai coniugi fu consentito di stabilirsi in un’elegante casa bianca e verde di 120 mq situata dietro al ranch aperto al pubblico”.



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    La prossima notizia è tremenda e allo stesso tempo irresistibile perché mescola e ribalta in modo paradossale due estremi dell’esperienza umana: l’innocenza della fanciullezza e lo squallore tragico che può soffocare l’età adulta. La poesia è tutta nel titolo: “Compra le figurine Panini ma nei pacchetti trova l’eroina”. Il protagonista è un 43enne di Pompei, aveva comprato dei pacchetti di figurine dei calciatori online, quando li ha aperti ha trovato la sorpresina. Leggiamo dal sito di Sky Tg24: “L’uomo, incensurato, si è presentato ad una stazione dei Carabinieri piuttosto preoccupato. In mano aveva una

    scatola imballata, ricevuta alcuni giorni prima. Si trattava di un box di 50 figurine di calciatori. Una volta aperta, però, la scatola non conteneva solamente le immagini dei campioni, ma anche due buste di cellophane sigillate al cui interno era stata sistemata della polvere bianca”. Per l’esattezza 180 grammi di eroina pura, un carico da migliaia di euro.


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    Forse non c’è nemmeno bisogno della scienza per stabilire con un ragionevole grado di certezza che l’umanità si sia progressivamente istupidita negli ultimi 40 anni. Tuttavia la ricerca di un gruppo di studiosi in Austria ha raccolto i dati in supporto di una tesi suggestiva: anche l’arte è diventata più scema. “Studiando 12mila canzoni pubblicate tra il 1980 e il 2020 – si legge su Today – i ricercatori

    hanno messo in evidenza come la musica sia sempre meno complessa sul piano lessicale e strutturale, mentre aumentano le parole di rabbia e i testi auto riferiti”. In sostanza, brutalmente, le canzoni ci rendono più stronzi. “I risultati hanno rivelato una tendenza ad utilizzare una minore varietà di parole e a ripetere più spesso strofe e ritornelli senza variazioni. In particolare, questa minore complessità lessicale e strutturale è accentuata nelle canzoni rock e nei pezzi rap degli ultimi decenni. Per tutti i generi analizzati, inoltre, si nota una tendenza a testi sempre più rabbiosi e autobiografici”.




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    Ci sono ladri gentiluomini e pure ladri alcolizzati. A Roma un uomo senza fissa dimora ha scassinato la porta di una pizzeria di notte, è entrato nel negozio e non ha rubato niente, si è giusto calato qualche bicchierino per scaldarsi il cuore. Forse qualcuno di troppo, perché si è addormentato sul posto e

    l’hanno trovato lì la mattina successiva, mentre dormiva come un bimbo. “A raccontare la vicenda – scrive Repubblica Roma – con una sana dose di ironia, è stato il pizzaiolo Errico Porzio. ‘Non è un pesce d’aprile. Sede Al Solito Porzio di Roma: scassina di notte, entra, si ubriaca, si addormenta e viene arrestato. Non so se piangere o ridere”, ha scritto sui social. Tra i commenti, per una volta, non manca l’umanità, c’è chi sdrammatizza e giustifica la goffa intrusione del clochard: “Per una pizza di Errico si fa di tutto. Poverino non è arrivato in tempo per l’apertura e non ha resistito. Va perdonato”.

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    Poche settimane fa il mondo si rallegrava per la “diplomazia del panda”, il disgelo tra Cina e Stati Uniti avviato con il trasferimento di una manciata di ursidi dagli zoo del Dragone a quelli americani. In modo speculare – ma non bonario – il Botswana ha avviato la “diplomazia dell’elefante” contro il governo tedesco. “Inviare 20 mila elefanti in Germania – scrive il Corriere della Sera –. È questa la proposta
    polemica del presidente del Botswana, Mokgweetsi Masisi, per rispondere all’intenzione del ministero dell’ambiente tedesco di tutelare gli animali limitando l’importazione di trofei di caccia. Una posizione che, secondo Masisi, finirebbe con l’impoverire la popolazione del Botswana”. Popolo di poeti, di artisti e di bracconieri. “Masisi ha dichiarato al quotidiano tedesco Bild che, dopo decenni di iniziative messe in campo per tutelarli, gli elefanti sono diventati quasi troppi nel Paese. Dal suo punto di vista, la caccia va vista come una risorsa preziosa”. Come ce li portano 20mila elefanti in Europa? Su un barcone come i poveri cristi?

    Macché censura, Tony Effe è lo specchio del mondo quindi non rompete se va a san remo

    Chiedo scusa per coloro avessero già letto i miei post su un fìnto ribelle o un nuddu miscato cu' niente ( cit dal film  I cento passi  ...