Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
31.8.09
finalmente una buona news per il caso di Sara Viviani
dal gruppo di facebook AIUTATE SARA VIVIANI.
"IN QUESTO MOMENTO ANNA VIVIANI MI HA COMUNICATO CHE LA REGIONE LAZIO HA SBLOCCATO LA SITUAZIONE DI SUA SORELLA SARA CHE ORA ANDRÀ NELLA COMUNITA’ CONVENZIONATA GLADHIL . GRAZIE A TUTTI!"
Messaggio per tutti
attenzione MESSAGGIO IMPORTANTE Gli operatori delle ambulanze hanno segnalato che molto sovente, in occasione di incidenti stradali, i feriti hanno con loro un telefono portatile. Tuttavia, in occasione di interventi, non si sa chi contattare tra la lista interminabile dei numeri della rubrica. Gli operatori delle ambulanze hanno lanciato l'idea che ciascuno metta, nella lista dei suoi contatti, la persona da contattare in caso d'urgenza sotto uno pseudonimo predefinito. Lo pseudonimo internazionale conosciuto è ICE (=In Case of Emergency). E' sotto questo nome che bisognerebbe segnare il numero della persona da contattare utilizzabile dagli operatori delle ambulanze, dalla polizia, dai pompieri o dai primi soccorritori. In caso vi fossero più persone da contattare si può utilizzare ICE1, ICE2, ICE3, etc. Facile da fare, non costa niente e può essere molto utile. Se pensate che sia una buona idea, fate circolare il messaggio di modo che questo comportamento rientri nei comportamenti abituali, anche pubblicandolo sul vostro blog
Non si può sempre combattere in solitudine
Francesco Caruso, il 28 agosto scorso, ha diramato un comunicato stampa in cui c'informa che un gruppo di sette donne, "tutte docenti precarie con oltre 10 anni di insegnamento alle spalle, sono salite sul tetto del provveditorato agli studi di Benevento per iniziare un'occupazione ad oltranza per protesta contro i tagli della riforma Gelmini.'Contro il più grande licenziamento di massa. 20000 in Italia, 500 a Benevento. Vogliamo un futuro': così recita lo striscione calato dal tetto dell'edificio". Come gli operai dell'Innse, hanno deciso di resistere a oltranza fin quando non otterranno risposta (per contatti: 334 6976405 - Daniela Basile, una delle insegnanti del CIP sul tetto). E a proposito: anche gli operai della "Ercole Marelli", storica industria di Sesto San Giovanni, stanno resistendo coi denti contro i licenziamenti, e in fabbrica bivaccano anche la notte. Lo ignoravate? Non fatevene un cruccio. Non è tutta colpa vostra. Inutile attendersi simili notizie dai tg di Minzolini, o di Raidue, o di Retequattro e Studio Aperto (!), e potremmo continuare ad libitum. Nel regno dell'Egolatra non c'è spazio per queste vicende. Il prossimo bavaglio a Raitre, l'unica rete non allineata, metterà una pietra tombale sulla libera informazione in Italia. Rimane il web, certo: e per questo abbiamo scritto "non è tutta colpa vostra". Nel senso: un po' lo è. Perché gl'italiani sono pigri. Non approfondiscono. Il 75% dei nostri connazionali attinge informazione dalla tv - e l'Egolatra lo sa perfettamente. Invece dovrebbero darsi una mossa, leggere di più (almeno prima di tornare al rogo dei libri), cercare altrove, ecco. Prima che sia troppo tardi anche per noi (i tentativi di silenziare i blogger si sono moltiplicati con frequenza vertiginosa). Scrivo finché posso, tutto ciò che posso: perché, pur sommersi, siamo molti, e perché, a questi fratelli e sorelle, glielo devo: e non li abbandonerò. Non ci avrete.
"Da tutte le situazioni, l'uomo ha sempre saputo trovare una via d'uscita" (Silo)
30.8.09
Non si può sempre combattere in solitudine
Francesco Caruso, il 28 agosto scorso, ha diramato un comunicato stampa in cui c'informa che un gruppo di sette donne, "tutte docenti precarie con oltre 10 anni di insegnamento alle spalle, sono salite sul tetto del provveditorato agli studi di Benevento per iniziare un'occupazione ad oltranza per protesta contro i tagli della riforma Gelmini.'Contro il più grande licenziamento di massa. 20000 in Italia, 500 a Benevento. Vogliamo un futuro': così recita lo striscione calato dal tetto dell'edificio". Come gli operai dell'Innse, hanno deciso di resistere a oltranza fin quando non otterranno risposta (per contatti: 334 6976405 - Daniela Basile, una delle insegnanti del CIP sul tetto). E a proposito: anche gli operai della "Ercole Marelli", storica industria di Sesto San Giovanni, stanno resistendo coi denti contro i licenziamenti, e in fabbrica bivaccano anche la notte. Lo ignoravate? Non fatevene un cruccio. Non è tutta colpa vostra. Inutile attendersi simili notizie dai tg di Minzolini, o di Raidue, o di Retequattro e Studio Aperto (!), e potremmo continuare ad libitum. Nel regno dell'Egolatra non c'è spazio per queste vicende. Il prossimo bavaglio a Raitre, l'unica rete non allineata, metterà una pietra tombale sulla libera informazione in Italia. Rimane il web, certo: e per questo abbiamo scritto "non è tutta colpa vostra". Nel senso: un po' lo è. Perché gl'italiani sono pigri. Non approfondiscono. Il 75% dei nostri connazionali attinge informazione dalla tv - e l'Egolatra lo sa perfettamente. Invece dovrebbero darsi una mossa, leggere di più (almeno prima di tornare al rogo dei libri), cercare altrove, ecco. Prima che sia troppo tardi anche per noi (i tentativi di silenziare i blogger si sono moltiplicati con frequenza vertiginosa). Scrivo finché posso, tutto ciò che posso: perché, pur sommersi, siamo molti, e perché, a questi fratelli e sorelle, glielo devo: e non li abbandonerò. Non ci avrete.
"Da tutte le situazioni, l'uomo ha sempre saputo trovare una via d'uscita" (Silo)
Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale
Come volevosi dimostrare quando non sanno come attacccare usano l'infamia e la denigrazione
Chi ha dato a Feltri la falsa "nota informativa"?
Su Boffo una velina
che non viene dal Tribunale
di GIUSEPPE D'AVANZO
LA "nota informativa", agitata dal Giornale di Silvio Berlusconi per avviare un rito di degradazione del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, non è nel fascicolo giudiziario del tribunale di Terni. Non c'è e non c'è mai stata. Come, in quel processo, non c'è alcun riferimento - né esplicito né implicito - alla presunta "omosessualità" di Dino Boffo. L'informazione potrebbe diventare ufficiale già domani, quando il procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella, rientrerà in ufficio e verificherà direttamente gli atti.
Bisogna ricordare che il Giornale, deciso a infliggere un castigo al giornalista che ha dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per lo stile di vita di Silvio Berlusconi, titola il 28 agosto a tutta pagina: "Il supermoralista condannato per molestie/ Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell'accesa campagna stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Il lungo articolo, a pagina 3, dà conto di "una nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del tribunale di Terni il 9 agosto del 2004". La "nota" è l'esclusivo perno delle "rivelazioni" del quotidiano del capo del governo. L'"informativa" subito appare tanto bizzarra da essere farlocca. Nessuna ordinanza del giudice per le indagini preliminari è mai "accompagnata" da una "nota informativa". E soprattutto nessuna informativa di polizia giudiziaria ricorda il fatto su cui si indaga come di un evento del passato già concluso in Tribunale.
È lo stralcio chiave dell'articolo punitivo. È falso che quella "nota" accompagni l'ordinanza del giudice, come riferisce il Giornale. L'"informativa" riepiloga l'esito del procedimento. Non è stata scritta, quindi, durante le indagini preliminari, ma dopo che tutto l'affare era già stato risolto con il pagamento dell'ammenda. Dunque, non è un atto del fascicolo giudiziario. Per mero scrupolo, lo accerterà anche il procuratore di Terni Cardella che avrà modo di verificare, con i crismi dell'ufficialità, che la nota informativa non è agli atti e che in nessun documento del processo si fa riferimento alla presunta "omosessualità" di Boffo. La "nota informativa", pubblicata dal Giornale del presidente del Consiglio, è dunque soltanto una "velina" che qualcuno manda a qualche altro per informarlo di che cosa è accaduto a Terni, anni addietro, in un "caso" che ha visto coinvolto il direttore dell'Avvenire.
L'evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni"? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?
Risolte le domande preliminari, bisogna ora affrontare il secondo aspetto della questione: chi è quel qualcuno che redige la "velina"? Per quale motivo o sollecitazione? Chi ne è il destinatario?
C'è un secondo stralcio della cronaca del Giornale che aiuta a orientarsi. Scrive il quotidiano del capo del governo: "Nell'informativa si legge ancora che (...) delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo "sono a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori"". C'è qui come un'impronta. Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte "debolezze" di un indagato. Che c'azzecca? E infatti è una "bufala" che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. E' una "velina" e dietro la "velina" ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l'alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un'autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l'allarme dell'opinione pubblica, l'intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell'intelligence.
Quel che abbiamo sotto gli occhi è il quadro peggiore che Repubblica ha immaginato da mesi. Con la nona delle dieci domande, chiedevamo (e chiediamo) a Silvio Berlusconi: "Lei ha parlato di un "progetto eversivo" che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?".
Se si guarda e si comprende quel che capita al direttore dell'Avvenire, è proprio quel che accade: il potere che ci governa raccoglie dalla burocrazia della sicurezza dossier velenosi che possano alimentare campagne di denigrazione degli avversari politici. Stiamo al "caso Boffo". La scena è questa. C'è un giornalista che, rispettando le ragioni del suo mestiere, dà conto - con prudenza e misura - del disagio che nelle parrocchie, nei ceti più popolari del cattolicesimo italiano, provoca la vita disordinata del capo del governo, il suo modello culturale, il suo esempio di vita. È un grave smacco per il presidente del Consiglio che vede compromessa credibilità e affidabilità in un mondo che pretende elettoralmente, indiscutibilmente suo. È un inciampo che può deteriorare anche i buoni rapporti con la Santa Sede o addirittura pregiudicare il sostegno del Vaticano al suo governo. Lo sappiamo, con la fine dell'estate Berlusconi decide di cambiare passo: dal muto imbarazzo all'aggressione brutale di chi dissente. Chiede o fa chiedere (o spontaneamente gli vengono offerte da burocrati genuflessi e ambiziosissimi) "notizie riservate" che, manipolate con perizia, arrangiate e distorte per l'occasione, possono distruggere la reputazione dei non-conformi e intimidire di riflesso i poteri - in questo caso, la gerarchia della Chiesa - con cui Berlusconi deve fare i conti. Quelle notizie vengono poi passate - magari nella forma della "lettera anonima" redatta da collaboratori dei servizi - ai giornali direttamente o indirettamente controllati dal capo del governo. In redazione se ne trucca la cornice, l'attendibilità, la provenienza. Quei dossier taroccati diventano così l'arma di una bastonatura brutale che deve eliminare gli scomodi, spaventare chi dissente, "educare" i perplessi. A chi altro toccherà dopo Dino Boffo? Quanti sono i dossier che il potere che ci governa ha ordinato di raccogliere? E contro chi? E, concluso il lavoro sporco con i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, a chi altro toccherà nel mondo della politica, dell'impresa, della cultura, della società?
Come il pesce nell'acquario
Ti ho vista caricare i miei giocattoli sulle spalle, per non farmi render conto che il gioco può finire nella noia.
Le tue mani hanno spesso coperto i miei occhi affinché non mi accorgessi del buio intorno alla luna.
Ricordo che hai strappato le ore al tempo, pur di vedere i miei occhi aprirsi.
In tutto questo io ero fermo.
Mentre tu costruivi la nave, io ero a cercarmi.
E tu continuavi, instancabile, la tua opera.
Ero a cercare i pezzi di mollica lasciati da Hansel e Gretel; tu, nel frattempo, a montare le stelle nel cielo.
I pesci nell’acquario pensano che il cibo cada magicamente dal cielo.
L’ho vista spazzata via da un tuo semplice sguardo. Via.
Ho visto la mia baracca, quella costruita pensando ad altro.
Mi serviva solo per non affogare. L’avevo costruita durante un terremoto.
L’ammasso di lamiere pesanti e travi di legno, prese accanto ad un bidone, sono volate via lasciando solo l’ombra. Ma qui c’è tanta luce, scomparirà presto anche l’ombra.
Hai costruito un aeroplano sul quale sei salita insieme a me.
Io: tanto inutile in questa faccenda, non mi sono tirato neanche le maniche sù.
Non mi sono accorto che lo facevi per me.
Mi maledico per non averti aiutato.
Per essere rimasto lì a guardare stupito i tuoi occhi, senza muovermi.
E dopo tutta la fatica che hai fatto, invece di maledire il mio nome.
Invece di maledirmi, ti avvicini alla mia faccia, sorridendo.
E io non posso fare altro che ritornare a guardare stupito i tuoi occhi. Sorridendo.
29.8.09
Berlusconi prima lancia il sasso e poi se ne vergogna
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”. poesia
Ora Mi trovo nella stessa situazione riportata qui sotto
Ieri durante una pausa studio , sentendo i titoli del tg3 l'unico tg della r( ex Rai ) o ora Raimediaset , ancora libero ( ma credo ancora per poco se non ci si sveglia e non ci si oppone , cosa a cui non credo èpiù probabile uin inciucio o in colpo di mano ) , poi per riprendere a studiare , visto l'imminenza delll'esame , spengo la tv .
Il giorno dopo cerco in internet questa news e prendo avendo il tempo centellinato dal primo sito che trovo .
Infatti leggo su http://www.queerblog.it
<<
La teoria secondo la quale uno più è rigido più ha magagne da nascondere trova una conferma: Dino Boffo, cinquantasettenne direttore di Avvenire – che è il giornale dei vescovi italiani – è stato rinviato a giudizio per molestie sessuali.[1]
La denuncia è di una donna. Ma Boffo non molestava lei, bensì suo marito. Stando a quanto riporta Il Giornale – che cita ampli stralci di una informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio di Boffo –: << “Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relaz chi sà perchè non in penaleione. Rinviato a giudizio il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un’ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela” >>[1]
Della cosa sarebbero stati a conoscenza il cardinal Camillo Ruini, il cardinale di Milano – Dionigi Tettamanzi –, e mons. Giuseppe Betori, già segretario generale della CEI e ora vescovo di Firenze (e futuro cardinale). (.....)
>>
Ora posso capire ma non accettare , che Berlusconi come d'altronde tutti coloro che detengono il potere --- non esistono poteri buoni diceva il poeta * --- che faccia di tutto -- denuncia a El pais che ora sta cercando di comprarsi ( mi riviene in mente questo verso : << (...) Oggi Contessa ha cambiato sistema\si muove fra i conti cifrati\ha lobby potenti ed amici importanti e la sua arma più forte è comprarti\la sua arma più forte è comprarti! (...) >> di mia dolce rivouzionaria dei Mcr qui il resto del testo ) come riporta l'unità , denuncia di risarcimento ( chi sà perchè non in penale ma solo civile ) di repubblica , sistemazione nei tg rai di uommini di sua fiducia o forse ricattabili , e di usare come i suoi giornali . Ma qui si predica bene e si razzola male perchè si lamenta del gossip ( a mio avviso in esistente ) per le sue vicende e poi fa lui la stessa cosa scavando nel torbido e gettando m... ehm fango verso gli oppositori o critici
A me, poco interessato alle vere o presunte che siano pulsioni di Boffo, fmi interessa di più invece e mi fa paura il fatto che la controffensiva autunnale del capo del governo sia tutta rivolta - a mazzate! - contro i giornali che lo criticano, e l’attacco all’Avvenire avviene nello stesso giorno della querela da un milione di euro a Repubblica che ha osato porgli dieci domande sgradite . Ma a parte questo, quello che mi ha fatto più venire i brividi è scoprire che nell’Italia contemporanea, nelle informative dei poliziotti per i giudici, si possa definire un cittadino “noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni”.
Inffatti oltre ad indignarmi mi fa un po’ rabbrividire e mi da fastidio la frase citata nela riga precedente impregnata di cultura omofoba se non adirittura carica di omofobia o al limite d'essa . E poi, senza nulla togliere alla vicenda (anzi, con qualche sorrisino sotto i baffi mentre immagino gli imbarazzi per le sacre stanze), è quanto meno singolare se non vergognoso , che ciò avvenga nello stesso giorno in cui Berlusconi querela Repubblica .
La cosa rivoltante è << che si voglia utilizzare la vicenda di Boffo per riabilitare il Berlusconi, Boffo sarà anche un gay un molestatore quel che volete, ma rispetto a posizione che ricopre questi fatti diventano sempre e comunque in un’ottica più privata e semmai legata tra lui, l’Avvenire e la Cei, che non i fatti di Berlusconi che è Presidente del consiglio e purtroppo per noi rappresenta l’Italia e fa anche le leggi. I danni che comunque può fare Boffo con la sua ipocrisia sono incommensurabilmente minore rispetto a quelli che può fare un presidente del consiglio, che prima si straccia le vesti per importi per legge i piagnucolii della CEI e poi nel tempo libero va a puttane >> come dice un mio amico , o organizza festini a luce rossa
Ora se Vittorio feltri dichiara : << ( ... ) Nessun killeraggio ma solo la trascrizione di «un documento del casellario giudiziario, cioè pubblico», replica il direttore de “Il Giornale”. «Abbiamo semplicemente ricordato che Boffo ha dovuto rispondere in tribunale di una vicenda che si è conclusa con un patteggiamento (.... ) >> Mi chiedo e li chiedo se mai leggera' il mio post : 1) come mai se è un documento pubblico non viene citata o non riporta neppure scanerizzato nè il n di protocollo della sentenza nè tantomeno la data e il nome della procura riguardante l'avvenimento in questione ? cosa che non risulta nè dalla prima pagina
nè dalla terza pagina dell'edizoione del giornale in questione
note e aprrofondimenti
*
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=377663&START=0&2col=
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=377663&START=1&2col=
* Fabrizio de Andre in " Nella mia ora di libertà"
film e letteratura
- V per vendetta film ( http://it.wikipedia.org/wiki/V_per_Vendetta) e fumetto ( http://it.wikipedia.org/wiki/V_for_Vendetta )
- http://it.wikipedia.org/wiki/Fahrenheit_451_(romanzo)
- sostiene Pereira di tabucchi romanzo ( http://it.wikipedia.org/wiki/Sostiene_Pereira ) e film ( http://italian.imdb.com/title/tt0115479/ )
film
- it.wikipedia.org/wiki/Quarto_potere
- la triologia di matrix in particolare il primo e il secondo
- http://it.wikipedia.org/wiki/Quinto_potere
...la donna santa !
La trappola
E' comunque bene ricordare che la legge anti-omofobia non è mai andata in porto a causa della contrarietà del Vaticano, del Pdl e dei (cospicui) settori clericali dell'"opposizione" facenti capo all'illibata Binetti. Buttiglione, poi, non sarebbe nemmeno il caso di citarlo: secondo lui, una legge di tal fatta ci riporterebbe niente meno che "al Medioevo, perché si priviligerebbe una classe sociale" (!). Ma sappiamo bene che, fosse per il nostro filosofo ciellino, i sodomiti meriterebbero il rogo. Qualcuno, a quanto sembra, ci sta comunque pensando seriamente.
Mi tocca, adesso, affrontare un argomento che avrei evitato, tanta è la ripugnanza che mi suscita. Purtroppo, vi sono costretta.
Ci hanno risparmiato la pagliacciata blasfema della Perdonanza, con B. che ovviamente se ne impipa di penitenza e comunione, ma teneva molto ad apparire accanto al cardinale potente e benevolente (cfr. l'analisi di Vito Mancuso). Non è accaduto, ma è una magra consolazione perché ad abominio s'è aggiunto un abominio peggiore. Mi riferisco al killeraggio giornalistico di Feltri ai danni del direttore di "Avvenire", Dino Boffo. Ricorro proprio al termine di quest'ultimo, perché di killeraggio si tratta. A scanso di equivoci: della sessualità di Boffo, etero o omo che sia, non me ne importa - in senso letterale - proprio niente. Io non considero una persona migliore, o più buona, o più intelligente, solo perché gay. Esistono gay buoni e gay cattivi, gay geniali e gay assolutamente stupidi, artisti e portalettere, ecc. ecc.
Nel caso del Boffo, un'eventuale omosessualità costituirebbe semmai un'aggravante, poiché non solo non ha fatto nulla, nella sua attività giornalistica, per liberare i gay dai pregiudizi, ma li ha anzi alimentati diffamandoli, chiamandoli pervertiti, malati, miscredenti ecc. Mai uno sguardo non dico cristiano, ma umano su di loro. E qui casca l'asino: Feltri è un uomo che confonde artatamente il senso morale (di cui lui, peraltro, è del tutto privo) col moralismo. Della "condanna" di Boffo [risalente, secondo lo stesso "Giornale", al 2004, ma subito bollata come un'"emerita patacca"] era certo a conoscenza da diverso tempo, ma non ne ha mai fatto cenno, per non turbare gl'idilliaci rapporti tra il suo padrone e le gerarchie ecclesiastiche. Poi, a un certo punto, qualcosa s'è rotto. Poco, in verità (non s'illuda la sinistra): malgrado le recenti scaramucce, Vaticano e Pdl cercheranno in tutti i modi di salvare il loro "patto d'acciaio". Ma anche quel "poco", ormai, al piccolo Cesare non va più bene. Altro che "Repubblica", ormai non sopporterebbe più nemmeno se il maggiordomo Ghedini osservasse che ha la cravatta storta. Ed ecco il suo arciere, l'indomito Feltri, parte lancia in resta, smarronando anche un po', risultando, alla fine, più realista del re: al punto che gli ha rovinato il desiderato incontro rappacificatore. A B. devono essere girate un bel po' le balle: ma, ormai, la frittata era fatta: Perdonanza archiviata.
Berlusconi si auto-assolve sghignazzando: "Non sono un santo...". Il machismo va sempre di pari passo con l'omofobia.
Non posso pertanto condividere l'entusiasmo di Franco Grillini e la sua miope lode al "Bravo Vittorio". Egli scrive che Boffo ha "passato il proprio tempo a sparare a zero sugli omosessuali, sulle donne che abortiscono, su chi si rivolge ai centri per l'inseminazione assistita, sui divorziati, e chi più ne ha più ne metta". Tutto vero, ma forse Grillini dimentica che è esattamente quanto ha fatto Feltri, prima da "Libero" poi dal "Giornale", fino a poche ore fa: plausi al Vaticano (e a Boffo), e attacchi inverecondi agli omosessuali, una volta Marcello D'Orta (lo stesso di Io speriamo... o si tratta d'un omonimo?) se la prese addirittura con Renato Zero (e col Renato del 2006, mica dei tardi '70). Non è che adesso siano diventati improvvisamente pro-gay. Semplicemente, scrivono a suocera perché nuora intenda. Ciò che preme davvero a Feltri non è certo smascherare l'ipocrisia, bensì, ancora una volta, difendere il Capo. Dimostrando che "semo tutti ladri", che "il più pulito c'ha la rogna", Feltri vuol instillare negli italiani, più di quanto non esista già, che i valori sono chiacchiere, che il bene non esiste, o meglio, che la verità in quanto tale è liquida (Z. Baumann), e, in ultima analisi, niente è vero perché tutto è vero. E' quello che nel Vangelo si definisce "peccato contro lo Spirito santo", l'unico, non a caso, irremissibile per sua natura. Come nell'epilogo del Grande Fratello (il libro, non il reality): se lo ricordate, l'ispettore della polizia segreta tormenta il protagonista con una domanda banalissima, quanto dà uno più uno. Il disgraziato imbastisce alcune risposte sperando di compiacere il suo aguzzino: fa due? no? fa tre? nemmeno?... Al termine, esausto, capitola: "Non lo so". E a quel punto l'ispettore è contento. "Non lo so": cioè, non so più dove stia il bene né il male, è tutto così confuso, e solo allora la mente è manipolabile dall'imbonitore di turno. Se non si capisce questo, l'attacco finale alla democrazia è già vinto senza che ce ne accorgiamo. Proprio come accade al protagonista del Grande Fratello.
Italia multietnica ecco la risposta a bossi
A 70 anni di distanza dalle leggi razziali, una risposta vera dal mondo della Scienza sulla questione razzismo e antirazzismo. Un gruppo di scienziati italiani - tra cui Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la Medicina- scrive un Manifesto in 10 punti per spiegare quanto false siano tutte le teorie razziste fatte fin ora.)
e
della lega , di Forza nuova e affini non escono dal passato l'italia s'evolve e questa storia presa dall'unita online del 28\9\2009 di Massimo Franchi
La nazionale "multietnica" di cricket
Sabato scorso sul campo di Pianoro, vicino Bologna, ognuno portava una storia che partiva da molto lontano. Famiglie di tutto il mondo che hanno messo radici nel nostro paese, dove, nonostante tutto e tutti, si trovano bene. E non vogliono andersene, alla faccia di Bossi. E proprio al capo lumbard la vittoria è stata dedicata. A farlo è stato il presidente della Federazione italiana cricket Simone Gambino. "La dedichiamo a chi non vorrebbe che questi ragazzi fossero italiani e che invece hanno dimostrato come gli immigrati sono una ricchezza per il nostro Paese". Loro, i ragazzi, Bossi per fortuna non lo conoscono (ancora). Solo qualche genitore gliene ha parlato: naturalmente male. “Mio padre dice che non ci rispetta come noi rispettiamo gli italiani e che non si ricorda che una volta gli italiani erano come noi, emigranti”, racconta Charith, figlio di genitori dello Sri Lanka in Italia da 20 anni. “Io sono nato qua, e la penso allo stesso modo: siamo italiani anche se lui non lo pensa e abbiamo gli stessi suoi diritti”, continua battagliero. Harpreet, indiano sikh arrivato a Mondovì da 4 anni, Bossi non lo conosce, ma concorda con la dedica del suo presidente. “Ha ragione a dedicare la nostra vittoria a uno che non ci vuole perché io sto in Italia e voglio bene all’Italia come all’India. Ci deve accettare come italiani”. Aamir invece è arrivato a Bologna a 6 anni dall’India e a differenza del suo co-nativo è musulmano. “Noi siamo immigrati, è vero. Ma a scuola nessuno mi considera diverso, il razzismo non lo mai sentito e quindi sono italiano come tutti i miei compagni, anche se molti di noi vengono da paesi lontani”.
Il capitano è Adnan, pakistano arrivato a Milano a 6 anni, Bossi non lo conosce, così come non sa che fra lui e i suoi amici indiani non è sempre andato tutto alla perfezione. “Fra di noi parliamo italiano e non conosciamo quello che succedeva prima fra i nostri paesi. Magari i nostri i genitori, ma mi sa che ormai qua in Italia se lo sono dimenticati”.
Per diventare italiani a tutti gli effetti la legge sulla cittadinanza più restrittiva d’Europa impone loro di aspettare il compimento dei 18 anni. “Aspetteremo”, rispondo in coro, ben informati sulla questione. Anche perché quasi tutti hanno fratelli minori: il ricongiungimento familiare quasi sempre porta altri figli in dono e dunque altri italiani a tutti gli effetti. Il più “sfortunato” è Aamir che ha due fratelli più piccoli bolognesi, ma non se la prende: “Sono io che li ho insegnato l’italiano”. Il più “fortunato” è invece Charith, nato a Roma e da sempre a Torrevecchia. “Mio padre fa l’autista e ho un fratello più piccolo. So che per me è stato un piccolo vantaggio essere nato qua, ma con gli altri non è mai parlato. Hanno 15 anni e fra poco saranno italiani anche loro”.
Diventare italiani comporta anche rinunce dolorose, soprattutto per i loro genitori. Harpreet, per esempio, da buon sikh dovrebbe portare il turbante. “Quando l’ho tolto e ho tagliato i capelli qualche anno fa mia madre era disperata. Non mi voleva più parlare. Poi mio padre l’ha convinta: anche lui l’ha dovuto togliere perché lavora in una stalla e con tutti quei capelli faceva fatica con gli animali”. Tutti i musulmani invece rispettano il ramadam, il mese sacro di purificazione e digiuno diurno. “Le tradizioni vanno rispettate, questo mi ha insegnato mio padre e io non ho problema a farlo perché so cosa significa per loro e per la nostra religione”, spiega Aamir. In famiglia quasi tutti però soprattutto con i genitori parlano la lingua di origine. Le madri in quasi tutti i casi stanno a casa e sono quelli che parlano meno l’italiano. Adnan, capitano della Nazionale, pakistano milanese, però spiega che le cose stanno cambiando.
“Oramai anche lei certe parole le usa solo in italiano, insomma finiamo per parlare una lingua mista italiano-pakistano”. Con gli amici invece l’italiano è di rigore. “Anche con i miei amici pakistani e ormai molti di loro usano il dialetto milanese. Io lo capisco, ma ancora non lo parlo: ha dei suoni un po’difficili”. L'unico "italiano-italiano" della squadra è Edoardo Scano. Pure lui è però un piccolo “immigrato” visto che ha dovuto “emigrare” dalla Sardegna a Roma a causa del lavoro del padre. Lui il cricket l'ha conosciuto per via coloniale. Arrivato a Roma è finito in classe con due inglesi (uno è James, compagno di squadra) che lo hanno convinto a provare questo strano gioco. Da lì a finire in Nazionale il passo è stato breve e per lui essere l’unico italiano al 100 per cento non è stato un peso. “Anzi. Mi sono trovato benissimo. Li considero italiani come me e anche se qualcuno non sapeva le parole dell’inno hanno dato tutto per il nostro paese”. L’unico vantaggio era quello di poter prendere in giro i compagni che sbagliavano qualche parola. “Alamin, milanese che viene dal Bangladesh aveva una grossa vescica sul piede e il dottore l’ha visitato. Quando è tornato mi ha detto: “Me l’hanno punzata”, con l’accento milanese. Per quella parola inventata l’ho sfottuto per tutto il torneo, ma lui non se l’è presa e ci siamo fatti delle grandi risate”.
A tenere uniti tutti questi ragazzi è l'amore per uno sport che negli ultimi anni ha subito cambiamenti fortissimi, tanto quanto la nostra società. Se da noi, terra di emigranti, la presenza dei famigerati "extracomunitari" si è allargata dai primi anni novanta diventando "un problema" sempre più grande, così lo sport a squadre più elitario e coloniale del globo si è trasformato in uno strumento di riscatto sociale per le popolazioni immigrate in paesi che con il cricket non avevano niente a che fare. Mazze e pallina in mano fin da piccoli, giocando quasi sempre per strada con i wickets da abbattere e le corse avanti indietro per segnare più punti. Il cricket si contende con il calcio il primato mondiale di praticanti con dati ballerini da uno studio all’altro. “Il cricket è davvero uno sport globale e difatti molti non si spiegano il perché il calcio abbia attecchito in tutto il mondo tranne sul sub continente indiano e Asia del Sud. E’ lo sport che impersonifica l’immigrazione est-ovest meglio di tutti perché chi emigra dall’India continua a giocare dovunque si sposti - spiega il presidente Gambino -. Per noi questo successo è importantissimo: se a livello seniores abbiamo fatto un grande salto grazie agli oriundi, la vittoria di questi ragazzi completamente italiani è un grande vanto. Stiamo lanciando una scuola basandola sull’immigrazione di secondo livello e il boom dei praticanti lo conferma con tanti italiani da generazioni che si avvicinano al nostro sport”.
La diffusione sul territorio è un po’ a macchia di leopardo. Buona al nord, in Emilia e in Lazio, scarsa al sud. In Piemonte c’è poco e per giocare Harpreet deve fare più di 150 km per spostarsi da Mondovì a Varese. Nella profonda Padania ci sono i fortissimi Kingsgrove, un ex babele di lingue ed etnie. Ma anche per trovare questa squadra Harpreet si è dovuto impegnare. “Quando ero in India e giocavo ogni giorno per strada con i miei amici, non credevo che in Italia ci fosse il cricket. L’ho scoperto leggendo i risultati del campionato sulla “Gazzetta dello Sport”. Allora quando sono arrivato ho cercato su internet la squadra più vicina e l’ho trovata a Varese. Quando ho detto a mio padre quanto era distante non ci voleva credere, ma poi l’amore per il cricket ha avuto la meglio e ogni settimana mi accompagna avanti indietro senza problemi”.
Il loro presente da immigrati è questo. E il loro futuro da italiani come lo sognano? "Mi piacerebbe fare il giocatore di cricket professionista - risponde Harpreet - ma sono che sarà difficile". Più pragmatico Aamir: "Sto facendo la scuola professionale, fare il meccanico mi è sempre piaciuto. Poi potrò sempre a giocare a cricket".
28.8.09
27.8.09
Sottomettere la ragione all'esperienza
Dal sito del Meeting di Rimini:
Giampaolo Pansa accende il Meeting e il Meeting accende Giampaolo Pansa. L’ex giornalista dell’Espresso alle 15 in punto sale sul palco della sala A1 come chi si sente a casa. Alza le braccia e con le dita a V saluta il pubblico che ha occupato ogni posto del padiglione. L’incontro, introdotto dal portavoce di Comunione e Liberazione, Alberto Savorana, è intitolato “Sottomettere la ragione all’esperienza”. Savorana, ricordando la visita di Pansa alla passata edizione del Meeting, esordisce chiedendo all’ospite qual è stato il percorso intrapreso durante quest’anno.
Il giornalista piemontese, partendo dal suo ultimo lavoro Il revisionista, ripercorre la sua vita fin dall’infanzia, dalle storie e dagli insegnamenti di sua nonna Caterina: una donna presto vedova e costretta a crescere da sola ben sei figli. “Il mio revisionismo - afferma Pansa – comincia da lì, dalla mia famiglia larga e povera, dai genitori mai andati in vacanza”. L’autore di libri come Il sangue dei vinti e I gendarmi della memoria ricorda “la guerra, i bombardamenti e la paura che si prova a nove anni”. “Eravamo poveri – prosegue – ma da noi abbondavano le discussioni, a cui eravamo ammessi anche noi piccoli”. Pansa parla del lungo percorso che lo ha portato a scrivere i suoi romanzi, quasi senza accorgersi di ciò che gli stava accadendo. “Lo capii – spiega – solo quando in redazione arrivarono più di duemila lettere dopo la pubblicazione del Il Sangue dei vinti. Erano i messaggi di persone che raccontavano storie analoghe a quelle già raccontate da me. Cos’era accaduto? La Provvidenza aveva scelto un microbo per abbattere un muro di paura imposto dai vincitori dopo il 25 aprile”.
Numerose sono le punzecchiature del giornalista al Pd. “È vero che la memoria storica dev’essere sempre viva, ma purché questa sia vera. Il modo in cui la Resistenza ci viene raccontata – spiega Pansa – ha un difetto. Non ci viene detto che la parte maggiore di coloro che l’hanno combattuta, i comunisti, non voleva la libertà, ma solo sostituire la dittatura nera con quella rossa”. “La crisi della sinistra italiana – afferma – è culturale, perché non ha avuto il coraggio di raccontare la verità su se stessa. Ecco perché mi sento più in sintonia col popolo del Meeting che col popolo di cui ho fatto parte per lungo tempo”.
Ritornando al tema dell’incontro, Pansa afferma che “nella vita bisogna essere curiosi. La conoscenza diventa avvenimento solo se non si vive passivamente. Bisogna essere umili”. Ed il Pansa narratore manifesta la sua umanità quando confessa le sue “preghiere serali” e la sua “domanda sulla morte”. Poi si rivolge alla platea e dice: “Oggi ero stanco, avevo mal di schiena, ma venire al Meeting è una esperienza fortissima. Il vero miracolo – conclude – sono i vostri occhi limpidi che mi guardano e hanno fiducia in quello che hanno davanti”.
(M.P.)
Rimini, 26 agosto 2009
Senza titolo 1631
Abominio
Gianni Guido, terzo responsabile del massacro del Circeo, scarcerato lo scorso anno, è adesso definitivamente in libertà. Proprio nel periodo in cui la violenza contro le donne, diseguali per eccellenza, raggiunge il suo acme. Valga per lui quanto scrissi per il "cervello" della sua banda di assassini, Angelo Izzo. Adesso si assocerà a Svastichella, l'aguzzino dei due gay (il quale scommette sulla sua prossima liberazione, "tanto son matto", ha ridacchiato spavaldamente mentre gli agenti lo portavano via)? Alla fine, condividono gli stessi ideali "politici"!
Abominio
Gianni Guido, terzo responsabile del massacro del Circeo, scarcerato lo scorso anno, è adesso definitivamente in libertà. Proprio nel periodo in cui la violenza contro le donne, diseguali per eccellenza, raggiunge il suo acme. Valga per lui quanto scrissi per il "cervello" della sua banda di assassini, Angelo Izzo. Adesso si assocerà a Svastichella, l'aguzzino dei due gay (il quale scommette sulla sua prossima liberazione, "tanto son matto", ha ridacchiato spavaldamente mentre gli agenti lo portavano via)? Alla fine, condividono gli stessi ideali "politici"!
26.8.09
Non siamo tutti uguali
Lustra è la nostra memoria, appianata, morta, forse mai vissuta. Enzo è diventato, suo malgrado, un segno e una coscienza.
Il corpo di lui, uomo così fisico, ancora non c'è. Enzo è associato a un passato che ci sormonta, alla dabbenaggine dei nostri governanti di allora, che sono gli stessi di adesso, alle ingiurie urticanti della stampa viscida e servile, alla foschia delle sabbie, ad altri Drogo persi, nel sole cisposo, manciate di minuti, secoli fa.
C'è chi non ha dimenticato, si capisce. Molti, anzi. Ma non se ne parla in giro, pertanto non esistono. "Ci manchi", "Addio balena" (era il suo soprannome). Per tutti valgano le accuse di Franco Gialdinelli, coordinatore della lista: "...mercoledì 26 agosto saranno trascorsi esattamente 1.825 giorni (comprese 14.600 ore lavorative diurne) durante i quali, mi risulta che nessun politico, nessun intellettuale noto, nessun magistrato e nessun rappresentante delle istituzioni e dello Stato, non ha mai poggiato un solo dito su una tastiera di un telefono o di un computer per denunciare che Enzo era stato trucidato anche grazie all’indifferenza e ai giochetti di scaricabarile del governo, dell’opposizione e della Chiesa". Enzo non era come tanti altri, non era uguale. Non siamo tutti uguali: lo ha ricordato ai sindacati (solo Cisl e Uil, la "sovversiva" Cgil è stata emarginata) il ministro Sacconi, di scuola socialista (craxiana) a proposito della differenziazione dei salari.
Non è mia intenzione disquisire in questa sede di economia. E' ovvio che la distribuzione di denaro varia da lavoro a lavoro. Ed è vero che sono stati commessi, in passato (e nel presente), degli abusi. Ma continuo ad arrovellarmi su quella frase, "non siamo tutti uguali", e, per quanto cerchi di limitarla e contestualizzarla, non posso che trovarla inquietante, sinistra. Disgustosa. E' buttata là, con impassibile sciatteria verbale, tale da non farci stupire se poi, come risulta, le matricole universitarie non conoscono più l'italiano. Le parole sono preziose, vanno centellinate. "Non siamo tutti uguali" sancisce una disparità di principio, genetica, irreversibile, è qualcosa legato al sangue, alle cellule. Il principio di diseguaglianza, innalzato a valore supremo dalla (in)cultura odierna, è l'esatta antitesi del diritto alla diversità su cui la democrazia si fonda e per il quale i nostri predecessori si sono battuti, e sono morti. E' in nome del principio di diseguaglianza ("non siamo tutti uguali") che sono stati condannati a una morte orribile, e nell'indifferenza generale, ottanta eritrei su indegni barconi d'immondizie. Immondizie umane. Non siamo tutti uguali. C'è qualcuno, pertanto, che ha la precedenza, che è più "umano" di altri, che va aiutato; ad altri, meno uguali, tocca necessariamente una sorte diversa. Nell'Ottocento si chiamava darwinismo sociale. E' in nome di questo darwinismo sociale riverniciato che il rappresentante d'un partito di governo può invocare impunemente l'eliminazione dei bimbi rom (o meglio, come dice lui, "dei" zingari).
E' sempre in nome del darwinismo sociale, supportato in questo caso da una massiccia dose di moralismo, che il responsabile dei gay accoltellati a Roma se ne stava a piede libero, e a casa l'hanno anche trovato, una volta che si è deciso di trascinarlo in guardina. Pare lo chiamassero "Svastichella" per note simpatie politiche e l'ammirazione nei confronti di mons. Fisichella, il quale, subito dopo l'aggressione dei due ragazzi, si sarebbe affrettato a premere sui politici affinché non approvassero una legge anti-omofobia, la quale, secondo lui, aprirebbe la strada ai matrimoni gay (!). Ho provato a immaginare la storia di Svastichella, la sua vita senza scopo, senza colori, attratta e insieme terrorizzata dai dolci dolori, dalle dune mosse, dai mille soli, dai domani alternati che la diversità dell'amore sa offrire e profondere. E che tanto sconvolgono gli animi anchilosati dei gendarmi della Diseguaglianza. Nel loro cupo universo non può esserci spazio per le scie dorate. Un coltello ha usato, non una pistola. Nessun modo migliore per deflorare un'assordante tenerezza che lo infastidiva, perché non poteva ammansirla, renderla uguale, lineare. Ed era tanto più convinto di essere nel giusto, che non aveva minimamente pensato a nascondersi. Perché? Da anni, ormai, lo sentiva ripetere, in televisione, dai pulpiti, sui giornali: non siamo tutti uguali. Da un lato noi, i buoni; dall'altro loro, i cattivi, i diseguali. Da eliminare; o, almeno, da prendere a calci in quel posto, come asseriscono altri simpatizzanti del governo in carica.
"Cosa spinge l’uomo a prevaricare un altro uomo fino a giungere alla esclusione e allo sterminio: il potere? Il sadismo? Il danaro? La sopravvivenza? - si chiede acutamente Silvio D'Amico. - Eppure se noi analizziamo i luoghi del razzismo questo attecchisce anche nei luoghi dove maggiore è la ricchezza e il benessere. Da ciò possiamo dedurre che la sopravvivenza poco ha a che fare con il razzismo e molto invece con tutto il resto. Ecco che allora di fronte a questa recrudescenza [...] si cela una battaglia etica. Riportare alla luce l’etica è il compito di chi crede che l’esclusione e il dominio non appartengano ai propri valori... L’universalità del pensiero non deve confondersi con il pensiero unico, in quanto universale essa è capace di racchiudere nell’universalità le diversità. E’ questa la ricchezza dell’Universalità. Cosa diversa è il pensiero unico da cui nasce il Totalitarismo. Se noi ci limitassimo a combattere il neorazzismo perderemmo di vista il problema dell’uomo. La fatica di accettare le diversità esita nel premio della sublimazione e colloca l’uomo e la donna nella sfera del divino. Facile è la condanna e l’esclusione, sublime è il perdono e l’accoglienza. La logica dell’esclusione genera un sentimento di paura che limita l’azione degli uomini e delle donne verso l’evoluzione sociale. La paura blocca le coscienze e innesca un meccanismo di autoconservazione generando l’istinto di sopravvivenza sorretto dalla necessità di esclusione. L’uomo è annichilito, incapace di comprendere le diversità, di accoglierle. Diventa un mero esecutore di azioni indotte da messaggi subliminali che dettano la pratica. Un meccanismo di perversione offusca le coscienze e conduce all’involuzione. Il germoglio della vita subisce il vento della violenza piegandosi fino a insabbiarsi. L’agonia della vita strazia le coscienze e innesca un meccanismo di rimozione che accantona l’evoluzione. Nella scala della vita il gradino più alto diventa insormontabile, meglio tornare indietro. Eppure dopo quel gradino iniziano le distese del mondo che dispiega tutta la bellezza del creato. L’armonia delle diversità si compongono nell’universalità dettando le note per un soave canto. La musica sublime allieta l’esistenza e apre un percorso nuovo di conoscenza. Eppure nella storia quel limite è invalicabile. Perché?". Vi lascio con questo interrogativo.
Non siamo tutti uguali
Lustra è la nostra memoria, appianata, morta, forse mai vissuta. Enzo è diventato, suo malgrado, un segno e una coscienza.Il corpo di lui, uomo così fisico, ancora non c'è. Enzo è associato a un passato che ci sormonta, alla dabbenaggine dei nostri governanti di allora, che sono gli stessi di adesso, alle ingiurie urticanti della stampa viscida e servile, alla foschia delle sabbie, ad altri Drogo persi, nel sole cisposo, manciate di minuti, secoli fa.C'è chi non ha dimenticato, si capisce. Molti, anzi. Ma non se ne parla in giro, pertanto non esistono. "Ci manchi", "Addio balena" (era il suo soprannome). Per tutti valgano le accuse di Franco Gialdinelli, coordinatore della lista: "...mercoledì 26 agosto saranno trascorsi esattamente 1.825 giorni (comprese 14.600 ore lavorative diurne) durante i quali, mi risulta che nessun politico, nessun intellettuale noto, nessun magistrato e nessun rappresentante delle istituzioni e dello Stato, non ha mai poggiato un solo dito su una tastiera di un telefono o di un computer per denunciare che Enzo era stato trucidato anche grazie all’indifferenza e ai giochetti di scaricabarile del governo, dell’opposizione e della Chiesa". Enzo non era come tanti altri, non era uguale. Non siamo tutti uguali: lo ha ricordato ai sindacati (solo Cisl e Uil, la "sovversiva" Cgil è stata emarginata) il ministro Sacconi, di scuola socialista (craxiana) a proposito della differenziazione dei salari.
Non è mia intenzione disquisire in questa sede di economia. E' ovvio che la distribuzione di denaro varia da lavoro a lavoro. Ed è vero che sono stati commessi, in passato (e nel presente), degli abusi. Ma continuo ad arrovellarmi su quella frase, "non siamo tutti uguali", e, per quanto cerchi di limitarla e contestualizzarla, non posso che trovarla inquietante, sinistra. Disgustosa. E' buttata là, con impassibile sciatteria verbale, tale da non farci stupire se poi, come risulta, le matricole universitarie non conoscono più l'italiano. Le parole sono preziose, vanno centellinate. "Non siamo tutti uguali" sancisce una disparità di principio, genetica, irreversibile, è qualcosa legato al sangue, alle cellule. Il principio di diseguaglianza, innalzato a valore supremo dalla (in)cultura odierna, è l'esatta antitesi del diritto alla diversità su cui la democrazia si fonda e per il quale i nostri predecessori si sono battuti, e sono morti. E' in nome del principio di diseguaglianza ("non siamo tutti uguali") che sono stati condannati a una morte orribile, e nell'indifferenza generale, ottanta eritrei su indegni barconi d'immondizie. Immondizie umane. Non siamo tutti uguali. C'è qualcuno, pertanto, che ha la precedenza, che è più "umano" di altri, che va aiutato; ad altri, meno uguali, tocca necessariamente una sorte diversa. Nell'Ottocento si chiamava darwinismo sociale. E' in nome di questo darwinismo sociale riverniciato che il rappresentante d'un partito di governo può invocare impunemente l'eliminazione dei bimbi rom (o meglio, come dice lui, "dei" zingari).
E' sempre in nome del darwinismo sociale, supportato in questo caso da una massiccia dose di moralismo, che il responsabile dei gay accoltellati a Roma se ne stava a piede libero, e a casa l'hanno anche trovato, una volta che si è deciso di trascinarlo in guardina. Pare lo chiamassero "Svastichella" per note simpatie politiche e l'ammirazione nei confronti di mons. Fisichella, il quale, subito dopo l'aggressione dei due ragazzi, si sarebbe affrettato a premere sui politici affinché non approvassero una legge anti-omofobia, la quale, secondo lui, aprirebbe la strada ai matrimoni gay (!). Ho provato a immaginare la storia di Svastichella, la sua vita senza scopo, senza colori, attratta e insieme terrorizzata dai dolci dolori, dalle dune mosse, dai mille soli, dai domani alternati che la diversità dell'amore sa offrire e profondere. E che tanto sconvolgono gli animi anchilosati dei gendarmi della Diseguaglianza. Nel loro cupo universo non può esserci spazio per le scie dorate. Un coltello ha usato, non una pistola. Nessun modo migliore per deflorare un'assordante tenerezza che lo infastidiva, perché non poteva ammansirla, renderla uguale, lineare. Ed era tanto più convinto di essere nel giusto, che non aveva minimamente pensato a nascondersi. Perché? Da anni, ormai, lo sentiva ripetere, in televisione, dai pulpiti, sui giornali: non siamo tutti uguali. Da un lato noi, i buoni; dall'altro loro, i cattivi, i diseguali. Da eliminare; o, almeno, da prendere a calci in quel posto, come asseriscono altri simpatizzanti del governo in carica.
"Cosa spinge l’uomo a prevaricare un altro uomo fino a giungere alla esclusione e allo sterminio: il potere? Il sadismo? Il danaro? La sopravvivenza? - si chiede acutamente Silvio D'Amico. - Eppure se noi analizziamo i luoghi del razzismo questo attecchisce anche nei luoghi dove maggiore è la ricchezza e il benessere. Da ciò possiamo dedurre che la sopravvivenza poco ha a che fare con il razzismo e molto invece con tutto il resto. Ecco che allora di fronte a questa recrudescenza [...] si cela una battaglia etica. Riportare alla luce l’etica è il compito di chi crede che l’esclusione e il dominio non appartengano ai propri valori... L’universalità del pensiero non deve confondersi con il pensiero unico, in quanto universale essa è capace di racchiudere nell’universalità le diversità. E’ questa la ricchezza dell’Universalità. Cosa diversa è il pensiero unico da cui nasce il Totalitarismo. Se noi ci limitassimo a combattere il neorazzismo perderemmo di vista il problema dell’uomo. La fatica di accettare le diversità esita nel premio della sublimazione e colloca l’uomo e la donna nella sfera del divino. Facile è la condanna e l’esclusione, sublime è il perdono e l’accoglienza. La logica dell’esclusione genera un sentimento di paura che limita l’azione degli uomini e delle donne verso l’evoluzione sociale. La paura blocca le coscienze e innesca un meccanismo di autoconservazione generando l’istinto di sopravvivenza sorretto dalla necessità di esclusione. L’uomo è annichilito, incapace di comprendere le diversità, di accoglierle. Diventa un mero esecutore di azioni indotte da messaggi subliminali che dettano la pratica. Un meccanismo di perversione offusca le coscienze e conduce all’involuzione. Il germoglio della vita subisce il vento della violenza piegandosi fino a insabbiarsi. L’agonia della vita strazia le coscienze e innesca un meccanismo di rimozione che accantona l’evoluzione. Nella scala della vita il gradino più alto diventa insormontabile, meglio tornare indietro. Eppure dopo quel gradino iniziano le distese del mondo che dispiega tutta la bellezza del creato. L’armonia delle diversità si compongono nell’universalità dettando le note per un soave canto. La musica sublime allieta l’esistenza e apre un percorso nuovo di conoscenza. Eppure nella storia quel limite è invalicabile. Perché?". Vi lascio con questo interrogativo.
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