26.8.23

La storia di Samantha Smith, la bambina americana uccisa dalla Cia per aver osato dimostrare che i Russi erano “proprio come noi”

 in sottofondo

concerto per viola Remembering Childil del compositore danese Per Nørgård a  lei dedicato  . 

per   chi  vuole  aprofondire  Samantha Smith - Wikipedia

 da https://www.dcnews.it/ AGOSTO 26, 2023


SI CHIAMAVA SAMANTHA SMITH
(La triste storia della bambina americana di dieci anni che avrebbe potuto capovolgere gli stereotipi riguardo all’URSS.) Samantha Smith era nata il 29 Giugno 1972 a Houlton, nello Stato del Maine, ed era ancora una bambina ai tempi dell’intervento Sovietico in Afghanistan.Intervento legittimo, finalizzato a sostenere il Governo Laico e Socialista di quel
Paese dall’aggressione dei sanguinari Mujaheddin finanziati dall’Occidente, ma che nell’Occidente stesso fu spudoratamente dipinto come un’invasione da parte Sovietica.(Ancora adesso in giro in Occidente ci sono tanti creduloni, con il cervello all’ammasso del mainstream, che accettano la tesi dell’invasione Sovietica, e neanche il confronto tra le fotografie di come vivevano le donne Afghane allora e come “vivono” adesso li aiuterà mai a chiarirsi le idee.) 
Samantha era una bambina sveglia, che seguiva la politica internazionale, nonostante la giovane età, e fu molto colpita dalle immagini che arrivavano dall’Afghanistan. Così nel 1982, a dieci anni, decise di scrivere una lettera all’allora segretario generale del Partito Comunista Sovietico, Jurij Andropov, chiedendogli di evitare la guerra.La lettera fu pubblicata sulla Pravda (la terribile Pravda … i giornali Americani avrebbero mai pubblicato una lettera del genere scritta da una bambina Russa? O meglio, la hanno mai pubblicata?) Una settimana dopo l’Ambasciata Sovietica negli Stati Uniti telefonò a casa di Samantha dicendo che Andropov aveva risposto. Pochi giorni dopo arrivò a Samantha una lettera scritta in russo, accompagnata da una traduzione in inglese e da un invito alla bambina e alla sua famiglia a passare un periodo di ferie nell’URSS.La vicenda ottenne grande attenzione dai media, venne raccontata dai giornali e Samantha fu intervistata da diverse televisioni Americane.Il 7 luglio del 1983, Samantha partì per l’Unione Sovietica con i suoi genitori e ci restò per due settimane, ospite di Andropov, seguita da giornalisti e fotografi. Visitò Mosca, Leningrado e trascorse del tempo ad Artek, campeggio estivo in Crimea.Ad Artek decise di rimanere insieme ai bambini Sovietici piuttosto che prendere un alloggio separato che le era stato offerto. Per facilitarne la comunicazione vennero scelti insegnanti e bambini in grado di parlare fluentemente l’inglese, che vivessero nella stessa costruzione in cui lei alloggiava. Rimanendo in un dormitorio con altre nove ragazze, Samantha passò il suo tempo nuotando, parlando, e apprendendo canzoni e danze Russe. Samantha Smith acquistò un’ampia fama tra i cittadini Sovietici e fu molto ben voluta da molti di loro.Parlando a una conferenza stampa a Mosca, dichiarò che i Russi erano “proprio come noi”. Anni dopo, per raccontare il suo viaggio, scrisse un libro intitolato “Journey to the Soviet Union”.Quando tornò negli Stati Uniti, il 22 luglio, Samantha Smith era molto popolare: fu accolta e celebrata come “la più giovane ambasciatrice d’America”.L’anno dopo fu invitata in Giappone e parlò al Simposio Internazionale della Gioventù, proponendo che i leader Sovietici e Americani si scambiassero le figlie per due settimane all’anno spiegando che un presidente “non avrebbe mai voluto inviare una bomba a un paese in cui è in visita la propria figlia”.Il successo di Samantha, mentre fu assoluto in Unione Sovietica (e anche in Giappone), lo fu molto meno nella sua Patria natale, negli USA. Dopo una fase iniziale di interesse, le autorità iniziarono ad ignorare sistematicamente le iniziative della intraprendente ragazzina.Avere tra i piedi una vera e propria “ambasciatrice” della fratellanza con il Popolo Sovietico che ripeteva in ogni occasione che “I Sovietici cono come noi” smontava tutta la poderosa macchina di propaganda Americana, tesa a dipingere il “Compagno Ivan” come un essere inumano, antropologicamente crudele, dedito alle peggiori efferatezze (vedere la vastissima produzione spazzatura di Hollywood, con il Russo immancabilmente nel ruolo del cattivo.)Mentre presso la popolazione Americana Samantha rimase popolarissima fino alla fine, da parte delle autorità calò su di lei una sinistra coltre di gelo (Altro che Greta eh …)Il 25 Agosto di quello stesso anno un aereo su cui viaggiava Samantha Smith mancò la pista dell’aeroporto regionale Lewiston-Auburn nel Maine e si schiantò. Non sopravvisse nessuno: morirono due membri dell’equipaggio e sei passeggeri, tra i quali Samantha e suo padre.Sulla causa dell’incidente in molti sospettarono subito la CIA.Fu aperta un’inchiesta e il rapporto ufficiale venne reso pubblico: “l’angolazione di volo relativamente ripida dell’aereo, l’altitudine e la velocità al momento dell’impatto, hanno precluso agli occupanti dell’aereo la possibilità di sopravvivere all’incidente”.Al funerale, che si svolse ad Augusta partecipò un rappresentante dell’ambasciata sovietica a Washington, che lesse un messaggio personale di condoglianze da parte di Mikhail Gorbaciov in cui si parlava di Samantha come di un “simbolo di pace e amicizia fra i due popoli”: l’URSS quell’anno le dedicò anche un francobollo commemorativo.Alla cerimonia non partecipò invece alcun rappresentante del governo statunitense: l’attività di promozione della pace di Samantha e la sua vicinanza ai Sovietici furono anzi molto criticate dai conservatori Americani e dagli anticomunisti, che la accusavano di propaganda.Come è morta veramente Samantha Smith? Non lo sapremo mai. Ciascuno tragga le conclusioni che vuole. Io le mie le ho e tutto mi sembra fin troppo chiaro, anche alla luce di tante tragedie analoghe che da sempre accadono nel “democratico” Occidente a chi osa sfidare (anche inconsciamente e in buona fede, come nel caso della povera Samantha) il potere costituito.Quello che sappiamo è che in Russia è ricordata con affetto ancora oggi, e molte scuole e campi estivi le sono ancora dedicati. Negli USA, liquidata la pericolosa seccatrice, la sua memoria è finita subito nel dimenticatoio.Samantha Smith era una ragazzina che sognava un Mondo migliore. Ma visse, e morì, in un Mondo nel quale non c’era spazio per i sogni e, tanto meno, per i sognatori.

25.8.23

DIARIO DI BORDO N °2 anno I scandalizza di più la donna al cioccolato in un vassoio che le donne mal pagate e sottomesse ., "Io, iraniana, mortificata dalle femministe pro velo

 << La donna cosparsa di cioccolato crea più scalpore di una donna sottopagata che deve assistere anziani, pulire casa , curare igiene personale e magari portare il cane di famiglia a cacare >> o fare le iniezioni ad
un gatto diabetico .Anch'io
io vorrei capire se lo sfruttamento di donne pagate 600/700 € mensili che da lunedì a sabato, 8-14 solo per citare l'esempio più clamoroso didiscriminazioni a cuila cultura del maschio alfa o del patriacarto come lo definiscono le femministe è più legittimo << Tutto il resto è moralismo >>come dice l'account facebook di Cassandra Casagrande Mura Ticca
Infatti è lei che ha scelto che il suo corpo fosse usato per tale scopo nessuno l'ha almeno da quel se ne sa obbligata o ricattata per farlo

......
  
E' triste  che a  dirlo sia un  giornale   destra  .  Ma  purtroppo è vero.  Infatti  : La giovane attivista: «Quel flash mob? Scioccante Aiutare l’oscurantismo è uno schiaffo a chi lotta
Scioccate, sorprese, incredule. Di fronte al corto circuito delle femministe che difendono il velo, alle giovani iraniane non resta che la delusione, e l’amara sensazione che la battaglia per la libertà sarà ancora più faticosa, più lunga, più dolorosa.

  da  https://www.ilgiornale.it/news/nazionale/  del  25\7\2023

«Quando vedono che nei Paesi occidentali le richieste di libertà sono ignorate, e sono difese ideologie e norme liberticide, gli iraniani ne rimangono scioccati», dice Atussa, architetto che vive in Italia. «Il fatto che gli attivisti per i diritti umani o delle donne supportino ideologie oscurantiste e costumi obbligati - spiega - rappresenta un vero e proprio schiaffo per chi lotta per le libertà».
Sa di cosa parla, la giovane iraniana. Per 30 anni ha vissuto in patria, dove ha visto, e anche subito un vero e proprio lavaggio del cervello, anche sul velo. «Altro che libera scelta obietta - è un obbligo di legge o sociale, o tradizionale, impostato dagli uomini. La maggior parte delle donne che si copre in quel modo - racconta ha subito un lavaggio del cervello. Anche la scuola ti insegna che devi coprirti, che c’è la legge islamica». «Mia mamma andava a scuola con la gonna, senza velo, poi è arrivata la

Rivoluzione, e poi con la guerra Iran-Iraq la situazione è peggiorata ancora, molto. Mio padre e mio zio sono stati torturati». «Io - ricorda - sono cresciuta in una famiglia aperta ma fuori l’oppressione si sentiva. Avevo questi ricordi di famiglia, ma a scuola non potevo né fare né dire nulla, nemmeno parlare con le amiche. Non potevamo neanche fidarci, c’erano spie del regime. Sono ricordi molto tristi. Avevo bei voti, potevo andare in un’università importante, ma non mi fu consentito perché venne fuori che nel mio venerdì non c’era la preghiera. Stessa cosa in seguito, mi fu impedito per un colloquio religioso con la Polizia morale, in cui si inventarono che si vedeva sul mio viso il trucco della sera prima».
Un vissuto come quello di altre, quello di Atussa. Ma alla luce di questo vissuto, ai suoi occhi, le ambiguità e le cantonate delle femministe suonano come vere e proprie assurdità. «Sono stata anche arrestata. Mi hanno interrogato e perquisito perché avevo un pantalone con tante tasche. Hanno scritto un dossier su di me che mi impediva di lavorare in uffici pubblici. Non avendo vissuto tutto questo dice - le femministe non capiscono, fanno confusione, non sono lucide, e quindi pensano che coprirsi col velo sia una scelta personale da difendere».
L’incomprensione è drammatica, mortificante. «Sorprende - dice Atussa - che prendano posizione per la “scelta” di coprirsi e non per la libertà di chi il velo non lo vuole». «Prima di Masha Amini non avevamo voce» racconta. All’inizio, alcuni gruppi in Italia hanno fatto qualcosa, in seguito niente: il vuoto. «Quando parli loro e dici: “Perché non ci aiutate a fare questa iniziativa?” ci rispondono offendendoci, dandoci etichette come “razziste” o “islamofobe”». «Purtroppo osserva - alcune di queste associazioni femministe, che seguono una visione di sinistra e sostengono idee anti-imperialiste, sembrano condividere dei valori con la Repubblica islamica». «Non riesco a mettermi nei loro panni», confessa. «Nell’islamismo ipotizza - ci sono elementi di estrema sinistra, o di estrema destra».
Ad Atussa piace definirsi una «attivista indipendente». Un anno fa, la lotta per la libertà in Iran si è riaccesa. Masha è stata uccisa per una ciocca di capelli fuori posto, e da quel giorno, da quell’orrore, è nata la forza disperata di una ribellione contro il regime teocratico. «Il governo dittatoriale iraniano è molto aggressivo. Tanti sono stati imprigionati, o impiccati. La repressione vuole mettere a tacere la rivoluzione» dice, e spiega che la rivolta non è «contro una religione o un modo di vestire, ma è una lotta contro un intero sistema di regime liberticida». Sa che l’aiuto dell’Occidente potrebbe «accelerare questo processo», ma sull’esito non ha dubbi: «Il popolo iraniano persevererà nella sua lotta contro il regime islamista e la vincerà, con o senza il supporto dell'Occidente e degli attivisti occidentali».

<<Ma come . Non dici tu che ciascuno/a dev'essere libero se portarlo o meno .>> Certo ed lo confermo . Ma dai rapporti /contatti che ho (ed ho )avuto con ragazze e donne islamiche presenti nella mia città e regione al 90% il loro potare il velo semplice cioè solo i capelli o completo tutto il corpo simile al costume sardo o del sud è forzato ed imposto non spontaneo /libera scelta.

24.8.23

a chi mi chiede perchè mi fisso sugli stupri . sappiate che riguarda tutti (uomini compresi)

Appena   sentiamo    parlare  di stupri in particolare   quello di Palermo  viene spontaneo chiederci queste  domande   Dobbiamo sentirci coinvolti moralmente e politicamente nello «stupro di gruppo» di Palermo? Quell’orrendo delitto interroga noi uomini, maschi, anche noi che nulla abbiamo a che spartire con quella bestialità, noi che siamo culturalmente lontani anni luce da quella violenza  anche






se  alcuni  , non è il mio caso  , si eccitano   vedendo film pornografici o  erotici   che trattano simili argomenti  ?.  La società degli uomini liberi e rispettosi si può dire innocente, può chiamarsi fuori? E ha senso colpevolizzare una categoria, auto colpevolizzarsi? Siamo davvero tutti responsabili ? 

La  risposta  l'ho trovata
 oltre  che  in me stesso     in  quest  articolo  Perché lo stupro di gruppo di Palermo riguarda tutti (uomini compresi)- Corriere.it


 Alla sensazione di rabbia che segue ogni stupro, ogni femminicidio, si sovrappone la sensazione di impotenza. Perché nulla sembra cambiare, in una società che invece è radicalmente cambiata. Sono passati molti anni da quando i magistrati giustificavano le violenze, come si vide nel «Processo per stupro» del 1979, trasmesso dalla Rai. Allora si accusavano le donne di indossare abiti troppo provocanti, si assolvevano imputati perché indossavano jeans stretti, «impossibili da sfilare senza la fattiva collaborazione» della donna, si colpevolizzavano le ragazze per aver bevuto, invece di considerare un’aggravante l’approfittare delle condizioni di debolezza di una vittima.Il sentire comune e il dibattito pubblico sembrano aver lasciato da parte le antiche ambiguità, la corrività di un tempo, la diseguaglianza strutturale e odiosa tra uomo e donna. Eppure stupri e femminicidi continuano. Il caso di Palermo colpisce perché è una violenza di gruppo, fatta da ragazzi che hanno dimostrato di non provare alcuna umanità ed empatia. Sono indifferenti al dolore della vittima e sicuri dell’impunità.Le reazioni pubbliche sono scontate: si chiedono pene più gravi (lo ha fatto Ermal Meta), come se la sanzione più alta fosse davvero un deterrente; si immagina polemicamente cosa sarebbe successo se i sette italiani fossero stati nordafricani o albanesi; si accusano i social perché alterano la percezione della realtà. In definitiva, si circoscrive la questione a sette «bestie» isolate, a un caso così mostruoso da non essere prevedibile, né evitabile, da imputarsi piuttosto a un’anomalia ripugnante. Ma evidentemente non è così. Sono persone che vivono nella società, hanno madri e padri, sorelle e fidanzate.C’è un barista al quale uno dei sette ha detto «falla ubriacare che ci pensiamo noi» e lui ha fornito l’alcol necessario. Ci sono i passanti che hanno visto una ragazza in difficoltà e non hanno fatto nulla. Ci sono gli amici degli stupratori, che si sono passati il video. C’è una società che consente quello scempio. Lo incoraggia o perlomeno lo tollera, avallandolo. C’è una cultura tossica maschile che resiste agli anticorpi del progresso e della civiltà. C’è una logica di branco, di gregge, che favorisce l’omertà, la sopraffazione, l’impunità. Non c’è niente di imponderabile, di assurdo, nello stupro di Palermo.È il risultato di un atto con responsabilità individuali ma anche di una tara culturale che va estirpata, innanzitutto proprio attraverso la cultura. Insegnando l’educazione sessuale e sentimentale a scuola, favorendo la trasmissione di valori di apertura, mettendo al bando ogni discriminazione delle identità sessuali, incentivando un’alfabetizzazione valoriale collettiva, responsabilizzando la politica a favorire l’effettiva eguaglianza tra i sessi e lo sviluppo culturale. Trovando pene alternative per chi si rende colpevole di questi crimini, che non consistano solo nel restarsene in carcere a marcire. E poi non lasciando solo alle donne quella battaglia, come se non riguardasse tutti.Non è questione di colpevolizzare tutti gli uomini, di colpevolizzarsi ma di occuparsene. Di capire perché c’è un pezzo di società che è ancora immersa nella ferocia della sopraffazione dei sessi. Di capire come fare a intervenire più efficacemente anche sulla prevenzione, per contrastare revenge porn e cyberbullismo e, non ultimo, di capire perché c’è un disegno di legge contro la violenza sulle donne che è stato approvato il 7 giugno dal Consiglio dei ministri e che da allora giace alla Camera, evidentemente perché non considerato una priorità.

Se la democrazia diventa il diritto della maggioranza o minoranza ( dipende da come lo si vede ) a dare dei “non normali” a tutti gli altri siamo all'anticamera della dittattura

in sottofondo  
CARA DEMOCRAZIA- Ivano Fossati


L'articolo   che  riporto sotto    tratta un argomento serissimo e molto critico in maniera  sagace  ed ironica  La democrazia, se non opportunamente supportata da regole   e  da buon senso  inflessibili, rischia (  semre che  non lo sia  già )  la sua stessa fine. Infatti è necessario riconoscere quando un soggetto pubblico (  e no solo  )infrange le regole, quando un personaggio pubblico passa il Rubicone, ed intervenire oltre la  normale  durezza  . Quando non è stato fatto, in passato, la democrazia è stata sovvertita da questi soggetti che ,in nome del loro credo, hanno ridotto  e  cancellato le libertà una volta al potere.


Per cui sarebbe antidemocratico non consentire a chi lo vuole fare di usare epiteti come “frocio”, “ricchione” o “culattone”


Dai, ragazzi, dovremmo essere davvero contenti.Con tutti quelli che stanno prendendo posizione, in modo anche molto acceso e talora pittoresco, per la libertà di parola ed espressione direi che non dobbiamo preoccuparci di nulla. Il best seller autoprodotto del generalissimo ha fatto anche cose buone, dunque: abbiamo la certezza di trovarci davvero in uno stato democratico in cui la libertà di parola ed espressione è garantita e difesa. La difende con decisione quello che da ministro dell’Interno durante le sue manifestazioni faceva rimuovere gli striscioni (memorabile l’identificazione del ragazzo che brandiva il cartello con la scritta sovversiva: “Ama il prossimo tuo”). La difendono autentici nostalgici del Ventennio – mitica era in cui la cura per il dissenso e la libertà di parola era manganello e olio di ricino – invocando con alti lai la Costituzione antifascista, che fosse stato per loro nemmeno esisterebbe. La difendono quelli per cui se critichi il governo sei “antitaliano” e antipatriottico. La difendono ultracattolici per i quali, evidentemente, rivendicare “il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente” è una cosa altamente cristiana (c’è pure un sottosegretario che ha accostato le tesi del generale a quelle di papa Francesco: ma sì, in fondo è quasi un’enciclica).Meraviglioso, e rassicurante, no?Certo, ancora ce n’è di strada, per una vera “libertà di parola”. Pensate a quell’elenco – appunto – di parole che, in un passo del libro (22mila copie vendute, mica cotica), il generale elenca, con dispiacere, come espunte dall’uso. Certo, come sostengono tanti dei suoi difensori, per colpa del “pensiero unico”.
In effetti, che libertà è se non si può dire serenamente che gli omosessuali “non sono normali” (“normali non lo siete, fatevene una ragione!”, è scritto), o appellarli con tanti coloriti epiteti figli della più maschia tradizione? Dai, perché mai qualcuno dovrebbe offendersi o soffrirne? Perché mai questa distinzione dovrebbe essere la base per l’omofobia che genera esclusione, discriminazione e anche violenza?
Che libertà è se non si può serenamente sostenere (senza essere criticati e attaccati, che noia) che “le femministe sono moderne fattucchiere” la cui “subdola propaganda anti-maternità intesa come schiavitù della donna ha sicuramente contribuito alla crisi della natalità pur non conseguendo quei tanto pubblicizzati obiettivi di emancipazione femminile?”.
E perché mai qualcuno, magari un autorevole membro del governo, dovrebbe trovare queste tesi “farneticanti”? Non sarà mica di sinistra?
Ma che andate a pensare, su.In effetti, se in questo momento ci sono 22mila persone che stanno leggendo queste pagine, liberamente acquistabili, e noi che qui ne stiamo parlando, la libertà c’è. E forse quel “pensiero unico” (ma chiamiamolo direttamente "pensiero", va), che cosa bizzarra, garantisce persino la libertà di espressione di tesi del genere. Per il notissimo paradosso della tolleranza: una società tollerante deve tollerare gli intolleranti. Quelli che trovano ogni forma di inclusione deteriore, che bollano come “diversi” gruppi nei quali non si riconoscono, o non riconoscono il “noi” in cui si identificano (gli eterosessuali, i bianchi, i maschi, gli occidentali…). Quelli per cui l’accoglienza è “buonismo”, e la giustizia sommaria è solo giustizia in purezza, senza quei lacci e lacciuoli dei codici e dei tribunali. Quelli per cui esisterebbe una “dittatura delle minoranze”, che si spinge fino a togliere a loro – autoproclamata maggioranza – il sano diritto a dare dei “non normali” a tutti gli altri (e li costringe a dover rinunciare a epiteti come “frocio”, “ricchione” o “culattone”: ah signora mia, che rinunce lessicali e umane che ci chiede, questo mondo buonista e progressista!). Peccato che la democrazia consista proprio nel modo in cui le maggioranze sanno prendersi cura delle minoranze, e garantire i loro diritti.Ma dai, su queste cose noiose stiamo lavorando: i diritti di chi non vuole i diritti per tutti sono sempre una bella sfida, e una certezza democratica.


Infatti  mentre    ho fiito di  copiare quest articolo  e  che  mi arriva   la notifica    no ricordo se  di bing  o    di google    di tale   notizia  



la  stampa   23 Agosto 2023Aggiornato alle 19:47


“Ebrei una razza di mercanti che stuprano donne”. La canzone di De Angelis solleva la protesta della comunità ebraica: “Parole vergognose”
Un’altra bufera in Regione Lazio coinvolge il capo della comunicazione, che si difende: «Sono cambiato, imbarazzo e orrore per Settembre Nero» 

  


Il testo antisemita di una canzone scritta da Marcello De Angelis, capo della comunicazione della Regione Lazio, ha scatenato prima il Pd e poi lo sdegno della comunità ebraica, causando una bufera all’interno della Regione. Una nuona bufera, dopo quella della «riscrittura» della Strage di Bologna.«Ripudiamo i luoghi comuni dell'antisemitismo e le vergognose distorsioni della verità storica". Lo ha scritto sui suoi canali social il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Victor Fadlun, commentando la canzone antisemita «Settembre Nero», il cui testo è stato scritto da Marcello De Angelis, responsabile della Comunicazione Istituzionale della Regione Lazio.
«Un testo che riprende stereotipi antiebraici - ha detto Fadlun - e distorce gli avvenimenti storici, elogiando il terrorismo palestinese macchiatosi di imperdonabili atrocità a danno di innocenti atleti israeliani nell'attentato del settembre del 1972 presso il villaggio olimpico di Monaco».
«Marcello De Angelis, dopo le dichiarazioni fasciste sulla strage di Bologna, si ripete e sporca nuovamente le istituzioni del nostro Paese, definendo gli ebrei 'una razza di mercanti, che cantano pace ma stuprano donne'. Di fatto rispolverando la vecchia propaganda antisemita, nazista e fascista, che l'Italia ha conosciuto fin troppo bene», tuona l'assessore al Patrimonio e alle Politiche abitative di Roma Capitale, Tobia Zevi.
«La canzone, cantata dal gruppo di cui è frontman e autore '270 bis' - aggiunge - è stata reinserita addirittura nel 2003 nel best of della banda, quindi tutt'altro che rinnegata. Caro De Angelis, io sono ebreo, ma non sono un mercante, come se fosse un insulto esserlo, non appartengo a nessuna 'razza' e non sono uno stupratore di donne. Con quale supponenza il portavoce della Regione Lazio tenta di giustificare le azioni dei terroristi di Settembre Nero dando responsabilità inesistenti agli ebrei? Mi auguro che il governatore Francesco Rocca, davanti a un episodio così chiaro di antisemitismo, prenda subito le distanze da De Angelis - conclude Zevi - e lo allontani definitivamente dalla Regione Lazio e da qualsiasi altro incarico istituzionale»
La risposta del capo della comunicazione della Regione non si è fatta attendere: «Il testo della canzone Settembre Nero risale a un periodo della mia vita in cui non mi riconosco. A rileggere quelle parole oggi provo imbarazzo e orrore, così come oggi non riscriverei altre canzoni realizzate in passato. Negli ultimi vent’anni la mia vita è radicalmente cambiata, anche e soprattutto grazie alla mia esperienza umanitaria in Croce Rossa. Ho dedicato anni al rispetto dei valori dell'imparzialità e della neutralità, porta di aiuto a chi soffre e facendo del mio meglio per mettermi al servizio del prossimo senza distinzioni. In questi vent'anni ho radicalmente cambiato la visione della vita, dell'umanità e di me stesso. Sono consapevole che il testo di quella canzone possa provocare ancora oggi offese e sofferenza. Non posso purtroppo tornare indietro e cancellare il passato. Posso solo impegnarmi ogni giorno per riparare».
Carlo Calenda, segretario di Azione: «Questo De Angelis ha passato il limite da molto tempo. Rocca dovrebbe averlo già licenziato. C'è in questo paese un ribollire di schiuma razzista, omofoba e antisemita che va fermato. E Giorgia Meloni non può continuare a far finta di nulla».

DIARIO DI BORDO ( n°1 anno I ) .Sgarbi contro i direttori stranieri nei musei italiani: “No, la destra sovranista confonde il patriottismo con il provincialismo”

 come  accennavo nel   n°4  del diario   della settimana   ecco  la  nuova  rubrica  , diario di bordo  ,  del blog  .

Foto Pietro Masini / LaPresse 22-01-2021
 il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt  riapre la galleria dopo la chiusura per COVID ,

Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sulla giusta attribuzione – o meno – degli incarichi di direzione dei musei italiani a personale straniero: l'intervento di  Vittorio Sgarbi, Sottosegretario alla Cultura del governo Meloni, provoca polemiche  .
 
Infatti  Sgarbi   , oltre a difendere a spada tratta e bambinescamente il generale Vannacci arrivando  a paragonare   il suo libercolo ( scaricato appositamente da telegram ho letto introduzione compresa i primi due capitoli disgustato lo eliminato ) , pur  superare Salvini in retromarcia  - tenetevi forte - Vannacci e Papa Francesco.  All su considerare   finita la stagione degli stranieri a capo dei musei del Belpaese, gli ha  risposto   Maria Elena Boschi, parlamentare Iv, la  quale ritiene, al contrario, che sia una scelta giusta e opportuna.
Stavolta  ha  ragione  . Qui di seguito, il    parere di Maria Elena Boschi.  dal https://www.ilriformista.it


Vittorio Sgarbi ci ha abituato negli anni alle sue provocazioni e uscite controcorrente. L’ultima riguarda la “crociata” contro i direttori stranieri di alcuni dei principiali musei italiani al grido di “siamo arrivati noi, se ne devono andare loro” che Sgarbi ha lanciato qualche giorno fa dalla Toscana.Smentito, seppur senza troppa convinzione dal ministro Sangiuliano che già in passato aveva rilevato “l’anomalia” di troppi – suo dire
– direttori stranieri in Italia, ha fatto marcia indietro sostenendo che si trattava solo della battuta di un brigante (essendosi presentato all’evento travestito, per l’appunto, da brigante ciociaro).A prescindere dal travestimento, non possiamo dimenticare che sotto gli abiti, Vittorio Sgarbi resta non solo uno dei più noti critici d’arte italiani ma soprattutto l’attuale sottosegretario alla cultura. E quindi non possiamo prendere troppo sul ridere la sua provocazione anche se speriamo resti tale.In realtà, le parole più o meno serie di Sgarbi portano alla luce un pensiero molto diffuso nella destra italiana sovranista, specie in casa Meloni, che ritiene che essere patriottici significhi trasformarsi in provinciali e precludere al proprio Paese delle occasioni di scambio e di arricchimento.Nel 2014 con il governo Renzi e il ministro Franceschini varammo una importante riforma che apriva i musei italiani anche ai direttori stranieri e soprattutto concedeva maggior autonomia ai musei anche in termini organizzativi e di scelta dei collaboratori.All’esito di una procedura pubblica, con una commissione di esperti molto qualificata, il ministro e il direttore della direzione dei musei di allora scelsero 20 nuovi direttori di musei. Tra questi 7 erano stranieri, gli altri 13 erano italiani alcuni di rientro da prestigiose esperienze all’estero. 10 donne e 10 uomini.Il mandato del presidente Renzi fu quello di portare i musei italiani nel futuro e devo dire che in gran parte la sfida è stata vinta se pensiamo, ad esempio, al rinnovato dialogo tra Brera e Milano e alla apertura di nuove sale, ai risultati straordinari anche in termini di visite degli Uffizi, o alla trasformazione incredibile in ottica di sostenibilità ambientale di Capodimonte o al Bosco Reale riconsegnato alla città.Ho avuto modo di visitare tutti questi musei personalmente negli ultimi anni e, grazie anche alla mia esperienza in Commissione Cultura, di poter studiare i dati e conoscere da vicino il lavoro eccellente di molti di questi direttori. Di recente, con il direttore Bellenger abbiamo visitato una mostra straordinaria di Capodimonte al Louvre inaugurata da Mattarella e Macron che è un grande successo per Parigi e per Napoli.I direttori stranieri sono stati scelti per il loro curriculum non per la carta di identità. Poco interessava dove fossero nati, ma dove avessero studiato, si fossero formati e il prestigio della loro precedente esperienza personale. Sono state scelte persone competenti a livello mondiale, come Schmidt, uno dei più stimati esperti di arte fiorentina, ma anche managers capaci di portare una visione diversa e una nuova organizzazione.I risultati sono arrivati e sono oggettivi in termini di aumento delle opere esposte al pubblico, restauri, ammodernamento delle strutture, digitalizzazione, mostre temporanee e scambi, progetti educativi, percorsi specifici per portatori di bisogni speciali, pubblicazioni e donazioni private.E anche di numero di visitatori con annessi biglietti che tanto stanno a cuore al ministro Sangiuliano e che hanno sicuramente una loro importanza per far quadrare i conti, sebbene i musei non possano essere visti solo in ottica commerciale ma come grande servizio educativo per le persone.E allora gli italiani? Gli italiani sono per fortuna considerati, grazie anche alle nostre università, tra i più bravi al mondo. Non a caso, non solo guidano la maggior parte dei musei italiani, ma molto spesso sono chiamati a farlo in musei, fondazioni, istituti tra i più prestigiosi al mondo.La bellezza della cultur aè proprio questa: si arricchisce con gli scambi, il confronto, il dialogo, le esperienze con mondi diversi. Soprattutto nella cultura e nell’arte non ci possono essere stupidi confini nazionalisti o sovranisti perché da sempre la potenza e la bellezza dell’arte e della cultura sono stati capaci di superarli. Oggi allora la sfida è continuare a scegliere i migliori, italiani o stranieri. Del resto, nessun italiano vorrebbe che gravasse su di lui il dubbio che è stato scelto per la sua nazionalità anziché per la sua competenza.Spero che il ministro Sangiuliano, a cui spetta l’ultima parola, individui le persone più capaci senza farsi attrarre dalle sirene sovraniste già all’opera in vista delle prossime europee e non dimentichi i molti talenti femminili che ci sono anche nel mondo della cultura. Non vorremmo mai che alla fine dovesse prevalere l’antico detto “Arlecchino si confessò burlando”, anche se se sotto le spoglie di un brigante ciociaro.


 

23.8.23

“Siamo un branco di falliti” Stupro di Palermo, la lezione della prof Giovanna Corrao a insegnanti e genitori

leggi anche 
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2023/08/nomi-e-cognomi-di-daniela-tuscano.html



il  discorso       riportato  sotto     con video   preso   da  “Siamo un branco di falliti” Stupro di Palermo, la lezione della prof Giovanna Corrao a insegnanti e genitori – DC NEWS  


 Con un video sulla sua pagina Facebook la professoressa Giovanna Corrao, che insegna letteratura italiana e Filosofia a Palermo, bacchetta senza tanti giri di parole le famiglie dopo lo stupro di gruppo al

Foro Italico di Palermo da parte di giovanissimi. “Siamo un branco di falliti. I nostri figli stuprano le ragazzine! Quindi qualcosa è andato male nel nostro progetto genitoriale. Vi fate i fatti vostri e lasciati i figli davanti ai cellulari. Dovete controllare i vostri figli”. Il video ha già avuto oltre un milione di visualizzazione e decine di migliaia di like e di commenti.migliaia di like e di commenti. (QUI  SOTTO  IL SUO VIDEO INTEGRALE  . SE  NON LO  TROVATE   LO TROVATE  qui su https://www.dcnews.it/)

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S'applica   anche (    lo so  benissimo  ci  sono passato ed  ho superato  \ lasciato  alle spalle  quella  fase  della mia pornodipendenza  e  maschilismo  ) a quelli  che    cercano  a tutti i costi  anche  a  pagare   il video  delle  stupro . infatti  








22.8.23

nomi e cognomi di Daniela Tuscano

 Pubblico. Non pubblico. Pubblico. L'indecisione non riguarda la privacy dei bruti, che non ne hanno alcun diritto. Mi ha trattenuta la volgarità che promana da quei ceffi, la fisionomia piattamente banale, di quella nullità che emana fetore di morte. Il bruto è brutto, anche quando ha lineamenti regolari, suscita schifo e inquina. Ecco, non volevo inquinare le mie pagine. Ma l'avevo già fatto. Lo #stuprodipalermo, preceduto e seguito da altri -


senza dimenticare il massacro di una dodicenne fiorentina da parte di coetanei, avvenuto mesi fa - si è inverato nell'anniversario della #stragedelcirceo, l'origine del Male. Una "coincidenza" simbolica. Ma ad #angeloizzo, che ancora manteniamo a nostre spese nelle patrie galere, e scrive pure libri thriller, vedevi ancora il lampo satanico negli occhi a palla. Qui non vedi nulla. Satana si è nascosto nelle pieghe dell'ordinario, in bruti dalle facce anonime, grossolane, sì, ma inosservabili, e per questo ancor più insidioso e feroce. Da anni invoco una #norimberga per #stupratori e #femminicidi, ma anche per giudici e forze dell'ordine che invece di tutelare la vittima la lasciano sola, quando addirittura non la colpevolizzano. Sì, pubblico. Anche perché in casi come questi di solito è sempre la ragazza a essere sbattuta in prima pagina, e ci sembra normale.