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9.5.25

diario di bordo n 120 anno III . filippo loddo si rade i capelli per solidarietà alla moglie senza capelli per un tumore ., Dopo 86 anni, Virginia torna nella scuola da cui fu espulsa per le leggi razziali, pallone

  fonti  social  ,  msn.it  \  microsoft   edge , galluraoggi  e tutto quello che avete riconosciuto 


Quelli che vedete in foto sono Filippo Loddo, di Cagliari e sua moglie.


Filippo ha deciso di rasarsi i capelli a zero in segno di vicinanza alla moglie da tempo malata di tumore, alla quale i capelli sono caduti a causa delle cure che deve affrontare.
Oltre ai tanti mezzi uomini che maltrattano, violentano, uccidono le donne, ci sono uomini come Filippo che meritano di essere rispettati ed apprezzati per come amano e stanno vicini alle loro mogli, compagne, fidanzate.

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Dopo 86 anni, Virginia torna nella scuola da cui fu espulsa per le leggi razziali

 Ottantasei anni. È questo il tempo trascorso prima che Virginia sia tornata nel cortile della scuola elementare di Roma che frequentava e da cui fu allontanata perchè ebrea.  Virginia Della Seta ha oggi rivisto quel cortile, ha in qualche rivissuto l'allegria di allora nelle pause delle lezioni in classe, prima che le leggi razziali promulgate dal governo fascista e definite con la firma del re imponessero a lei e a

migliaia di altri, tra bambini, adolescenti e adulti, il divieto di accedere a scuole, mestieri, attività professionali. E qui oggi, nella scuola ora chiamata 'Alberto Cadlolo', in via della Cordicella, zona Sant'Angelo, e che fa parte dell'Istituto Comprensivo 'Virgilio', è stata scoperta una lapide che ricorda la sua vicenda e quella analoga di tanti altri scolari ebrei. E lei oggi c'era, accompagnata dal figlio Roberto Pierluigi e stretta nell'abbraccio delle alunne di quarta e quinta elementare.
La storia di Virginia
Accolta dall'Inno di Mameli suonato e cantato dalla classe di 5^ elementare, con lei che accompagnava con il movimento delle labbra e della mano destra quelle note e quelle parole. Nata nel 1929, Virginia aveva otto anni e frequentava la terza elementare quando durante l'anno scolastico 1937-38 intervennero le leggi razziali che le imposero di lasciare quella scuola, di lasciare le amichette di classe e di gioco, di cambiare vita, di sentirsi 'diversà, perché ebrea o perché rappresentava altro comunque non gradito al regime fascista. Proseguì la scuola elementare alla Umberto I, dove l'allora ministero della scuola o istruzione aveva istituito una classe per bambini ebrei ma con lezioni al pomeriggio, perché non dovevano incrociare gli altri scolari...
Dopo 86 anni, Virginia torna nella scuola da cui fu espulsa per le leggi razziali
Il padre di Virginia e altri componenti della famiglia paterna - nonni, zii, cugini - con il rastrellamento nel ghetto di Roma vennero deportati nell'ottobre 1943 dapprima nel campo di concentramento di Fossoli (Modena), da dove il papà riusciva a far pervenire lettere a moglie e figlia, e poi ad Auschwitz, da dove non tornarono. Nelle ultime due lettere da Fossoli il papà le scrisse che sarebbero stati trasferiti altrove, ma non sapevano dove. In seguito, nel dopoguerra, si è saputa quale sia stata la loro ultima destinazione. La targa affissa oggi a una parete interna alla scuola, a destra appena varcato l'ingresso, è una iniziativa dell'ADIMS, l'Associazione docenti italiani per la memoria nelle scuole ed è in ricordo degli alunni espulsi nel 1938 a causa delle leggi razziali.
Dopo 86 anni, Virginia torna nella scuola da cui fu espulsa per le leggi razziali
Al nome di Virginia si è arrivati attraverso una meticolosa ricerca in questi ultimi anni negli archivi del Ministero dell'Istruzione, "e non è stato facile farla questa ricerca - dice all'AGI la presidente dell'ADIMS, Tiziana Della Rocca - abbiamo chiesto con insistenza di essere ascoltati. Siamo riusciti ad arrivare agli archivi della scuola Regina Margherita (a cui faceva all'epoca riferimento la 'Cadlolo' di oggi, ndr) e li' si parla di bambini e studenti espulsi perché ebrei. E sono stati trovati gli archivi di tre scuole: Mameli, Trento e Trieste, che fanno parte del complesso del Virgilio". Nella Regina Margherita c'erano anche i registri della sezione ebraica della scuola di via Sant'Ambrogio (nell'ex Ghetto ebraico, ndr) che dipendeva dalla Trento e Trieste". Un riscontro si è avuto attraverso gli archivi della Comunità ebraica di Roma, e in quella che è l'attuale Cadlolo risultavano 2 alunni, tra cui appunto Virginia, e una insegnate di cognome Levi, mentre alla Regina Margherita una quarantina di nomi, e alla Trento e Trieste una decina. Con l'apposizione e lo scoprimento di questa targa "diciamo ai ragazzi della Cadlolo, della Virgilio e della scuola ebraica - sottolinea Della Rocca - cosa è allora successo, diciamo dove abbiamo trovato i nomi. Guardando la targa i ragazzi possono sapere subito cosa è accaduto. È importante coinvolgere i giovani, perché saranno poi loro a tenere viva la memoria di quanto successo".
Il preside Alessio Santagati ha parlato di "giornata emozionante nata con il duplice scopo di riportare in qualche modo in vita quei bambini ricordandone i nomi. Coltivare il ricordo e la memoria è il modo per costruire un mondo migliore". La presenza di una rappresentanza della Comunità ebraica di Roma, di genitori e docenti è "uno splendido esempio dell'inclusione, dell'universalità. A Virginia restituiamo simbolicamente uno dei momenti scolastici che le sono stati rubati".
A sua volta Ludovica Cantano Di Ceva, presidente del Consiglio di Istituto e organizzatrice dell'evento, ha sottolineato che "ricordo e passione per l'inclusione sono passaggi chiave dello stare insieme e per non dimenticare". E l'assessore alla Memoria dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane ha espresso "apprezzamento per questa scuola e per le altre che vogliono interrogarsi su cosa significhi il ricordo al di là della retorica, capire quella ferita profonda e ricordarci sempre dell'articolo 3 della Costituzione italiana, del principio dell'uguaglianza".
Emma, scolara di 5^ elementare, ha letto un passaggio di 'Una bambina e basta', autobiografia di Lia Zevi, e una serie di pensieri che di sua iniziativa ha voluto mettere nero su bianco, tra cui quello che ricorda "il valore del sacrificio di tanti bambini meno fortunati di noi, e ci auguriamo che queste ingiustizie non si ripetano più".
È intervenuto Roberto, che si è fatto portavoce della madre Virginia: "Molto emozionante tornare in questa scuola dopo 86 anni, da cui ero stata allontanata solo perché ebrea. Le leggi razziali rappresentano tuttora uno dei momenti più bui della nostra storia. Un futuro che mai avremmo immaginato come è stato, mio padre e altri 6 familiari, tra cui un bimbo di 2 anni, deportati. Avevo 14 anni quando mio padre è stato arrestato a causa della delazione pagata 5mila lire dell'epoca. I valori inviolabili della persona è qualcosa che è rimasto dentro di me per tutta la vita. Grazie per l'accoglienza, grazie alla scuola e all'associazione". E il figlio ha aggiunto di suo "grazie mamma per essere presente qui con noi in questo bellissimo evento". Virginia poi, circondata dalle scolare, ha commentato "era molto bello stare insieme qui in cortile e in aula". La materia che le piaceva studiare di piu'?, le ha chiesto una bambina, e lei ha risposto "l'italiano e un po' il francese". E poi di nuovo, a chiusura manifestazione, ha accompagnato con mano e movimento delle labbra l'Inno di Mameli che la scolaresca le ha ancora riservato.


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Nel campo di street basket a La Maddalena arriva il “pallone sospeso”








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La nuova vescova di Oslo è donna, ha i rasta e fa yoga durante la messa (e no, non è strano)


A fine febbraio, nella chiesa di Fagerborg a Oslo, Sunniva Gylver ha celebrato la sua ultima funzione prima di diventare vescova luterana. A un certo punto si è sdraiata a piedi nudi davanti all'altare sopra a un materassino, i fedeli non si sono scomposti e l'hanno seguita, mettendosi in posizione da yoga prima
© JONATHAN KLEIN
di recitare il Padre Nostro.
Per Sunniva Gylver non è certo un problema mescolare yoga e cristianesimo anzi. "Non ho mai visto una vera contraddizione tra espressioni moderne e antiche tradizioni, tra la spiritualità classica e le nuove forme emergenti", ha affermato Gylver che sta diventando famosa, anche sui social, per via del suo approccio anticonformista e progressista alla religione cristiana.
Sunniva Gylver ha una lunga chioma di dreadlocks e il piercing al naso, si veste spesso con una t-shirt nera con la scritta "Prest", che in norvegese significa "Pastore", è istruttrice di yoga, non prende aerei per tutelare l'ambiente e, una volta diventata vescova di Oslo, ha rifiutato la grande residenza ufficiale scegliendo di rimanere nel suo piccolo monolocale di poco più di 30 metri quadrati che condivide con la sua Jack Russell Terrier, Milla. Per lei l'anticonformismo è fondamentale nella religione cristiana: "Se tutti dovessimo vestirci in modo formale o con un abito grigio, questo comunicherebbe qualcosa su Dio", ha detto ad AFP, "Credo che dovremmo visualizzare e mostrare di più la diversità che realmente esiste nelle comunità cristiane".
Gylver ha 57 anni, è una teologa e pastora e pensa che lo yoga possa aiutare i fedeli a rilassarsi, essere più presenti nella preghiera e "accogliere qualcosa di più grande di sé". Per questo nelle sue funzioni incorpora dei momenti dedicati alla pratica yogica direttamente tra i banchi della chiesa. La vescova è anche un esempio di progressismo nel cristianesimo: sostiene il matrimonio tra persone dello stesso sesso e il diritto all'aborto. È anche molto attenta al dialogo interreligioso: "Sono abituata a questa diversità di fede e di posizioni di vita, mi piace e penso che ci arricchisca", ha spiegato Gylver il cui marito, morto per un tumore, era ateo, così come due dei suoi tre figli ormai adulti.

                                                             © JONATHAN KLEIN

Gylver, d'altra parte, ha affermato di essere turbata dal modo in cui la religione viene strumentalizzata creando fratture funzionali a certe correnti politiche e non si è mai tirata indietro dal parlarne apertamente. "Quando Putin e Trump, nei loro diversi modi, usano il cristianesimo, la mia religione, in modo molto politicizzato e distruttivo", ha dichiarato, "per me è davvero importante che noi, come chiesa, alziamo le nostre voci per la giustizia, per la solidarietà, per l'accoglienza dello straniero tra noi, per una minore differenza tra poveri e ricchi".

L'ostentazione del lusso e della ricchezza nell'annuncio della gravidanza di Giulia De Lellis del quale non sentivamo il bisogno.

 Anche stavolta  , la  giornalista di cronachedallasardegna.it  ,  che  di solito pubblica  anche gossip , stavolta      ha ragione,  dalla    sua  pagina  facebook






L'ostentazione del lusso e della ricchezza anche nell'annuncio della nascita della propria figlia.
Con tanto di banconote in mano accostate al ciuccio per Tony Effe, anelli griiffati tempestati di diamanti per la De Lellis, completino costosissimo con marchio a vista per la pupa. Tutto questo dopo lo scatto "rubato" ( o forse concordato?) di lei con la pancia di fuori che su Chi dava in anteprima la notizia della gravidanza e lei che solo ieri, mentre sponsorizzava il suo super gloss, criticava i giornalisti che non le avevano permesso di dare per prima la notizia. Se questi sono i presupposti, immagino cosa sarà il resto della gravidanza e della crescita di questa bambina che già immagino esposta h24 ai riflettori. La classe e l'eleganza, anche nel trattare un argomento come una gravidanza, sono proprio altra cosa. E sicuramente non dipendono dal conto in banca.


Quel mazzo di banconote e  gli anelli  esibiti così chiariscono  , almeno dovrebbero ,  la personalità della persona.Forse però dovremmo evitare di commentare ( e  possibilmente   di   non parlarne troppo  )  è tutta pubblicità gratuita a favore loro Ignoriamoli ,e  vedendo  che     non han  riscontro  i media  gli ignoreranno  ,  nessuno si ricorderà più di loro.E' ora di fiirla  basta  . Smettiamola    di seguirli  ,  di  cadere  nelle  loro provocazioni esibizionistiche  e  non solo  





come dimostra  questo estratto    video ( qui il vieo  completo   ) preso da Kiko. Co Video Emozionali 
La giustizia può colpire chi sbaglia, ma anche chi la usa per profitto.

7.5.25

in attesa di le altre storie di pippo novecento

La prossima  settimana su topolino  Pippo  ( copertina  a  sinistra)  torna a vestire i panni del pianista più talentuoso di tutti i mari in una nuova, grande avventura firmatada Alessandro Baricco,Tito Faraci e Giorgio Cavazzano.
Cresciuto tra musiche e maree,Danny Boodmann P. P. Pippo Novecento, meglio noto anche solo come Novecento, è lo straordinariopianista che tutte le sere intrattiene con le sue performance i viaggiatori del transatlantico Virginian. Era approdato sulle pagine di Topolino esattamente 17 anni fa in La vera storia di Novecento, racconto a fumetti ispirato al monologo teatrale Novecento, di Alessandro Baricco,torna a suonare per noi in una nuova avventura. Per l'occasione, si è riformato il triogià autore della prima storia .Dalle anticipazioni delle scorse settimane n'è risultato Un midquel  in perioo in cui in  ambito artistico ssi tene a realizzare    più  seguiti  o   remarke .
 Ora  non importa  se , il  ritorno di baricco  sulle  pagine  del settimanale  sia  dovuto  ad un lungo travaglio   interiore  come  dichiarato in    alcune anticipazioni da  Tito  faraci : 

 CIAO, TITO. BEN RITROVATO.SONO PASSATI TANTI ANNI DALLA PRIMA STORIA, COM'È NATA L'IDEA DI TORNARE A SCRIVERE DI NOVECENTO?

«Alessandro era così felice del risultato di quella prima storia, che, diversi anni fa,gli ho proposto di andare avanti. Ci ha pensato e poi, di colpo, ha detto che pur non avendo mai voluto e autorizzato seguiti di Novecento, perTopolino (e Pippo) avrebbe fatto un’eccezione! L'idea è rimasta lì un paio di anni:doveva maturare e, allafine, sorprendendo entrambi, siamo salpati di nuovo insieme con una fitta collaborazione e un costante scambio di idee, oltre a tante risate».

 oppure    per  bisogno   di pubblicità  o  per   necessità ecomiche, porterà  sicuramente  una storia   sublime   ed  affascinante     come la    come  la precedente   . 
Infatti «Sì,  è  colmato un'assenza   che  era dispiaciuta   ai lettori  (  che  magari  hano  visto il  film  o letto  l'opera  )    , sotto   scritto compreso ,  della   prima sroria: quella di Gambadilegno. Lui sarà ,  come    riportano  alcune aticipazioni  il cardine di questo “midquel”. Dai disegni   qui  riportati    ,  e locandine    in anteprima  trovate  in rete   ipotizzo    che    gli autori    hanno  saputo  immedesimarsi  nei lettori    più  anziani è venuto naturale portare a bordo anche Trudy, «  in  un ruolo fortemente (e brillantemente) ---  sempre  Tito Farci ---- voluto proprio da Alessandro Baricco  . 



 Essi abbiano anche ripreso e approfondito personaggi  già apparsi nella prima storia e, mentre sceneggia vo, ho attinto a  tante sezioni del  Novecento originale  che non avevano trovato posto nella prima storia a fumetti. [....] ». Ci  saranno conoscendo  il calibro   degli. autori  in questione  e     altre  sorprese  ... che scopriremo  leggendo la storia e  usando  la nostra immaginazione    .


Infatti   riporto  diettamente   dal  pdf     l'intervista  integrale  a  Cavezzano   rilasciata      come quella  di Faraci  su   questo  numero     in edicola  di topolino   che   conferma  che  sarà un numero speciale    , da  collezionare  e conservare   per  i nipoti 






 il  che fa  bene  sperare  .    con questo  è  tutto   alla  prossima  

6.5.25

anche la trap come i neo melodici elogia i boss . ecco perchè non si riesce a sradicare la cutura delle mafie e la mafia prospera sempre più


La procura di Catania ha avviato accertamenti sulla performance del rapper Baby Gang che, prima di esibirsi con 'Italiano', avrebbe fatto sul palco una videochiamata con il coautore della canzone, Niko Pandetta, nipote del boss mafioso Turi Cappello, detenuto da ottobre del 2022 a Rosarno in Calabria per spaccio di sostanze stupefacenti.




 Non è ancora chiaro se la videochiamata fosse in diretta o registrata. Nel carcere di Rosarno, e in particolare nella cella di Niko Pandetta, la polizia penitenziaria ha trovato un telefonino.

finalmente una donna che dice che non c'è bisogno i trucchi , filtri , chirurgia estetica , ed altre diavolerie per essere bella

 Le donne sarde, patrimonio della società da millenni.



Vedo la foto della signora Maria Marongiu di Trattalias con in testa e nelle mani brocche colme d'acqua fresca presa alla fonte da portare a casa per dare da bere alla sua famiglia o cucinare e non posso che pensare alla bellezza di questa donna.Una donna che negli anni cinquanta del secolo scorso, portava avanti la sua famiglia, i figli, la casa, le proprietà faticando tutto il giorno e sempre con il sorriso come in questa foto postata dalla signora Gaia Mongittu.Senza bisogno di filtri, gioielli, trucco, parrucco o abiti eleganti la signora Maria emana la bellezza fiera della donna sarda che da secoli domina la nostra società matriarcale. Personalmente l'ho trovata bellissima ed avevo il piacere di condividerla con voi.

giorgio minisini e arianna sancripane simbolo d'inclusioe e amicizia

 




Arianna Sacripante ha 33 anni, è romana, ha la sindrome di Down e un amore profondo per l’acqua. @giorgiominisini_ è campione del mondo di nuoto artistico, primo uomo italiano a vincere l’oro in una disciplina che fino a pochi anni fa era considerata solo femminile. Due percorsi diversi, un’unica visione: usare lo sport per costruire ponti, non barriere.Si sono incontrati grazie al @progettofilippide, che promuove l’inclusione delle persone con disabilità attraverso l’attività sportiva. Dall’allenamento alla competizione è nata un’alchimia che va oltre la tecnica: insieme trasmettono forza, amicizia e rinascita.Agli Europei di Roma 2022, davanti a migliaia di spettatori, hanno danzato in acqua sulle note di “Imagine” di John Lennon. Una scelta non casuale. Il loro numero non era in gara, ma ha toccato il cuore di tutti. Un’esibizione simbolo, fatta di gesti semplici ma potenti, che parlano di libertà, uguaglianza e del coraggio di essere sé stessi ♥️


diario di Bordo SPECIALE Ora è ufficiale. Non solo con le bombe e con la fame, ma anche con un voto israele vuole fare piazza pulita nella striscia di gaza

 Il governo Netanyahu ha votato (all’unanimità) l’occupazione militare totale della Striscia di Gaza, la deportazione forzata della popolazione palestinese e il controllo di tutta l’area nelle mani dei privati, confermando anche lo stop agli aiuti umanitari con cui sta affamando i civili.
Il criminale internazionale Benjamin Netanyahu ha gettato definitivamente la maschera.Quello che già era nei fatti ora sta scritto anche nero su bianco.Nessuno potrà più usare il vigliacco attacco di hamas del 7 ottobre come alibi per giustificare quella che è sempre più dichiaratamente un’occupazione militare e un genocidio ( lo so che molti è improprio chimarlo cosi ma io non trovo altri termini più adatti ) come testimonia le dichiarazioni di medici senza frontiere riportate sotto


 

da ariannastrega di Threads1 h
“L'Apocalisse assomiglia al Nord di Gaza, non ho dubbi. Me la sono sempre immaginata così la fine del mondo” ha detto Martina Marchiò, responsabile di @medicisenzafrontiere “Non ho dubbi. Lo vedo negli occhi dei bambini, lo sento nelle parole disperate di una bimba di 10 anni: 'Ho fame, hai qualcosa da darmi?' mi chiede puntando i suoi grandi occhi scuri nei miei. La guardo e resto in silenzio, provo vergogna per questa umanita in bilico e forse un po' anche per me stessa.”MediciSenzaFrontiere



Nessuno potrà più dire: noi non sapevamo o non avevamo capito. Perché è la stessa Israele a dirlo, a rivendicarlo, a votarlo ed confermarlo .Chiunque oggi, a partire dal governo con tutta la sua corte mediatica , finge di non vedere in nome di un’alleanza economica prima ancora che politica, è da considerare ufficialmente complice di questo massacro. E ne risponderà davanti alla Storia. Infatti adesso non hanno ancor più giustificazioni per fare

le vittime e piagniucolare dicendo che siamo tutti antisemiti quando gli si fa notare la loro prepotenza . Mi si dirà di non generalizzare e di non fare di tuttta l'erba un fascio .Vero , fra il popolo a non confondere con il governo , e che ci sono Israeliani che cercano il doaloo e la coesistenza \ convivenza co i palestinesi . Ma purtroppo ci sono, cari israeliani , un altissima percentuale che approva la politica del governo e dei coloni . Non piangete se poi i rimanenti ostaggi vivi o non vivi non ritornano . Non lamentatevi se non cosi voi stessi , perchè anche se voi vi credete assolti siete lo stesso con il vostro silenzio assenso ( eccetto i famiiarti degli ostaggi ) , dell'odio verso di voi destinato ad aumentare . Soprattutto quello più becero e vergnoso dell'antisemitismo . Un odio dove il confine con l'antisionismo Sara sempre più labile finendo per sovvraporsi l'uno con l'altro rendendo sempre più difficili , anche ai più esperti , distinguerli . Vedi la contrasta esibizione de
i Patagarri per la provocazione al Concertone al concertone del primo maggo 2025 o il caso dei turisti israeliani a Napoli dove




non so cos'alro aggiungere con questo è tutto

5.5.25

Ri-creare la vita da https://www.dols.it/

 


Pubblichiamo il vibrante appello per la pace della Inclusive Anglican Episcopal Church, diocesi d’Italia della Anglican Free Communion International e membro del Consiglio mondiale delle Chiese cristiane 

Ora più che mai, il mondo grida: pace e giustizia.
Ora più che mai questo grido, il grido dei popoli e della Terra, viene ignorato, deriso, calpestato da una cultura di morte che ha restituito alla parola «guerra» diritto di cittadinanza.
Di nuovo, come un secolo fa, udiamo appelli al riarmo per «garantire la pace».Eppure il Risorto è venuto per trasformare le spade in vomeri e le lance in falci (Is 2, 4), rovesciando i potenti dai troni e innalzando gli umili (Lc 1, 52). Non esiste infatti pace senza giustizia (Sal 85) e la giustizia si ottiene soltanto eliminando le strutture di peccato che opprimono uomini e donne nel pianeta: impoverimento, carestie, predazione economica ed ecologica, caporalato, migrazioni coatte, vari tipi di reificazione e schiavizzazione di interi gruppi umani, non esclusi i bambini/e, mancanza di assistenza sanitaria, abbandono degli anziani e dei disabili, privazione dei più elementari diritti umani e sociali, dall’istruzione al rispetto delle donne.Non si tratta di calamità, ma di fenomeni causati dall’uomo che creano condizioni di prevaricazione e violenza e di cui si nutre la malapianta della guerra. Facciamo nostre le parole che il vescovo di Roma Francesco, di v.m., ha pronunciato lo scorso 20 aprile nel messaggio pasquale Urbi et Orbi:

«La pace è possibile! Dal Santo Sepolcro, Chiesa della Risurrezione, dove quest’anno la Pasqua è celebrata nello stesso giorno da cattolici e ortodossi, s’irradi la luce della pace su tutta la Terra Santa e sul mondo intero», pensando soprattutto «alle sofferenze dei cristiani in Palestina e in Israele, così come a tutto il popolo israeliano e a tutto il popolo palestinese».Come Francesco, siamo preoccupati dal «crescente clima di antisemitismo che si va diffondendo in tutto il mondo», ma anche dal dolore della «popolazione e in modo particolare della comunità cristiana di Gaza». Assieme a Francesco, esigiamo tacciano le armi, «si liberino gli ostaggi e si presti aiuto alla gente, che ha fame e che aspira ad un futuro di pace».Ricordiamo egualmente le comunità cristiane in Libano e in Siria, lo Yemen stremato da un conflitto ultradecennale, l’Ucraina devastata nella quale i bombardamenti non hanno taciuto nemmeno durante la Domenica delle Palme, il Caucaso Meridionale, l’Armenia, l’Azerbaigian, il Myanmar i Balcani occidentali e tante parti dell’Africa – dalla R. D. del Congo al Sudan e Sud Sudan, dal Sahel ai Grandi Laghi al Corno d’Africa – ove a crudeltà inenarrabili si aggiunge una persecuzione anticristiana che colpisce specialmente le donne.E non dimentichiamo, a tal proposito, i patimenti delle donne afghane depredate dei più elementari diritti umani, le lotte e il sacrificio della società civile iraniana e di quella turca. La Resurrezione non riguarda una specifica religione, ma abbraccia l’anelito dell’intera umanità per una vita «più vita», una vita ricreata secondo la dignità che le spetta.

Catania, 4 maggio 2025, III Domenica di Pasqua
Memoria di S. Silvano di Gaza, vescovo e martire

La montagna che resiste (senza diventare un luna park). Le 19 bandiere verdi delle nostre Alpi

corriere  della sera  

di Alessandro Sala

Assegnati i riconoscimenti di Legambiente alle realtà che promuovono turismo dolce, rilancio di agricoltura e pastorizia tradizionali e progetti socioculturali per valorizzare le Terre Alte 





Alla base di tutto c’è l’amore. Per la montagna, per la natura, per le popolazioni che da esse dipendono. Ed è quello il vero carburante, per di più decisamente «green», che mette in moto non solo una diversa economia ma anche e soprattutto il motore di comunità che rischierebbero invece di scomparire. E allora avanti con questo carburante. Love baby love, da contrapporre al trumpiano Drill baby drill che ormai da tre mesi anima le politiche della prima potenza industriale mondiale. A produrlo sono in tanti. Associazioni, istituzioni, persone comuni. Tutti portatori di valori che mettono gli ecosistemi al centro della vita, anche e soprattutto nelle terre alte. Ed è a loro che sono state assegnate le bandiere verdi di Legambiente.
Sono 19 i nuovi vessilli che sventolano da ieri sull’arco alpino. «E che ben sintetizzano – spiega l’associazione del cigno – come l’attenzione e la cura crescente nei confronti del territorio montano passino sempre più dalla sostenibilità ambientale, volano fondamentale per queste aree interne». Quattro bandiere sono state assegnate a Piemonte e Friuli Venezia Giulia, tre invece a Lombardia e Veneto, due al Trentino, e una ciascuna a Alto Adige, Valle d’Aosta e Liguria. Sono ripartite in tre ambiti chiave: turismo dolce, pratiche legate all’agricoltura e alla pastorizia e progetti socioculturali. E tutte hanno come unico denominatore la crescita del territorio in un’ottica non soltanto turistica ma anche e soprattutto di recupero e rigenerazione. Fare in modo insomma che le montagne, spopolatesi nei decenni passati quando la vita più comoda della città è stata per molti un richiamo irresistibile, a fronte delle difficili condizioni di sopravvivenza in quota, tornino ad essere vive e abitate. È possibile e le realtà che hanno ricevuto ieri il riconoscimento ad Orta San Giulio sono lì a dimostrarlo.
Delle 19 bandiere assegnate, cinque sono andate a iniziative legate al turismo dolce, ovvero a una frequentazione che sia rispettosa del territorio, che non veda nella montagna solo un luna park da riempire da attrazioni, con sempre nuove piste da discesa che spianano boschi e modificano la morfologia dei pendii, una ridondanza di impianti di risalita, strutture estranee come zipline, rotaie per slitte meccaniche, panchine giganti, passerelle panoramiche in ferro e vetro e via dicendo. Che portano overtourism e non aiutano la rigenerazione. Altre cinque sono state assegnate per pratiche legate all’agricoltura, alla silvicoltura e alla pastorizia, ovvero attività che fanno parte della cultura delle terre alte ma che rischiano di scomparire, soppiantate dalla moderna industria dell’agroalimentare basata su coltivazioni e allevamenti intensivi e materie prime spesso importate. Le altre 9 sono state assegnate a progetti socioculturali per la promozione dei valori della vita montana e delle relazioni tra le comunità che ancora vivono in quota.
Tra le 19 bandiere verdi 2025 ci sono per esempio quelle assegnate al borgo di Ostana, in provincia di Cuneo, dove la Cooperativa di Comunità VISO A VISO, nata nel 2020, porta avanti una serie di servizi e attività incentrate su benessere, salute, welfare comunitario, turismo sostenibile e che hanno permesso al piccolo borgo piemontese che fronteggia l’iconica piramide di roccia del Monviso, una delle montagne simbolo delle Alpi, di rinascere, diversamente da tante borgate di quel territorio che nei decenni passate si sono completamente svuotate diventando in alcuni casi dei veri e propri borghi fantasma. C’è anche la storia della pastora e scrittrice Marzia Verona che ha deciso di vivere in quota portando avanti l’attività pastorale. Premiato l’impegno dell’associazione Progetto Lince Italia, Tarvisio, impegnata nello studio della lince specie a rischio, al rifugio Alpino Vallorch gestito dall’associazione "Lupi, Gufi e Civette" che si distingue per essere un centro di educazione naturalistica e turismo sostenibile. E anche la sottosezione del Cai Valle di Scalve che ha promosso la Via Decia, il cammino die boschi di ferro sulle Alpi Lombarde.
«L'Italia custodisce un patrimonio ambientale unico e strategico rispetto alla crisi climatica in atto, quale quello delle aree montane, luoghi di straordinario valore naturalistico, oggi in grande difficoltà a causa della carenza dei servizi, degli effetti del clima che cambia e dello spopolamento abitativo - sottolinea Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente -. Le bandiere verdi che ogni anno assegniamo alle migliori esperienze alpine ci raccontano come in questi territori ci sia però una risposta concreta a tutto questo. Esperienze che puntano su innovazione e sostenibilità ambientale che rappresentano un prezioso volano di sviluppo per i territori montani. In questo percorso, però, è importante non lasciare sole le comunità locali. Per questo chiediamo alle istituzioni e alla politica regionale e nazionale di fare la propria parte supportando i comuni montani attraverso interventi e normative in grado di promuovere una visione condivisa e un’azione coordinata anche su scala sovraregionale».
L'elenco delle nuove bandiere verdi
Riportiamo, di seguito, l'elenco delle nuove bandiere verdi ripartito nelle tra categorie:
Bandiere Verdi 2025 per iniziative legate al turismo sostenibile
1) Rifugio Alpino Vallorch e associazione Lupi, Gufi e Civette, presidio di educazione ambientale e sostenibilità nel Cansiglio (BL) nel promuovere la conoscenza e la tutela della Foresta del Cansiglio attraverso attività didattiche e ricettive eco-compatibili.
2) Consorzio Turistico del Pinerolese (TO) per la capacità di costruire una rete efficace tra operatori pubblici e privati per valorizzare il territorio del Pinerolese.
3) Parco Naturale Regionale del Beigua per un approccio integrato e lungimirante alla gestione del territorio, con un forte accento sulla sostenibilità ambientale e il turismo responsabile.
4) All’associazione Oplon, nata nel 2023 e costituita da un gruppo di giovani, impegnata nel rivitalizzare il territorio della Val Tramontina attraverso iniziative come il Threesound Fest e il progetto di recupero di Casa Abis; Tramonti di Mezzo (PN).
5) Sottosezione CAI Valle di Scalve (BG) per la realizzazione del progetto «La Via Decia - Il cammino dei boschi di ferro».
Bandiere Verdi per iniziative legate all’agricoltura pastorale e forestale
1) All’Azienda agricola Raetia Biodiversità Alpine di Patrizio Mazzucchelli (SO) per la costante e appassionata ricerca di varietà tradizionali a rischio di estinzione sia nella provincia di Sondrio sia nelle altre aree montane italiane ed estere.
2) Pastora e scrittrice Marzia Verona della provincia di Aosta;
3) Comunità di supporto all’agricoltura CRESCO della Val Varaita (CN) per la capacità di promuovere un’agricoltura sostenibile e multifunzionale.
4) AsFo "La Serra" – Agire insieme per tutelare il territorio (TO) per promuovere una nuova cultura del bosco e della cura del territorio, favorendo lo sviluppo territoriale e ovviando al progressivo degrado del territorio della Serra causato dall’abbandono delle pratiche agro-silvo-pastorali e dalla frammentazione fondiaria.
5) A.S.U.C. (Amministrazione Separata beni di Uso Civico) di Sopramonte, di Baselga del Bondone e di Vigolo Baselga (Trento) per aver seguito una gestione attenta e sostenibile di boschi, pascoli e prati aridi.
Bandiere Verdi per progetti socio-culturali
1) Vessillo green in Piemonte alla Cooperativa di Comunità VISO A VISO – Ostana (CN) che fa impresa coniugando la capacità di gestire un importante patrimonio edilizio pubblico con la necessità di essere un luogo di trasformazione, creando nuova economia e opportunità sul territorio
2) Gruppo ambientalista NOSC CUNFIN, Val Gardena (BZ) per tutelare l’area dei Piani di Cunfin, le formazioni rocciose della Città dei Sassi e il Gruppo del Sassolungo da ulteriori speculazioni.
3) Dominio Civico di Clavais, Ovaro (UD), per il progetto e l’attività di gestione del patrimonio collettivo a salvaguardia dell’eredità culturale della frazione di Clavais (Ovaro).
4) Associazione Casa Alexander Langer (UD) per la creativa esperienza culturale promossa nelle aree interne;
5) Associazione culturale di ricerca “Progetto Lince Italia”, Tarvisio (UD) perché grazie a decenni di studi sui grandi mammiferi carnivori e sulle loro interazioni con l'uomo, è stato possibile portare a termine con successo la reintroduzione della lince nelle Alpi Orientali.
6) Programma Alpha skills - Morbegno (SO) per la progettazione di strumenti e metodologie che supportino i giovani tra gli 11 e i 15 anni verso scelte formative e professionali ispirate alle Competenze Green;
7) Associazione EQuiStiamo APS e Comitato per la difesa del torrente Vanoi (BL e TN) per l’impegno nella sensibilizzazione e nella mobilitazione delle comunità locali sulla tutela delle risorse idriche, promuovendo alternative sostenibili alle dighe e un’alleanza tra territori montani e di pianura.
8) Cooperativa sociale Cadore – Dolomiti (BL) per promuovere l’inclusione sociale e la tutela ambientale mediante l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
9) Comitato per la tutela e la valorizzazione dei laghi di Serraia, Piazze e relativi ecosistemi (Altopiano di Pinè, Trento) per aver analizzato la situazione dei laghi dell’Altopiano di Piné, redigendo documenti, organizzando eventi pubblici informativi e avanzando proposte per contrastarne il degrado e migliorarne le condizioni ambientali.

4.5.25

diario di bordo n 119 anno IIII Zafar ex tassista pakistano che in italia fattura 8 milioni all'anno. «Non ho dipendenti italiani, non si fidano» ., La storia di Mattia Menghini : Al bivio della vita ha scelto la birra , Adidas Vs Puma: guerra in famiglia I marchi creati dai fratelli Adi e Rudolf Dassler che divisero gli sportivi Il vero pericolo

fonti corriere della sera tramite msn.it e unione sarda del 4\5\2025

Zafar, l'ex tassista pakistano che fattura 8 milioni all'anno. «Non ho dipendenti italiani, non si fidano»

Vendere agli immigrati in Italia il cibo del proprio Paese. Con questa semplice idea Zafar Iqbal, 61 anni, pakistano, è diventato un imprenditore di successo. Oggi è titolare di quattro punti vendita tra Bari e Brindisi. Nel suo market in Corso Italia, vicino alla stazione ferroviaria del capoluogo regionale pugliese, ogni giorno entrano circa mille clienti, tra stranieri e italiani. Sugli scaffali dei suoi negozi si trovano oltre duemila prodotti etnici: cibi halal, specialità africane, sudamericane, asiatiche. E il fatturato complessivo della sua azienda nel 2024 ha raggiunto 8 milioni.
Zafar è arrivato a Bari nel 1996 direttamente da Rawalpindi, città a sud di Islamabad, con un biglietto di sola andata e il sogno di una vita migliore. In Pakistan ha lasciato il suo impiego da tassista. «Lavoravo dalle cinque del mattino alle dieci di sera, sempre in macchina, ma sognavo una vita diversa», spiega. E, così, ha deciso di costruire la sua fortuna partendo da zero.
Appena arrivato a Bari ha trovato un lavoro in un centro sportivo come tuttofare. «Per dodici ore al giorno mi davano appena trecentomila lire al mese e così ho deciso, dopo poco tempo, di lasciare Bari e andare al Nord», racconta. Si è, quindi, trasferito a Brescia, dove ha lavorato in un’azienda specializzata nella produzione di barche in resina. Nel 2011 è stato licenziato e si è rimesso in gioco. «Ho deciso di tornare da mia sorella con pochi soldi. Non ero più da solo, avevo una moglie e cinque figli, ma tanta determinazione e voglia di ricominciare».
E così ha deciso di investire i suoi pochi risparmi ponendosi una sola semplice domanda: «Perché non offrire ai tanti stranieri che vivono in Italia un luogo dove poter trovare tutti i prodotti che consumavano nel loro Paese di origine?». E, così, è nata l’idea di aprire un piccolo market etnico in via Abbrescia, nel quartiere Madonnella di Bari, una zona con un’alta percentuale di immigrati. Sono arrivati i primi guadagni. «All’inizio incassavo appena 60 euro al giorno, ma poi, grazie al passaparola, vedevo che la clientela cresceva costantemente. E dopo un anno, gli incassi giornalieri aumentavano sempre di più».
Nel 2014 ha aperto il secondo punto vendita in via Quintino Sella e, poi, un terzo in corso Italia, sempre a Bari e, ancora un altro, a Brindisi, vicino alla stazione ferroviaria. Nel 2015 Zafar ha acquistato anche un grande magazzino di oltre mille metri quadri nella zona industriale di Bari per lo stoccaggio dei prodotti che arrivano da tutto il mondo: India, Pakistan, Cina, Turchia, Cambogia, Thailandia, Filippine, Marocco, Egitto, Brasile, Bangladesh, Paesi dell’Est Europa. Insomma, nei suoi supermercati si viaggia attraverso i sapori di tutto il mondo: nudles, alghe e spezie, salse, sushi, cous cous, hummus, dolci, formaggi, tutti i tipi di riso, falafel, frutta e verdura tropicale, bevande, ma anche pesce e carne halal macellata secondo il rituale islamico.
Zafar vive in un maxi appartamento di oltre 400 metri quadrati insieme a tutta la sua famiglia: la moglie, i suoi cinque figli, ed ora anche le nuore e i nipoti. Ogni giorno si sveglia alle 5 del mattino e lavora fino alle 23, con lo stesso entusiasmo degli inizi. Con il suo furgone si reca personalmente al Nord Italia per fare acquisti direttamente dal produttore, saltando gli intermediari così da poter offrire alla sua clientela prezzi competitivi.
Ci sono alimenti che costano non più di due euro. Ha creato decine di posti di lavoro, tutti stranieri e regolarmente assunti. «Sono ancora pochi gli italiani che accettano di lavorare alle dipendenze di un imprenditore immigrato nel loro Paese. Non si fidano. Io dico ai giovani italiani di non andare all’estero, in Italia il lavoro c’è. Basta avere coraggio e organizzazione».
Zafar non ha intenzione di fermarsi: sta per aprire un nuovo market sempre vicino alla stazione ferroviaria di Bari pensato esclusivamente per la clientela italiana. E, poi, ha un sogno: trasformare Zafar in un franchising famoso in tutto il mondo.

Bei commenti  quelli  che  leggo   perché nei ristoranti oppure market Italiani fanno le cose diversamente?Mi sembra che sotto sotto ci sia un pizzico di invidia o sbaglio.Come la volpe che fà la guardia all'uva che non riesce ad arrivare"va bene tanto é acerba

Al bivio della vita ha scelto la birra La storia di Mattia Menghini, che ha lasciato il posto fisso per tornare a casa




 



Bologna, mi sei mancata un casino, cantava Dalla con leggera malinconia. Suppergiù deve aver pensato questo quando è arrivata la proposta di lavoro come responsabile del settore ambientale dei cantieri delle Ferrovie dello Stato Italiane. Bologna, la città dove aveva studiato Geografia, la città che conosceva come le sue tasche, sembrava anche custode del suo futuro. Il tanto desiderato posto fisso.
Biglietto di solo ritorno
«Stavo benissimo, – ricorda Mattia Menghini, 42 anni di Baunei, oggi proprietario di un birrificio artigianale – giravo l’Italia da Roma in su per seguire i vari cantieri e fare sopralluoghi, un lavoro stimolante, in una città che sentivo come casa». Proprio quando stava organizzando la sua vita, pensando di comprare casa insieme alla fidanzata che lo avrebbe raggiunto dall’Ogliastra, arrivano le prime voci della chiusura del cantiere alla stazione di Bologna e il conseguente trasferimento di tutti i lavoratori. «Mi hanno proposto di scegliere fra Sicilia e Valle D’Aosta: ho detto di no. Avevo 32 anni, ho dovuto fare una scelta di vita. Se avessi accettato la proposta avrei passato l’esistenza a trasferirmi da cantiere in cantiere. Nei mesi in cui si vociferava della chiusura ho pensato alla mia passione per il mondo della birra e ho fatto una scelta, rischiosa forse, ma nessuno mi ha mai scoraggiato», racconta Mattia.
Il settore della birra artigianale è sempre stato nei suoi pensieri, una passione che negli anni ha coltivato sempre più. I continui spostamenti per lavoro, mentre era a Bologna, sono serviti anche ad approfondire le sue conoscenze, a far visita a diverse realtà, soprattutto in Veneto, come il birrificio Padevana, il più grande in Italia. Frequenta amici all’interno di questo mondo e conosce un anziano birraio in pensione che gli regala insegnamenti preziosi. Lascia il posto fisso, conserva per sé la sua laurea in Geografia e torna a Baunei per dedicarsi al progetto del Birrificio artigianale, che aprirà nel 2017. Una decisione vincente.
Il futuro è adesso
In tutti questi anni il settore è stato sempre in crescita, ma ci sono stati alcuni cambiamenti: «Dieci anni fa la birra artigianale, vuoi per moda o per curiosità, si vendeva facilmente da sola. Oggi si è capito che l’abbinamento con il cibo è molto forte e si lavora meglio, questo perché sono in parte cambiate le abitudini delle persone. Anche il mio birrificio ha subito una modifica dopo il Covid – spiega –. Con la chiusura dei locali non potevo più dedicarmi ai fusti, per cui mi sono occupato esclusivamente delle bottiglie. C’è stata un’impennata che ha richiesto molto spazio nel locale e ho dovuto eliminare la zona per la Tap Room». Due belle novità all’orizzonte: un’antica e storica casa del paese diventerà una rivendita con una piccola cucina e un progetto comune sta per vedere la luce. Mattia fa parte del Consorzio Birra Italiana che sta spingendo verso l’utilizzo di materie prime italiane e insieme ai birrai sardi sta creando una filiera interna all’Isola che comprende i birrai (sono circa 25), i contadini e la malteria della Puglia, perché in Sardegna al momento non ci sono luoghi che possono dedicarsi al processo di maltazione. «A brevissimo uscirà la prima birra sarda al 95%, creata da tutti noi insieme», conclude con orgoglio.

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Adidas Vs Puma: guerra in famiglia 
I marchi creati dai fratelli Adi e Rudolf Dassler che divisero gli sportivi 



Adidas contro Puma è il “derby” commerciale nato a Herzogenaurach, Germania.
Se non sapete di cosa si tratta, l’unico avvertimento è: preparatevi a molto, molto di più di ciò che potrete immaginare. Perché quanto la giornalista economica Barbara Smit descrive nelle oltre trecento pagine del suo “La sfida del Secolo” (edizioni Limina) è qualcosa che va ben oltre il romanzo in cui la vicenda si trasforma. È una lite in famiglia durante la cena che diventa guerra mondiale. È una crepa che si apre pian piano tra due fratelli tedeschi, compagni di giochi e di bravate, che si allarga sino a dividere letteralmente in due il mondo dello sport. Il tutto partendo da una cittadina bavarese che oggi conta 23mila abitanti e che nel 1948 si spaccherà letteralmente in due, seguendo la frattura della Gebrüder Dassler , la premiata ditta di calzature sportive dei fratelli Adolf (Adi) e Rudolf (Rudi) Dassler.
I chiodi di Owens
La vicenda ha origine dal piccolo calzaturificio di Christoph Dassler. Dopo la Prima Guerra mondiale, con la Germania in ginocchio, le intuizioni del figlio più piccolo (Adi) e la capacità comunicativa del maggiore, Rudi, aprono il filone delle scarpe sportive. Scarpe da atletica che, negli anni Trenta, con i loro chiodi, si fanno presto conoscere in Germania. Al punto che, nel 1936, Adi si presenta in pista, a Berlino, e le fa provare con soddisfazione a Jesse Owens. Boom! Da quel momento la crescita dei prodotti dei due fratelli (ce n’è anche un terzo, Fritz) è irresistibile, ma due grandi sciagure, i rispettivi matrimoni e la pur tiepida adesione al nazismo, li metteranno uno contro l’altro a partire dal 1948. Nascono, su sponde opposte del fiume Aurach, Adidas (le iniziali di Adolf) e Ruda, che ben presto si trasforma in Puma, i rispettivi marchi delle tre strisce e del felino destinati a conquistare il mondo.
Come Forrest Gump
Da quel momento il racconto si dipana come la trama di Forrest Gump: Adi e Rudolf, le Adidas e le Puma, compaiono sullo sfondo dei più grandi avvenimenti agonistici del Novecento, accompagnando, talvolta guidando, l’evoluzione del mondo dello sport. Dal “Miracolo di Berna” (la vittoria tedesca nel mondiale di calcio del 1954 grazie ai tacchetti intercambiabili dati da Adi a Sepp Herberger), all’Olimpiade di Città del Messico (con la Puma poggiata da Tommy Smith con la mano guantata di nero sul podio dei 200 metri); dal Mondiale di Messico ’70 (con Pelè che si allaccia teatralmente le Puma prima della finale con l’Italia), a quello di Monaco 1974, con la sfida in finale tra i tedeschi vestiti di Adidas e guidati dal testimonial Franz Beckembauer e gli olandesi con la maglia arancione, anche loro con le tre strisce, tranne la numero 14 di Johann Cruijff, che essendo uomo Puma ne ammette soltanto due.
Il professionismo
La rivalità tra le due case, trasferita ai figli di Adi (il machiavellico Horst) e Rudi (il più incerto Armin), incrocia l’evoluzione del mondo sportivo, l’invasione del professionismo anche nel sacro recinto di Olimpia (prima si lasciavano semplicemente un paio di scarpette con dei soldi all’interno nello spogliatoio), i colpi bassi, lo spionaggio, l’assunzione di alleati più o meno onesti, la corsa a farsi amici i dirigenti più potenti, l’influenza sulle elezioni di federazioni e Cio, l’allargamento della produzione all’abbigliamento. E poi le scarpe sportive che invadono la moda di ogni giorno, i testimonial scelti non più soltanto tra gli sportivi ma anche tra i personaggi - ad esempio - della musica, l’acquisizione o la creazione di marchi collaterali (Arena, Le Coq Sportif, Pony, Reebok). Adidas sempre avanti, Puma a inseguire. Sino agli anni Ottanta, quando compare un baffo, uno swoosh e tutto cambia. Puma festeggia (tra gli altri) il Mondiale 2006 dell’Italia e l’Europeo 2021, ma non è più sul proscenio. Il mondo è cambiato. Adesso è Messi contro Ronaldo, è Adidas contro Nike...



  Caffe scoretto   Tacitus 

A ll’improvviso si fece buio. In tutta la Spagna. Il buio della paura. Era venuta meno l’energia, non quella della Terra, ma quella che catturiamo, stocchiamo e ci somministriamo gradatamente in funzione delle nostre esigenze, ormai innumerevoli. Il dio Energia, il più potente dell’Olimpo tecnologico, generatore di tutti gli altri dei che per nostra delega ci governano, si era distratto. In quel momento tutto si fermò, il buio invase le menti, il panico si diffuse contagiosamente. La distopia di certe fantasie gotiche prese consistenza. «Siamo prigionieri della tecnologia» hanno titolato i giornali del giorno dopo quando, tornata la Luce, le macchine hanno ricominciato a funzionare e l’intelligenza artificiale ha ripreso a vivere dopo avere rivelato la sua fragilità, uguale a quella del suo creatore umano. «Siamo prigionieri della tecnologia», hanno commentato gli opinionisti a gettone dei talk show televisivi. «Le macchine da cui ormai totalmente dipendiamo possono diventare strumenti distruttivi come armi da guerra» ha scritto un quotidiano spagnolo. Che ha paventato un’azione terroristica quale causa del blackout. Questa ipotesi, se fosse vera, dovrebbe rassicurarci. Confermerebbe che il pericolo non viene dalle macchine. Il pericolo per l’uomo è l’uomo, che come spesso ha fatto nella sua storia, può ritorcere contro sé stesso le sue meravigliose invenzioni.



Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...