25.10.17

riflessioni sull cambio d'orario da legale a solare ed Adrian Rodriguez Cozzani Artista, artigiano e un po’ filosofo: l’ultimo costruttore di clessidre







In sottofondo 
"Un altro giorno è andato - Francesco Guccini 


Dovrei lasciare perdere  , ma non ne posso più   di  stare zitto  o mandare  a  fncl  , chji i dice  perch+ metto   la musica  nei miei  post  .Ecco la risposta  : <<. Senza la musica che lo accompagna il tempo è solo sfilza di scadenze e date entro cui vsanno pagate le bollette . >>   Frank Vincent Zappa ( 1940 –1993)

Un ultima  precisazione    primsa  d'iniziare  : il post   d'oggi  èdeliberamente  tratto ed  rielaborato   da  http://www.topolino.it/archivio-post/topo-3231/


  Adesso  andiamo ad iniziae   .

Mi piacerebbe che il tempo scorresse lento come la polvere nella clessidra - che poi è sempre lo stesso tempo ma lì, osservandolo, sembra andare alla velocità giusta, nella clessidra il tempo sembra prendersi... il giusto tempo  - e invece, siamo già incredibilmente arrivati al "cambio dell'ora": il 29 ottobre infatti si torna a quella solare e se fossimo animaletti ci meriteremmo tutti di andare in letargo e risvegliarci a  primavera

Invece, è solo un bel sogno  ! Però, pensate, come sarebbe diverso se potessimo fermare il tempo come facciamo quando stoppiamo la sabbia nella clessidra: magari come  quelle create da   di  Adrian Rodriguez Cozzani,  (  vedere il video  e  l'url   sotto    riortastro )  io per esempio, in questo momento vorrei congelare gli attimi per godermi con l'attenzione e l'intensità che si merita la lettura, anzi la rilettura   delle fantastiche alcune solo per i disegni della colana le storie di Sergio bonelli editore Poi cercherei anche di far ruotare vorticosamente la mia clessidra personale all'indietro, per tornare al momento anecedente    ad alcune mie azioni  sconsiderarte  Ricordo i  racconti    dei nonni  niti a quelli   dei genitori   - erano densi di emozioni e mi è davvero spiaciuto di non essere stata lì con loro .....








La notte tra sabato 28 e domenica 29 ottobre ricordate di portare le lancette dell'orolagio indietro di un'ora !




da la  stampa  del 30\9\2017 
Artista, artigiano e un po’ filosofo: l’ultimo costruttore di clessidre
Roma, l’argentino che fuggì dalla dittatura: “Regalo l’illusione di possedere il tempo”






FEDERICO TADDIA

ROMA
«A volte le giro tutte insieme, per il piacere di trovarmi silenziosamente immerso in una cascata di polvere che mi accompagna dall’istante passato all’istante successivo: è il tempo che scorre, che corre, che diventa visibile e tangibile».
Ampolle in vetro che si distinguono in secondi e minuti; sabbie raccolte, lavate e setacciate con dedizione per scivolare senza intoppi; gocce di cera d’api colate con delicatezza per difendersi dall’umidità mantenendo inalterati sofisticati equilibri e millimetriche simmetrie.
Arte, artigianato e filosofia: per Adrian Rodriguez Cozzani la clessidra è la sintesi perfetta di tutto questo, come testimonia nella sua bottega nel cuore di Trastevere. L’ultimo costruttore di orologi a sabbia è un argentino di 70 anni, dallo sguardo penetrante e la battuta mai banale, arrivato a Roma nel 1977 in fuga dalla dittatura con in tasca freschi studi di architettura. «Dopo qualche anno trascorso lavorando tra Italia e Venezuela ho messo in pratica un detto che spesso ripeteva la mia nonna, originaria di Parma: «Meglio avere la testa di topo che una coda di leone». Così ho scelto di seguire l’istinto e la passione, abbandonando il posto sicuro per dedicarmi al mio hobby: i misuratori di tempo. Orologi solari e meridiane prima, clessidre ad acqua e a polvere poi: ho aperto un mio spazio, negozio e laboratorio, che è cresciuto con me, giorno dopo giorno, granello dopo granello: questo luogo è la rappresentazione di me stesso, io sono questo». Piccole, da un paio di minuti appena, o grandi, immense, fino a due ore. E in mezzo le misure standard, compresa quella da 50 minuti pensata per gli psicologi. Disegni classici, in legno e ferro, riproduzioni ispirate a modelli storici dalle linee sobrie e minimaliste. Un migliaio di pezzi all’anno, costruiti con cura e anima. A cui si aggiungono le clessidre artistiche, come quella racchiusa in una rete di corde per trasmettere l’impressione di poter ingabbiare il tempo, o quella a tre ampolle, per misurare contemporaneamente intervalli totali e parziali.
«Le più complicate sono quelle personalizzate: di recente una signora sarda, come memoria di una storia d’amore, ne ha chiesta una con microsfere di diversi colori, che dovevano passare da un’ampolla all’altra ma senza mai mischiarsi. Qualche mese fa ne hanno ordinata una di sabbia nera, completamente piena: inutilizzabile, ma bellissima da guardare. Anche se la più originale e, paradossalmente, quella di più difficile realizzazione, rimane la clessidra da un secondo: una richiesta apparentemente assurda, ma tutti i desideri vanno rispettati. E anche un orologio che fotografa il battito di un attimo ha il suo fascino e la sua dignità». Coni di carta con cui rabboccare le sfere, il tocco del vetro con le dita, secco ma delicato, per far accomodare al meglio ogni particella, la misurazione fatta con un vecchio orologio a pile per calcolare le quantità, la verifica e la controverifica che tutto funzioni al meglio con la consapevolezza che non esiste la misurazione esatta, perché come in una continua partita di Tetris le particelle di sabbia cercano il giusto incastro, che può portare a rallentamenti o accelerazioni della discesa. O, raramente, a fermare la clessidra. «Se è stata costruita con attenzione e buoni materiali è un evento davvero sporadico, ma non impossibile: fa parte del gioco, va messo in conto». Lo dice con sapiente rassegnazione Adrian, diventato involontariamente una piccola star in Cina, Giappone, Russia e Stati Uniti, grazie a programmi televisivi che hanno raccontato la sua storia, portando settimanalmente turisti, cartina alla mano, a perdersi per i vicoli alla ricerca del «Maradona delle clessidre».
E insieme a loro collezionisti e artisti, scenografi e registi, curiosi o i vicini di quartiere che buttano dentro il naso per prendere ispirazione, dar forma a qualche visione o regalarsi una parentesi di ossigeno in una sorta di bolla impermeabile alla frenesia e allo stress della metropoli. «E’ vero, ora c’è molto più interessamento per la clessidra, e credo che aumenterà sempre di più: è uno strumento che ti dà la sensazione di possedere il tempo. Puoi girarla, stopparla, farla ripartire. A differenza di tutte le tecnologie digitali che ci accompagnano e che continuamente ci spiattellano in faccia il passare dei minuti, qui hai un controllo. L’unico vero capitale che ha l’uomo è il tempo: con la clessidra scorre più lento. Te lo fa godere. Assaporare. Respirare. Sì, te lo fa vivere».
ed ecco alcune  sue  opere   altre ne  trovate   qui sulla sua pagina facebook o sul suo    sito www.polvereditempo.com






la suia bottega situata a via del moro 59 a Roma  06 588 0704




concludo   con una  foto  presa con il cellulare  tratta  dalla  sua intervista rilasciata  a topolino     , da cui ho preso  l'editoriale  
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24.10.17

LAMENTO PER IL CIGNO UCCISO di © Daniela Tuscano

Sono reali per l'incedere lento, pingue. Paiono indifferenti, ma è bellezza senz'aggettivi, soprattutto senza vizio. Poi, una volta fuori del perimetro acquatico, tornano palmipedi: goffi, umorali. Hanno carattere, i cigni. Il carattere basta in natura, in quel mondo di spazi e non di tempo, dove si è soggetti soltanto alle stagioni, agli amori e ai climi. 
Ma il tempo esiste, per opera dell'uomo. Che gli ha dato un senso, il suo; e l'ha organizzato secondo i suoi desideri e capricci. Il tempo, non dà tempo. L'uomo, a differenza del cigno, sa di averne poco e vuol catturarlo, possederlo, talora giocarci. L'uomo ha percezione della propria fragilità e, a differenza del cigno, ragiona. Davanti a una libertà sconfinata può tacere, pregare e proteggere; e allora diventa la creatura più amabile e materna del pianeta. La natura da cui è uscito si riconcilia con lui. 
Ma può anche incrudelire, invidiare, possedere: e, in quel caso, non v'è limite alla sua ferocia. Può uccidere per malvagità, gioco o semplicemente noia. E lì il carattere non serve più. È anzi impedimento, affronto. Il cigno 

L'immagine può contenere: uccello, spazio all'aperto, acqua e natura
molestato da tre mocciosi danesi ha mostrato, a suo modo, sdegno e fierezza. S'è sentito privato della sua natura, sacra per il solo fatto d'esistere. Non era un sasso o un altro oggetto inanimato, ma un reale cigno, con un ruolo sulla terra. 
L'uomo libero e invidioso non riesce più a capirlo. Adopera i suoi frammenti di tempo per invadere lo spazio altrui. E non dà tregua. Tormenta, insegue e uccide. A sassate, a bastonate. Lapida la natura che lo travalica, quella placidezza innocente che continuerà a scorrere dopo di lui e, malgrado tutto, non si lascia sottomettere. 
Sì, quei giovani danesi hanno commesso un assassinio. In essi è già svanita ogni traccia d'innocenza. Meritano una punizione severa, che li rieduchi all'alfabeto della creazione. Ma, ancor di più, dell'altruità. L'uomo violento vince suicidandosi, ignorando d'essere un anello nel flusso vitale. L'ultimo, forse; ma non l'unico. E spegnerne un altro, sia pure un semplice cigno, compromette la sua stessa esistenza, il suo ruolo di custode, quel tempo che gli scivola via, implacabile e deserto, privo d'anima e di pietà.

© Daniela Tuscano

23.10.17

La storia a Conegliano: impara la lingua dei segni per aiutare l’amica

Lo  so che sembrerò sentimentale  , ma   certe storie  mi aiutano a vincere il mio pessimismo e   ad  allontanare  i pensieri  e le domande  elucubratorie  ache  serve  vivere   e amentita   varie  . Ecco una storia      recente 
  dopo  la news  di un amica  che  dona il rene  all'altra amicva  malata  



Le due amiche con la torta
MONSELICE - «Volevo pareggiare i conti con una sfortuna che non meritava». Così Letizia Guglielmo spiega la
decisione di donare un rene all'amica d'infanzia Lara Martello, restituendole la speranza di vita. Entrambe vivono a Monselice e sono nate a tre giorni di distanza nel settembre del 1969.
Sette anni fa Lara ha scoperto di soffrire di glomerulonefrite, una malattia infiammatoria che interessa i reni.
Nel 2010 inizia il percorso di dialisi e quello dell'attesa di un trapianto. La prima ad offrirsi è stata la madre, ma i
test di compatibilità sono risultati negativi. Poi, come racconta La Repubblica, una pizza con l'amica di sempre rappresenta la svolta della vita. «Il rene te lo do io. Tu devi tornare a ridere come una volta».
Il giorno dell'intervento, poche ore prima di entrare in sala operatoria, le due amiche si sono tenute per mano. E oggi sono ancora più unite. «Il pensiero di aver salvato una vita a un'amica - dice Letizia - mi dà una
forza immensa».






















ecco un altra 



Il rapporto straordinario e sincero tra Veronica e Giulia nato sui banchi della scuola media. Dal primo giorno di scuola fino al termine del triennio delle medie, si è presa cura ininterrottamente della sua compagna di banco diversamente abile. Non si è spaventata di ciò che era diverso da lei, bensì ha voluto conoscere
CONEGLIANO.
È la storia di un’amicizia speciale, sbocciata nella spontaneità e coltivata nella semplicità. È la storia di Veronica Perinot e della sua compagna di classe e amica del cuore Giulia, dalla nascita affetta da una grave ipoacusia. Veronica è una studentessa di 14 anni. Dal primo giorno di scuola fino al termine del triennio delle medie, si è presa cura ininterrottamente della sua compagna di banco diversamente abile. Non si è spaventata di ciò che era diverso da lei, bensì ha voluto conoscere. E questo le ha donato valore e ricchezza immateriale, ma per questo ancor più preziosa.
«In prima elementare, a Bagnolo – riporta la motivazione del Premio Civilitas - Veronica ha conosciuto Giulia, la compagna di classe con una grave ipoacusia. Veronica ha imparato la lingua dei segni per poter comunicare con l’amica. Con amore e grande amicizia le è stata vicina in ogni momento, aiutandola a superare le situazioni quotidiane di incomprensione dovute alle difficoltà di linguaggio. Quando Giulia si approccia alla lingua italiana dei segni, Veronica stessa riesce ad entrare ancora più in sintonia con lei. Si telefonano sempre, ma non potendo comunicare verbalmente, lo fanno visivamente attraverso la videochiamata». Giulia e Veronica, Veronica e Giulia: un rapporto che si è consolidato nel tempo.Non servono parole 
per permettere a un’amicizia di nascere e crescere: bastano sguardi, espressioni e, in questo caso, le mani. Mani di Veronica che hanno sostenuto, accarezzato, scrollato e, mani di Giulia, che hanno abbracciato, consolato, stretto. Veronica ha conosciuto Giulia e fin dall’inizio ha deciso di impegnarsi per suonare insieme una musica per l’anima in un concerto a quattro mani. Un rapporto, il loro, instaurato saldamente anche al di fuori dell’ambiente scolastico, nello stare insieme anche nei periodi
di vacanza. Una continua vicinanza che ha consentito a Giulia di vivere gli anni della gioventù serenamente, forte di un punto di riferimento sempre presente. Veronica e Giulia sono il simbolo dell'amicizia sincera, che ha profondamente commosso la giuria del Premio Civilitas.

22.10.17

Nuove schiavitù. Suore in lotta contro la tratta, 10 anni di battaglie da ©Daniela Tuscano


Hanno incominciato in trentatré. Tante erano le partecipanti al seminario di formazione organizzato dall’Ambasciata statunitense presso la Santa Sede e dall'ufficio anti-tratta dell'Unione italiana delle superiore maggiori (Usmi) nel 2007. Trentatré suore, di ventisei Paesi differenti, riunite dal proposito evangelico di contribuire a combattere la schiavitù del Ventunesimo secolo.

L'immagine può contenere: 17 persone, persone che sorridono, persone in piedi e spazio all'aperto
Sono state loro a lanciare, al termine dell’incontro, il 20 ottobre di dieci anni fa, la Rete internazionale delle religiose contro la tratta di persone (Inratip), la prima “alleanza globale” contro questa piaga. Il lavoro di quelle pioniere ha fatto da apripista ad altre reti – Anath, Renate, Talitha Kum – impegnate nella prevenzione e nel recupero delle vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo, definito da papa Francesco “un crimine contro l’umanità”.Dieci anni dopo, “guardando e riflettendo sul cammino fatto e sugli obiettivi raggiunti notiamo con riconoscenza che molto è stato fatto, dal termine di questo primo convegno di religiose a livello mondiale, ma pure che molto rimane ancora da fare. Purtroppo cambiano le modalità, le situazioni e le strategie sociali mentre la violenza sulle donne e minori non sembra diminuire affatto”, scrivono suor Eugenia Bonetti, presidente di Slaves no more, e Amy Roth Sandrolini, prima coordinatrice all’Ambasciata Usa e ora impegnata nel contrasto al traffico di esseri umani negli Stati Uniti.Se, nel 2007, i “nuovi schiavi” – in gran maggioranza “schiave” – erano 12,3 milioni ora sono 21. I profitti del business sono quintuplicati in un decennio, passando da 32 a oltre 150 miliardi di dollari. “Il punto cruciale rimane pur sempre la “domanda” che sfrutta situazioni di estrema povertà, ignoranza e corruzione delle persone più indifese e a rischio per cui è ancora tanto ed urgente il lavoro da fare”, sottolineano le due attiviste. Per tale ragione, come l’esperienza di quel primo seminario insegna, è ancora più necessario lavorare in rete. Solo, così, “in comunione e non in competizione – concludono - potremo annientare questa schiavitù moderna dalle pagine dei libri, dalla nostra cronaca e dalla nostra storia”.
Avvenire 20 ottobre 2017

Caporetto. In viaggio sulla strada di Rommel ovvero vista dal nemico

stanco  delle  solite  tesi  ultra retoriche  ,   quasi  vicino alla stucchevolezza  ,   ed  nazionalistiche  che  sfociano   vedere le  tesi di     riportate qui su  www.http://www.difesaonline.it o nel mio post  precedente   in  tesi  ultra revisioniste  (   uso   del revisionismo    quando   non è  necessario  perchè  un evento  è  già stato svisceratoi  ed  analizzato   in tutta  la sua interezzza è  non c'è  più niee  d'ìaggiungere \ rettificare  )  lascio  con ampio  piacere  la  parola  a  questa  intervista  a
Paolo Rumiz torna nei luoghi di Caporetto a cento anni dalla disfatta dell'esercito italiano. "La strada di Rommel" è il racconto di quella battaglia vista dalla parte del vincitore. Il dvd del viaggio sarà in edicola dal 24 ottobre

  da  http://ilpiccolo.gelocal.it/italia-mondo/2017/10/21/news/

ROMA. Caporetto, 24 ottobre 1917. Le truppe tedesche infliggono la più grave sconfitta della storia all'esercito italiano. A guidarle c'è un non ancora 26enne Erwin Johannes Eugen Rommel, primo tenente del battaglione Fucilieri da montagna del Württenberg. La futura “Volpe del deserto” nazista racconterà le sue gesta più tardi, nel ’37, nel libro Fanteria all’attacco. Paolo Rumiz ha letto il testo e, a cento anni di distanza, ha ripercorso le orme del protagonista dello sfondamento austro-tedesco. E’ andato sui luoghi dell'offensiva , tra crinali, trincee, montagne: 2.500 metri di salita e 800 di discesa, da Tolmino fino alla vetta del Matajur, a quota 1.641. Ne è nato un documentario, La strada di Rommel, diretto da Alessandro Scillitani. Il dvd è in edicola da martedì 24 ottobre con i quotidiani locali del Gruppo Gedi.

Rumiz, ancora oggi Caporetto è la nostra sconfitta per antonomasia. Come è nata l'idea di raccontarla secondo l’ottica del vincitore tedesco?

«Intanto dal centenario. Lo sfondamento tedesco, la distrazione degli alti comandi italiani, il susseguirsi degli eventi, la ritirata disastrosa: tutto il quadro di insieme è stato mille volte studiato, mentre a me interessava fare la moviola delle prime ore, dei prime attimi, perché proprio i primi attimi hanno segnato questo evento ciclopico: non dimentichiamoci che è stata la più grande controffensiva della Prima guerra mondiale se si esclude il fronte russo. La capacità luciferina di Rommel di infilarsi ovunque meritava un racconto».

Qual è la stata la strategia dei vincitori?

«Rommel è un combattente di enorme modernità, i suoi movimenti anticipano la Seconda guerra mondiale. Capisce immediatamente che in una guerra che è stata sempre frontale tutto ciò che ti compare da dietro assume una dimensione irreale. I tedeschi che si materializzavano alle spalle erano visti come fantasmi dai nostri soldati. Quando le truppe italiane in prima linea vengono bombardate, Rommel sale immediatamente per il bosco ripidissimo con tutta la sua truppa di uomini allenatissimi, specializzati per la montagna, ed esce dal bosco cogliendo di sorpresa la seconda linea, facendo cadere ai nostri soldati le armi letteralmente di mano. In tedesco si dice “Auftragstaktik”, che significa: 1, meticolosa preparazione dell’azione militare; 2, fulminea esecuzione; 3, elasticità dei comandi».

Cosa l’ha colpita di più dalla lettura del testo di Rommel?

«Mi ha colpito il rapporto completamente diverso tra alti comandi e soldati italiani e alti comandi e soldati tedeschi: la differenza, ancora attuale, è che il soldato italiano non era invitato a pensare, doveva eseguire ciecamente, mentre anche l’ultimo dei tenenti tedeschi era autorizzato ad agire in autonomia, se questo permetteva di raggiungere l’obiettivo. Nell’esercito tedesco le fucilazioni sono state un decimo rispetto a quelle italiane, questo non significa solo che era più ubbidiente ma anche più motivato».

Scrive Rommel: “Ovunque notiamo un gran numero di italiani sbandati, che in gran parte vengono catturati”. 

«Le truppe italiane andavano allo sbando là dove non c’erano i comandi. Rommel ha sempre avuto una triplice visione: italiani ottimi soldati, mediocri ufficiali e pessimi generali».

L’Italia non studia la geografia a scuola – annota Rommel – i tedeschi sì. Il non conoscere le mappe quanto ci ha penalizzato?

«Quando i tedeschi sono arrivati alla spicciolata nella valle dell’Isonzo e dintorni, la prima cosa che hanno fatto è stato un esame millimetrico del terreno, anfratto per anfratto, con aerei, con cannocchiali. Hanno rifatto, da capo a piedi, le mappe austro-ungariche, perché non si fidavano nemmeno degli austriaci loro alleati. Quando Carlo Emilio Gadda venne fatto prigioniero si rese conto che anche l’ultimo dei sottufficiali tedeschi aveva al collo una mappa a colori, mentre i soldati italiani spesso non sapevano nemmeno dove si trovavano. Per l’esercito italiano contava il numero, non la qualità. Di contro i tedeschi hanno messo in campo un esercito preparato».

Che cosa ha pensato mentre ripercorreva il cammino dei soldati?

«Ho capito molto il libro di Curzio Malaparte La rivolta dei santi maledetti, uscito la prima volta nel 1921 con il titolo Viva Caporetto!. Malaparte dice che i soldati italiani erano stanchi di una guerra insensata, con alti comandi lontanissimi e spesso incapaci, stanchi dei raccomandati e della propaganda inutile. Malaparte è l’antitesi di Gabriele D’Annunzio che mitizza la guerra. Malaparte se la prende con gli imboscati che campano sulla guerra senza farla. Mentre i tedeschi si succedevano in prima linea a intervalli regolari ed equi, da noi gli imboscati stavano sempre dietro e quelli che si facevano il mazzo stavano sempre avanti. È lo specchio dell’Italia di oggi che va avanti grazie alla buona volontà di chi fatica. Per questo Caporetto è così attuale: ancora oggi siamo un popolo mal rappresentato, tra chi ci comanda c’è una negativa selezione della specie. Il generale Badoglio fa una carriera fulminante nonostante gli errori di Caporetto, la sua ascesa continua col fascismo fino a diventare maresciallo d’Italia, questo perché Badoglio è un massone».

E Cadorna?

«Caporetto ha una doppia lettura: da una parte è tutta colpa di Cadorna, dall’altra è colpa degli italiani che non sanno combattere. Non è vero né l’una né l’altra. Cadorna fece molti errori, non capì come muoversi, ma a Caporetto aveva dato disposizioni per rafforzare le difese. Ha impedito che la ritirata fosse meno tragica di quanto avvenuto: ha dato ordini per consentire alla terza armata, quella del Carso, di ritirarsi in modo ordinato senza grandi perdite».

Nel suo viaggio, ha incontrato studenti in visita delle trincee, agriturismi sempre pieni, la casa-museo dove ha dormito Rommel: come le è sembrato questo turismo della “memoria” ?

«La memoria italiana a Caporetto è gestita molto meglio dagli sloveni che non dagli italiani. Dalla nostra parte hai poche e misere cose, cartelli che stanno cadendo a pezzi, invece in Slovenia, quel punto della valle trasuda un amore per il territorio e per la storia. Caporetto per gli sloveni è patrimonio e business, mentre da noi non se ne interessa nessuno. Sull’autostrada tra Gorizia e Monfalcone passa il fornte dove sono morti centinaia di uomini e non c’è nemmeno un cartello che lo dica. Vergognoso. Su quel tratto dell’Isonzo, il politico Zdravko Likar ha creato un’aurea leggendaria intorno alla valle, attirando un sacco di visitatori. Il museo di Caporetto creato da lui è uno dei più belli sulla Grande guerra ed è un atto di fede per l'Europa. Lì un italiano che pure ha perso in quell’offensiva sente raccontare le storie dei suoi soldati con più emozione che non in Italia».

Qual è l’immagine più forte che le resta di questo suo viaggio tra presente e passato?

«L’eternità dell’Isonzo. Questo fiume, fra i più belli e limpidi d’Europa, continua a scorrere, materno e tranquillo, con l’indifferenza dei millenni di fronte alle tragedie umane».







Chi lo ha detto che gli asini sono tonti


21.10.17

cosa è rimasto di : Caporetto , della rivoluzione d'ottobre ( 1917-20017 ) e dei 50 anni della morte di Ernesto chè Guevara ( 1967-2017 )


  • mia  dolce  rivluzionaria  - Modena City Ramblers 
  • destra-sonistra  -   Giorgio Gaber 
  • Stagioni (Tributo a Ernesto ''Che'' Guevara) e  Canzone per il Che -  Francesco Guccini


come promesso precedentemente ecco da figlio della della guerra fredda , in particolare le ultime frasi cioè 1985-1989\1991 ed la sua fine \ crollo [? ] dallle ideologie classiche ( fascismo e comunismo ) del XX secolo ma che ancora caratterizzano questo attuale nalla ricerca di una nuova definizione [ I II ] Cercherò di rispondere ad una delle classiche domande da





e di riportare il mio punto di vista su tre eventi storico \ culturali di cui quest'annoi si celebra o si è celebrato 50 anni per il primo ( la morte di Ernesto Che Guevara ) ., la battaglia di caporetto e la rivoluzione d'ottobre ( il secondo ed il terzo ) .
Da quale incomincisamo ? mumble... mumble .... dagli Ultimi due .



                                                                Caporetto 

La battaglia di Caporetto, o dodicesima battaglia dell'Isonzo (in tedesco Schlacht von Karfreit, o zwölfte Isonzoschlacht), venne combattuta durante la prima guerra mondiale tra il Regio Esercito italiano e le forze austro-ungariche e tedesche.
Lo scontro, che cominciò alle ore 2:00 del 24 ottobre 1917, rappresenta la più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano[7], tanto che, non solo nella lingua italiana, ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa.    continua    alla  voce   Wikipediana :  la  battaglia  di  Caporetto 
Un  esempio  di  maccelleria  e  disorganizzazione   come  fa  notare  questo  interessante articolo di https://www.bergamonews.it di cui     riporto  l'incipt  



Uno degli episodi della prima guerra mondiale sul fronte italo-austriaco su cui si sono spese più pagine è certamente la sconfitta di Caporetto: eppure, nonostante l’enorme massa di materiali, testimonianze e riflessioni sulla grande battaglia dell’ottobre 1917, permane, tra la gente comune e, talvolta, perfino tra gli esperti di storia militare, una certa confusione circa gli avvenimenti che portarono, in pochi giorni, al quasi collasso di un esercito che, pure, aveva combattuto valorosamente per più di due anni, senza cedere un passo e, anzi, conquistando terreno all’avversario.
Com’è possibile, dunque, che la 2a armata del generale Capello, una grande unità che, soltanto qualche settimana prima, era stata sul punto di infliggere una sconfitta strategica al Leone dell’Isonzo, Boroevič, si sia sfaldata in brevissimo tempo, sotto i colpi di un attacco che non solo non era imprevisto, ma di cui si conoscevano perfino giorno ed ora?A questa domanda, nel corso dei decenni, sono state date numerose risposte, talvolta assai diverse tra loro, a seconda delle finalità di chi le forniva: difesa ad oltranza del proprio operato, intenti politici, semplice scaricabarile, interesse scientifico, manipolazione della storia, protezione dell’onore militare e così via. In molte di queste risposte, ovviamente, risiedeva, in varie percentuali, una parte di verità, tuttavia, questa massa di informazioni e di valutazioni, sovente contrastanti, ha contribuito ad avvolgere Caporetto con una nebbia addirittura più densa di quella che protesse l’avanzata delle truppe d’assalto austro-tedesche, la mattina del 24 ottobre 1917.Forse, questo dipese dal fatto che noi Italiani abbiamo un talento particolare nel dire male di noi stessi, oppure dai moltissimi interessi che stavano dietro ad una vulgata dura a morire: fatto sta che una sconfitta del tutto spiegabile, comprensibile e, in qualche misura, giustificabile, si trasformò, nella narrazione storica, in una catastrofe senza precedenti, rapidamente riscattata da un miracolo altrettanto straordinario, quello del Piave   (  ....  ) 
Infatti  ancora  non  si  è  riuscito a   ricordare   senza  polemizzare   e tentare di sminuire   come dimostrano  le discussiioni    create  da   mio post  provocatorio


 secondo me tali tesi di Federico Gozzi su caporetto , vedi articolo sotto , [   https://goo.gl/1QoDtH tesi sono revisioniste al limite del negazionismo . tesi sche vengono smerntite da testimonianze dai reduci e sopravvisuti di ambole parti in guerra . secondo voi ?


La Grande Guerra assume un ruolo fondamentale nella Storia d'Italia, poiché essa fu la prima vera difficoltà affrontata dall'intera Nazione dopo l'unificazione, contribuendo a saldare la neonata e fragile identità nazionale. Infatti l'ammassamento di uomini…
DIFESAONLINE.IT

sui  i seguenti   gruppi  dui  facebook
1)   grande guerra  1915-1918     qui  la  discussione 
2) La Grande Guerra 1915 - 1918 qui  la discussuione 

Infatti   disfatta   o  sconfitta      che  sia   concordo   con  il  commento  lasciatomi  qui  sul  gruppo facebookiano   Storia moderna e contemporanea, spunti e riflessioni



Ernesto Nieri Non condivido. Le carte, le fonti più accreditate e la storiografia più attenta dimostrano che si trattò di una colossale disfatta,provocata dalla criminale incapacità del generalissimo Cadorna. Miracolosa fu poi invece la successiva resistenza che portò alla Vittoria con Armando Diaz al comando.

e  su ,  che accolgo  con il tentativo  ,  accolto con favore  , di  Paolo  Rumiz 

Per noi fu ed è ancora oggi "la" disfatta. Ma cosa fu quella battaglia per i tedeschi? Cento anni dopo siamo tornati nei luoghi dell'offensiva condotta da Rommel, la futura "Volpe del deserto" nazista. Ecco il racconto, giorno per giorno, dal suo punto di vista.





                          Rivoluzione d'ottobre

La rivoluzione russa del 1917 in particolare " la fase " bolscevica cioè quella d'ottobre è quello che ne seguì : lo scontro tra le fazioni Menscevichi e bolscevichi con la relativa presa del potere fino al 1989/91 ( secondo alcuni 1985  i processi di riforma legati alla perestrojka e alla glasnost', di   Michail Sergeevič Gorbačëv, spesso traslitterato anche come Mikhail Gorbachev o Gorbaciov  ) ha caratterizzato ed ancora caratterizza il dibattito tra storici e non solo . 
Risultati immagini per rivoluzione d'ottobre

Infatti


Da circa 60 anni si è affermato un curioso modo di fare storia per anniversari: si parla di un determinato argomento nell’anno un cui cade il ventennale, trentennale, cinquantenario o secolo da un certo avvenimento (meno osservate sono le altre decine: quarantesimo, sessantesimo, settantesimo, ottantesimo e novantesimo) ed allora gli editori sfornano in quantità titoli su fenomeno o il personaggio celebrato, gli autori di predispongono da due o tre anni prima alla scadenza, giornali e tv propongono speciali eccetera. Dopo di che, di quell’argomento non si parla più sino al successivo anniversario.
Questa è la regola generale. Poi ci sono le eccezioni: gli anniversari che passano sotto silenzio o in tono minore; questo talvolta dipende da una qualche distrazione o dalla scarsa notorietà del personaggio di cui cade l’anniversario. Ad esempio, in nessuna scadenza si è dedicata attenzione (e lo stesso sarà nel centenario che cade nel 2025) alla ricorrenza della morte di Alexander Helfand (detto Parvus), personaggio storico tutt’altro che marginale, ma conosciuto solo dagli specialisti. Ma ci sono anche altre ragioni che possono indurre al sottotono di una determinata ricorrenza, sono gli “anniversari imbarazzanti” che sono quelli che interessano di più, perché l’imbarazzo dipende dal fatto che essi sono “disturbanti” il che dice che la sua eredità è ancora attuale. Sono i personaggi e gli avvenimenti che “non disturbano” quelli che ricevono la maggior attenzione, perché parlando di qualcosa che è definitivamente assimilato dal presente, omologato e risolto senza strascichi.
E’ accaduto con il centocinquantesimo dell’Unità Nazionale che è stato celebrato decisamente in tono minore: pochi libri (e pochissime opere di valore come il Cavour di Viarengo), un diluvio di noiosissime e vuote celebrazioni istituzionali, un po’ di speciali dei giornali (ma senza esagerare), distratte trasmissioni televisive, ma non un solo vero dibattito storiografico capace di fare un bilancio di 150 anni di vita unitaria.
A dire del livello della discussione sul perché l’unità sia stata un bene, ricordo una frase per la quale “Il Regno di Sardegna o quello delle Due Sicilie non avrebbero vinto il campionato mondiale del calcio”.
Ma come “maneggiare” un argomento così ingombrante mentre la retorica europeista e globalizzante celebra (o auspica) la fine dello stato nazionale ? Si può esaltare l’unità nazionale, a rischio di rafforzare il senso di appartenenza nazionale mentre si celebra la “cittadinanza europea” che quelle identità nazionali vuol sostituire? Molto meglio affogare tutto nelle trombonate del grande oratore di turno e nelle curiosità storiografiche e nel colore (il sito della Presidenza del Consiglio sul tema fu una importante vetrina della gastronomia nazionale).Questo sta accadendo, almeno sinora, anche per il centenario della rivoluzione russa: pochi libri, almeno sinora, e prevalentemente ripubblicazioni di testi di mezzo secolo fa, come le memorie di Victor Serge, qualche serie di articoli giornalistici (forse solo Repubblica), rare trasmissioni televisive e, soprattutto, nessun vero dibattito storiografico. Dopo la “volgare vulgata” dei vari Conquest, Courtois, Whert ecc., sono comparse opere un po’ più meditate, meno faziose, ma i tentativi di trovare un punto di equilibrio fra riconoscimento e condanna non superano, nella maggior parte dei casi, la riproposizione di vecchi argomenti precedenti la caduta dell’Urss, o semplici constatazione di buon senso che restano ancora decisamente al di sotto della portata del tema che richiede una visione di insieme e di lungo periodo capace di indagare in pieghe sin qui poco osservate, tanto più che abbiamo a disposizione una massa documentaria importante.
Questo accade non tanto perché manchino, a livello mondiale, storici della capacità metodologica o delle conoscenze necessarie, ma perché questo problema storiografico si interseca fatalmente con il dibattito politico attuale, creando non pochi nodi assai ardui da districare. La schiera degli storico comunisti, o comunque, simpatizzanti dell’ottobre russo, si è grandemente assottigliata ed è ormai uno sparuto gruppo residuale, più impegnato nello sforzo di difendere tutto, o quasi, di quella esperienza che di tentare una interpretazione nuova di essa. (... continua su http://www.aldogiannuli.it/rivoluzione-ottobre/

Ecco quindi che ecco dunque che : [....] Tutti noi ce la prendiamo con la storia \ ma io dico che la colpa é nostra \ é evidente che la gente é poco seria \ quando parla di sinistra o destra. [ .... Destra \
sinistra - Giorgio Gaber ] . Per gente intendo sia l'opinione pubblica non acculturata e gli pseudo storici giornalisti ( ovviamente senza generalizzare perchè ci sono anche quelli serio semi seri come lo speciale di ezio Mauro qui gli articoli e qui i video sullo speciale 1917-2017 ) come esempio l'articolo de “Il Sole-24 Ore”, quotidiano della Confindustria, lo “celebra” pubblicando un articolo - dall’ambizioso titolo “La verità sulla Rivoluzione d’ottobre” che, in poche righe, riesce ad accumulare  (     cosa     di tutt'altra pasta, uno dei  più interessanti  , almeno per  il momenti  ,   fin'ìorta letti  di   come la  destra  specialmente    quell  neofascista  ,  veda  la rivoluzione d'ottobre  se pur    in ambito neofascista  e  d'estrema  destra    è quest'articolo di  https://www.ilprimatonazionale.it )  talmente tanti falsi storici da poter essere inserito nel Guiness dei primati. Articolo smentito da questo sito di parte e magari un po’ rétro ma meritevole di essere letto fino alla fine li analizza e li svela, uno per uno
Cosa ha significato e cosa significa oggi dunque ? , fun Fu una Grande Rivoluzione o un colpo di Stato criminale ? mi rifaccio e prendo spunto da questo articolo de ilfattoquotidiano del 16 settembre 2017 di Giulietto Chiesa





[..... ]  <<   Il fatto che la Rivoluzione d’Ottobre sia stato un enorme evento della storia mondiale mi sembra di una evidenza palmare. Essa ha impresso un segno decisivo sulla storia del XX secolo, influenzando tutti i successivi sviluppi della storia del mondo. E un tale influsso continua a segnare la storia del mondo, fino ai giorni nostri. Io credo che la Russia di oggi non sarebbe esistita, e la sua forza e influenza mondiale non esisterebbe, con le sue attuali caratteristiche, se la Russia non avesse prodotto la Rivoluzione d’Ottobre. Ciò, nonostante il fatto che nel 1991 l’Unione Sovietica sia stata cancellata e in Russia sia tornato il capitalismo.Prendere in esame l’intero periodo sovietico come un mostruoso errore, o addirittura come un evento delittuoso >>   e   soprattutto  unire in unico  giudizio    due  eventi  collaterali   (  la  rivoluzione  socialista  ,  succcessivament  diventata   bolscevica   - comunista    con la relativa  guerra  civile  e la presa  del potere dei comunisti  ,  e  e  la  dittatura   durante     con tutte  e  due  i rovescui della medagia  fiuno al 1991  ) << significa ignorare la partecipazione di larghe masse del popolo russo a quella vicenda. Che fu, certo, contrassegnata da grandi violenze e lutti, ma che fu, al contempo un punto di riferimento e di speranza per tutti i popoli oppressi del mondo. Non si può giudicare l’esperienza sovietica né sulla base delle idee dell’intelligencija russa, né sulla propaganda antisovietica e russofobica che accompagnarono e contrastarono tutta quella esperienza, durante la guerra civile e durante l’intera Guerra Fredda. La storia della Rivoluzione Sovietica e della sua fine deve ancora essere scritta. Quella che conosciamo è la storia dei vincitori che, com’è noto, non è mai vera. [....]  Lei vede qualche analogia tra l’attuale situazione della Russia (2017) e quella di allora (1917) ?


 Forse qualche lontana analogia è possibile tracciarla. Nel 1917 appariva sulla scena del mondo una forza nuova. L’Occidente comprese che sarebbe diventata pericolosa per il suo dominio, fino ad allora incontrastato. E attivamente la contrastò, senza successo. Aveva inuito giustamente. Il «contagio» dell’Ottobre produsse la rivoluzione cinese. E oggi vediamo che un altro gigante si contrappone all’Impero d’Occidente. Oggi la Russia è risorta come potenza politica e militare (non economica). E rappresenta un ostacolo insormontabile ai piani di dominio dell’Impero. Questa è l’unica analogia che vedo. Penso che l’Occidente non sia in grado di capire e di accettare l’esistenza
Infatti concordo , di solito lontano anni luce dal mio modo di pensare , con quanto dice MassimoCacciarti sull'espresso online del 16\10\2017 
   
Rivoluzione e Riforma: due parole oggi scomparse che potrebbero tornare
Un secolo da quando i bolscevichi prendevano il Palazzo degli Zar. E 500 anni da Lutero. Due forme per creare un ordine nuovo, per far svoltare la Storia. Che oggi, nel grande caos globale, sembrano in esilio. Ma nessuno può affermare che la loro assenza ne significhi la morte definitiva
Che cosa unisce e che cosa separa questi due termini fatali del destino dell’Occidente, Riforma e Rivoluzione, il cui significato letterale sembrerebbe, peraltro, quasi coincidere? Ri-volgendo il divenire, passando quasi a contropelo la storia, dovremmo poter riattingere a una forma, a un Ordine, forse dimenticati, forse traditi, forse mal compresi o custodenti in sé valori ancora inascoltati, capaci di rinnovare la nostra vita, di ri-fondarla su principi finalmente stabili e giusti.
È sempre dal fondo dell’angoscia che suscitano le epoche di irreversibile crisi, che questa voce si leva. Grande Riforma e Rivoluzione parlano perciò sempre un linguaggio profetico, in cui la critica più radicale per lo stato e le potenze del presente si collega a un’estrema tensione per la fondazione di un ordine nuovo. La differenza cade sul modo in cui tale ordine è inteso e può essere raggiunto. In quella Riforma, di cui ricorre l’anniversario, è il timbro religioso-teologico a dominare (paradossale, si noti tra parentesi, che oggi il termine si usi per indicare proprio quei movimenti politici, i vari “riformismi”, che meno con quel timbro hanno a che fare - paradossale e rivelatore della perdita di ogni spirito profetico e utopico nel linguaggio politico dell’Occidente). 
quindi     secondo me  bisogna     ripartire  da quanto dice  Cacciari  e     riadattare    l'utopia  oggi   in quanto : << [....]  l'utopia è rimasta la gente è cambiata,\la risposta ora è più complicata! [ ...]  >> ( mia  dolce  rivoluzionaria -   Modena  city Ramblers  )



                                 Ernesto che  Guevara

Su tale  fatto  , cioè i  50 anni della sia  morte  , eviterò  uno  spiegone     come  i due  fatti  precedenti  , perchè   si  èà già detto  tutto  e il  contrario di tutto    durante le celebrazioni in pompa magna rispetto ai due eventi prima citate . Quindio passerò a rispondere , almeno a provorcarci , in quanto sono di una generazione ( sono degli anni 70 più ptrecisamente del 1976 ) successiva alla suia morte , cosa è riomasto di Lui ? Un  eroe romantico e repressore. Uomo d’azione e intellettuale. Persona schiva diventata icona globale. Mito e realtà di un emblema del Novecento  questo   è queloche  ho  scorto  nei  suoi scritti  ,   quelli politici ,  ma  soprattutto   quello "non  politico \   ideologico  "  (  e dal film da esso  tratto  i diari  della motocicoletta  ) Notas de viaje, conosciuto anche come Latinoamericana .  Ma  soprattuto    nei link  che  leggevo    e trovo  in rete   per  aiutare  un mia  amica   ( https://www.facebook.com/betty.pinna ) che  ha  fatto   una  tesi di laurea  su chde  guevara  ,  le  canzoni di  Guccini sopra  citaste    e  il  disco    terra e libertà   dei  Mcr   in  particolare   questa  



  1. tesi confermata :  dal racconto del suo maggiore biografo
  2. da questa presentazione




 di Giulio Girardi (1926-2012) è stato un presbitero, teologo, filosofo e docente universitario italiano.In questo video, Giulio presenta un suo libro "Che Guevara visto da un cristiano" presso la Comunità di San Benedetto al Porto di Genova (8 ottobre 2005).

 con questo  è tutto


16.10.17

donne che lottano e s'indignano veramente e donne che si lamewntano per quiestione di lana caprina



la prima storia è   avvenuta    a  Frosinone,  dove  l'arbitra sara sospende  a partita   per  insulti  sessisti 

Frosinone, insulti sessisti all'arbitra Sara. E lei sospende la partita
Sara Mainella, della sezione romana arbitri “Generoso Dattilo”, contestata durante il match Arpino-Itri   
                           di CLEMENTE PISTILLI



Il sessismo è arrivato a inquinare anche i campi di calcio. Ieri ad Arpino, piccolo Comune in provincia di Frosinone, una giovane che stava arbitrando una partita tra la squadra locale e la pontina Itri Calcio, è stata costretta a interrompere la gara a due minuti dalla fine. Sara Mainella, della sezione romana arbitri “Generoso Dattilo”, sarebbe stata pesantemente contestata con insulti a sfondo sessista.
La ragazza, oltre agli insulti, avrebbe subito un tentativo di aggressione da parte dei giocatori ospiti dopo aver decretato un’espulsione. La partita disputata ieri ad Arpino è stata una di quelle del campionato regionale di Promozione. Mainella è arbitro effettivo da oltre 6 anni. Un’esperienza che deve aver più volte portato la ragazza a confrontarsi con realtà dure, che per una donna lo sono anche di più. Ieri, però, quegli attacchi sembra siano andati oltre. Durante il match sarebbe stata oggetto di particolari insulti, esplosi nel momento in cui, quando le squadre si trovavano in una situazione di parità a due minuti al fischio finale, Mainella ha espulso un difensore dell’Itri.
Un altro giocatore della squadra ospite le si sarebbe avvicinato con fare minaccioso e, estratto un secondo cartellino rosso, la ragazza avrebbe avuto la percezione che rischiava di essere
 aggredita anche fisicamente. “Una brutta pagina di sport”, hanno commentato dall’Arpino. “Non vi era alcun problema e ancora non capiamo il perché l’arbitro sia letteralmente fuggita”, dicono tifosi dell’Itri. Mainella ha sospeso la gara e mandato tutti negli spogliatoi, dove si sono recati i carabinieri per assicurare che la situazione non degenerasse. Quanto accaduto diventerà oggetto di accertamenti da parte della giustizia sportiva.



la  seconda  è un mio post  fb   dove  critico   ed  esprimi   dubbio su l'intervento    di  Gianpiera Mancusi, Maria Chiara Gerardi, Antonella Petrullo, Liliana Cornetta e Ilenia Mancinelli, 
Da sinistra: Gianpiera, Maria Chiara, Antonella, Liliana e Ilenia



che scrivono dalla Lucania.lamentandosi  per  App  creata    per segnalare il percorso più sicuro per le donne.    per  un app su  la interessante ( nella maggior parte dei casi )    rubrica  invececoncita.blogautore.repubblica.it del  14\10\2017  



Care amiche femministe e non a volte non vi capisco proprio : << (...)  La risposta della società a questo problema, è molte volte, fatta di iniziative “bizzarre” che non mirano alla radice del problema ma incitano all’inasprimento delle differenze e girano per l’Italia per diffondere il verbo ( per esempio, l’autobus della libertà di genere). Nella nostra Lucania, è da poco nata una App per segnalare il percorso più sicuro per le donne. In quanto donne, in quanto lucane, troviamo che questa App sia molto offensiva".>>  Ora  << "Il problema nella violenza di genere, nella parità di genere, non sono le donne. Non siamo noi a doverci adeguare al mondo degli uomini. Non siamo noi a dover cambiare percorso, abitudini, modo di vestirci. Se accettassimo, invieremmo un pericoloso messaggio di vittoria a coloro che tentano con la violenza verbale e fisica di cambiarci. E no: noi, non vogliamo cambiare" >> . 
E' vero sarà un provvedimento banale che non mira alla radici del problema del femminicidio ma anzichè ringranziare perchè vi  si aiuta e si fa qualcosa che va incontro alle    richieste  della maggiorn parte    delle donne ed  ragazze   ed è un aiuto alle loro dsiderio di sicurezza di prendere un autobus , una strada , ecc la notte , Vi  si sente offese e vi  chiudete  : << non siano noi a doverci adeguare al mondo degli uomini >> . Vero   , ma  allora anche noi dovremo dire altrettanto e rifiutarci di adeguarci al mondo delle  di voi   donne . L'l'adeguamento dev'essere reciproco   sia   noi l vostro  sdia   voi al  nostro  e     trovare  un punto  d'incontro  .
concludo dando ragione al comento  di  

mafreni
Da donna anziana, da sempre libera e indipendente, che non ha mai vissuto la propria femminilità come un limite dico: <

15.10.17

La “Bela Rosin”: la Sposa Morganatica del 1° Re d’Italia che non divenne mai Regina

 ed  io  che credevo  che   la  canzone   la  La bella Gigogin  fosse solo   un canto patriottico italiano del XIX secolo ovvero del   nostro risorgimento   invece     leggendo     questo articolo    di  Giovanna Potenza su   http://www.vanillamagazine.it/ del  Ott 15, 2017  che  trovate  sotto     ho scoperto   alcuni retroscena   . Retroscena  che  già conoscevo  , ma    non del tutto  

La “Bela Rosin”: la Sposa Morganatica del 1° Re d’Italia che non divenne mai Regina

Rosa Vercellana – colei che era destinata a diventare la moglie morganatica del primo re d’Italia – inizialmente parve solo una delle tante bellezze del popolo che Vittorio Emanuele II era solito incontrare, magari al rientro da una battuta di caccia, nel corso di una sosta nei borghi del natio Piemonte. In occasioni del genere, al futuro sovrano piaceva mescolarsi alla gente e distribuire sigari e complimenti alle giovinette del luogo, vestite a festa con l’abito elegante riservato alla messa domenicale.
La “bela Rosin”, come verrà poi chiamata dai piemontesi, aveva solo 14 anni quando, nel 1847, attirò l’attenzione del principe ereditario del Regno di Sardegna, e la sua rigogliosa, precoce bellezza mediterranea, dai bei tratti regolari e dalla folta, superba capigliatura bruna, non passava di certo inosservata nelle zone vicine al castello di Racconigi dove si era trasferita al seguito del padre, che dirigeva il presidio militare della tenuta di caccia sabauda.




Ritratto della Bela Rosin:

Le  circostanze dell’incontro con Vittorio Emanuele risultano controverse, ciò che è certo però è che Rosa conquistò subito il cuore del Savoia, cui diede una figlia, Vittoria, l’anno seguente.
Nel Regno di Sardegna, l’intrattenere rapporti sessuali con ragazze di età inferiore ai 16 anni era un reato sanzionato con durezza; inoltre l’erede al trono, che aveva 27 anni al momento dell’incontro con la Rosin, era già sposato con l’austriaca Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena ed era padre di quattro figli.
Rosa Vercellana in una fotografia d’epoca, fonte Wikipedia:

Ciononostante l’unione dei due, basata evidentemente su di un sentimento autentico, durò tutta la vita, sfidando le differenze di rango sociale, le ostilità della corte e la frequenza delle avventure sentimentali allacciate da Vittorio Emanuele, avventure occasionali coronate da un numero davvero impressionante di figli illegittimi.
Ciononostante l’unione dei due, basata evidentemente su di un sentimento autentico, durò tutta la vita, sfidando le differenze di rango sociale, le ostilità della corte e la frequenza delle avventure sentimentali allacciate da Vittorio Emanuele, avventure occasionali coronate da un numero davvero impressionante di figli illegittimi.




Con i suoi modi schietti e con la sua rustica bellezza, infatti, la giovane era probabilmente molto più affine di quanto potesse a prima vista apparire alla sensibilità del sovrano, cresciuto in un ambiente affettivamente distaccato, le cui maniere spicce ed i modi bruschi e militareschi, uniti alla galanteria, avevano guadagnato da sempre le simpatie popolari.
Se i rampolli delle antiche famiglie imperiali dilapidavano infatti intere fortune nelle stazioni termali di mezza Europa con avventuriere che comparivano puntualmente nelle cronache scandalistiche della seconda metà dell’Ottocento, Vittorio Emanuele mantenne invece sempre un improbabile felice equilibrio tra la sua famiglia ufficiale e quella ufficiosa con la Vercellana, per i cui figli risultò sempre un padre affettuoso, presente e premuroso.
Il precario equilibrio parve venir meno in due occasioni: la prima fu quando la famiglia di lei sollecitò il sovrano ad assegnarle una liquidazione, affinchè potesse rifarsi una vita sposando un militare di carriera. La risposta non si fece attendere ed il malcapitato potenziale pretendente fu spedito in Sardegna, mentre la bela Rosin fu sistemata in fretta e furia a Torino, in modo che Vittorio 
 il letto a baldacchino di Villa Petraia, fonte Wikipedia:
Emanuele potesse farle visita non appena gli impegni glielo consentissero.
La seconda occasione si presentò quando la consorte morì, nel 1855, ed il sovrano si ritrovò a rivestire il ruolo di partito matrimoniale appetibile a molte dinastie europee.
Vittorio Emanuele era infatti ormai a capo di un piccolo stato, che tuttavia stava acquisendo un sempre maggiore prestigio internazionale a seguito del vittorioso coinvolgimento del Piemonte nella guerra di Crimea voluta dal Cavour.
Malgrado gli allettanti vantaggi di un’alleanza dinastica, il sabaudo si mostrò tuttavia sempre insensibile ad ogni proposta di contrarre nuove nozze, resistendo anche alle insistenze dei suoi consiglieri.
Nel 1858 il sovrano, nominò Rosina contessa di Mirafiori e di Fontanafredda, titolo che ella trasmise ai figli Vittoria ed Emanuele Alberto.
Nel 1863 la Rosin si trasferì in quella che fu sempre la residenza preferita dalla coppia, ovvero negli Appartamenti Reali di Borgo Castello, nell’attuale Parco regionale La Mandria, in cui Vittorio Emanuele, che aveva sempre preferito la caccia ed il rigore della vita militare alla vita di corte, trascorreva lunghi periodi in compagnia della Vercellana che era, peraltro, un’ottima cuoca, che sapeva prendere il compagno “per la gola” preparando gustosi manicaretti innaffiati dai corposi e nobili vini locali.
Solo qualche anno dopo, nel 1864, la Rosin seguì il re a Firenze, stabilendosi nella villa La Petraia. Nel 1869 il re si ammalò e, temendo di morire, la sposò con un matrimonio morganatico, ovvero con un’unione legale in cui né la sposa, né i figli nati dal matrimonio possono avanzare alcuna pretesa sui titoli e sulle proprietà del consorte. Il rito religioso si tenne il 18 ottobre di quell’anno, seguito anche dal rito civile, celebrato successivamente.

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La camera da letto di Villa Petraia:

Vittorio Emanuele spirò a 58 anni, nel 1878.


 
 La bela Rosina non divenne pertanto mai regina d’Italia
Nella seconda metà del XIX secolo, i Savoia erano diventati infatti l’unica dinastia ad imporsi nella penisola, attirandosi àsti ed inimicizie sia dagli ambienti romani – Vittorio Emanuele II aveva ricevuto la scomunica da Pio IX per la presa di Roma – sia da quelli aristocratici e repubblicani, pertanto un matrimonio “irregolare”, come quello con la Vercellana, avrebbe prestato il fianco ad acerrime critiche.
La contessa di Mirafiori, al secolo la bela Rosin, dovette quindi accontentarsi di trascorrere gli ultimi, pochi anni di vita in maniera defilata, a Pisa, dove morì nel 1885. Quegli anni d’altronde furono considerati da lei solo come un’inutile attesa della morte, dopo la perdita del proprio compagno di vita.
I Savoia vietarono che la Rosin fosse seppellita nel Pantheon, non essendo mai stata proclamata regina; per questo motivo, provocatoriamente, i figli fecero edificare a Torino Mirafiori Sud una copia del Pantheon in scala ridotta, quello che poi divenne famoso come il “Mausoleo della Bela Rosin”, che fu profanato nel 1943 da malviventi in cerca di preziosi.


Sotto, il “Mausoleo della Bela Rosin”, fonte immagine: Wikipedia



 il “Mausoleo della Bela Rosin”, fonte immagine: Wikipedia


Le spoglie della bela Rosin, mancata regina, ma certamente più cara e vicina al popolo di una vera sovrana, furono successivamente traslate nel 1972 nel Cimitero monumentale di Torino.
La sua popolarità tra la gente è testimoniata dalla canzone risorgimentale, forse a lei dedicata, dal titolo “La bella Gigogin”.




LA BELLA GIGOGIN musica di Paolo Giorza su versi anonimi dal concerto GARIBALDI L'EROE DEI DUE MONDI, 5 luglio 2008 Castello Cavour Santena, Coro Michele Novaro, direttore Maurizio Benedetti, pianista Carlo Matti, testi Giuseppe Vettori, attore Mario Brusa.