Il mese scorso, prima dell'uscita del disco mi sono divertito con un esercizio di scrittura per raccontare il contesto (paesaggistico, sociale e familiare) che ha visto nascere e svilupparsi il percorso che mi ha portato a generare il nuovo lavoro. Lavoro che è ben rappresentato da questo testo/manifesto, uscito nella sua prima versione nel libro Mala Manera di
Malasorti (
S'ardmusic/Abbà) e poi potenziato grazie al contributo di tanti amici, in particolare
Marco Lutzu,
Omar Onnis,
Giacomo Casti e
Pier Gavino Sedda.
Come cresci in una terra colonizzata, la cui cultura è stata resa minoritaria, periferica e subalterna rispetto a quella dominante, una cultura di cui non controlli la narrazione? Con autorazzismo e autocelebrazione, esaltazione e disperazione, sempre alla ricerca della specialità, in un senso o nell’altro. Dalle mie parti è il rapporto con il mare la metafora perfetta: per alcuni, luogo infido dal quale arrivano sciagure, per altri, trampolino per il dominio del mondo da parte dei nostri antenati nuragici.A livello musicale, questa schizofrenia si manifesta spesso con una esaltazione dell’«etnico», con suoni speziati ed esotici fintamente immutabili nel tempo, allo stesso modo di un abito pseudo-tradizionale sfoggiato da un gruppo folk. Si tratta di una narrazione tossica! Tutto quello che è vivo cambia, si evolve, non è mai fermo. Così come affermava il leader del popolo Kanak della Nuova Caledonia, Jean-Marie Tjibaou, «l’identità è davanti a noi».Per chi, come me, vive la propria cultura con serenità, attingere al locale non è esotico, identitario, ancestrale, millenario, speciale, specifico e unico. È semplicemente normale. È normale parlare e pensare nella nostra lingua, giocare con gli elementi della cultura e contaminarci con qualsiasi cosa ci incuriosisca, fottendocene di tutto, senso e significato compresi. È normale su matzamurru, sa cassola, sa burrida, su scabèciu e sa frègula, piatti poveri della tradizione del sud dell’Isola, inclusivi e mutevoli a seconda degli ingredienti a disposizione. Ma è altrettanto normale la pizza, la nouvelle cuisine, il McDonald’s, il poke e la cosiddetta cucina etnica, quella italiana compresa.Quando manipolo i suoni, parto dalla normalità de su matzamurru. Rigetto qualsiasi forma di chiusura rigorosa, monolitica e conservatrice, e mi sento parte di quella comunità di artisti che, ovunque nel mondo, producono musiche che vogliono essere specchio del circostante. Non è la rivisitazione o la scrittura convenzionale a portare avanti la mia ricerca, ma la combinazione dei diversi elementi a mia disposizione, anche quelli apparentemente più distanti, nelle forme più pazzesche e fantasiose. Con i timbri a spadroneggiare, a prescindere da note e tonalità. Cambiare sempre, evolversi e variare. Questa cosa mi piace un sacco, forse perché la varietà ha sempre fatto parte del mio habitat. I paesaggi, le lingue e le musiche mi hanno messo a disposizione un archivio sonoro sconfinato e in costante evoluzione. Da queste parti è ancora facile ascoltare la musica tradizionale, sia nelle cantine dove ci si incontra per bere un bicchiere di vino, sia nelle numerose feste popolari. Ma non c’è solo questo. La diffusione dei media ha portato altri suoni che oggi sono un tutt'uno con l’ambiente, come la techno, l’hip hop (e le sue derivazioni) e le musiche provenienti da Napoli, dall’Africa, dal Sud America e dai Caraibi, pompate dallo stereo delle macchine e dalle casse bluetooth dei ragazzi. E poi ci sono le voci delle persone, di qua e di altrove, comprese quelle di Radio Tunisi. I canti degli uccelli: fenicotteri e pappagalli, gabbiani, tordi, merli, storni, falchi, folaghe, anatre, aironi, cornacchie e civette. C’è il traffico. E su tutti c’è il vento, che mischia ogni cosa. Ho imparato che l’ambiente e tutte le sue componenti condizionano la vita delle persone, e di conseguenza anche la mia dimensione creativa.Vengo da dove tutti questi mondi si incontrano in modo spontaneo: culture tradizionali e contemporanee, paesaggi sonori e voci, che nella mia musica vengono filtrate in tempo reale attraverso il dub giamaicano e la cultura hip hop, due generi che consentono la libertà espressiva necessaria per dare forma alle mie idee. E tutto ciò senza abbandonare mai troppo il mio vicinato. Quello che mi ha visto crescere, in cui le case di mattoni in terra cruda e quelle “non finite”, ma già abitate, in blocchetti di cemento e mattoni rossi forati, coesistono con antichissime pietre sacre, palazzi da città dormitorio e chiese campestri di origine medievale ormai inglobate nel tessuto urbano. Le reti metalliche arrugginite, le tinte sgargianti, il cemento, la lamiera, il catrame, le antenne, l’erba e le canne palustri spadroneggiano nel paesaggio fisico e visivo del mio quartiere.Sono nato tra il mare, i monti e gli stagni. Nel sud di un’isola che si trova nel Mediterraneo e che guarda all’Africa. La nostra cultura è antichissima, un lungo filo mai spezzato tra il passato lontano e l’oggi. Ma mai chiusi entro noi stessi, siamo sempre stati interconnessi con il resto del mondo. Probabilmente come chiunque altro.Curiosando tra i suoni del mondo mi sono innamorato della cumbia, una musica nata in Colombia che è diventata un linguaggio universale. Mi affascinano i bassi, gli strumenti, il ritmo e la sua dimensione divertente, ipnotica e stradaiola. Il suo essere musica che parte dalla dimensione del conflitto e che unisce tre grandi comunità umane. Quella africana, da cui provengono gli schiavi deportati nelle Americhe, le popolazioni locali, spesso sterminate, e i colonizzatori europei. Nonostante abbia radici in vicende drammatiche, sanguinose, ingiuste, la cumbia è uno spazio musicale dove diverse culture musicali convivono, si mischiano e suonano insieme.Mi piace rubare. Dalle mie parti si dice: s’òmini chi no furat no est òmini (l’uomo che non ruba non è un uomo). Forse anche per questo ho preso la cumbia e l’ho fatta mia, cercando di condirla con i suoni provenienti dal mio immaginario. Chissà se su matzamurru è venuto bene?Questo disco l’ho fatto così. Ho ritagliato campioni di cumbia e ci ho incastrato beat hip hop, glitch, e i suoni dell’orchestra di musica popolare sarda più punk che ci sia, ovvero quella di Gavoi, composta da tumbarinos, flauti di canna, triangolo, tumborro e voci. Ho sintetizzato i bassi sinusoidali, che sono poi stati doppiati con il sax contrabbasso da Maurizio Floris. Su questa base ho adagiato vari campioni di musica popolare sarda e mediterranea. Ci sono le voci registrate dagli etnomusicologi negli anni ’50 e ’60, alle quali ho applicato l’autotune per dar loro, alla maniera dei berberi del Nord Africa, una dimensione ultraterrena. C’è la ricchezza ritmica e timbrica del cantu a tenore, con su ballu turturinu di Orosei e su ballu ‘e càntigu di Seneghe. Ancora, c’è l’organetto diatonico suonato da Pierpaolo Vacca e la mandola di Mauro Palmas. E sotto un paesaggio sonoro costante, nel quale il matatu keniano si intreccia con i suoni di luoghi dotati di una fortissima identità timbrica (mercati, ambienti naturali, i territori sardi occupati dalle basi in cui si tengono le esercitazioni militari) in costante dialogo con il clarinetto suonato da Francesca Romana Motzo.Ho scelto di combinare questi «ingredienti» dando loro la forma di una suite, in cui i diversi strati sonori fluiscono, si sovrappongono, dialogano tra loro e si sostengono a vicenda, scompaiono e riappaiono senza soluzione di continuità. In cui abbondano gli sfasamenti ritmici tra i suoni sincopati della cumbia, il dub solidamente in quattro e le musiche della tradizione Sardegna con i loro cicli ternari. Una suite interamente suonata dal vivo, elaborando i suoni con dubbing e live electronics. Una suite in cui ho cercato di mettere dentro tutto ciò che ero quando l’ho composta, senza risparmiarmi.Bena: antico aerofono sardo di canna ad ancia battente. Ormai perlopiù in disuso, può essere singola (bena), doppia o tripla (benas).
Burrida: piatto o zuppetta di pesce presente con nomi simili ma con ingredienti diversi anche in Catalogna, Provenza e Liguria. Nella versione cagliaritana si prepara con il gattuccio di mare, condito da un sughetto fatto dal suo fegato insieme a noci, aceto, aglio e alloro.
Cassola: sa cassola de pisci a sa casteddaja è la zuppa di pesce tipica della tradizione cagliaritana, realizzata con quello che, nelle diverse stagioni, offre il mare.
Cantu a tenore: pratica di canto a quattro voci maschili diffuso nella Sardegna centro-settentrionale. La voce solista (boghe) viene accompagnata da un trio composto da bassu, contra e mesa boghe che, con voci gutturali, intona sillabe nonsense. È iscritto nella lista dei patrimoni immateriali dell’umanità dell’Unesco.
Frègula: antichissima pasta di semola di grano duro tostata in forno che si presenta in forma di palline irregolari.
Matzamurru: zuppa di pane raffermo. In genere si usa su cocoi, il tipico pane di semola di grano duro, condito con pomodoro, formaggio pecorino e brodo di carne.
Scabèciu: è un metodo di conservazione dei cibi con l’aceto, diffuso dalla Persia alla Penisola Iberica, passando per il Mediterraneo, e che arriva, portato dai conquistadores, sino al centro e sud America. Nel cagliaritano si usa principalmente per il pesce (a volte fritto) e si fa con olio, aglio, aceto e quello che si desidera.
Tumbarinos di Gavoi: ensemble tipico del paese di Gavoi (NU), composto da tamburo in pelle di capra, flauto di canna (su pipiolu), un triangolo di ferro battuto, ai quali in tempi più recenti si è aggiunto l’organetto diatonico. Esegue musiche da ballo accompagnando la voce che intona versi in lingua sarda tramandati oralmente. Lo si può ascoltare ancora oggi in occasioni di festa e soprattutto il Giovedì Grasso in occasione de sa sortilla ‘e tumbarinos a Gavoi.
Tumborro: strumento della tradizione sarda costituito da un arco musicale sul quale viene tesa una corda, mentre una vescica di maiale piena d’aria funge da risuonatore. La corda può essere percossa o sfregata con un archetto realizzato con un ramo di legno flessibile.
Matatu: mezzo di trasporto pubblico collettivo usato in Kenya.
LTSUR-156/24 ARROGALLA - SUITE
Pier Gavino Sedda (Associazione Tumbarinos di Gavoi): tumbarinu, triangulu, tumborro, bena, pipiolu e boghe
Campioni di canti femminili tratti da “Musica Sarda. Canti e danze popolari” di Diego Carpitella, Pietru Sassu & Leonardo Sole (1973).
PAESAGGI SONORI
Matatu (Nairobi)
Kawangware Market (Nairobi)
Pescatori di Sant’Elia (Cagliari)
Gabbiani (Nora)
Mercato di Sant'elia (Cagliari)
Uccelli nel lago (Naivasha)
Medina (Tunisi)
Foresta Badde Salighes (Bolotana)
Àrdia (Samugheo)
Castello Medusa (Samugheo)
Vulcano spento (Longonot)
Iris nel traffico (Nairobi)
Telaio (Nule)
Parco del Molentàrgius (Quartu Sant’Elena)
Mercato Ballarò (Palermo)
Storni nel Nuraghe Santu Antine (Torralba)
Cala Inferno (Alghero)
Capre (Desulo)
Maschera di Su Bundhu (Orani)
Slum di Kibera (Nairobi)
Mucche (Bolotana)
Le navi del porto salutano Sant'Efisio (Cagliari)
Alba nello slum (Nairobi)
Alba in centro città (Tunis)
Cervi in amore (San Gregorio)
Terme di notte (Benetutti)
Un gregge lontano a Montes (Orgosolo)
Esercitazioni militari notturne (Teulada)