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7.6.25

DIARIO DI BORDO N 126 ANNO III . chi l' ha detto che per parlare della questione israelo - palestinese , per le foibe e l'sodo giuliano dalmata, femminicidi , si debba essere esperti ed altre storie

 Gli intellettuali e la  gente    che non ha  il prosciutto  sugli occhi   e   che ancora  ragiona   con la propria    testa  non mancano certo di opinioni, ma quando un tema scotta davvero, quando la
locandina del  video  che  trovate      sotto   leggendo    il  post  



controversia diventa un campo minato morale e politico, c'è un rifugio a cui ricorrono spesso: definirlo «complesso».Ma La questione plaestinese  e  la guerra a Gaza   ,   ed  la questione del confine   fra  italia e  Balcani  e la  jugoslavia  prima   e poi la  croazia e  la  slovenia   ridotta  solo  alle  foibe  ,
all'esodo   ed alla  ritorno di triste all'italia   nel 1954    sono   uno di quei casi.
 E sì, la storia  intricata, le ferite religiose ed  gli    effetti degli odi nazionalistici  mai rimarginate, i conflitti culturali e geopolitici rendono davvero complessi  tali   temi .
- Ogni parte accusa l'altra di ignoranza, sventola le proprie verità e rivendica il possesso esclusivo dei fatti. Ma qui voglio fare una premessa necessaria: Non    sono  laureato   alla  facoltà  di storia  o   a scienza e politiche   , ma  di lettere   moderne    ad indirizzo storico ., non sono un esperto   d'oriente    in particolare    di  Medio Oriente.   Infatti    per  la  questione    del conflitto  arabo  istraeliano ed  israeliano    palestinese    , non parlo né ebraico né arabo. Non ho mai visitato né Israele né Gaza,in quanto  quando  alcuni membri dell'associazione    nord  sud  \ bottega   del mondo  - commercio equo e  solidale   sono andati  in viaggio in quelle zone    con un viaggio  organizzato  dallì'associazione \  rivista  confronti  ,  ero canvalesciente     da  un intervento . Ma   essendomi documentato   leggendo la storia    della palestina fra il crollo  dell'impero ottomano  eil mandato britannico   e  poi  del conflitto   arabo- israeliano e  israele  palestinese   ,  sentendo entrambe  le  parti  E so riconoscere le ombre che questa guerra ha proiettato dentro casa nostra.




Io vedo chi radicalizza le università, chi brinda al massacro    chi   appoggia   quello      che israele   sta  facendo   e lo giustifica    con l'affermazione  "  si sta  difendendo     , vuole  distruggee hamas   , ecc  . Non ho bisogno di essere un esperto per sapere da che parte stare. 
   Per  quanto riguarda  invece la questione del confine orientale   cioè  le  celebrazioni  del 10  febbraio   di cui si celebrano   per  l'80 %   l'aspetto culminante    le  foibe ,  dittature  comunista   e l'esodo   giliano  dalmata  , congiura  del silenzio e si tralascia o  quasi il 20% cioè tutto quello  che è  avvenuto prima  leggi antislave , deportazioni   e  violenze  fasciste  .  Ho scelto  non  per  ignavia   o cerchiobottismo  ma perchè oltre  ad essere  una situazione  complessa     dove  memorie   e storie  personali  s'intrecciano   con le vicede  storiche  , ma  soprattutto   non si è ancora  fatto  completamente   i  conti    da parte  dell'italia     i  conti  con le proprie brutture  e    con le cose  ingnobili commesse  , di non schierarmi  e  parlare  a  360  gradi  .
Per  i femminicidi    è  vero     non sono  esperto  di  politiche  sociali , ma esperienza  di vita  vissuta  che   mi  ha  fatto  (ed  ancora  lo fa  adesso)  fare i  conti  e  lottare contro  la mia  cultura  sessista  e  maschilista   mi  sembra    che   per  iundignarsi   , esprimere  la  propria   indignazione  e  sgomento  non sia  per  forza  necessario  essere  ,  anche   se  preferisco integrarla con pareri d'esperti  ,  psicologici  e\o laureati in scienze  sociali   . 


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 il fatto quotidiano    del 5  giugno 2025



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 da  facebook
“Non avevo nulla… ma sono riuscito ad addolcire il mondo intero con un bastoncino e una caramella.” Tutto cominciò alla fine del XIX secolo.
Io ero Enric Bernat, un sognatore spagnolo, nipote di un pasticciere che faceva dolci in casa.Mi ossessionava vedere i bambini con le mani sporche infilarsi le dita nei dolci…e pensai:
“E se inventassi un dolce che non si tocca con le dita?”In un’epoca in cui nessuno credeva a idee simili, mi diedero del pazzo.Ma io sapevo che un’idea semplice può cambiare tutto. Provai a lanciare il prodotto da solo,ma non fu affatto facile.Mi rifiutarono, mi presero in giro,arrivai perfino a ipotecare casa per poter produrre i primi bonbon con lo stecco.Molti giorni non mangiavo, pur di pagare gli
stampi.
Una volta mi addormentai in fabbrica con le scarpe rotte,perché non riuscivo a fermarmi.Ma la costanza è testarda.E un giorno, nacque la mitica Chupa Chups.Indovina un po’?Fu un successo clamoroso.
La cosa più incredibile?
Quando ormai avevo già vinto la mia scommessa,chiesi a Salvador Dalí di disegnare il logo…e lui lo fece davvero!Una caramella nata nella miseria,è finita nelle mani di milioni di bambini in tutto il mondo:dal Giappone alla Colombia,dalla Spagna alla Russia.Non ho inventato solo un dolce…
ho inventato un sorriso in forma rotonda. “A volte, quella che sembra un’idea infantile…è in realtà una rivoluzione travestita da tenerezza.” — Enric Bernat (Chupa Chups ) 

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«Mi hanno tolto la lingua per salvarmi la vita… ma con le mani, ho imparato a parlare al mondo.»  Avevo 33 anni quando mi hanno diagnosticato un cancro alla lingua. Non fumavo, non bevevo… ma la malattia non bussa, entra e basta. All’inizio dissero che bastava una piccola operazione. Poi la verità: bisognava rimuoverla tutta.
Mi sono svegliata dall’intervento con la gola in fiamme e un silenzio così forte… da spezzarmi. Non poter parlare era come guardare il mondo da una finestra chiusa. 
Per mesi ho pianto in silenzio. Cercavo di comunicare, ma nessuno capiva. Vedevo mio figlio chiedermi qualcosa… e io non riuscivo a rispondergli. Una notte ho urlato dentro così forte, che ho deciso di reagire. Mi sono iscritta a un corso intensivo di lingua dei segni. Ho imparato con rabbia, con le lacrime, con una fame immensa di farmi capire. Ogni parola con le mani era una ferita che guariva. 
Oggi tengo incontri motivazionali con interpreti e segni. Sono viva, sono madre, e sono voce di chi crede di non averne più. Ho fondato una rete di sostegno per persone laringectomizzate. Giro per le scuole insegnando che il corpo ha tanti linguaggi, e che il messaggio più potente… è quello che nasce dall’anima. 
«A volte la vita ti zittisce… per farti scoprire quanto hai ancora da dire.» 
                            – Alejandra Paz


conferma    questo  






  cioè   Dove le Parole non ArrivanoSentire a volte non basta, ascolta.

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     concludo  con  questa  ,  lo  so che  sembrerà banale   e  che  da  trapiantato     sarà  di parte  , ma   in  u periodo a  cui a  causa  di fake news     stano  diminuendo  le  donazioni  di  organi ,  storie  come  questa  non  finiranno d'essere  banali  






(✏️ Barbara Todesco) Simone Mazzocchin aveva solo 27 anni quando, lo scorso 12 maggio, si è spento nel reparto di rianimazione dell’ospedale San Bortolo di Vicenza. Per due giorni aveva cercato di rimanere aggrappato con tutte le sue forze alla vita, ma le lesioni riportate nell’incidente che l’aveva visto coinvolto, mentre in sella alla sua moto viaggiava lungo la provinciale 69, non gli avevano dato scampo. Nonostante la sua giovane età, Simone, che viveva con la famiglia a Cartigliano, aveva manifestato già la sua volontà di diventare donatore di organi e così la sua scelta si è trasformata in un trapianto da record, effettuato le scorse settimane nelle sale operatorie dell’Usl 8.Il cuore, i reni, il fegato come i polmoni, gli occhi, il pancreas e i suoi tessuti hanno regalato una nuova vita a 12 pazienti che da Simone hanno ricevuto il dono più grande: quello della vita

Infatti Simone, tempo prima, aveva fatto una scelta precisa e convinta. Aveva deciso di diventare donatore di organi.C’è voluto un trapianto multiplo da record che ha coinvolto cuore, reni, polmoni, fegato, occhi e pancreas e ha visto l’intervento di medici specialisti da Roma, Milano, Padova e Pisa.E, alla fine, quell’atto di generosità ha permesso di salvare addirittura 12 persone, tra cui anche diversi bambini.È una storia che parla di agape e tanatos. Amore, quello disinteressato, universale, e morte, in una catena che invece di spezzarsi unisce e genera vita, la ricrea, la nutre e la moltiplica dove e quando sembrava ormai impossibile.
Un pensiero va a Simone, alla sua famiglia, al suo gesto enorme, a chi grazie a quel gesto ha una nuova vita davanti, ai medici e agli operatori sanitari senza i quali tutto questo non sarebbe stato possibile. Ed è così ogni giorno.
Quello che ha fatto Simone è qualcosa che ci riguarda e ci richiama tutti.
Perché questa storia non commuova e basta. Insegni.



6.6.25

Stare nudi per ore, in posa, per lavoro Fare il “modello vivente” è un mestiere molto faticoso e molto precario: eppure è ancora diffuso, e per gli artisti è fondamentale

 

(Getty Images)




Chiara Marangoni dice che da quando posa per lavoro nelle scuole di disegno vive in maniera diversa lo sguardo degli altri sul suo corpo nudo: «Non c’è oggettificazione o sessualizzazione: è uno sguardo privo di erotismo, di chi studia la linee e le proporzioni del tuo corpo: ti senti guardata nello stesso modo in cui una persona potrebbe guardare un paesaggio, e non mi era mai successo prima».Da circa due anni Marangoni fa la “modella vivente”, cioè posa come modella nelle scuole di disegno e di pittura, in classi di studenti che si esercitano sul ritratto della figura umana. Lei lo fa nuda, come accade oggi nella maggior parte dei casi per chi fa questo mestiere. Ha iniziato per arrotondare, come molte persone che lo fanno: non è mai diventato un lavoro stabile – oggi è molto difficile, quasi impossibile che lo diventi – e salvo un paio di occasioni in cui ha capito che chi la contattava come modella di nudo in realtà cercava sesso, lo considera un lavoro faticoso ma molto appagante.Le modelle viventi, così come i modelli viventi, posano per minuti o a volte per ore, in scuole d’arte, scuole di disegno, accademie di belle arti, ed eventi di drink & draw, un tipo di iniziativa sociale a tema che si è diffusa soprattutto negli ultimi anni, in cui gruppi di persone si riuniscono in un luogo per conoscersi e disegnare insieme. L’ultima volta che Marangoni ha posato per un evento di questo tipo era gennaio, in una chiesa sconsacrata di Pisa: «Non vedevo l’ora di posare in quello spazio, che è bellissimo, ma c’erano otto gradi, ho posato nuda per due ore e dentro non c’era il riscaldamento: è stata una tortura», dice.


Una lezione di disegno dal vero all'università di Edimburgo, in Scozia, nel 1954 (Haywood Magee/Picture Post/Hulton Archive/Getty Images)

 Una lezione di disegno dal vero all’università di Edimburgo, in Scozia, nel 1954
 (Haywood Magee/Picture Post/Hulton Archive/Getty Images)

Le modelle viventi esistono dall’antichità: sculture, quadri, pitture anche diventate molto celebri sono state realizzate prendendo ispirazione da corpi reali, di persone che hanno posato e si sono prestate a essere ritratte, dando origine a immagini durate molto più di loro. A volte con storie che hanno arricchito i racconti di opere diventate più o meno celebri.Maria Cristina Galli, docente di anatomia artistica all’accademia di Brera, dice che i modelli viventi sono «uno strumento fondamentale» per la formazione di ogni artista, perché allenano lo sguardo a fare l’esercizio più difficile di tutti: «Tradurre una forma viva fatta di carne, pelle, umore in un’opera statica, ferma», dice Galli. La grossa difficoltà sta naturalmente nel fatto che, spiega sempre Galli, «il corpo che si osserva è vivo e oggetto di costanti variazioni, è la forma più difficile in assoluto da rappresentare».

Un diipinto che ritrae una lezione di disegno
con un modello vivente nell’Ottocento (Getty Images)

Non esiste un solo tipo di “modella vivente”. Giuseppe Oliveri, che insegna posa dal vero alla scuola di illustrazione Officina B5 di Roma, dice che il tipo di posa cambia moltissimo a seconda del tipo di disegno. Per una lezione di pittura le pose durano normalmente dai dieci ai venti minuti, per una di scultura arrivano a durare anche una o due ore.Anche nei corsi di fumetto ci sono i modelli viventi, in quel caso con pose più brevi ma fisicamente più faticose. Sono pose che cercano di rappresentare movimenti, azioni come salti o corse, e in cui quindi si sta in equilibrio precario, magari appoggiati su una sola gamba, o con le braccia torte: «In casi come questi la bravura di un modello o di una modella è capire in pochi secondi quali sono i punti di forza e debolezza di una certa posa, in maniera che non diventi insopportabile subito all’inizio», dice Oliveri.Anche le pose per i corsi di anatomia artistica possono essere fisicamente più impegnative: in quel caso è frequente che l’insegnante chieda al modello o alla modella una posa con torsioni del busto o degli arti, in grado di evidenziare una certa parte della muscolatura o della struttura ossea.Per fare il modello o la modella vivente ci vuole una buona preparazione fisica, e non solo: Oliveri dice di consigliare a chi posa di fare anche meditazione, per sostenere meglio i minuti o le ore di attesa riuscendo ad astrarsi mentalmente dalla fatica muscolare. Mariangela Imbrenda, modella vivente romana, dice che per lei, che si mantiene con questo lavoro da 15 anni, è fondamentale la propria formazione di attrice teatrale, per interpretare le pose. Imbrenda ritiene che i veri protagonisti della storia dell’arte siano i modelli e le modelle viventi e che «la storia dell’arte andrebbe riscritta dal loro punto di vista».

(                                                               Christopher Pillitz/Getty Images)

Ma fare il modello o la modella vivente è anche un lavoro molto precario, che si fa a condizioni per cui la categoria protesta da decenni. Negli anni Settanta un gruppo di modelle viventi femministe e rappresentate dalla CGIL fondarono il “Comitato di lotta delle modelle per protestare contro la propria instabilità lavorativa, tra mancanza di contratti, pagamenti troppo bassi e orari di lavoro troppo lunghi, a fronte della fatica e dell’impegno richiesti. Il Comitato sosteneva che andassero riconosciute come malattie professionali gli eventuali raffreddori e influenze causate dalle esposizioni al freddo, dagli sbalzi di temperatura e dall’immobilità prolungata richiesti a una modella vivente durante la posa.Il Comitato sosteneva anche che il mestiere della modella vivente avesse un valore politico perché chi lo faceva era riuscita a «scrollarsi di dosso il condizionamento negativo e sbagliato del mito del nudo-femminile-oggetto».Sono comunque piuttosto frequenti gli episodi in cui le modelle viventi subiscono molestie. Per questo articolo sono state ascoltate quattro modelle viventi: tre hanno raccontato di aver ricevuto richieste di loro foto nude da parte di uomini che si spacciavano per artisti e dicevano di volerle valutare come modelle. Capita soprattutto nelle scuole di disegno private o in annunci di artisti amatoriali che cercano modelle per dipingere.Una delle tre modelle in questione ha raccontato di essere stata «tormentata» da un uomo che dopo essersi finto artista e averle chiesto una sua foto aveva preso a inviarle materiale pornografico, contattandola su diverse chat e canali man mano che lei lo bloccava sulle varie piattaforme. In questi casi è bene chiedere alla persona che si presenta come artista il suo portfolio (cioè la raccolta di presentazione dei propri lavori), e cercare di capire bene il progetto prima di inviare qualsiasi materiale e incontrarsi di persona.

Una lezione di disegno con un modello vivente all'inizio del Novecento (Vintage Images/Getty Images)
                                         Una lezione di disegno con un modello vivente
a                                           all’inizio del Novecento (Vintage Images/Getty Images)

Le proteste più recenti dei modelli e delle modelle viventi, comunque, hanno riguardato le condizioni economiche di questo mestiere. Nel 2008, un gruppo di modelle viventi organizzò una performance di protesta davanti all’università di Roma “La Sapienza” in occasione di una visita del ministro dell’Università e della ricerca Fabio Mussi, per protestare contro le proprie condizioni lavorative. C’è stata una nuova protesta dei modelli viventi anche pochi mesi fa, in questo caso all’accademia di belle arti di Firenze, sempre per gli stessi motivi.Negli ultimi anni le condizioni lavorative dei modelli e delle modelle viventi sono ulteriormente peggiorate: Maria Teresa Galli dice che all’accademia di Brera, dove insegna, fino a due anni fa lei e gli altri insegnanti avevano a disposizione una decina di modelli e modelle per le proprie lezioni: «Quest’anno ne abbiamo solo tre. Le ragioni sono molte: c’entra una certa tendenza dell’arte contemporanea a considerare questo strumento obsoleto, ma c’entrano soprattutto i tagli alla spesa pubblica destinata all’università e alla ricerca», dice.Formalmente il ministero dell’Istruzione considera i modelli viventi parte dell’area degli assistenti, categoria che include varie figure tra cui personale amministrativo, tecnico e informatico. Nelle accademie di belle arti così come nei licei artistici i modelli e le modelle viventi vengono assunti con bandi annuali e con contratti di dieci o venti ore settimanali, con un pagamento di 25,82 euro all’ora lordi, quindi una ventina di euro l’ora netti (i modelli e le modelle che lavorano privatamente prendono molto meno, anche otto o dieci euro l’ora).Mariangela Imbrenda, che lavora soprattutto negli istituti d’arte, dice che le capita ormai regolarmente di venire pagata per le prestazioni annuali solo alla fine dell’anno, quindi in un unico pagamento e non regolarmente, a volte con tre o quattro mesi di ritardo, e di essere intenzionata a organizzare una nuova protesta quest’estate, al ministero dell’Istruzione.

La Francia e tra poco anche l'italia spegne il porno. Ma la stupidità resta accesa

Ebbene sì, cari lettori, anche stavolta i francesi sono riusciti a distinguersi. Non per un’invenzione, non per una rivoluzione culturale, ma per la loro consueta propensione a trasformare ogni problema in un pasticcio burocratico. Hanno deciso di farla finita con la pornografia online — o meglio, hanno obbligato i siti a verificare l’età degli utenti con procedure talmente idiote da convincere Pornhub, Redtube e soci a spegnere tutto. Addio filmetti erotici, arrivederci ai click notturni. Al loro posto, una bella Marianne pixelata e una scritta che sembra uscita da una poesia da quarta liceo: “La libertà non ha pulsanti di off”. Ma la ragione sì, purtroppo. Ora, io non sono più  come prima    un  gran fan dell’industria pornografica. Mi sembra  sempre  più  una scorciatoia triste per chi ha smarrito la fantasia.

Ma difendo la libertà, quella vera. E quella, spiace dirlo, passa anche per il diritto di godersi uno spogliarello virtuale   quelli più  soft   alle tre del mattino senza dover presentare la carta d’identità. Perché questo è il punto: la legge impone alle piattaforme di chiedere l’età a ogni accesso. Come se un   ragazzino  (  riesco a  dribblare i  distributori  automatici  di sigarette  e  i  divienti dei centri scomesse   fisici    figuriamoci   quelli online   )  con un minimo di astuzia non riuscisse a dribblare la barriera. E infatti lo  si  fa. Da sempre. La verità, che nessuno ha il coraggio di dire, è che il moralismo tecnologico è la nuova religione dei politici senza idee. Non potendo rimettere in piedi una scuola decente o un sistema sanitario funzionante, si mettono a combattere i pixel erotici. Giocano a fare gli educatori digitali, salvo poi dimenticare che l’educazione comincia in famiglia e prosegue, semmai, a scuola. Non su un sito web. E così, mentre il mondo trema per guerre, blackout informatici , ecc   in Francia — e tra poco anche altrove   Italia    compresi  , statene certi — si fa la guerra ai siti porno. Una battaglia inutile, persa in partenza, eppure ideologicamente perfetta: fa bella figura con i benpensanti, distrae l’opinione pubblica, e dà ai politici una parvenza di azione concreta. Peccato sia solo apparenza. Nel frattempo, Aylo — la casa madre dei siti porno oscurati — prende posizione, chiude tutto e ammonisce: “La legge è inefficace e sproporzionata”. Difficile darle torto. È come cercare di svuotare il mare con un cucchiaino. Per ogni sito bloccato ce ne saranno altri dieci pronti ad aprirsi altrove. In rete, il proibizionismo funziona come il vino vietato ai preti: lo bevono di nascosto. In Francia, domani, al posto dei video ci sarà una Marianne imbronciata. Non servirà a educare i giovani, non proteggerà i minori, non fermerà la pornografia. Ma farà sentire moralmente superiori i burocrati di Parigi. E già questo, per loro, sarà una vittoria. Per noi, solo l’ennesima prova che l’Europa, quando si mette a legiferare su ciò che non capisce, riesce a peggiorare tutto. Il porno sparisce almeno  ufficialmente  . La stupidità, invece, resta. E non ha bisogno di password.

Nuoro, docente con la sclerosi multipla confinata in biblioteca Insegnamento negato alla primaria, trasferimento dopo un anno in classe: «Inabile alla sorveglianza attiva

leggo  sull'unione  sarda  d'ieri  ,  di cui riporto l'articolo sotto ,  dell'assurda    vicenda     di questa maestra .  La vicenda    si commenta  da   sola  . Ma   mi  viene da   chiedermi  come mai il ministro del lavoro  e  dell'istruzione  non   mandano  ispettori  nella  scuola in questione  ?

unione  sarda  del  5\6\2025 

Nuoro, docente con la sclerosi multipla confinata in bibliotecaInsegnamento negato alla primaria, trasferimento dopo un anno in classe: «Inabile alla sorveglianza attiva»



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Insegnanti o vigilanti? È la domanda che scuote il mondo della scuola dopo il caso di una docente di scuola primaria di Nuoro, affetta da sclerosi multipla e costretta a muoversi con deambulatore e carrozzina. Dopo aver insegnato per tutto l’anno, è stata dichiarata inidonea alla sorveglianza attiva (non all’insegnamento) dalla commissione medico-collegiale dell’Inps. Il risultato? Allontanata dalla classe, trasferita in biblioteca con un aggravio di ore settimanali – da 24 a 36 – in quella che pare una misura punitiva. Una decisione che non solo la esclude dall’insegnamento, ma, sottolinea lei, «lede il diritto al lavoro, alla cura e alla dignità». La docente, preparata, amata dagli alunni, è costretta a difendersi non dalla malattia ma da un sistema che, di fronte alle difficoltà, si mostra più pronto a escludere che a includere.


L’associazione

A sostenerla l’Aism (Associazione sclerosi multipla), che ha deciso di affiancare l’insegnante. «Il suo caso – dice Liliana Meini – rappresenta una grave limitazione alla dignità della persona e del lavoratore. Oggi (ieri ndr) si è rivolta alla nostra associazione per una consulenza». L’insegnante non si è mai sottratta al suo lavoro. Nonostante la malattia ha sempre insegnato con dedizione. Anche quest’anno ha coperto supplenze, portato avanti progetti didattici, accompagnato i suoi alunni fino alla fine dell’anno. Eppure, il 5 marzo è stata convocata per una visita fiscale, fissata a maggio. Una settimana fa la doccia fredda: la commissione la giudica inidonea “alla vigilanza attiva”. «Se davvero ero inidonea, perché mi hanno fatto insegnare tutto l’anno? E perché ora mi spediscono in biblioteca facendomi lavorare di più?».

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Vogliono solo sorveglianti



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Il verbale parla di “inidoneità alla vigilanza attiva”. Ma cosa significa, concretamente, “vigilanza attiva”? Lei lo contesta: «In aula garantivo la presenza, la relazione educativa, la didattica. Quella che era una storia di scuola inclusiva si sta trasformando nel suo contrario. Vogliono sorveglianti, non insegnanti». La sua carrozzina le consente di muoversi in aula. Parla con lucidità e fermezza: «Mi sono sempre battuta per l’inclusione, per i bambini con disabilità, per una scuola che accolga tutti. Ma ora mi ritrovo esclusa proprio io. La scuola è comunità, non solo controllo. E se la società vuole essere inclusiva, deve cominciare da chi educa». Oggi è costretta a difendere un diritto: quello a lavorare. E non per sé. Perché così, pezzo dopo pezzo l’insegnamento, sarà off limits per chiunque è in carrozzella e non può «vigilare attivamente».

Fabio Ledda

5.6.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto antiviolenza antonio bianco . puntata n XXIX .Anche viaggiare in macchina può essere pericoloso.QUANDO SIETE SOLE, TENETE IN BELLA VISTA IL CELLULARE . + autostop come farlo in sicurezza se viaggi sola


Ecco perché abbiamo scelto di offrirvi qualche consiglio per aumentare la sicurezza quando guidate e per proteggervi dagli scippatori. Del resto quando si è in auto si ha la sensazione di essere al sicuro e al riparo dai pericoli, quasi fossimo a casa. Per esempio, capita che ci si trucchi al semaforo,senza fare caso a ciò che accade accanto a noi.Eppure chi usa spesso la macchina, magari per motivi di lavoro o semplicemente per piacere, deve avere la consapevolezza che può capitare di dover affrontare situazioni spiacevoli: anche in questo caso la sicurezza personale deve essere la priorità assoluta, soprattutto in situazioni potenzialmente pericolose. Ecco alcuni consigli, suddivisi in misure preventive e azioni durante un eventuale a!acco, per aiutarvi a difendervi da un’aggressione in macchina.

N.b I nostri suggerimenti sono di natura generale e non sostituiscono l’assistenza di un esperto in sicurezza o le indicazioni delle autorità competenti. Qualche esempio pratico.

Un caso frequente èquello del finto incidente, quando si costringe l’automobilista a fermarsi con la scusa di un incidente e si approfitta per aggredirlo o derubarlo.

Un altro è quello della gomma tagliata, che si consuma soprattutto nei parcheggi oppure nei pressi dei supermercati: si trova la propria auto con una gomma a terra, di solito la posteriore destra, in modo che il ladro, mentre il proprietario dell’auto si accerta del danno o cambia la ruota, può svuotare la macchina di tu!i gli oggetti preziosi.

Il consiglio è sempre quello di evitare il confronto diretto con l’aggressore e di cercare aiuto, di chiamare subito i soccorsi e di avvicinarsi ad altre persone, meglio ancora se a strutture pubbliche frequentate. Non isolatevi, e se vi accorgete di essere seguiti o affiancati, cercate altre persone e chiedete aiuto, e nel frattempo mostrate il cellulare. Spesso basta questo gesto per dissuadere gli aggressori.







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Le regole da seguire per fare autostop da sole e in totale sicurezza

Inoltre, nel caso non riesca a trovare un passaggio, la strada statale ti permette di riuscire più facilmente a raggiungere la città  e cercare un posto per dormire ( a proposito, sai che puoi farlo gratis con couchsurfing?ho scritto degli articoli a riguardo ?), o vagare nei campi in cui ti trovi e piazzare una tenda.
Imparare a fare autostop viene naturale, perché, a differenza delle altre esperienze, è proprio sul posto che capisci dove stai sbagliando. Tuttavia, leggere qualche regola comune prima di addentrarti in questa avventura può solo che farti bene.
Autostop sicuro: il sito di riferimento  Hitchiwiki.com ti permette di vedere in quali paese è più facile fare autostop e in quale è più difficile; è un sito basato sulle esperienze di altri autostoppisti.E’ possibile anche scaricare l’app con le mappe in cui sono segnati i punti migliori, i commenti degli utenti sulle direzioni e i tempi di attesa.Esiste anche una sezione per noi donne, con consigli dati dalle più esperte tutte al femminile 
Le strade in cui è meglio fare autostop
La statale 
Le strade statali (o secondarie se preferisci intenderle così) sono le più sicure. Le macchine percorrono lunghi km, e non sono velocissime come in autostrada, quindi avrai più possibilità non solo di essere caricato ma di avere già dal tuo primo passaggio una macchina che giunge a destinazione.
E’ molto importante appostarsi su un rettilineo (curve assolutamente vietate) in un punto dove ci sia dopo di te abbastanza spazio per la macchina per appostarsi e farti salire. Questo per permettere al passeggero di notarti , decidere se fermarsi, e uscire in totale tranquillità dalla carreggiata.
Inoltre, nel caso non riesca a trovare un passaggio, la strada statale ti permette di riuscire più facilmente a raggiungere la città  e cercare un posto per dormire ( a proposito, sai che puoi farlo gratis con couchsurfing? ho scritto degli articoli a riguardo ?), o vagare nei campi in cui ti trovi e piazzare una tenda.

L’autostrada
Camminare lungo l’autostrada, o fare autostop in autostrada è illegale in alcuni paesi , come ad esempio l’Italia. Non credo che tu voglia finire in polizia solo per provare un’esperienza wild.
Ci si può appostare solamente negli autogrill e nelle stazioni di servizio. E il rischio che nessuno ti prenda è molto alto.  Ma soprattutto va contro il vero spirito dell’autostoppista. Quando alziamo il pollice è la macchina che deve venire verso di noi, no noi che andiamo verso le macchine. E facendo il contrario non solo risultiamo più elemosinanti, ma possiamo insospettire il conducente.

In città
Assolutamente inutile. Innanzitutto le macchine non percorrono molti km, e soprattutto è pressoché inesistente la probabilità che ti possano caricare per andare nella tua stessa direzione.

Fare autostop di giorno
E’ sempre meglio fare autostop durante il giorno: le ore di luce facilitano sia te sia la persona che ti deve caricare a bordo. Di notte invece è sconsigliato: non vi vedono in faccia, quindi difficilmente si fidano. Inoltre la probabilità di incontrare più persone che guidano troppo veloce o in stato d’ebrezza è più alta. Quelli che si possono fermare saranno solo con cattive intenzioni secondo me.

Scrivere su un cartello la destinazione
Molti lo consigliano ma io sinceramente sono restia dal farlo. Questo perché se si ferma una persona che poco mi convince ma che sta andando nelle mia stessa direzione, con il cartello purtroppo non posso mentire. Invece senza posso inventarmi delle scuse ?.

Conoscere il conducente
Che sia chiaro: non sono tassisti ma persone. E soprattutto, stanno facendo un bellissimo gesto nei nostri confronti. Non c’è cosa peggiore quindi che limitarsi a salire in macchina e non parlare. Anche se non sei molto loquace, cerca di instaurare una conversazione. Parla di te, racconta la tua storia. Ascolta la loro. Durante i miei passaggi in auto sono nati i più bei discorsi!

Se tuttavia capita che sei sola e il conducente inizia a provarci, puoi cambiare discorso, e se inizia ad insistere a dare un “no” secco. Nel caso peggiore hai lo spray al peperoncino  o fischietto antistupro che puoi usare come tua arma di difesa . 

Adotta un’attitudine positiva
Sono convinta di non aver aspettato tantissimo per strada perché oltre al fatto di essere da sola (lo ammetto, questo elemento aiuta sempre) sfoggiavo i miei sorrisi che imploravano pietà. Cercavo di guardare negli occhi il conducente, e se lui mi faceva il gesto del no, mi limitavo a fare spallucce. Nonostante quella persona mi lasciasse per strada, adottavo un atteggiamento molto zen, ed è quello che consiglio anche a te di fare: mettiti nei suoi panni, non ti conosce e non ha il tuo stesso grado di fiducia.

Non dormire
Se fai autostop è perché ti piace socializzare, conoscere le persone del posto, parlare. Quindi anche se la macchina ti fa effetto culla e sarai tentata nell’appisolarti, cerca di resistere: questo sarà molto apprezzato dalla persona che si trova alla guida.

Non chiedere di fare deviazioni durante il percorso
Ripeto che il guidatore non è un tassista: lui non chiede soldi per il passaggio, tu non fai deviare la sua guida. La persona stava già andando in quella direzione e tu ti sei semplicemente aggiunta. E’ molto importante però scendere in un punto utile in modo che tu possa continuare ad autostoppare senza difficoltà.

Seguire il percorso con il GPS
Nonostante le indicazioni, a volte può capitare di prendere il passaggio dalla parte sbagliata. Grazie al GPS potrai usare la mappa anche se sei offline. ?

Tieni lo zaino sempre con te
Un po’ come la borsa negli autobus o le valigie in aeroporto, è sempre meglio avere lo zaino sempre con se, ed evitare di metterlo nel bagagliaio: non si sa mai.Un po’ come la borsa negli autobus o le valigie in aeroporto, è sempre meglio avere lo zaino sempre con se, ed evitare di metterlo nel bagagliaio: non si sa mai.
Come dicevo anche nelle stories che ho pubblicato su Instagram, fare autostop inizialmente sembra molto difficile perché non sai come approcciarti. Ma man mano che ti mostri e tenti, inizi a capire come funziona e quali tecniche devi adottare per renderlo più facile. Non è una corsa contro il tempo, quindi (a meno che si sta facendo buio) non essere stressata.
Quando il conducente arriva, hai una manciata di secondi per vederlo in volto e capire con chi starai andando. Se solo una parte del tuo istinto ti dice di diffidare, inventa una scusa e rifiuta il passaggio. Aspetta con calma. Quello giusto arriva.
E detto ciò, non mi resta davvero di consigliarti di provarci. Fare autostop da sola è un’esperienza forte per una donna, ma ti da tanto. Capisci di aver alzato l’asticella delle tue sfide, di esserti superata. E una volta che riesci, la tua autostima sale a 3000, ti senti un’amazzone invincibile. Ti rendi conto che anche un altro pregiudizio dato da troppe persone che hanno paura di questo mondo, era falso. E che hai fatto bene a dare ascolto solo a te stessa.

potrebbe essere un idea Orfani di femminicidio: «Rendiamo gratuita la psicoterapia per bimbi e adolescenti senza madre»


corriere della dìsera tramite msn.it
Storia di Valentina Rorato
• 19 ora/e •


Sono in media 150 le donne che ogni anno muoiono in Italia per mano di un uomo, spesso il marito, il fidanzato o un ex che non si è rassegnato. Sono figlie, sorelle e madri. Hanno famiglie a cui non torneranno, famiglie lasciate sole, che devono misurarsi con il dolore della perdita e al tempo stesso non hanno diritto a un supporto psicologico. Come si fermano i femminicidi e come si possono aiutare queste famiglie? «Bisogna ascoltare le vittime. Dare voce alle donne. E restituire dignità ai familiari», commenta Damiano Rizzi, psicoterapeuta dell’infanzia e adolescenza e presidente dell’Ong Soleterre. «Non si può contrastare un fenomeno strutturale come il femminicidio senza ascoltare chi lo ha subito, chi ha perso una madre, una figlia, una sorella. Le vittime dirette e indirette non sono testimoni muti. Sono portatrici di una conoscenza insostituibile».
È vittima non solo chi muore, ma anche chi resta a fare i conti con il vuoto della morte o con la brutalità della violenza subita. E la vittima per definizione è fragile e ha bisogno di un supporto psicologico, di cui però non ha diritto: «Non è un’opzione accessoria. Non è una prestazione da mercato. È un diritto fondamentale di salute, che deve essere garantito e reso accessibile - prosegue Rizzi -. Nel nostro Paese, persino gli orfani di femminicidio devono pagarsi la psicoterapia. Bambini e adolescenti privati della madre per mano del padre, abbandonati anche dalle istituzioni. È uno scandalo sanitario e politico. Serve un intervento immediato del Ministero della Salute per istituire un fondo nazionale che garantisca presa in carico psicologica gratuita per le donne vittime di violenza e per tutti i familiari dei femminicidi».
Damiano Rizzi non è solo uno psicoterapeuta dell’infanzia e adolescenza, è anche il genitore adottivo di un bambino orfano di femminicidio. «La mia esperienza non è un caso privato. È un pezzo di realtà che chiede di essere riconosciuto, ascoltato, tradotto in politiche pubbliche - continua l’esperto -. Si stima che, a giugno 2024, fossero 417 gli orfani sotto i 21 anni a causa di femminicidi. Il femminicidio è una crisi sociale e psicologica che richiede un intervento di salute pubblica. Forte, determinato, capace di risolvere. Come accaduto in diversi Paesi europei. Non è impossibile. Occorre sapere su cosa agire. È essenziale implementare programmi di prevenzione, educazione affettiva e supporto psicologico. Lo Stato non può continuare a trattarlo come un fatto privato o a negarlo». Nel suo libro, «La guerra a casa» (edizione Altreconomia), racconta una storia dolorosa e, purtroppo, vera, partendo da una telefonata che lo ha svegliato nel cuore della notte annunciandogli che la sorella Tiziana era stata uccisa dal marito. Con un gruppo di amici, ha creato anche Tiziana vive, una Onlus che ha come obiettivo la prevenzione.

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