20.11.13

anche i perdenti possono essere vincitori . profeta fuori noiosa\ limitata in patria . le storie di Giorgio albertazzi e di rita pavone



Ha scelto di festeggiare i suoi primi novant’anni nel modo che più ama: recitando su un palcoscenico. Giorgio Albertazzi – è di lui che si parla, l’unico grande “mostro” del teatro italiano che ci è rimasto, assieme ad Arnoldo Foà – ha scelto il palco della Versiliana a Marina di Pietrasanta; e ha messo in scena il recital 'Io ho quel che ho donato' omaggio a Gabriele D'Annunzio nel 150esimo anniversario dalla sua nascita. Un recital di cui è autore, regista e interprete.Scelta non casuale. “Sono nato”, racconta Albertazzi nelle note di regia, “a tre passi dalla 'Capponcina' di Settignano, la villa con i levrieri e i cavalli del Vate. Dall'altra parte della strada c'era la 'Porziuncola' di Eleonora Duse. Spiavo al di la del cancello grigio-argento della Capponcina (D'Annunzio non c'era più, la villa era stata venduta e rivenduta) se per caso arrivasse qualche segno”. Un recital che è una 'messa a nudo' del poeta, ne ripercorre la biografia e la poetica, molto più ricca e profonda di quanto il cliché non dica. Proprio alla Versiliana D’Annunzio soggiorna nell'estate del 1906 nella Villa all’epoca dei conti Digerini-Nuti. "Io sono nel più bel posto dell'universo" scrive in una lettera ad Emilio Treves del 5 luglio di quell'anno. "Quella frase di D'Annunzio 'Io ho quel che ho donato' – spiega Albertazzi - si adatta in modo perfetto allo spirito di ciò che vuole significare questo mio spettacolo che è anche, anzi soprattutto, un omaggio. Al Vate, certamente, ma anche al pubblico e, se me lo concedete, un poco a me stesso. Tante cose sono state dette, scritte e recitate su D'Annunzio. Io stesso sono stato inseguito dalla sua ombra fin da ragazzino".Un grande artista, Albertazzi, attore superbo, e per tutte le sue innumerevoli interpretazioni, valgano le amate “Memorie di Adriano” di Margherite Youcenar: le ha recitate in mezzo mondo, credo sia arrivato a oltre mille repliche, il primo allestimento pensate, è del 1990. Geniale e per tanti versi anomalo, ma regista sensibile e scrittore finissimo, con una vita che definire intensa è riduttivo, è un romanzo. Anni fa, stiamo parlando del 1988, per Rizzoli, ha pubblicato una autobiografia che ha voluto titolare – significativamente - “Un perdente di successo”.In quel libro c’è tutto l’Albertazzi che conosciamo, ma anche quello più intimo e sorprendente: l’istrione certamente, ma anche il grande professionista, l’incorreggibile snob, l’invidiato e invidiabile, irresistibile seduttore. Nel “perdente di successo” racconta tutto se stesso, non nasconde nulla: l’infanzia, l’adolescenza, i miti della gioventù che lo portano come molti della sua generazione a militare nella repubblica di Salò, assieme, per fare qualche nome, a Dario Fo, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Carlo Mazzantini, a uno storico direttore dell’“Espresso”, Livio Zanetti; gli studi, gli amori, la guerra, il carcere, il cinema e il teatro…
Un po’ di tutto questo lo si ritrova negli articoli pubblicati appunto in occasione dei 90 anni. Albertazzi racconta dei suoi progetti futuri, tanti e impegnativi per i prossimi novant’anni; di come, con una punta di amarezza vede il mondo peggiorare, “con l’avidità di ricchezza che produce sofferenza, e la necessità di ritrovare il sorriso, la “leggerezza”, il senso del limite, se non si vuole precipitare in un rovinoso appiattimento”. Gli hanno chiesto tante cose, e tante cose ha detto Albertazzi in questi giorni; e probabilmente dice anche cose che non sono state riportate. Impossibile, per esempio, che in tanto discorrere non gli sia uscito nulla sulla sua cinquantennale amicizia con Marco Pannella e i radicali. Perché Albertazzi in tutte le occasioni che contano, ogni volta che ce n’era bisogno, è sempre stato, generosamente e disinteressatamente, vicino ai radicali, a fianco di Pannella.E allora torniamo a quel “Perdente di successo” scritto nel 1988. Non sono tanti – anzi sono proprio pochi – i politici citati in quel libro: una fugace citazione di Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, silenzio su tutti gli altri. Però a pagina 224 e 225 un lungo, affettuoso brano dedicato a Marco Pannella e a Emma Bonino: “Solo dei matti come i radicali potevano rivolgersi a me: Emma Bonino, mirabile ragazza, Spadaccia  e Pannella. Con Pannella ho avuto sempre quella specie di complicità che c’è tra attori (o gitani) da ‘dietro le quinte’. Capace di grandi impennate giacobine e coup de théatre (digiuni, bocche bendate in TV) di grande effetto, Pannella è, nel mare magnum dei politici italiani, il solo capace di intuizioni non legate all’apparato, non di parte, cioè, ma ‘politiche’ nel senso più alto, di filosofia. Passammo una notte intera alternandoci  ai microfoni di ‘Radio Radicale’ e la sua pervicacia e la fiducia nella propria parola di convincimento  e nella bontà della lotta, erano di grande qualità umana, quasi mistiche… Pannella è comunque uno che fa in un mondo di gente che ‘dice’ di fare guardandosi bene dal farlo, e in questo senso è un rivoluzionario…”.E più di recente: “Per mia natura sono un anarchico, per essere più precisi mi sono sempre definito un anarchico di centro. Nel senso che non amo la violenza, che ha pure una sua bellezza, ma le vittime della violenza sono sempre i più deboli, quindi la rivoluzione armata non mi interessa. Mi interessano invece le battaglie per i diritti civili. Ho fatto tutte le battaglie con i radicali, dal divorzio all’aborto, le ho sostenute tutte  e ho trascorso molte notti insonni con loro. Sono anche a favore della campagna che vorrebbe Pannella senatore a vita sarebbe bello dopo tutte le battaglie civili che ha combattuto”.Sarebbe bello, sì, e le istituzioni ne guadagnerebbero. Sarebbe bello se il presidente Napolitano ne nominasse tre di senatori a vita, lo può fare, tre grandi giovani vecchi: il rabbino emerito della comunità ebraica di Roma Elio Toaff; Marco Pannella; e  lui, Giorgio Albertazzi.             

  


da la domenica di repubblica del 17\11\2013

Dopo pappe e palloni a un certo punto la Rai la ostracizzò. Lei se ne andò in America, in tv con la Fitzgerald,Eco ne descrisse la fenomenologia e i Pink Floyd quasi divennero suoi fan Ora l’ex ragazzina terribile è tornata dal suo 


esilio dorato per realizzare il disco della vita: “Per troppotempo la mia immagine è rimasta legata a un solo personaggio Ma io sono anche altroe adesso voglio il meglio” 

MILANO 
La locandina è lì, visibile a chiunque con un minimo di ricerca. È del 7 marzo 1965 ed elenca gli ospiti della puntata dell’Ed Sullivan Show, rete televisiva Cbs, alle otto di sera, mezza America in visione: «C’era Duke Ellington,subito sotto c’era Ella Fitzgerald e più sotto ancora ci sono io, ovvero Rita Pavone». Andava così, e pur ingigantendo un po’, una cosa del genere la racconti a tutti anche mezzo secolo dopo. E soprattutto chiedi rispetto per quella storia, che portò la ragazza celebrata in patria per cose tipo Pappa al Pomodoro e Partita di Pallone (guai a chi le tocca,s’intende, un sacco di
lettere P come lei, Pavone) a girare il mondo e a costruire ricordi non proprio alla portata di chiunque. «Da ragazzina a Torino le mie coetanee, ma proprio quelle più trasgressive, tolleravano al massimo Natalino Otto. Io ascoltavo Sinatra e quelli come Sinatra. Lo potevo fare grazie a un amico di mio padre che viaggiava spesso verso Oltreoceano e mi portava i dischi che facevano davvero impazzire gli americani».Nasce tutto lì, appunto a Torino, con il padre alla Fiat in quella che tecnicamente era la perfetta famiglia torinese con lavoro alla Fiat. E poi evolve in una storia pazzesca, che si divide tra i successi internazionali, versioni multilingue di ogni canzone di successo e i lacci e lacciuoli del paesone Italia, che alla ragazzina con androginia evidente regalò una popolarità assoluta, quella vera,dei tempi, con le apparizioni sull’unico  canale tv da venti milioni di spettatori a botta: ma che non le perdonò nulla.Rita Pavone è tornata in circolazione dagli esili dorati della Svizzera e di Maiorca, ha passato guai con la salute, si è ripresa e ora ha coronato un sogno definitivo, ovvero il disco della vita: «È quello che avrei voluto fare dall’inizio,se non fossi finita subito, da ragazzina,nel meccanismo del grande successo di pubblico in Italia, con la televisione, le canzoni, i tanti dischi venduti e soprattutto quell’immagine, un personaggio che non mi piace granché ricordare come unica cosa forte della mia vita, anzi».Ed ecco così un doppio cd, Masters, che sta ricevendo critiche sontuose e inattese: un pugno di standard americani ma senza piacionismi — nessun pezzo stra famoso e acchiappa pubblico ma brandelli magici di soul, swing, pop: autori come Bacharach, Hoagy Carmichael,Bobby Darin, Libby Holden.Trattasi di autentico sfizio, al punto da dire, come ha detto: «Voglio il meglio e lo voglio come una volta. A me va benissimo che oggi con il computer si possa fare tutto con la musica, ma   ci tenevo tanto a lavorare, cantare e suonare come   si faceva una volta: anche  perché se non ci riuscivo così non avrebbe avuto senso un’operazione simile». Un disco sorprendente, ma tanto, tirando fuori quella voce assurda per potenza e grinta.Ovvero, lo sfizio riuscito. Avercene.In realtà succedeva ed è successo di tutto, attorno a lei e al suo successo spaziale,al tempo: «Tutti i problemi, quelli che hanno portato alla fine dell’epoca d’oro, sono arrivati col matrimonio».Ovvero quello con Teddy Reno — lui giàsposato (e separato) — ad Ariccia alle porte di Roma, quel prete cui Rita va a chiedere speciali dispense, lui si mette a farle la predica e spiegarle il perché e il percome: «Gli risposi, con rispetto: le ho solo chiesto se si può fare. Se non si può,niente. Andrò a vivere nel peccato, ma nel peccato mi ci avete messo voi». La sposò poi un prelato, che capì le sue istanze («E dire che per una promessa fatta a mia madre io ero arrivata casta al matrimonio»). Ma al quale tolsero  subito importanti incarichi. E intanto là fuori,l’Italia gossippara che impazziva appresso alla maternità-scandalo. Un giorno, il patatrac. In tv va alla grande Alighiero Noschese con le imitazioni,Rita è un suo cavallo di battaglia (una volta la trasforma in Nilde Iotti che si lamenta con Togliatti: “Perché perché la domenica mi lasci sempre andare  al comizio del partito di Baffone?”).Ma una sera a Doppia Coppia aNoschese scappa del tutto la frizione: e la imita incinta, con feroci ironie sul bellissimo ma spiantato Teddy accalappiato dalla cantante e sul sesso del nascituro.«Era una parodia crudele. Non doveva tirare in ballo il figlio che stava per nascere: feci causa alla Rai, la vinsi. Il giorno stesso il presidente Leone firmò un’amnistia generale che cancellò anche quel reato». E insomma, niente,la storia di un clamoroso successo da noi finisce in pratica lì, con la Rai che si offende per la causa e l’ostracismo per gli anni a venire e, va ricordato sempre, l’ostracismo Rai, allora, era ostracismo da tutto. Per fortuna in America c’era Ed Sullivan…. «Mi aveva preso in simpatia,ed era curioso dell’Italia: un’altravolta al suo show c’eravamo io, Paul Anka e Topo Gigio». Prego? «Lui. Con lo stesso staff italiano e il doppiatore Mazzullo che  parlava in inglese». Ecco.Oggi possiamo arrivare però a una decisione finale. Quello della partita di pallone, il maschio, non andava alla partita, vero? «Diciamo che rimanemolto ambigua la cosa, quella che è molto chiara è lei, il senso del messaggio è quello e il richiamo brusco di lei».Fino a che è diventata simbolicamente una storica avversaria del calcio. «Ma quando mai? Mio padre mi portava alle partite, girando il mondo ho conosciuto i più grandi, una volta a Mosca c’erano Pelè e Garrincha: ho una foto con loro due». Insomma, tornando al fattaccio,il paese era cambiato, la tv era reclusa ma ci fu molto altro, gli show, le parti d’attrice anche per La strada, in una post-Gelsomina: «Avevo lavorato con Giulietta Masina: pensi che alla sera veniva Fellini a prenderla, così, tranquillo,come se fosse un qualsiasi impiegato.La Wertmüller mi diceva che io e Giulietta avevamo lo stesso sguardo». Oggi, questo esilio ben riparato in Svizzera e Spagna, è sempre per farla pesare un po’ a questo paese? «L’Italia è fantastica ma è un paese senza memoria,come sfuggire al confronto con gli altri posti? Giorni fa era l’anniversario di Edith Piaf, in Francia speciali su speciali in tv, da noi non accadrebbe». Non si può far stare dentro tutto quanto in una rievocazione: dell’ascesa, caduta — dorata anch’essa — e traversie e gli specchi del Paese che un po’ evolve e molto no. Qualche spunto, aneddotica fantastica qui e là. Umberto Eco, per dire. Che nelDiario Minimosi occupò per diverse pagine della Rita e lanciò una sentenza definitiva: «Lei è Lolita spiegata per la prima volta al popolo». Nel senso che Nabokov era  riservato una ristretta cerchia di perversi lettori di libri (perversi in quanto lettori, non per Nabokov) prima volta pubblicamente a milioni di persone l’impulso chiarissimo della sessualità giovane — se poi ci aggiungiamo la famosaandroginia di facciata la faccenda diventava pressoché esplosiva. Quelle pagine di Eco campeggiano nel sito ufficiale,ricchissimo, della cantante: «Ricordo benissimo quei giorni, ero stupefatta:uno come Eco parlava di me. Mi sarebbe andata benissimo anche se mi avesse maltrattato per tutte quelle pagine». È tornata, Rita, in grande stile allo show tv recente di Gianni Morandi. Rievocazioni  insieme, medley da mandare ai matti il pubblico sui sessanta (ovvero, la maggior parte o quasi) e i ricordi degli inizi: «Entrambi giovanissimi eravamo stati reclutati dalla Rca che ci teneva in una pensioncina di piazzale  Clodio, avevamo anche una specie di tutor». Un giorno Gianni rientra e la trova che si sbaciucchia con Bruno Filippini,bellone canterino d’epoca. Ma è vero che le urlò “Lo vado a dire alla tua mamma”? «Verissimo: aveva una cotta per me, ma io filavo con Bruno». E dire che Morandi era il versante progressista del paese — la Rita, con quella parte lì e in generale con i moralismi rigidi non si è mai trovata bene — e quanto al discorso di come lo scricciolo androgino attirasse ragazzi e uomini che potevano permettersi quello che volevano,beh, insomma, c’era appunto Eco a spiegarlo, se proprio si vuole lasciar perdere la perfidia del gossip d’epoca.Resterebbero i Pink Floyd. In realtà resterebbero tre o quattro libri da scrivere, ma quella dei Pink Floyd è deliziosa.Siamo già in epoca web. «Un giorno scopro che un sito scrive che i Pink Floyd parlavano di me in un vecchio brano, che si chiamava San Tropez: addirittura un verso che dice “prenderò un appuntamento con Rita Pavone”».In realtà il testo dice che prenderà un appuntamento al telefono (“Making a date for later by phone”) ma in rete c’è chi sostiene di aver sentito benissimo “Rita Pavone”. Balla colossale, ma lei si diverte e ci marcia su: «Ma è vero: una volta, in Costa Azzurra stavo per conoscere i Pink Floyd che erano nello stesso albergo, allora l’ho raccontato  scherzandoci un po’». Ma a quel punto il web non lo tiene più nessuno. E Rita va, la leggenda urbana le si addice fermo restando che ora, essendosi tolta la voglia di fare il disco definitivo, se ne va tranquillamente a inseguire la leggenda e basta. In caso contrario fa lo stesso, come disse quella volta al prete.

"Affiliazioni irregolari e inquinamento malavitoso". E il Grande Oriente d'Italia sospende la loggia . pulizie in vista o pausa di riflessione ?

stanchi delle logge deviate e desiderio di fare pulizia \ nuova reputazione o opportunismo o nascondere la polvere sotto il tappeto ?




da repubblica online del 17\11\2013




La Rocco Verduci bloccata in ogni attività a tempo indeterminato. La decisione senza precedenti di Gustavo Raffi, dopo l'ennesima inchiesta giudiziaria


di GIUSEPPE BALDESSARRO

REGGIO CALABRIA - "Irregolarità nelle affiliazioni, e possibile inquinamento di carattere malavitoso". Sono queste le ragioni che hanno spinto il gran maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi, a "sospendere a tempo indeterminato la loggia Rocco Verduci da ogni attività massonica". Una decisione senza precedenti dei "fratelli muratori" che per la prima volta, e in maniera ufficiale, ammettono il rischio di infiltrazioni mafiose, e in particolare della 'ndrangheta, nelle loro strutture territoriali. La notizia è stata diffusa oggi dal Quotidiano della Calabria, che spiega come il provvedimento sia arrivato all'indomani di un'ispezione dei vertici della massoneria nazionale alla loggia con sede a Gerace, nell'etroterra della Locride, e che ha il suo "tempio" per le riunioni a Siderno, città della costa.
La vicenda sarebbe legata ad una segnalazione arrivata sul tavolo di Raffi dopo l'ennesima inchiesta giudiziaria. Lo scorso inverno con l'operazione "Saggezza" erano finiti in carcere una serie di personaggi legati a doppio filo da una parte con esponenti di vertice della 'ndrangheta e dall'altra ai grembiulini della Locride. La Dda di Reggio Calabria scoprì che tra le file della criminalità organizzata c'erano anche alcuni massoni che, di fatto, rivestivano una sorta di doppio ruolo su cui convergevano una serie di interessi. Da qui l'ispezione del Grande Oriente avvenuta alcuni mesi fa e durata il tempo necessario affinché un incaricato del gran maestro incontrasse le realtà del territorio e i frequentatori del "tempio". La relazione che ne è scaturita parlava poi in maniera chiara di "irregolarità nelle affiliazioni, e possibile inquinamento addirittura di carattere malavitoso". In altri termini chi avrebbe dovuto gestire l'entrata in massoneria di nuovi soggetti non avrebbe rispettato le procedure e, cosa ancor più grave, non si sarebbe curato di verificare la possibile vicinanza ad ambienti criminali del papabile "fratello".
Quanto basta per portare Gustavo Raffi a decidere di sospendere "a tempo indeterminato la Loggia Rocco Verduci da ogni attività massonica". Una sospensione a cui in futuro, "se ritenuto opportuno", potrebbe seguire, secondo le regole della massoneria, la demolizione dell'Officina che potrebbe cessare di esistere. Per il momento c'è la sospensione, una sorta di messa in sonno collettiva, ritenuto in ogni caso un atto "forte" e che tra l'altro potrebbe non essere l'unico del genere viste le tante inchieste calabresi in cui affiorano legami tra fratelli massoni ed esponenti della criminalità, in diverse aree della regione.
Un segnale chiaro che arriva dall'interno del Goi, in cui c'è stato chi ha segnalato le anomalie e c'è anche chi, come Gustavo Raffi, è stato conseguente con una decisione mai assunta prima. Un segnale che riporta i componenti della massoneria a pretendere trasparenza e qualità nelle affiliazioni in modo da continuare a lavorare, secondo l'orientamento massonico.

Marco Pinna, il chitarrista che ha stregato gli Usa: “La mia carriera da Strehler a Chester Thompson”

da  http://www.sardiniapost.it/

Articolo pubblicato il 7 novembre 2013

Marco Pinna
«Ho cinquantotto anni, portati con disinvoltura. Infatti non ho ancora cominciato a pensare a che cosa farò da grande». Marco Pinna è di una semplicità spiazzante e complessa, butta lì frasi apparentemente astruse e contraddittorie; in realtà è l’unico modo per descrivere le sue molte vite racchiuse in una sola biografia.Chitarrista per vocazione, diventata professione grazie alla tv .«Un giorno vidi un programma con quattro ragazzi che suonavano, erano i Beatles, da quel momento ho iniziato a studiare e a esercitarmi per conto mio col chiodo fisso di imparare al meglio». L’artist,a originario di Oristano, vive da due anni negli Usa, a Nashville.Nella capitale del Tennessee, famosa per ilcountry ma ormai punto di riferimento per tutte le sperimentazioni, c’è arrivato grazie all’intuizione e alla determinazione di un manager locale:«Ha sentito alcuni miei pezzi su internet e mi ha mandato un messaggio nel quale c’era la bozza di un bel contratto pronto da firmare e la richiesta di trasferirmi negli States. Non mi sono fatto pregare, così sono salito sull’aereo con mia moglie e la mia chitarra. Attualmente ho un visto speciale che mi permette di stare qui».Non che in Europa le cose andassero male, anzi: le sue performance gli avevano già fatto guadagnare una discreta notorietà. Lasciata la Sardegna nel 1979, Marco ha espresso ben presto il suo talento, lavorando negli anni ottanta con il maestro Giorgio Strehler; nel 2007 ha realizzato al progetto “Ses Cordas” con un altro chitarrista sardo, Roberto Diana. Nel 2011 il trasloco negli Usa. «Faccio solo e soltanto la mia musica. La chitarra con le corde in nylon, il mio strumento principale, qui è una novità assoluta e gli americani apprezzano proprio quest’aspetto».
Vita da nomade della musica che traspare anche nei suoi pezzi, caleidoscopio di sonorità che lui stesso definisce «incrocio di molte culture», Marco Pinna racconta volentieri e con entusiastica dovizia di particolari la sua quotidianità a stelle e strisce. «La mia giornata inizia alle sei del mattino, dopo un caffè e qualche lettura mi esercito seguendo una tabella piuttosto lunga e impegnativa al termine della quale lavoro nel mio studio per poi dedicarmi alle pubbliche relazioni. Spesso mi esibisco anche in altre parti del Paese, viaggio moltissimo e sovente mi capita di perdere la cognizione del tempo e dei posti perché tutto avviene in maniera veloce. Qui negli Usa – chiarisce – fare il musicista equivale ad avere un’azienda che ha bisogno per andare avanti di più figure: manager, avvocato, commercialista e agenzia di booking. Insomma, devi avere il profilo di un uomo d’affari con una struttura solida alle spalle che sia capace di sostenerti; il talento e l’unicità non bastano, devi essere serio e affidabile. Dal mio punto di vista gli Stati Uniti sono meravigliosi, lo Stato funziona benissimo ed è leale col cittadino, le regole sono poche e chiare. La libertà qui è sacra. Se vali, ti apprezzano e ti aiutano. Le persone in media sono molto cordiali e alla mano, darsi arie non è concepito. Per quanto ho potuto vedere sinora, il difetto è di non possedere un’identità culturale forte, anche perché stiamo parlando di una nazione giovane; per il resto ci saranno anche altri lati negativi, tuttavia io non li ho ancora notati».Nonostante manchi dall’Isola da più di trent’anni, il chitarrista rivela: «Nei miei brani non mancano i riferimenti alla mia terra che è fonte incredibile d’ispirazione. La Sardegna non è solo suoni, ma anche profumi, sapori, mare e luoghi che comunque mi mancano. Quando torno a Oristano, adoro passeggiare nel centro storico, soprattutto di notte, quando l’atmosfera mi comunica chiaramente che io, comunque, appartengo a questa città, anche se sono in capo al mondo. Qui ho amici straordinari che porto sempre nel cuore. Il risvolto che non mi manca e che ho percepito quando sono andato via è l’invidia, unita alla tendenza ad affossare chi si dava da fare; non so se le cose siano cambiate col tempo, ma, lo spero».Tra un ricordo e l’altro, Marco Pinna accenna anche ai suoi progetti professionali con un pizzico di sana scaramanzia e malcelato orgoglio: «Sto lavorando al mio primo cd americano, ti posso solo anticipare che alla batteria ci sarà Chester Thompson, al basso Victor Wooten, mentre alla chitarra ritmica avrò Kyle Nightingale. Saranno tutti fisicamente con me al momento della registrazione in studio. Il produttore è Denny Jiosa, il chitarrista di smooth jazz nominato per ben quattro Grammy Award».
Un bel traguardo, quasi raggiunto in pochissimo tempo, grazie al lavoro e alla volontà: «A chi vuol seguire la mia strada, mi sento di raccomandare sacrificio, applicazione costante e onestà intellettuale, sono tre ingredienti che possono portare molto lontano e la mia esperienza lo dimostra».
Giovanni Runchina

19.11.13

nera che porta via che porta via la via nera che non si vedeva da una vita intera così . Alluvione del 18\11\2013 in sardegna

il post  d'oggi  doveva  d'essere  di tutt'altro tenore   ma la   ( come   questa  del  mio amico  \  compaesano )

Sergio Pala.      incredulità....le tragedie del passato non ci hanno insegnato proprio nulla...ci evolviamo, sappiamo cosa accade dall'altra parte del mondo in meno di un secondo...andiamo sulla luna e in fondo agli oceani...ma forse incoscientemente pensiamo che certe cose accadano "lontano"....e qualche immagine trasmessa dai tg ci lascia interdetti per pochi secondi...giusto il tempo per poi riprendere il nostro solito, noioso zapping..stamattina invece si respira un aria surreale...la morte ha bussato nelle case dei nostri amici..dei nostri vicini..dei nostri conoscenti..vittime della forza della natura e dell'assoluto spregio di essa da parte dell'uomo...ora sarà un addossarsi di colpe, inchieste, politici in doppio petto che passano belli belli in abito a salutare chi scava tra il fango...povere persone...che la terra vi sia lieve...e che le vostre morti..non siano - ancora una volta- vane.......
dettata  da  questo articolo  http://www.meteoweb.eu/2013/11/  trovato  sulla mia bacheca  di facebook   e postato da  https://www.facebook.com/fiorella.ferruzzi



Comunicato stampa dei Geologi, “non è solo colpa dei fenomeni estremi”: urbanizzazione sfrenata fra le cause  martedì 19 novembre 2013, 12:10 di Lorenzo Pasqualini


In queste ore drammatiche, con la Sardegna in ginocchio per la gravissima alluvione nell’area di Olbia, i 
Il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano ha affermato: A fine agosto noi geologi avevamo già detto dei rischi e della fragilità del territorio. Qualora non fossero ancora chiari i termini del dissesto idrogeologico i geologi hanno il dovere morale di non abbassare la guardia, ricordando al Paese che la popolazione esposta a fenomeni franosi ammonta a 987.650 abitanti, mentre quella esposta alle alluvioni raggiunge 6.153.860, come evidenzia ancora l’Annuario ISPRA. Anche se le proiezioni quantitative per la frequenza e l’intensità delle inondazioni sono ancora incerte, l’Agenzia europea sostiene che sia probabile che l’aumento delle temperature in Europa porterà a inondazioni più frequenti e intense in molte regioni, a causa del previsto aumento dell’intensità e della frequenza di eventi meteorologici estremi”.
“Ma non è solo colpa dei cambiamenti climatici – ha proseguito Graziano – perché ad esempio l’urbanizzazione sfrenata, ha eroso dal 1985 ad oggi ben 160 km di litorale. I numeri recentemente pubblicati nell’Annuario dei Dati ambientali 2012 dell’ISPRA parlano chiaro: se in Italia per oltre 50 anni si sono consumati in media 7 mq al secondo di suolo, oggi se ne consumano addirittura 8 mq al secondo. Significa che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quelle dei comuni di Milano e di Firenze. Per non parlare degli incendi, il 72% dei quali risulta essere di natura dolosa, il 14% di natura colposa e il restante 14% di natura dubbia. Da tempo i geologi chiedono l’istituzione di una commissione che possa affrontare tali problematiche così come fece la Commissione De Marchi”.

una delle  tante  foto  di olbia  post  alluvione 
geologi hanno lanciato un comunicato stampa, attraverso il loro organo ufficiale, il Consiglio Nazionale dei Geologi: In Italia sono 6.153.860 gli abitanti esposti alle alluvioni – si legge nel comunicato. Il probabile aumento delle temperature potrebbe portare in Europa a inondazioni più frequenti ed intense. Ma quello che sta accadendo non è solo per colpa dei cambiamenti climatici.







Inizialmente la colonna sonora doveva essere questo





ma non me la sento di tenermi tutto dentro e stare in silenzio , davanti ad immane disastro a pochi km da me , e che vede coinvolti anche dei parenti ( fortunatamente non tra le vittime ) e lasciare che a parlare siano il " fiume di parole " ( per parafrasare una vecchia canzone San Remese degli  anni '90 ) dei tg e dei giornali locali e nazionali con il loro bla ... bla .. ripetitivo \ retorico e spesso vuoto e senza spessore . Fortunatamente è mi è ritornata ala mente questa canzone ( lo so che le immagini sono come spiegato nel video dell'alluvione di genova  del 1970 ) di un grande poeta





18.11.13

all'estero ci'insultano o ci trattano da serie b però i nostri prodotti gli piacciono \ Il vino bianco preferito da Obama prodotto da un sardo in Maremma

Il bianco di un vignaiolo originario della Sardegna è il preferito del presidente Usa e della first lady. 



Michele Satta, figlio di Vincenzo, nato a Nulvi, è l'uomo che produce il vino preferito dalla coppia presidenziale. La sua esperienza non è stata messa a frutto in Sardegna ma nei vigneti di Bolgheri, in Maremma. "Zio Baingio mi portava con sé in campagna. I miei genitori preferivano la villeggiatura sulla costa, ad Alghero. Io, nell'incredulità generale, sceglievo Nulvi. Così ho imparato a fare il fattore". 

Se gli chiedi del “Costa di Giulia”, il vino bianco preferito del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e di sua moglie Michelle, risponde quasi infastidito. Come se soddisfare i gusti del personaggio più potente della Terra fosse un dettaglio della sua vita di vignaiolo, di “uomo di campagna”, come ama definirsi. Michele Satta ha origini sarde, visto che suo padre Vincenzo era di Nulvi, provincia di Sassari, piccolo centro di neanche tremila abitanti, lontano da tutto. Da Sassari e anche dal mare di Castelsardo (la strada è piuttosto impegnativa), ma l'isolamento non ne ha fiaccato le capacità. I nulvesi sono abili a trattare la terra e la natura. Da queste parti producono il “Grananglona”, in pratica un Grana padano fatto con latte di pecora anziché di vacca. Una prelibatezza.RICORDI A Michele Satta, che si è costruito una solida fama in Maremma, nella zona di Bolgheri (dove nasce il Sassicaia, il vino italiano più famoso nel mondo, anche questo opera di un sardo geniale, Giacomo Tachis, considerato tra i massimi enologi del mondo), quando sente parlare di Nulvi, si illumina il volto. È là, durante le vacanze estive, che ha imparato ad amare la natura. «Zio Baingio mi portava con sé in campagna, poco fuori il paese, in località “Fontana sa nughe”. I miei genitori preferivano la villeggiatura sulla costa, ad Alghero. Io, nell'incredulità generale, sceglievo Nulvi. È così che ho imparato a fare il fattore».NATURA AMICA Perché Satta più che produttore di vino (e dire che il suo Bolgheri rosso superiore I Castagni 2008 ha ottenuto un successo strepitoso e i riconoscimenti unanimi dei critici, tra cui i “cinque grappoli” dall'Ais, l'Associazione italiana dei sommelier), si considera un fattore. Ovvero, il conduttore di un'azienda agricola diversificata: terra e animali, a contatto stretto con la natura. «Ho una visione intima del rapporto con la terra. Bisogna collaborare con essa e ti ripagherà con frutti copiosi e meravigliosi».Nel mondo del vino, complesso, difficile, rischioso, Satta è entrato dalla porta di servizio. Nel 1983 ha ereditato una vecchia vigna, ancora in produzione, in località Vigna al cavaliere, comune di Castagneto Carducci, provincia di Livorno, e da lì ha iniziato. Metteva il vino nelle damigiane, all'antica, poi pian piano è diventato uno dei produttori italiani più sofisticati, non solo per la qualità delle sue bottiglie ma per il carisma che possiede. I vini italiani, ma anche quelli francesi, trasudano cultura, tradizione, odori, antiche abitudini, tempi scanditi da consuetudini centenarie. I francesi lo chiamanoterroir , parola intraducibile che dice tutto questo, contrapposto al varietalismaustraliano, statunitense o, perché no, cinese, ovvero la capacità di produrre vini, anche ottimi, da vitigni che si adattano a qualsiasi clima (cabernet sauvignon, chardonnay, merlot), ma che estrapolati dal contesto storico in cui per secoli hanno prosperato, perdono quel non so che, il terroir , appunto.LE RADICI «L'ambiente in cui viene prodotto», riflette Michele Satta, «dà al vino un'impronta irripetibile. E la dà anche alle persone. La Sardegna per me non è mai stata solo mare, lì ho trovato le mie radici. Ci torno spesso, sarò da voi in primavera per far conoscere i miei vini, che il distributore Horeca contribuirà a diffondere in quella che considero la mia terra. Io sono rimasto colpito da alcuni vermentini e da rossi ricchi di personalità. La classe dei vignaioli sardi sta crescendo, la rinascita può cominciare promuovendo le eccellenze alimentari dell'Isola. Dobbiamo capire che il cliente non è più solo il conoscente della porta accanto, ma anche l'avvocato di New York o l'imprenditore di Singapore, affascinati da un vino che arriva da una terra antica e ancora misteriosa come la Sardegna».IL PIÙ GRANDE Satta ha parole affettuose per Giacomo Tachis («un monumento») e sorride alla provocazione di qualche anno fa del più famoso enologo italiano, quando disse che i «sardi amano il cannonau ma non sanno farlo». Una provocazione che «l'uomo del Rinascimento del vino italiano nel mondo», «il principe dell'enologia», artefice e inventore di grandi vini come Tignanello, Solaia, Sassicaia, Terre brune e Turriga, poteva permettersi. «Il grande Giacomo, forse, voleva spingere i bravi e giovani enologi sardi a sperimentare vie nuove, ad avere coraggio. Per esempio, a utilizzare maggiormente il Syrah, vigneto che in Sardegna darebbe risultati eccezionali».Infine, il “Costa di Giulia”, che Barack ha ordinato al ristorante “Caffé Milano” di Washington, il 17 gennaio scorso per festeggiare il compleanno di Michelle. «Un 65% di vermentino e un 35% di sauvignon blanc per alleggerire il retrogusto di mandorla amara del vermentino». E Obama è preso per la gola. Ci voleva tanto?

Ivan Paone

FIRENZE – Muore; corpo su marciapiede per 90 minuti fra l'indifferenza dei passanti

un giusto equilibrio fra indifferenza e morbosità ( fortunatamente questo non è successo , forse perchè si tratta di una grande città , e non di una piccola bidda cittadina )  No  ?  . Mi chiedo ma come mai di solito la generazione dei cellulari sempre pronta a fotografare e mettere su social network tali fatti non sia intervenuta . Forse non non era un fatto eccezionale o siamo assuefatti alla morte ? Mi stavo apprestando a trovare una risposta ma mi chiamano ad apparecchiare per la cena 




da toscana news tramite Oknotizie





FIRENZE – Muore; corpo su marciapiede per 90 minuti

Scritto da: Redazione 18 novembre 2013









FIRENZE - Un malore improvviso e per lui non c’è stato niente da fare. Se n’è andato così un uomo anziano in pieno centro a Firenze, nei pressi di piazza Santa Croce. Una notizia che fa parte della vita e, quindi, può considerarsi “normale”. Ma ciò che desta scalpore è che il corpo dell’uomo sarebbe rimasto sul marciapiede per circa un’ora e mezza.Tutto ha avuto inizio alle 13.15 quando l’uomo si è improvvisamente accasciato. Un giovane medico se n’è accorto ed ha subito messo in atto le pratiche rianimatorie. Ma per l’anziana persona non c’è stato più niente da fare ed il medico, dopo oltre un quarto d’ora di tentativi, ha dovuto desistere. L’uomo è stato quindi coperto con un lenzuolo bianco in attesa dell’arrivo del servizio funebre.Ma l’attesa è stata davvero fuori dal normale. Infatti, i servizi funebri, chiamati per rimuovere il corpo dello sfortunato anziano, sarebbero arrivati intorno alle 14.45, novanta minuti dopo il malore. E, secondo alcune testimonianze, il corpo sarebbe rimasto a terra tra la completa indifferenza dei passanti e i flash di qualche turista giapponese.

Francese di 47 anni scopre di avere 10 fratelli in Barbagia [Da Lione a Orgosolo per conoscere i fratelli 'scoperti' sul web dopo 47 anni reprise ]

 musica  consigliata  Afterhours - Ritorno a Casa


ecco  "la   seconda  puntata  " della  storia  di cui  ho parlato    nel post  precedente  
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2013/11/da-lione-orgosolo-per-conoscere-i.html

Figlio di un emigrato, ritrova le sue radici grazie a internet Ieri ha abbacciato la “nuova” famiglia, ma il padre è morto 


dalla nuova  sardegna  del 18\11\2013  
di Mattia Sanna 


ORGOSOLO «Mi chiamo Louis, vivo a Lione, ho 47 anni. Mia sorella ne ha 46 crediamo di essere figli di suo marito, Luigi». All’improvviso una donna, madre di dieci figli, scopre che la buonanima (il coniuge è morto lo scorso anno) di figli ne ha messi al mondo altri due nati in Francia da una relazione (precedente il loro matrimonio) con una ragazza. Ieri Louis è arrivato a Orgosolo per conoscere l’allegra tribù che l’ha accolto come un messia. La notizia è di quelle che hanno dell’incredibile, da “C’è posta per te”, costruita per strappare le lacrime, ma è tutto vero. È il primo novembre quando arriva una telefonata a casa di Mariangela Succu, vedova settantunenne di Luigi Garippa, morto lo scorso anno a ottantaquattro anni. Quando alza la cornetta pensa che sia uno dei suoi figli. Invece è un figlio, ma del marito e di un’altra donna.





Si chiama Louis, proprio come la buonanima di Luigi. Parla male l’italiano, comunque con l’aiuto di un interprete prima dice di avere quarantasette anni e che vive a Lione, che se la passa bene, che di professione fa il coiffeur e possiede ben quattro saloni. Dopo la presentazione, con una raffica di parole dice «io e mia sorella Veronique siamo figli di tuo marito». L’anziana donna, madre di otto femmine e due maschi non si scompone eccessivamente perché trova conferma a una storia in cui non aveva mai creduto: il marito Luigi, tornato in Sardegna nel ’71, aveva parlato più volte di due bambini venuti al mondo da una precedente relazione, avuta quando era emigrato. Erano gli Anni Sessanta. Luigi si recò all’estero per lavorare in un’azienda che costruisce forni. Conosce una ragazza, e da quella relazione nascono Louis e Veronique. Ora, sebbene raccontasse questa storia, nessuno in paese credeva a tziu Carbone (così era conosciuto da tutti ad Orgosolo Luigi Garippa), celebre per il suo carattere scanzonato e la battuta sempre pronta. Pensavano si trattasse di una delle sue burle. E invece... Louis si è concretizzato e tzia Mariangela, ospitale e sempre pronta ad accogliere chiunque bussi alla sua porta, ieri l’ha abbracciato. Del resto il desiderio di voler conoscere i propri fratelli per Louis era forte. Dopo anni di ricerche lungo la penisola e tentativi andati a vuoto, la voglia di conoscere le proprie origini era irrefrenabile. Così Louis ha deciso subito di mettersi in viaggio, per arrivare in Barbagia. Veronique arriverà tra non molto. La visita nel paese dei murales è stata preceduta da numerose conversazioni su skype. Durante quei lunghi contatti Louis e Veronique hanno appreso che papà Luigi è venuto a mancare pochi mesi fa, e per loro è stato un dispiacere. Resta la consolazione di ritrovare una grande, grandissima famiglia per due persone che hanno trascorso molti anni in orfanotrofio. Ieri Louis ha fatto il suo ingresso trionfale a Orgosolo accolto da abbracci commossi e calorosi e un ricco pranzo tipico per tributargli il benvenuto. Un’ambiente di festa che, forse, mai si sarebbe potuto immaginare e che lo accompagnerà fino a domani, giorno del suo rientro in Francia. «La felicità è davvero grande – commenta Luisa Garippa, una delle figlie di tziu Carbone – la giornata è stata indimenticabile. L’arrivo improvviso di un fratello e quello imminente di una sorella, dei quali ignoravamo l’esistenza, è per noi un dono grandissimo». Louis, travolto dalla novità, frastornato per l’accoglienza, è riuscito appena a dire «Sono raggiante, ma dopo la trepidazione e le suggestioni di queste ore, ho bisogno di un po' riposo».


e  dall'unione sarda    con alcuni commenti

Orgosolo, dopo mezzo secolo  scoprono due fratelli in Francia

Ignoravano che il loro padre, 50 anni prima, avesse avuto due figli in Francia, terra in cui era emigrato nel 1961. Dieci fratelli di Orgosolo festeggiano per il pezzo di famiglia ritrovato.Il ricongiungimento è avvenuto domenica. Louis, affermato coiffeur nella sua città, ha potuto riabbracciare i suoi fratelli sardi e i parenti mai conosciuti finora. A breve lo raggiungerà anche la sorella Veronique. Il padre Luigi è morto lo scorso anno, all'eta di 84 anni.LA FESTA - Il francese, secondo la cronaca dell'Ansa, è arrivato in Sardegna sabato sera, all'aeroporto di Alghero. Ha trascorso la notte nella cittadina catalana, ospite di una sorella del padre. Ha fatto tardi, perché i racconti sono andati avanti fino alle 5 del mattino. Poche ore di sonno e la partenza per il paese, nel cuore della Barbagia. Ad accoglierlo tutta la famiglia ritrovata. E un pranzo - preparato dalle sorelle - con ravioli e maialetto arrostito. 

Emozionato lui ed emozionati tutti i parenti orgolesi, soprattutto per la straordinaria somiglianza con il papà Luigi. "E' come se avessi avuto dentro di me un vulcano acceso per tutta la vita. Oggi si è spento", ha confessato dopo l'abbraccio con i fratelli e le sorelle in terra di Sardegna.
LA CARRAMBATA - "Mi chiamo Louis, ho 47 anni e sono di Lione. Io e mia sorella Veronique, di un anno più giovane di me, crediamo di essere figli di suo marito". Questa la telefonata ricevuta ad Orgosolo, lo scorso 1 novembre, da Mariangela Succu, 71 anni, che di figli ne ha altri dieci, otto femmine e due maschi, tra i 30 e i 42 anni, vedova di Luigi Garippa. Una storia da "Carramba che sorpresa" raccontata dalla giornalista Maria Giovanna Fossati sul sito di Sardiniapost e poi ripresa dall'Ansa.Superato lo stupore iniziale, la signora Mariangela ha parlato a lungo al telefono con Louis grazie ad un interprete. Poi tutta la famiglia si è messa al lavoro per preparare una degna accoglienza. "Non vediamo l'ora - ha detto una delle sorelle sarde, Luisa alla vigilia della festa - Non ci stiamo dormendo la notte per la felicità. Ci sentiamo tutti i giorni via Skype con entrambi ed è come se ci conoscessimo da sempre".LA FAMIGLIA DIVISA - Una storia che viene da lontano. Luigi Garippa emigra in Francia nel 1961 e trova lavoro in un'impresa che costruisce forni a Lione. Conosce una ragazza e dalla loro relazione nascono Louis, oggi 47enne, e Veronique, di 46. I ragazzi crescono in un orfanotrofio e di loro si perdono le tracce. Nel mentre Luigi torna in paese, ad Orgosolo, dove nel 1971 si sposa. Nasceranno dieci figli e per mantenerli lavora nei campi. I due bambini francesi, intanto, diventano grandi e si mettono alla ricerca del padre naturale. Una zia materna svela il "mistero" e fa sapere che il loro papà è vivo e che è in Sardegna. Il resto lo fa Internet. Sulla rete Louis e Veronique trovano il numero di telefono di Orgosolo e decidono di contattare la famiglia. Il desiderio reciproco di incontrarsi e conoscersi ora diventa realtà.












 


ozierese70
18/11/2013 09:06
quante bugie!
la moglie sapeva benissimo dell'esistenza di questi due figli.....altro che Carramba!! Tutti lo sapevano,ma le favole a lieto fine sono più belle della triste storia di due figli abbandonati.......
melisfa
17/11/2013 17:51
Migranti
Queste sono notizie che riempiono il cuore di gioia perchè quando le famiglie si riuniscono sanno esprimere la felicità della gente e tutto il paese è in festa. Nonostante la lontananza da casa l'amore di Dio ha fatto ritrovare la strada alla gente perchè questa possa vivere in pace ed in armonia con il prossimo.
petrus1
17/11/2013 16:55
..Carramba..
..che sorpresa!!!!

Umberto Palazzo: ‘In Italia il rock è morto’

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  dal ilfattoquotidiano  

 Questo articolo  conferma   quanto diice  l'articolo di letter43  (  vedi primo url  sopra  )    e  non è     si  legge contestualizando i  insieme i  due articoli    con qwuanto dice  il mio utente  facebookiano 

  • Piergiorgio Palese ecco…questo ci mancava… questi del Fatto Quotidiano hanno iniziato una nuova crociata! E vai di metodo Boffo pure contro il rock...

 il fattoquotidiano    di   | 15 novembre 2013

Agitatore di masse, nel senso che su Facebook “le spara” e ciò che ne consegue è vincolato a un ritorno di “like” davvero impressionante. Lo ricordiamo anche per aver messo in scacco la Siae; la
class action da lui promossa per i diritti degli autori cosiddetti minori non è passata inosservata, tanto da smuovere giornalisti e giornali. Ma soprattutto, Umberto Palazzo è un musicista, uno di quelli che ha segnato il territorio nei fantasmagorici anni ’90, quando la musica rock – nel nostro Paese – rilevava l’unico grande fermento degno di essere chiamato con tale effettivo registro.
Ricordate “I Dischi del Mulo?”. Facevano capo alla premiata ditta Ferretti & Zamboni e annoveravano tra gli altri gruppi quali Marlene Kuntz, Ustmamò, Estasia… fino ad arrivare appunto a Umberto ovvero ’Il Santo Niente’. Ora, dopo un disco solista uscito nel 2011, c’è da incensare, “è tornato il Santo”. Lo abbiamo “evocato”.
Allora Umberto, hai finito di fare casino?
Ovviamente non ci penso proprio.
Prendiamola da lontano, queste mie non sono interviste, in verità ci facciamo due chiacchiere. Sul tuo profilo ti definisci una mina vagante nel mondo della musica rock, spiegaci.


Nel mondo della musica rock (e non) ho lavorato per trent’anni un po’ in tutti i ruoli (musicista, gestore di locali, organizzatore di concerti, dj, produttore, fonico, insegnante al conservatorio e in corsi professionali, direttore di produzione, backliner) quindi ho una visione particolarmente dettagliata della faccenda e dei suoi ingranaggi e quello che so non me lo tengo per me, quindi sono spesso critico in maniera più incisiva che altri.
Com’è finita la class action?
L’Europa sta per varare una legislazione unitaria sul diritto d’autore e anche in Italia potrebbe cambiare il piano normativo, quindi, se questo accadesse, l’azione decadrebbe. Bisogna aspettare.
Senti, parliamo della tua roccaforte su Facebook, hai un seguito impressionante
E’ del tutto casuale, sul profilo principale ci sono quasi tremila richieste in attesa, ma non è una cosa che ho voluto io. Le persone mi cercano, qualcuno anche per insultarmi, va detto.
Agitatore, provocatore oppure semplicemente persona intelligente?
Diciamo libero pensatore, magari non sono così intelligente, ma almeno penso sempre con la mia testa.
A volte … rompi anche i coglioni, possiamo dirlo?
E’ un effetto collaterale del pensare sempre con la propria testa e non dare nulla per scontato. I luoghi comuni sono rilassanti, ma a volte sono basati su premesse false o su passaggi non logici. Metterli in discussione genera fastidio, che è una buona cosa: un pensiero nuovo che sta nascendo crea sempre disagio.
Qualcuno dice: Artista serio e preparato ma rosicone, sulla questione mi pare tu abbia espresso un chiaro parere.
Secondo qualcuno gli artisti non dovrebbero parlare della cosa che gli sta più a cuore, cioè dell’arte. Io non solo penso di avere il diritto di dire che un’opera non mi piace o un’operazione non mi convince, ma credo di averne anche il dovere estetico, proprio perché sono un artista. L’arte è una questione di bellezza. Se una cosa la trovo brutta lo dico, soprattutto se la maggioranza dice che è bella. Ma poi chi mi dà del rosicone fa finta di non vedere che spingo in continuazione cose che mi piacciono e che mi sbatto un sacco per molti miei colleghi. Comunque in genere si tratta di fan acritici nei confronti dei loro idoli che si irritano perché metto in discussione i loro articoli di fede. Poi possiamo parlare anche di quelli che “scopano di più”.
Eppure le tue esternazioni – se lette con attenzione – rivelano sempre una chiarezza d’intenti inequivocabile.
Prima di parlare ci penso parecchio, sono una persona estremamente razionale e pratica. Non sopporto quelli che vanno “a sentimento”.
Mixiamo… Le reunion sono un atto dovuto alla musica oppure sono l’ultima esile risorsa di un genere musicale – il rock – morto e sepolto?
Il rock in Italia è morto. Non nel mondo, ma in Italia è una faccenda di vent’anni fa e il rock di vent’ani fa è da museo, non interessa ai ragazzi. Fuori dei nostri confini succede di tutto, ma qui arriva solo una debole eco, filtrata in base alle esigenze di chi tira i fili del gusto, che non è una cosa che si crea autonomamente, ma viene creato da chi fa comunicazione nel settore. Il gusto nel settore musicale in Italia è quanto di più provinciale si possa trovare nel mondo occidentale. Ora s’incazzeranno tutti, ma lo faranno “a sentimento”, senza aver prima guardato i cartelloni dei festival internazionali dove le nostre più grandi band non passano neanche per ipotesi.
E quindi qual è il senso della vostra reunion?
Il Santo Niente non si è mai sciolto. Il Santo Niente ha delle difficolta economiche ad avere una produzione costante, ma non ricordo di averne mai annunciato in un qualsiasi momento lo scioglimento. Ogni tanto mi devo fermare perché non ho fondi e tempo per mandarlo avanti. Ovviamente è un’attività se non in perdita al massimo in pareggio, se non si fosse capito.
Parliamo del disco, o meglio delle recensioni finora uscite. Sembra di capire che sia stato dalle maggiori testate favorevolmente accolto.
Sì, mediamente bene, recensioni sul sette come altri novecento dischi all’anno, ma nessuna intervista e nessun articolo. Una dignitosa invisibilità, diciamo. Per fortuna c’è Internet.
Ma c’è anche chi ne ha parlato male…
Certo, credo che un terzo delle recensioni online siano mezze o complete stroncature.
Chessò, che cosa vorresti dire “al giornalista qualunque” riguardo la sua recensione?
No, non discuto mai le recensioni negative. Una volta ho fatto però l’errore di postarne una, senza criticarla per altro. Non lo farò mai più: i responsabili ne hanno approfittato per creare una polemica che io non volevo che gli ha portato molti click. Perché la rete funziona a click e questo molti non lo sanno.
Qual è stata secondo il tuo parere quella più centrata ma anche quella più errata?
Non c’è un’interpretazione autentica da sostenere, vanno bene tutte, anche le più sbagliate
Recensisci ora tu il disco, devi però essere onesto.
Io adoro “Mare Tranquillitatis”, faccio uscire dischi solo quando ne sono entusiasta, perché nessuno mi può dare delle scadenze, né mi passa anticipi.
Vuoi che ti dica il mio parere?
Umberto: Certo che sì.
Marco: Lo ritengo un disco datato è per questo che funziona.
Facciamo un passo indietro e torniamo ai tempi del consorzio suonatori indipendenti: qualche ricordo.
Facevamo la fame.
Possibile al giorno d’oggi immaginare una situazione come quella?
Fare la fame? Niente di più facile. Scherzi a parte non esistono più budget che lo possano permettere, perché si vende meno di un quinto dei dischi che si vendevano all’epoca
Nella musica tutti copiano tutti a cominciare dai giornalisti che scrivono recensioni zeppe di metafore e citazioni i cui contenuti lasciano il tempo che trovano: “Quello assomiglia a questo, questo assomiglia a quello” non se ne può più. Io per primo non ne scrivo più altrimenti finisco in quell’ingranaggio.
E’ giusto fare dei paragoni, tutti gli artisti hanno qualche fonte d’ispirazione e la creazione è un processo evolutivo lento. Il problema è che il 99 per cento dei paragoni non sono calzanti. Per qualche motivo il critico musicale, a differenza di quello letterario o cinematografico, pensa di poter avere una conoscenza limitata per genere o periodo storico e poter giudicare in base a quella. Non ho mai sentito parlare invece di critici cinematografici che non conoscano il cinema di Kubrick e critici letterari che non abbiano letto Dante.
Mi viene in mente Zappa… sai, no, quello che diceva?
UmbertoQuella frase dell’architettura? Non è di Frank Zappa e comunque non sono d’accordo. Parlare della musica è fondamentale, anzi se ne parla troppo poco secondo me. In effetti nelle recensioni spesso si parla di tutto tranne che di musica. La musica, se non è pura esecuzione, è un sistema di idee, che si possono decodificare e spiegare avendone i mezzi. Il problema è che la maggior parte dei giornalisti non capiscono quali siano le idee che ci sono nei dischi e si fermano alla superficie.
 Progetti futuri? Siamo alla fine Umberto…
Subito un altro disco da solista e un altro con la band. Soprattutto ci tengo a far crescere questo Santo Niente, che è formato da Tonino Bosco, Federico Sergente e Lorenzo Conti, musicisti giovani e dalle grandi potenzialità.
È ora di salutarsi. Non prima di avermi detto i tuoi dischi dell’anno, italiani e non.
The Next Day di David Bowie e per gli italiani Still Smiling di Teho Tehardo e Blixa Bargeld
Fuori le tue nove.
Eccole!
9 canzoni 9 di … Umberto Palazzo
Lato A
Remember to Remember • Jester at Work
Defenestrazioni • Teho Tehard & Blixa Bargeld
Men of Good Fortune • Lou Reed
How Does the Grass Grow • David Bowie
Lato B
Swim and Sleep • Unknown Mortal orchestra
Sheik • ZZ Top
Stoned Starving • Parquet Court
Ores and Minerals • Mazes           
Latch • Disclosure

QUELL'ADDIO AL MIO AMICO


Abbiamo trascorso una vita insieme e mai avrei pensato di essere io a doverti salutare. Mai avrei potuto aspettarmi un dolore così grande, TU il mio amico sincero, il compagno che ha colmato tanta solitudine. Ora ti sono accanto e le mie mani ormai stanche si adagiano ancora su di te, come facevo ieri, quando ogni sera ci ritrovavamo vicini a dividerci quel poco che ci era rimasto.

Eppure non ti sei mai lamentato, ti sei sempre preoccupato di distrarmi con le tue capriole e quando mi sentivo poco bene eri come una sentinella i piedi del mio letto.
Ti guardo mentre la mente confonde i ricordi come una palla impazzita, sei tu qui, che dolorante cerchi ancora il mio sguardo come se fosse l'ultima immagine da portarti via.
Anche io ti guardo amico caro, mentre cerco di trattenere le lacrime che copiose hanno già raggiunto il cuore. Sono qui compagno mio, sono ancora vicino a te a raccontarti di quando la guerra mi ha rubato troppo presto la gioventu', sono qui, come ieri a raccontarti tra malinconia e rimpianto di quell'amore che mi ha lasciato quel buco nel cuore.
Ho vissuto una vita modesta, tutto doveva quadrare, non ci siamo permessi mai neppure una vacanza al mare, ma la tua presenza mi ha fatto vivere di rendita. Sono solo un povero vecchio a cui tu hai donato tanta gioia e affetto. Come farò domani?
Nessuno coglierà mai piu' la mia disperazione, solo TU sei stato la mia famiglia, hai saputo attendere anche intere ore quando a fatica riuscivo a malapena a farti fare un giretto sotto casa per i tuoi bisogni, perchè il freddo mi paralizzava le ossa e a scaldarci erano solo delle vecchie coperte.
Eppure mi hai reso felice, così senza rispondermi ti accostavi a me con quel tuo musetto, quasi volessi ogni volta abbozzarmi un bel sorriso.
Ciao amore mio, non ti dimenticherò mai e se i miei giorni saranno brevi, conterò i minuti per ritornar da te.
Resto qui, sulla mia vecchia sedia a guardare dietro i vetri l'inverno che passa. mentre nel silenzio cerco ancora nella stanza quell'amico che il destino mi ha portato via.