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21.10.25

Il silenzio prima del clamore: chi ha tradito Pamela? Quando il lutto diventa show: il caso Genini e la memoria manipolata”

 leggi anche 
 https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/10/orrore-ce-un-filo-sottile-che-lega.html

Ma  è  possibile  che ogni femminicidio diventi  spettacolo ? a  quando un intervista  del suo carnefice   ? ovviamente  sono  sarcastico\  provocatorio  ,in  quanto Questo post non cerca colpevoli, ma interrogativi. Perché la giustizia non è solo tribunale: è anche il modo in cui raccontiamo, ricordiamo, e scegliamo di restare umani.

  Infatti  lo sfruttamento di del delitto di Pamela Genini da parte del suo ex e degli amici. per avere ospitate tv e sulla stampa. Il suo "ex" che non vuole neanche restituire il cane della vittima alla famiglia di Pamela e se la porta negli studi tv. Perché nessuno di loro   ha parlato e/o denunciato  se sapeva quando era viva, piuttosto che farlo ora? la vicenda è il classico esempio di quando la memoria diventa merce e il dolore si trasforma in palinsesto, il confine tra testimonianza e spettacolo si dissolve. Il caso di Pamela Genini non è solo una tragedia individuale: è lo specchio di un sistema che tace quando dovrebbe parlare, e parla quando conviene. Perché chi oggi si espone in tv non ha denunciato prima? E cosa significa portare il cane della vittima negli studi televisivi, negandolo alla sua famiglia ? 

20.10.25

Sette minuti per salvarla, quarantotto ore per liberarlo .Varese: cronaca di una protezione mancata


dopo il caso di Varese, in cui la ragazza picchiata dall'ex lo fa arrestare e  di cui   trovate soto  l'audio della telefonata della 19enne in lacrime con la polizia

 e  la    scarcerazione     con il mancato bracialetto elettronico    e  con il solo divieto d'avvicinarsi alla persona violentata . Mi chiedo , sic,  come la  rubrica il  caffè avvelenato  di  nicola  Porro  : « [...] cosa succede se le forze dell’ordine fanno il loro dovere ma le Procure, piuttosto che il Codice rosso, usano il guanto di velluto? Come a Varese, dove un uomo di 45 anni era stato arrestato per atti persecutori nientemeno che nei confronti di una ragazzina diciannovenne. Il gip ha disposto per lui il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla giovane, ma lo ha rimesso in libertà. E senza braccialetto elettronico. Non si è capito per quale motivo: alcuni dicono sia perché, in passato, il braccialetto elettronico non è bastato a impedire le aggressioni. Sarà. Allora evitiamo pure questa precauzione ? [...] » .
Mentre  finivo di leggere   le news    riguardanti   tale   fatto mi è venuta  di getto questo scritto sotto  forma di lettera    a maschi  plurali  e  alle  donne non alfa   che   si battono    e  s'indignano   davanti  ai femminicidi e   alle violenze  verso  le  donne   , e le invitano  a denunciare    come se    fosse semplice.

Care Associazioni  antifemmicidi , cari uomini plurale   e care donne  nonalfa  , non limitatevi a dire  alle vittime   di denuciare  o d'abbandonare  il partener  violento ,  altimenti   finirete   per  essere  come  gli   ipocriti   del  25  novembre  




 ma  proponete   raccolte  firme  per  leggi d'iniziative popolare  che   portino   alla  riforma  del codici penali e  civili  iun ambito di   femminicidi   onde  evitare  sconcezze  simili    che tutelino meglio   la   vittime   esempi   di  miglioramentio legislativo    trovati in  rete  in particolare  da Openpolis :« 
Bisogna cambiare strategia per contrastare la violenza di genere »
Per migliorare le leggi sul femminicidio, il dibattito si concentra su due aspetti principali: il rafforzamento delle misure punitive e l'implementazione di azioni di prevenzione più efficaci. Una legislazione efficace deve intervenire su più fronti: la definizione e l'autonomia del reato, la protezione delle vittime e la formazione degli operatori del settore. 
1. Aspetti normativi e di definizione del reato
  • Introduzione di un reato specifico di femminicidio: Attualmente in Italia il femminicidio non è un reato autonomo, ma un omicidio con l'aggravante del legame affettivo o di motivi abbietti legati al genere. Una proposta recente è l'introduzione di un reato specifico, come previsto dal Ddl 1433 del 2025, che definisce il femminicidio come l'omicidio di una donna per motivi di discriminazione di genere. L'obiettivo è evidenziare la specificità di questi delitti, spesso radicata in un contesto di potere, controllo e discriminazione.
  • Abolizione di attenuanti e rafforzamento delle aggravanti: Si propone di limitare o eliminare le attenuanti come la provocazione e rafforzare le aggravanti esistenti, come quelle legate al legame affettivo o alla violenza domestica, rendendo le pene più severe. 
2. Rafforzamento degli strumenti di prevenzione
  • Prevenzione culturale e sensibilizzazione: La legge da sola non basta. È fondamentale promuovere un cambiamento culturale attraverso campagne educative nelle scuole e nella società che contrastino gli stereotipi di genere e diffondano una cultura del rispetto.
  • Investimenti nella formazione: È cruciale una formazione specifica per le forze dell'ordine, i magistrati, gli operatori sanitari e sociali e i medici legali. La formazione deve mirare a riconoscere tempestivamente i segnali di violenza di genere e a gestire i casi con la dovuta sensibilità e competenza.
  • Protocolli di intervento standardizzati: Adottare protocolli standard di intervento e indagine per le forze dell'ordine e le procure, per assicurare una risposta adeguata e omogenea.
  • Maggiore attenzione ai fattori di rischio: La formazione deve anche includere la valutazione di fattori di rischio specifici, come la gravidanza, la dipendenza da sostanze e le disabilità della vittima. 
3. Miglioramento della tutela delle vittime e degli strumenti processuali
  • Potenziamento della rete di supporto: Destinare maggiori fondi ai centri antiviolenza, che offrono sostegno legale e psicologico alle donne vittime di violenza.
  • Accesso a risarcimenti e riparazioni: Garantire alle vittime e ai loro familiari un accesso effettivo a risarcimenti economici e riparazioni, come il supporto psicologico.
  • Maggiore efficacia del "Codice Rosso": Rafforzare gli strumenti investigativi e processuali introdotti dal "Codice Rosso" per garantire una risposta più rapida alle denunce, tutelando meglio le donne a rischio.
  • Raccolta di dati e monitoraggio: Migliorare la raccolta e il monitoraggio dei dati sui casi di femminicidio per comprendere meglio il fenomeno, identificare i fattori di rischio e valutare l'efficacia delle misure adottate. 
  • Con questo è  tutto gente .Alla prossima se Dio vuole e i Carabinieri lo permetttono

Lascia il lavoro all’Onu e diventa suora missionaria, in Congo e Camerun, come pure in Italia e in Thailandia, a sostegno degli ultimi. Suor Simonetta Caboni, missionaria saveriana,

unione sarda 18-19 \10\2025




Ha lasciato un prestigioso lavoro all’Onu per dedicarsi alla vita missionaria, in Congo e Camerun, come pure in Italia e in Thailandia, a sostegno degli ultimi. Suor Simonetta Caboni, missionaria saveriana, torna nella sua Macomer per la messa di ringraziamento dei voti perpetui, in programma per oggi, alle 18, nella chiesa della Madonna Regina delle Missioni. Evento importante per l’intera comunità dove lei rivedrà tanti momenti forti della sua esperienza, compreso l’omicidio in Burundi di tre suore sue amiche. Ricordandole sottolinea: «Accogliere l’amore di Dio è dare la vita per i propri amici oppure manifestarlo al mondo». Lei ha 37 anni, entra in contatto per la prima volta con le missionarie saveriane nell’ultimo anno del liceo.
La svolta
Studia all’università, a Gorizia e a Ginevra, si laurea in scienze internazionali e diplomatiche. Inizia subito a lavorare, come giurista ausiliario all’Organizzazione mondiale del lavoro. Sente nascere un desiderio sempre più insistente, che non trova risposta nelle attività e nelle soddisfazioni professionali. Nel 2012 trascorre un mese con le Missionarie di Maria in Thailandia. Lì incontra donne appassionate di Cristo e dell’umanità. Nel 2013 lascia il lavoro e chiede di essere accolta nella famiglia saveriana, che è il suo desiderio di sempre.
In Africa
La storia di Simonetta Caboni è costellata anche di fatti tragici, che l’hanno segnata non poco, come la morte delle amiche, suor Olga Raschietti, suor Lucia Pulici e Bernardetta Boggian, trucidate in Burundi nel 2014. Nello stesso anno, dopo un periodo di discernimento, è accolta dalla comunità saveriana e inizia la formazione alla vita missionaria nella comunità del noviziato a Bukavu nella Repubblica democratica del Congo. Vi resta fino al 2018 quando fa la prima professione di voti religiosi. Tra il 2018 e il 2021 è a Parma per fare assistenza nella Casa Madre e per l’animazione missionaria. Nel 2021 riparte per il Camerun, ma dopo qualche mese deve tornare a Macomer per assistere la mamma malata. Lei stessa viene ricoverata in terapia intensiva per una malaria cerebrale. Dal 2022 è a Milano, dove le viene affidato l’insegnamento dell’italiano agli stranieri. Tre anni fa come volontaria con l’Oftal Sardegna è in pellegrinaggio a Lourdes. Un’esperienza che vive intensamente tra i sofferenti.
Il ritorno
Oggi è a Macomer, per la messa di ringraziamento dei voti perpetui, nella chiesa parrocchiale, accanto a quello che è stato il centro saveriano. Domani nella chiesa della Santa Famiglia di Nazareth sarà la testimone nella veglia missionaria per l’inizio dell’anno pastorale, che ha come tema “Missionari tra la gente, per essere operatori di pace”, presieduta dal vescovo, padre Mauro Maria Morfino. «Una grande testimonianza di fede - dice il parroco, padre Andrea Rossi, anch’egli saveriano -, la comunità potrà stare accanto a Simonetta e ai suoi familiari

Infatti sempre  secondo  l'unione    

A Macomer,  c'è  stata una  festa per   la sua giovane missionaria Suor Simonetta Caboni, nel giorno del ringraziamento per i voti perpetui.




L'intera cittadina, in rappresentanza delle quattro parrocchie, si è mobilitata per accogliere la sua giovane missionaria, suor Simonetta Caboni, nel giorno del ringraziamento per i voti perpetui. La chiesa fondata proprio dai missionari saveriani alla fine degli anni sessanta, era colma all'inverosimile.
Suor Simonetta Caboni, a 37 anni ha dietro una grande attività missionaria, costellata anche di avvenimenti tragici, tra cui la perdita di tre sue consorelle, trucidate in Burundi nel 2014, che la giovane religiosa ha voluto ricordare e ricorda sempre nelle sue preghiere. Alla messa di ringraziamento, celebrata da padre Andrea Rossi, anch'egli Saveriano e parroco della cittadina, vi hanno partecipato anche i familiari della giovane suora, il padre Antonio, la madre Maria, il fratello Giuseppe, la cognata e la nipote.
Attività missionaria che suo Simonetta ha iniziato, lasciando il prestigioso lavoro all'Onu. Ieri, il giorno del ringraziamento, si è presentata davanti alla sua gente nella semplicità che da sempre la contradistingue, con un abbigliamento semplice e con un linguaggio altrettanto chiaro.
Dal pulpito ha parlato della sua esperienza che ha segnato per sempre la sua vita, dopo aver aver ascoltato i canti dei cori parrocchiali riuniti, per certi versi toccanti.
«Il cristiano non è mai solo nella Preghiera- ha detto tra l'altro la giovane missionaria- nella vita si è realizzato, senza stancarsi, senza scoraggiarsi, senza incattivirsi. Senza perdere la speranza. Missionaria per sempre, senza eroismi, ma facendo bene senza stancarsi».
Alla celebrazione non sono mancate le varie associazioni religiose, quali l'Oftal, l'associazione con la quale suor Simonetta ha vissuto l'esperienza di pellegrinaggio a Lourdes, dopo la sua malattia. Non ha accettato nessun regalo, ma ha accolto l'iniziativa delle parrocchie, delle associazioni religiose e degli amci, che nel salone gli hanno organizzato un rinfresco, al quale vi hanno partecipato tantissime persone, accolte con un abbraccio dalla giovane missionaria.

Tito, Fallaci e l’arte di sbagliare bersaglio

 siti  consultati

immagine creata  da  IA  di copilot  





Non esistono più i  patrioti \  sovranisti  di  una  volta , dove  si   esaltano  e  s'usava  la storia  patria     come  mito della nazione      e per  uso di regime  . Adesso  tali " memorie " si  usano   solo  per  propaganda     e  con  ignoranza  ignorano  la  storia     soprattutto quella  toponomastica    ed  un   uso  cicero pro  domo sua  nel caso   della  defunta  Oriana Fallaci   .Infatti.  c'è chi vuole cambiare il nome di una via per riparare un torto storico. C’è chi chiede una cittadinanza onoraria per restituire dignità a chi l’ha già ricevuta alla nascita. E poi c’è la realtà, che si prende gioco delle intenzioni.Una dinamica emblematica del
nostro tempo, dove la fretta ideologica e la superficialità simbolica si intrecciano in modo quasi grottesco.  E' notizia    di     questi    giorni    che  Francesco Giubilei  il consigliere del ministro della cultura Giuli che ha chiesto al sindaco di Roma, Gualtieri, di cambiare il nome di via "Tito" adducendo che l’ex dittatore jugoslavo non lo merita. Ma ignora  om f  finta  d'ignorare     che  la via è intitolata a Tito Cesare Vespasiano Augusto, imperatore romano dal 79 all'81 d.c. Non è da questi particolari che si giudica un giocatore, cantava De Gregori. Ma forse è proprio da questi dettagli—da un nome mal interpretato, da una cittadinanza già implicita—che si misura il grado di attenzione, di cultura, e di rispetto per la complessità della storia. Quando il consigliere del ministro della Cultura chiede di cambiare il nome di via Tito, convinto sia dedicata al dittatore jugoslavo, e invece si tratta dell’imperatore romano Tito Flavio Vespasiano, il lapsus non è solo comico. È sintomatico. La toponomastica diventa specchio di un’ansia identitaria che confonde epoche, semplifica memorie, e cerca redenzione nei cartelli stradali.Cosi  come quando Salvini sollecita il sindaco di Firenze a concedere la cittadinanza onoraria a Oriana Fallaci che a Firenze ci nacque.
Analizziamo    meglio  i  fatti .  

🏛️ “via Tito”: tra lapsus e toponomastica

Francesco Giubilei, giovane consigliere del ministro della Cultura ha effettivamente chiesto al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, di cambiare il nome di via Tito, presumendo fosse dedicata a Josip Broz Tito, il leader jugoslavo. Ma la via è in realtà intitolata a Tito Flavio Vespasiano, imperatore romano dal 79 all’81 d.C., noto per aver inaugurato il Colosseo e gestito con umanità la tragedia del Vesuvio. Fatto      che  e ha fatto il giro dei social e dei giornali, diventando un piccolo caso mediatico. Un lapsus? Una svista? O  come  credo    io  il sintomo di una certa ansia di “bonifica simbolica”  dimtutto quello che  è  di  sinistra   che spesso precede la verifica dei fatti  e   fa prendere     delle cantonate ?

🎭 Il paradosso della memoria

la richiesta di Matteo Salvini al sindaco di Firenze di concedere la cittadinanza onoraria a Oriana Fallaci, nata proprio a Firenze, è perfetto. Anche lì, il gesto simbolico sembra voler “riparare” un’assenza percepita, ma finisce per sollevare interrogativi più profondi: chi decide cosa merita memoria? E su quali basi ?  scelta  propagandistica  \  elettoralistica  ? 

Ecco quindi    che c'è  chi vuole cambiare il nome di una via per riparare un torto storico. C’è chi chiede una cittadinanza onoraria per restituire dignità a chi l’ha già ricevuta alla nascita. E poi c’è la realtà, che si prende gioco delle intenzioni.are il nome di una via per riparare un torto storico. C’è chi chiede una cittadinanza onoraria per restituire dignità a chi l’ha già ricevuta alla nascita. E poi c’è la realtà, che si prende gioco delle intenzioni.Il caso   di Francesco Giubilei, consigliere del ministro della Cultura, ha chiesto al sindaco di Roma di rinominare via Tito, convinto fosse dedicata a Josip Broz Tito, il controverso leader jugoslavo. Peccato che quella via onori Tito Flavio Vespasiano, imperatore romano, costruttore del Colosseo e gestore dell’eruzione del Vesuvio. Un lapsus toponomastico che dice molto più di quanto sembri.Come quando Salvini sollecita il sindaco di Firenze a concedere la cittadinanza onoraria a Oriana Fallaci, dimenticando che a Firenze ci nacque. Il gesto simbolico diventa paradosso, la riparazione si trasforma in equivoco.La memoria urbana è un campo minato. Ogni nome è un racconto, ogni targa una narrazione. Cambiarli senza conoscere la storia è come riscrivere un libro senza leggerlo.Quindi   ripetendi  un altra  volta    la famosa  canzone   : Non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma forse è proprio da questi dettagli che si giudica una cultura.Siamo    quindi    davanti  a   un 🧠 Lapsus come sintomo  dovel’errore non è solo una svista. È il riflesso di una cultura che spesso agisce prima di conoscere, che cerca di “ripulire” la memoria pubblica senza interrogarsi sulla sua stratificazione. La toponomastica diventa così un campo minato, dove ogni nome può essere frainteso, ogni targa può diventare bersaglio.Allo   stesso  modo 🏙️ Il parallelo con Oriana Fallaci  a  cui   Matteo Salvini chiede al sindaco di Firenze di concedere la cittadinanza onoraria  dimenticando che è nata proprio lì. Il gesto simbolico si trasforma in paradosso, e la riparazione ( no  si capisce  di cosa   )   diventa ridondanza e propaganda 

19.10.25

Un raggio di luce - unione sarda 19\10\2025 tacitus

  ecco   pechè racconto piccole storie  


Una mia cara amica mi telefona da Milano. Mi dice di essere partita da Cagliari, nonostante un fastidioso raffreddore, per assistere a una conferenza di Daniel Goleman. È la stessa mia amica che qualche giorno prima mi aveva benevolmente rimproverato di scrivere troppo spesso di avvenimenti drammatici se non addirittura tragici. Lei aveva ragione; ma io non avevo torto. Dicevano i nostri padri latini che quando
«majora premunt», ossia le cose più grandi incombono, non ci si deve soffermare sulle minori. Vorremmo scrivere sempre traendo spunto dai fatti e fatterelli della quotidianità. Sono essi l’indice della vita normale, ora serena ora travagliata, di quella parte maggioritaria della popolazione che, gioendo soffrendo operando nell’anonimato, è l’asse portante della società. La chiamiamo genericamente “gente”, e offre innumerevoli spunti di riflessione. E uno spunto me lo offre la mia amica, che gioisce del suo incontro ravvicinato con Goleman. Chi non ha ancora letto “Intelligenza emotiva”, il suo libro più famoso, lo faccia: è un raggio di luce che illumina le menti in penombra. Essere emotivamente intelligenti può renderci felici; e noi rendere felici gli altri. Può riconciliarci con la vita quando la speranza vacilla. Ne riparleremo. Regaliamone intanto una copia a Putin, Trump, Zelensky e Netanyahu. Hai visto mai che imparino qualcosa?

educazione sessuale ed affettiva nelle scuole SI O NO prevenzione femminicidi ? per me si e per voi ?

non faccio neppure in tempo a leggere e condividere --- perchè  Avere l'educazione sessuo-affettiva a scuola non è un'optional, ma una cosa essenziale. Chi è contrario vuole continuare ad avere un paese indietro, bias sulla prevenzione, cultura, consenso, relazioni  ---   su thereads questo post di
moreno.gridell
I corsi sessuo-affettivi, oltre che nelle scuole, andrebbero fatti anche a quei giornalisti che sull'ennesimo femminicidio dicono "lui l'amava troppo". E se l'avesse amata poco cosa avrebbe fatto, se la sarebbe cucinata come spezzatino?
 che   ricevo    via  email   in risposta sia a questo che  la  mio  post  precedente  : ‹‹ non  rompeteci   le  ..  il 25  novembre visto   il  divieto  d' educazione    sessuale  ed  emotiva  nelle  scuole    e intanto  le  donne     continuano ad  essere  uccise ››   , vedere  sotto   la  discussione  su  , da   parte di qualche fanatico  ostile     a  tale   metodo educativo   questo post  di Pillon


 VITTORIA! Passa l'emendamento della Lega che vieta l'indottrinamento sessuale nelle scuole elementari e medie.
Il PD si scatena e parla di medioevo.
Cara Elly Schlein, caro Alessandro Zan, confermo: nel medioevo cristiano nessun attivista LGBTQWERTY andava a spiegare ai bambini quanto sia bello scegliere il proprio sesso o andare negli spogliatoi degli altri o pomiciare tra maschi.
E infatti hanno costruito splendide cattedrali, hanno dipinto affreschi e quadri meravigliosi e hanno scritto preghiere e commedie che ancora oggi suscitano l'ammirazione del mondo.
Volete che le associazioni gay facciano educazione gender ai bambini? Cominciate coi vostri figli. Ai nostri preferiamo insegnare in famiglia la bellezza del creato, la meraviglia dei nostri corpi, lo splendore radioso dell'amore tra un uomo e una donna, unico capace di generare e accogliere la vita.Più medioevo per tutti!



 

Antonio Deiana

Dici che all’assassino sarebbe servita l’educazione sessuale?




AutoreGiuseppe Scano

Antonio Deiana se fosse un semplice assasino no . ma visto che erano anni che la picchiava e insultava si se unita ad educazione affettiva si




Antonio Deiana
Giuseppe Scano per me i criminali sono criminali, non maleducati.





Luigi Agus
Antonio Deiana il senso di possesso unito ad una falsa concezione dell'onore, sfocia in cose di quel genere. Si tratta di una questione culturale, che diventa criminale in certi casi limite. Occorre una educazione all'affettività sana e consapevole, soprattutto nelle scuole medie e superiori.





AutoreGiuseppe Scano
Luigi Agus esatto .




Antonio Deiana
Se bastasse una sana educazione per eliminare i reati… io non ne sono affatto convinto.


AutoreGiuseppe Scano

Antonio Deiana è vero come dici tu , Infatti eliminare i reati è impossibile , ma ridurli si può e su deve . soprattutto quando stupri e femminicidi sono commessi da giovanissimi fra 16\20 anni


tesi di laurea su adozione e affido: «Dedicata a chi è nato due volte» Ora dottoressa in Lingue e comunicazione, 23 anni, aveva trovato una nuova famiglia quando ne aveva 13

 canzone  suggerità 
 In Un'Altra Vita (Live)Ludovico Einaudi

unione  sarda   ONLINE  

Giada Pisanu il giorno della sua laurea (foto Sara Pinna)

Cabras, Giada Pisanu si racconta nella tesi di laurea su adozione e affido: «Dedicata a chi è nato due volte»

Ora dottoressa in Lingue e comunicazione, 23 anni, aveva trovato una nuova famiglia quando ne aveva 13



                               Giada Pisanu il giorno della sua laurea (foto Sara Pinna)


L’ultima frase della sua tesi è un colpo allo stomaco: «La dedico a tutti i bambini che, come me, sono dovuti nascere una seconda volta».
Ma nel lungo testo c’è anche il ringraziamento alla sua famiglia che tredici anni fa le ha aperto la porta di casa. Una storia che si può leggere nella tesi di laurea di Giada Pisanu, una ragazza di Cabras, oggi 23 anni, che pochi giorni fa si è laureata Lingue e comunicazione alla Facoltà degli Studi Umanistici dell'Università di Cagliari. L'affido e l’adozione sono i temi scelti per sensibilizzare a parlare di questi argomenti, quasi un tabù.
Dentro si legge la sua storia che prima o poi diventerà un libro: questo è il suo prossimo obiettivo. Giada Pisanu ha parlato di se stessa per far capire come l'affidamento e l’adozione siano oggi due argomenti poco affrontati. «E questo porta ancora a pensare che un bambino viene dato in affido a una famiglia solo perché questa non ne può avere, invece non è così», spiega, «Una volta che un bambino arriva in una casa, la coppia assume la titolarità per esercitare il ruolo genitoriale a tutti gli effetti».
E poi ci sono i pregiudizi: «Nella credenza comune il figlio deve essere tale e quale ai genitori. Molti ancora oggi pensano addirittura che se una coppia cresce un figlio non biologico questo non sia un “figlio vero”. Ecco perché tante volte mi sono sentita diversa da altri. La famiglia è quella che educa, che dona amore, che insegna come comportarsi nella vita di tutti i giorni. Queste idee comuni possono essere cambiate solo se di questo argomento se ne parlasse di più, magari nelle scuole».
Giada Pisanu ha vissuto con i suoi genitori biologici fino ai 13 anni. Poi un giorno la mamma è stata portata all'ospedale perché stava male, e lei, tredicenne, in quel momento non poteva stare sola a casa. «Al medico che in quel momento era presente in casa, la dottoressa Adriana Muscas, ho chiesto di poter andare da due amici di famiglia, una coppia senza figli, che conoscevo bene. E da quella casa poi non sono mai andata via», racconta Giada con gli occhi lucidi, «Ho trovato una famiglia che mi ha accolto per proteggermi, per donarmi amore, pace, carezze, tranquillità ma anche educazione e regole».
Giada dopo pochissimo tempo ha chiesto al giudice di poter essere affidata a Lucio e Jessica: il sì è arrivato subito e a breve ci sarà l’adozione. Giada: «E sarà un altro giorno che non dimenticherò mai».

18.10.25

DIARIO DI BORDO N 152 ANNO III L'ingegnere giapponese, Masahiro Hara, ha inventato gratis il Qr ., i rifiuti diventano opere d'arte con gli scatti di Ivano Piva ., Stanislav Petrov, ufficiale dell’esercito sovietico, responsabile del sistema di allerta nucleare “Oko”. evito l'appocalisse nucleare

Dall'account Magnati 15 ottobre alle ore 21:20


 Avrebbe potuto diventare multimilionario con uno strumento utilizzato da tutti, ma ha deciso di renderlo disponibile alle persone. L'ingegnere giapponese, Masahiro Hara, lavorava presso Denso Wave quando ha inventato il codice QR, il miglioramento del codice a barre. Era il 1994 quando ha creato un metodo capace di immagazzinare 100 volte più informazioni rispetto al comune codice a barre, scansionabile da qualsiasi angolazione e funzionante anche se danneggiato. Hara, invece di brevettare e trarre profitto dal miglioramento, a nome di Denso Wave, ha scelto di liberarlo al mondo gratuitamente.


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unione   sarda   online   

                           Giampiero Marras


Sassari
i rifiuti diventano opere d'arte con gli scatti di Ivano Piva La mostra fotografica “Apparentemente” sarà ospitata a Palazzo Ducale




Tappi di plastica, palloncini scoppiati, frammenti di contenitori, pezzi di reti. Rifiuti. Eppure disposti in maniera sapiente si trasformano in composizioni artistiche. In occasione del 25° anniversario di attività, il Ceas Lago Baratz del Comune di Sassari propone nella sala Duce di Palazzo Ducale la mostra fotografica “Apparentemente” dell’artista Ivano Piva. L'esposizione sarà inaugurata il 28 ottobre e sarà visitabile sino al 31 ottobre e dal 3 al 5 novembre, dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 19.
Le opere esposte sono immagini essenziali, che immortalano rifiuti di plastica raccolti sulle spiagge. Le
foto evidenziano il contrasto tra la loro evidente minaccia per l’ambiente e l’apparente innocuità che assumono quando diventano soggetti artistici. La mostra si compone di stampe fotografiche, semplici ma potenti, pensate per sensibilizzare il pubblico alla raccolta dei rifiuti e promuovere una maggiore consapevolezza ambientale. Le fotografie saranno accompagnate da una selezione di oggetti esposti in modo non convenzionale, offrendo uno sguardo diretto su ciò che viene abbandonato.
I materiali esposti provengono da attività umane sia sulla terraferma che in mare: reti, attrezzature da pesca e altri rifiuti marini non degradabili, soprattutto plastica, che le mareggiate trasportano depositano lungo le coste.
Sarà lo stesso autore degli scatti, Ivano Piva, ad accompagnare i visitatori e le classi lungo il percorso espositivo, illustrando sia gli aspetti tecnici delle fotografie sia il messaggio educativo che anima l’intera iniziativa.

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Era la notte del 26 settembre 1983, e il mondo dormiva sull’orlo dell’apocalisse.
Nelle sale sotterranee di un bunker vicino a Mosca, un uomo fissava uno schermo che avrebbe potuto decidere il destino dell’umanità.
Si chiamava Stanislav Petrov, ufficiale dell’esercito sovietico, responsabile del sistema di allerta nucleare “Oko”.All’improvviso, l’allarme scattò.Sul radar apparve la segnalazione di un missile nucleare lanciato dagli Stati Uniti.Poi un secondo.Poi tre, quattro, cinque.Le sirene ululavano.Le luci rosse lampeggiavano.Il protocollo era chiaro: doveva comunicare l’attacco e ordinare la rappresaglia.Entro pochi minuti, migliaia di testate sovietiche avrebbero attraversato il cielo verso l’America.Petrov guardò lo schermo.Le mani gli tremavano.Ma qualcosa non gli tornava.Cinque missili soltanto? Troppo pochi per un attacco vero.E i satelliti di rilevamento erano nuovi, appena installati. Potevano sbagliarsi.“È un falso allarme,” pensò.“Deve esserlo.”Decise di fidarsi del suo istinto, non delle macchine.Non riportò l’attacco.Non premette il pulsante.Attese, da solo, per interminabili minuti.E niente accadde.Nessun missile, nessuna esplosione.Solo il silenzio.Era stato un errore del sistema: i satelliti avevano confuso il riflesso del sole sulle nuvole con il lancio di razzi.Quel gesto silenzioso salvò il mondo da una guerra nucleare.Ma nessuno lo seppe.Il rapporto fu classificato, e Petrov venne perfino rimproverato per non aver seguito la procedura.Venne congedato. Visse in un piccolo appartamento alla periferia di Mosca, in solitudine.Solo molti anni dopo, nel 1998, la sua storia emerse grazie a un documentario.Ricevette premi e riconoscimenti, ma rispondeva sempre allo stesso modo:«Non ho fatto nulla di straordinario.Ho solo fatto quello che doveva fare un essere umano.»Morì nel 2017, quasi dimenticato, ma con la consapevolezza di aver evitato l’estinzione del genere umano con una sola decisione: non reagire alla paura.A volte, il vero coraggio non è premere un pulsante.È avere la forza di non farlo.Piccole Storie (𝑆𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑏𝑎𝑠𝑎𝑡𝑎 𝑠𝑢 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑖, 𝑐𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑛𝑎𝑟𝑟𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎)

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

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