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17.8.25

Nanni Fodde: «Il buon gusto e la parsimonia mi hanno salvato»Il patriarca dell’Acentro si racconta: l’azienda, la famiglia e lo sguardo su 100 anni di vita.




Nanni Fodde: «Il buon gusto e la parsimonia mi hanno salvato»Il patriarca dell’Acentro si racconta: l’azienda, la famiglia e lo sguardo su 100 anni di vita. Appassionato di arte, senza mai perdere il sarcasmo parla anche del suo carattere ruvido e fotografa il rischio d’impresa







Si è concesso «vezzi, non lussi». È stato «parsimonioso, non avaro». Il primo ruggito del patriarca è un esercizio di contrapposizione tra la percezione del sé e quel che «di me si diceva in giro». Sullo smalto del sarcasmo nessun segno del tempo. Ma per maneggiare carattere e opere di Giovanni (Nanni) Fodde è sufficiente un particolare: il signor Acentro, diecimila macchine vendute all’anno quando la media nazionale valeva un terzo in meno, in vita sua ha scelto tutto, persino il giorno di nascita. L’8 agosto. Sotto il segno del Leone. Era il 1925. Un secolo fa. «Ma a partire dal 5 del mese, ogni data sarebbe buona per festeggiare il compleanno». Il capostipite di tre generazioni dell’auto – non fosse altro che «il timone bisogna cederlo pur senza sentirsi inutili» – si racconta dalla sala riunioni che ha frequentato di più. Via Calamattia (un tempo si entrava da via dei Valenzani), primo piano. Oggi 150 dipendenti, nove sedi, 140 milioni di fatturato. Il mondo fuori, i quadri dentro. «Ho letto più giornali che libri – racconta – e l’arte è stata una mia distrazione».

In cento anni quante stagioni ci sono?
«Una. Per me è sempre stata quella del lavoro».

Perché la Fiat?
«Abbandonata la vendita dei trattori Ford, decisi di dare una mano a due collaboratori che erano stati contattati dal concessionario di Cagliari. C’era da smaltire il magazzino di viale Monastir, la guerra aveva bloccato il mercato. Fu durante quella collaborazione che mi venne offerta la possibilità di aprire una sede mia».

Dove?

«A Senorbì Nord. Si chiamava Auto Trexenta. A Torino stavano attenti al fatto che tra concessionari non ci si portasse via quote di mercato. Fosse stato per me, avrei aperto a Sanluri, ma fecero resistenze da Oristano. Allora a Senorbì c’era una sola strada che portava fuori dal paese».

Con l’Acentro quando inizia?
«Negli anni Cinquanta».

Il nome chi l’ha scelto?
«Io. Era la contrazione tra auto e centro. Mi sembrava un buon marchio di provincia».

Davvero in vita sua ha lavorato e basta?

«Ho praticato molto anche la vela, ho posseduto natanti. Bellissime barche d'epoca».

Cosa avrebbe voluto fare meglio?

«L’esperienza mi farebbe giudicare sbagliate tante scelte. Ricadrei persino nei rimpianti. Solo chi sta fermo, non commette errori. A me non è mancata la curiosità, ho fatto molti mestieri».

Quali altri?
«A Roma, mentre davo qualche esame in Economia e Commercio, vendevo il sughero. Per tappi e solette. Sughero rimasto ugualmente nei magazzini per via della guerra. Fu l’ennesima intuizione di mio padre. Un uomo eccezionale. Si chiamava Antonio, era di Cuglieri. Scriveva la corrispondenza commerciale in gotico e corsivo. Venne a Cagliari per proseguire l’attività olearia e sposò mia madre, Delfina Manunza, di Selargius».

Prima si facevano più affari?
«Forse la concorrenza si è inasprita. Ma non direi che si facevano più affari. Oggi come allora bisogna essere preparati per affrontare un mestiere».

Un comandamento professionale ce l’ha?
«L’ho sempre ripetuto ai miei collaboratori: è necessario lavorare nell’interesse della propria azienda».

È stato gentile con i suoi dipendenti?
«Mi arrabbiavo, quando era il caso».

Il rischio d’impresa cos’è?
«Una questione anagrafica. L’esposizione ai problemi capita più spesso in gioventù. Poi con l’età e l’esperienza si diventa molto più pratici e meno romantici».

Che rapporto ha con i soldi?
«Non li porto più in tasca, ho paura di perderli. Fortunatamente mi accompagnano e si prendono cura di me. I soldi comunque non li ho mai sprecati: ho guadagnato bene, ma li ho anche persi. Su di me si dice che sia avaro. Invece mi faccio un complimento: sono parsimonioso».

L’accompagna pure la fama di ruvido, caratterialmente.
«Da giovane ero più acceso. Poi ho smesso, adesso quasi mai perdo le staffe».

Spigoloso ai limiti dell’arroganza?
«Esattamente. Nella vita mi ha salvato il buon gusto, oltre al fatto di non aver mai sprecato nulla».

Però per l’arte ha speso?
«L’arte è salvifica. I pittori Pietro Antonio Manca e Ausonio Tanda li ho frequentati, tramite un amico gallurese, un grande critico d’arte che guidava l’Ufficio legale della Regione».

Quanto vive di ricordi?
«I ricordi aiutano a conservare la vita. Un po’ la memoria la sto perdendo, sono preoccupato. Ma alla mia età succede e bisogna accettarlo».

È un uomo libero?
«Sentimentalmente mai, per via di due mogli. Politicamente sì, mi sono sempre definito un liberale. Da giovane mi entusiasmavo ai comizi: seguivo con interesse gli idoli del momento, come Ciccio Cocco Ortu».

Una stretta di mano che non dimentica?
«Ho conosciuto tanta gente importante. Ma l’altro giorno un medico mi ha stretto calorosamente la mano: avevo l’influenza e mi ha visitato. Sono rimasto colpito».

Da cosa?
«Le relazioni umane sono importanti. Non le cerco, ma quanto le trovo o le intuisco, faccio di tutto per curarle. Le apprezzo».

I fratelli Umberto e Giovanni Agnelli?
«Il primo l’ho incontrato più spesso. Il secondo, l’Avvocato, era distante».

Un divo?
«Era idolatrato, ho assistito a scene di fanatismo».

I suoi grandi amici?
«Pochissimi, una decina. Poi cominciano a diminuire di grado».

Chi frequenta più spesso?
«Oggi quasi solo la mia famiglia».

È stato un buon padre?
«No, c’è di meglio».

Quanti figli ha?
«Quattro».

Cosa si rimprovera come genitore?
«Semplicemente con i miei figli avrei potuto fare più cose insieme».

Ha sacrificato la famiglia per il lavoro?
«L’ho anche sacrificata per qualcosa di piacevole, come andare in barca o giocare a golf».

Si dice che sia stato lei a portare il golf in Sardegna.
«Venni incaricato di farlo da alcuni amici della Federazione nazionale».

La povertà l’ha conosciuta?
«No, ho sempre lavorato».

Ha mai fatto una cosa folle?
«Mi è capitato di inseguire qualche novità sul lavoro, commettendo errori».

L’impressione è che sia un perfezionista.
«È una forma di rispetto anche verso se stessi, l’ho praticata per tutta la vita. Ho fatto ogni cosa con passione e cercando il risultato. Ho un ricordo da giovane, nel frantoio di mio padre: trovai il modo di ridurre i costi di lavorazione della materia prima rivendendo gli scarti della deacidificazione dell’olio».

Ha mai contato le macchine vendute?
«Le poche volte che mi sono fatto la domanda, penso che siamo arrivati a quota 100mila. O forse è il prossimo traguardo, non saprei di preciso. Io, in ogni caso, mi sono occupato di dirigere, non di vendere. Da tempo le redini dell’Acentro le ha mio figlio Enrico, più di recente è entrato anche mio nipote Giovanni. Io, però, l’azienda continuo a difenderla».

Lussi?
«Nessuno, ho condotto e conduco una vita modesta».

Al polso cos’ha?
«Un semplicissimo Swatch».

Vezzi?
«Le iniziali sulla camicia».

Usando come nome Giovanni o Nanni?
«Non ricordo. Ma Nanni lo preferisco. Lo sento più mio, mi piace che sia breve».

Manie?
«Ne abbiamo tutti così tante, specie con l’età tendiamo a essere ripetitivi. Non saprei dirne una».

Rapporto con la tecnologia?
«Nessuno. Uso sempre meno anche il telefonino. Questo che ho costa 45 euro».

Il complimento migliore che ha ricevuto?
«Non uno in particolare. Nella nostra azienda il lavoro è quotidiano. I risultati arrivano ogni giorno. Come i complimenti. Riceverli, di certo, fa bene alla salute».

Nelle nuove generazioni cosa vede?
«Non si può dire nulla quando dei bambini rubano un’auto, vanno in giro per la città e provocano la morte di una passante. Notizia di questi giorni».

Vede un brutto mondo?
«Rimango vigliaccamente distaccato, per fortuna non ho problemi di questo genere».

Cosa la inquieta più di tutto?
«Un po’ la mia sordità, altro acciacco dell’età, e l’artrosi».

L’aveva immaginato che sarebbe arrivato a cent’anni?
«Ho cominciato a crederci dopo i novanta».

Un rammarico?
«Sono monotono: nel lavoro avrei voluto sbagliare di meno».

Perché questo pensiero ricorrente sugli errori?
«È una forma di vanità».

Si considera vanitoso?
«Da sempre, lo sono anche adesso a cent’anni».

È felice della sua vita?
«Sì, anche perché non ne ho un’altra».

A quanti anni vuole arrivare?
«Non saprei».

Centocinque le bastano?
«Ci provo».



È ora di pranzo. Giovanni Fodde si alza dalla sedia. «Sono leggermente commosso, con queste domande mi sono ricordato tante cose della mia vita». Questa volta è lui a stringere mani calorosamente. A cent’anni non si smette di essere galantuomini.

Alessandra Carta

ci sarà qualcuno\a che raccoglie l'eredità di Pippo Baudo oppure la sua morte è Una parabola comune, un mondo culturale definitivamente tramontato.?


Da quel  poco  che  ricordo di  pippo baudo    era  come  M.Bongiorno      che  entra   nelle  case  degli 
italiani con garbo e  cultura  .  Infatti  , tale miei vaghi  ricordi,  vengono confermati    da    quest  post  dell'amico 

Mario Domina

    Pippo Baudo e Raffaella Carrà erano il compromesso storico dell'Italia nazional-popolare.Erano la TV che ha costruito una lingua e un sentire comuni, una vera e propria koinè, erano il calore del sabato sera in famiglia (ed erano anche la fuga per reazione dialettica da quell'abbraccio soffocante) - da Chissà se va a Sanremo, con un'infinita teoria di canzoni e cantanti ed artisti di ogni tipo; erano la festa e lo specchio di un'Italia che non c'è più - con pregi e difetti, vizi e virtù, ma ora come ora riesco solo a vederne le qualità.Pippo Baudo era poi siciliano, di Militello in val di Catania (un paese bellissimo), e il pensiero va inevitabilmente ai miei (di madre era quasi coetaneo).Una parabola comune, un mondo definitivamente tramontato.

Infatti la mia domanda credo che dìsarà destinata a non trovare riposta in quanto : << riposta è importante solo quando fai domanda giusta . cit karate kid 4>> perchè nel bene e nel male con lui se ne va un pezzo profondo, articolato, pulsante della televisione italiana. Non soltanto un conduttore, non solo un volto noto. Pippo come dicono le croinache era un radar, un direttore d'orchestra che sentiva la musica prima che iniziasse, un visionario con lo smoking addosso e il fiuto dei grandi talent scout americani, quelli che con uno sguardo capiscono se c'è una scintilla.
In un Paese che spesso inciampa nel provincialismo e nella nostalgia, Baudo ha saputo essere classico senza mai diventare vecchio. Ha attraversato decenni con la leggerezza di chi conosce bene il proprio mestiere: la conduzione come arte, la diretta come coreografia, il palco come un'estensione della propria anima. Perché Pippo non presentava, accoglieva. Accoglieva gli spettatori, i concorrenti, i cantanti, i comici e soprattutto i giovani.
L'elenco di coloro che "ha lanciato Baudo" somiglia più a una galleria di ritratti che a una semplice lista  qui   su  :  <<Pippo Baudo - Wikipedia >> per  ulteriori   approfondimenti  .


16.8.25

Anche l’ultima frontiera è stata superata. Era solo questione di tempo prima che fosse messa lì nero su bianco.Lo ha fatto Walker Meghnagi, Presidente della Comunità ebraica di Milano.

leggo con sconceto da Lorezo Tosa da cui ho usato le prime righe per il titolo del post che

Anche l’ultima frontiera è stata superata. Era solo questione di tempo prima che fosse messa lì nero su bianco.Lo ha fatto Walker Meghnagi, Presidente della Comunità ebraica di Milano. Lo ha fatto Walker Meghnagi, Presidente della Comunità ebraica di Milano. Che, in un’intervista surreale a “La Stampa”, ha pronunciato una frase di una gravità e un’ignoranza storica spaventosa. “Per fortuna c’è la Presidente del Consiglio Meloni e il resto della destra che ci difende. Altrimenti torneremmo al ‘38.Se al governo ci fossero Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni, a noi ebrei sparerebbero in strada".





Siamo arrivati al punto che uno dei massimi rappresentanti della comunità ebraica in Italia inneggia pubblicamente a una destra erede in linea diretta e mai pentita di chi proprio nel ‘38 firmò e promosse il Manifesto della Razza.Eredi mai pentiti di quelli che mandarono gli ebrei su treni piombati nei campi di sterminio.Eredi mai pentiti di chi nel ‘38 era alleato con Hitler.Gente che ancora oggi tiene orgogliosamente i busti di Mussolini in casa, non celebra il 25 aprile ed è incapace di dichiararsi nel 2025 antifascista.E, se fossi in uno dei quattro leader , [ma al loro posto non ci so stare corsivo mio ] vergognosamente accusati di antisemitismo, denuncerei immediatamente quest’uomo per gravissima diffamazione.Per tutelare sé stessi da un’accusa volgare e infamante.Ma anche - e con ancora più forza - per difendere la sinistra da qualunque accostamento al 1938 e a totalitarismi che sono storicamente, politicamente e culturalmente di DESTRA ESTREMA. E sempre lo saranno. E i primi a doverne chiederne le dimissioni immediate sono proprio i membri della comunità che questo individuo rappresenta.Altrimenti non è più il delirio di un singolo ma un’allucinazione collettiva. Un passo in avanti verso l’abisso.

Il grande inganno della “mascolinità in crisi”intervista di Francesca Barca per valigia.blu a Francis Dupuis-Déri è un ricercatore franco-canadese, professore presso l’Università del Québec a Montréal (UQAM).

La mascolinità sta davvero attraversando una “crisi” come spesso si sente dire? Il femminismo sta esagerando? Gli uomini “non possano più dire nulla”? Le femministe sono “troppo radicali”? Francis Dupuis-Déri, esperto di antifemminismo e mascolinismo, analizzata e decostruisce questo tipo (tenace) stereotipo. Francis Dupuis-Déri è un ricercatore franco-canadese, professore presso l’Università del Québec a Montréal (UQAM). È un
esperto  di movimenti sociali, e negli ultimi anni, ha lavorato in maniera particolare su antifemminismo e mascolinismo. Dupuis-Déri è autore di numerosi libri, tra cui La crise de la masculinité ; autopsie d’un mythe tenace (“La crisi della mascolinità; autopsia di un mito tenace”, Éditions du remue-ménage, 2018), Antiféminismes et masculinismes d’hier à aujourd’hui (“Antifemminismo e mascolinismo ieri e oggi”, PUF, 2019) e Killer Althusser: The Banality of Men (Althusser assassino, la banalità del male, Between The Lines, 2025). Di quest’ultimo testo avevamo parlato per raccontare un episodio poco conosciuto: il 16 novembre 1980 il filosofo marxista Louis Althusser ha ucciso la moglie, la sociologa Hélène Rytmann: un femminicidio che per anni è stato “occultato” dal mondo della cultura e della politica. E anche dalla stampa. 



Francesca Barca: Cos’è la mascolinità?

Francis Dupuis-Déri: La “mascolinità” è una rappresentazione, un modello, direi persino un riferimento ideologico. Sempre concepito, in modo consapevole o meno, in un rapporto diseguale e gerarchico con la femminilità.
Il concetto di mascolinità non esiste senza quello di femminilità; non esiste il maschile senza il femminile. Negli ultimi anni la mascolinità è stata oggetto di discussione, spesso in maniera scollegata dal concetto di femminilità. Che sia in modo implicito o esplicito, la mascolinità viene presentata e percepita come superiore alla femminilità: gli uomini vengono considerati più razionali (mentre le donne sarebbero eccessivamente emotive), più attivi e creativi (le donne più passive), più autonomi (le donne, invece, più dipendenti), più forti, aggressivi e violenti (le donne, al contrario, sarebbero più delicate, pacifiche e premurose).
Tutto questo  è un costrutto ideologico, basato su stereotipi tratti da testi religiosi o divulgativi, semplicistici e spesso fallaci, o ancora su una preistoria immaginaria, su un presunto determinismo genetico o ormonale. Ma resta il fatto che ha un impatto sulla realtà, sulla nostra socializzazione, sulle aspettative che abbiamo riguardo alle persone o a noi stessi. 

Come dovrebbe essere definita la cosiddetta “crisi della mascolinità”?

Come spiego in La crise de la masculinité, si tratta di un discorso che si sente almeno dai tempi dell’antichità romana in Europa, e che è diffuso in tutto il mondo. Questa retorica sostiene che gli uomini stanno male, soffrono, perché le donne starebbero prendendo troppo spazio, occupando il “nostro” posto in quanto uomini, e perché le femministe ci starebbero criticando in maniera ostile… Gli uomini vengono, in quest’ottica, dipinti come vittime delle donne e la soluzione sarebbe quella di rivalorizzare la mascolinità tradizionale, messa in ginocchio dalla femminilizzazione della società.
È importante sottolineare che questo discorso “vittimistico” degli uomini si esprime ed esiste, indipendentemente dal regime politico, giuridico (compreso il diritto di famiglia e del lavoro), economico e, anche, indipendentemente dalla cultura e dalla religione dominante.  Questo tipo di discorso può emergere anche nei paesi più poveri, così come in quelli più ricchi. Oggi, alcuni degli uomini più potenti al mondo, come Elon Musk, Mark Zuckerberg e Donald Trump, sostengono che stiamo attraversando una cris i della mascolinità.


Potrebbe spiegarci cosa sono l’antifemminismo e, più precisamente, il mascolinismo?

Detto nella maniera più semplice possibile, l’antifemminismo è una forza che si oppone al desiderio o alla volontà delle donne di essere libere e uguali agli uomini. Come spiega la sociologa Mélissa Blais, l’antifemminismo, come qualsiasi forza politica o movimento sociale, è composto da molti elementi e si mobilita su diversi fronti. Ad esempio, l’antifemminismo cattolico è molto attivo nella lotta contro il diritto all’aborto (in nome di Dio). L’antifemminismo "mascolinista" si basa sull’idea di una crisi della mascolinità, utilizzata per giustificare i ruoli di genere e la divisione sessuale del lavoro. L’antifemminismo di estrema destra si interseca con il mascolinismo, il suprematismo bianco e la xenofobia, in nome della difesa della famiglia come pilastro nazionale.Ancora, l’antifemminismo di sinistra o anticapitalista ripete che le questioni delle donne sono secondarie, che le femministe dovrebbero piuttosto dedicarsi a  movimento di massa o a un partito, per combattere contro la classe capitalista e il capitalismo, e che devono soprattutto astenersi dal criticare il sessismo e la violenza sessuale all’interno delle organizzazioni progressiste, perché questo dividerebbe le forze del movimento…

Il discorso mascolinista che si sente oggi sembra molto simile a quello pre-MeToo, o precedente ai passi avanti ottenuti dai movimenti femministi. C’è una differenza? 

Il mascolinismo utilizza molto spesso lo stesso argomento di fondo: gli uomini stanno soffrendo perché le donne si sono spinte troppo oltre, uscendo dal ruolo che la società aveva loro attribuito, come l’essere oggetti sessuali, compagne docili, madri casalinghe. Ma i sintomi della crisi possono variare in base al contesto.

La storica Eve-Marie Lampron ha chiaramente mostrato (nel suo capitolo del libro Le mouvement masculiniste au Québec : L’antiféminisme démasqué, 2015) che, durante la Rivoluzione francese, il discorso mascolinista si esprimeva in tutti i campi politici, con i repubblicani che accusavano il re Luigi XVI di essere effeminato e sottomesso dalla regina Maria Antonietta, mentre i monarchici accusavano i repubblicani di permettere alle “loro” donne di marciare per le strade indossando pantaloni. Sappiamo anche che, prima che il divorzio venisse liberalizzato, si sentiva ripetere lo stereotipo che gli uomini fossero dominati dalle mogli all’interno del matrimonio, considerato una prigione. E da quando il divorzio è stato liberalizzato, si sente dire che le ex mogli continuano a dominare gli uomini, “estorcendo” le pensioni alimentari. Che siano sposati o divorziati, gli uomini possono continuare ad affermare di essere dominati dalle donne. Come hanno messo in luce le ricerche di Angela Davis, Patricia Hill Collins e bell hooks, il discorso sulla crisi della mascolinità è stato espresso anche all’interno del Black Power negli anni Sessanta e Settanta, quando le afro femministe venivano criticate per la loro presunta dominazione sulla comunità.Molti argomenti ricorrono da almeno 20 o 30 anni, come l’idea che gli uomini non possano più corteggiare con le donne e che siano proprio queste ultime ad avere il completo controllo nei rapporti sessuali, oppure che le difficoltà scolastiche dei maschi siano la prova di una crisi della mascolinità, anche se, una volta terminati gli studi, gli uomini ottengono risultati migliori delle donne nel mercato del lavoro.Negli Stati Uniti, dagli anni '90 si ripete che gli “angry white men” (“uomini bianchi arrabbiati”) sarebbero vittime di una terribile ingiustizia economica a favore delle donne e delle minoranze afroamericane e migranti, che ruberebbero loro il lavoro... La vittoria elettorale di Donald Trump è stata spiegata dicendo, per esempio, che questi uomini “comuni” erano i grandi perdenti della deindustrializzazione.Invece, se si osservano i dati, si può notare che gli stati americani che hanno più supportato Trump, come il Nebraska e il Wyoming, registrano un divario retributivo annuo, per lavoro a tempo pieno, di circa 15mila dollari tra lavoratrici e lavoratori, a favore… degli uomini! Perché succede? Perché i lavori a predominanza maschile, come il lavoro in fabbrica, l’attività mineraria, quella di silvicoltura e l’autotrasporto offrono stipendi migliori rispetto ai lavori considerati femminili.In sostanza il discorso sulla crisi della mascolinità non è nuovo, e si ripete da generazioni, spesso con gli stessi falsi argomenti. Inoltre, ricerche condotte in diversi paesi hanno mostrato che il mascolinismo viene usato da tempo per screditare le analisi femministe e le mobilitazioni contro la violenza maschile, sia in Québec, che in Spagna o in Francia (si veda L’antiféminisme et le masculinisme d’hier à aujourd’hui 2018).Il mascolinismo, o il discorso sulla crisi della mascolinità, è stato fin dal principio uno dei pilastri del fascismo italiano e successivamente della propaganda nazista; si basava sulla tesi secondo cui gli uomini italiani o ariani erano stati “traditi” durante la Prima guerra mondiale da un'élite liberale decadente e femminilizzata, e che il fascismo avrebbe ripristinato la mascolinità virile e la famiglia patriarcale. In altre parti del mondo, come in Spagna, il discorso fascista ha fatto propria questa tesi della femminilizzazione degli uomini e della nazione, proponendo la stessa soluzione: una mascolinità aggressiva che conquista, per esempio attraverso la colonizzazione (si veda il lavoro di Marie Walin sulla Spagna).Ancora oggi, l’estrema destra partecipa al mascolinismo, anche attraverso internet, come rivelano numerosi studi.

Si sentono spesso espressioni come “femminismo radicale”, “femminismo totalitario” o persino “femminazi”. Ci può aiutare a contestualizzare?

Gli antifemministi non si definiscono tali naturalmente, negano di essere antifemministi e preferendo giocare sulla divisione retorica tra femministe “buone” e “cattive”. Si sentirà quindi dire che il femminismo è “andato troppo oltre”. Queste persone se la prendono soprattutto con le “neofemministe” radicali o estremiste. Ma se entriamo nei dettagli, per capire a chi si rivolgono, ci rendiamo conto che il loro obiettivo sono praticamente tutte le femministe di oggi... Il discorso vittimistico dei maschilisti suggerisce che il femminismo odierno imponga alla società un vero e proprio “totalitarismo” e che gli uomini non possano più dire nulla, che siano vittime di un sessismo anti-maschile. Per quanto riguarda il termine “feminazi”, la paternità è attribuita a Rush Limbaugh, un conduttore radiofonico reazionario attivo negli Stati Uniti negli anni '90. Quando si conosce la storia e ci si riflette seriamente, l'espressione “feminazi” è triplicemente scandalosa e ridicola. Ovviamente, è un insulto alla memoria dei milioni di vittime dei nazisti. In secondo luogo, l'espressione è un insulto al femminismo, uno dei movimenti sociali più pacifici, persino molto moderato, considerando le ingiustizie e le violenze storiche e pratiche che le donne devono affrontare. Ad esempio, per quanto riguarda gli omicidi di donne – i femminicidi – uccise dai loro partner o ex partner, cosa fanno le femministe? Niente di molto radicale, se ci pensiamo bene: nessuna rivolta contro gli uomini, nessuna operazione di vendetta (impiccagioni, fucilazioni, villaggi distrutti, come hanno fatto ripetutamente i nazisti), nessuna formazione di milizie armate o attentati, come fanno i neonazisti. Si sente spesso dire che le femministe “castrano” gli uomini, ma in realtà non fanno nulla, a differenza dei veri nazisti che torturavano - e persino castravano - realmente le loro vittime... 

Da Gaza agli “spari sopra”, il silenzio di Taylor Swift e gli appelli di Vasco: la pace di comodo dei VIP

faziosità a parte ha ragione quest  articolo   una   delle  poche  perle   che   si  trovano  nella  merda    solleva    un   problema   molto   importante  

da il giornale tramite msn


                                                   di Massimiliano Parente


 
oggi Emanuele Capone, nella sua “Colazione con Capone” (quando apro Instagram faccio sempre colazione con Capone), si chiede perché Taylor Swift non dica niente su Gaza (o meglio si chiede perché debba secondo i fan dire per forza qualcosa su Gaza), domanda legittima, visto che una sua caption sposta più opinione pubblica di un comizio. Solo che qui vale il solito teorema dell’artista in tempo di guerra: se parli hai sbagliato per metà del pubblico, se taci hai sbagliato per l’altra metà, quindi condanna garantita a prescindere, applausi o fischi dipendono solo dal lato del fronte. E c’è pure (sono andato a spulciarmi Reddit) la sottocategoria dei fan che la accusano direttamente di essere a favore di
Israele semplicemente perché non ha detto niente, boh, perché non ha detto niente: boh.
Come se tutti dovessero per forza dire qualcosa, e se non la dicono stai dalla parte di chi dovresti condannare. C’è la terza via, la più redditizia: dire tutto senza dire niente, il “basta le guerre” dei pacifisiti, tipo Jovanotti e Vasco Rossi, formula multiuso che funziona per Gaza, per l’autostrada, per i litigi in chat condominiale, per qualsiasi cosa. Vasco (e lo dico da fan di Vasco, beninteso) lo urla al pubblico, “basta con la guerre”, applausi, e attacca “Gli spari sopra” e tutti a casa con la sensazione di essere stati dalla parte giusta, di cosa non è chiaro, però si balla e va bene così, in ogni caso per Vasco entusiasmo e incasso garantito.
In mezzo, c’è sempre chi giudica a posteriori: Red Ronnie, per esempio, che ha raccontato di non aver mai voluto intervistare Freddie Mercury perché aveva suonato a Live Aid quando c’era l’Apartheid, come se Freddie dovesse essere il Mandela della discografia. Peccato che Freddie non abbia mai preso posizione su niente, e soprattutto non poteva fregargliene di meno, non sapeva neanche chi fosse Red Ronnie e in generale odiava i giornalisti e rilasciare interviste (figuriamoci a Red Ronnie, se avesse saputo chi era). Perché poi un cantante dovrebbe prendere posizione per forza, e perché il metro di giudizio dovrebbe essere la purezza ideologica retroattiva, resta un mistero (andrebbe chiesto agli alieni che incontra Red Ronnie).
Non è solo Vasco, anche amiche mie, come Marisa Laurito e Barbara Alberti, le quali continuano con gli appelli per “fermare le guerre”, la famosa resistenza da divano, foto profilo in assetto umanitario e nessun rischio di scontentare troppa gente. Parentesi doverosa: in realtà una presa di posizione c’è eccome, contro Israele sì, o meglio pro Palestina sì, mentre sul riarmo dell’Ucraina contro Putin no, quindi resistenza sì purché disarmata (quindi non armare l’Ucraina ma non disarmare Putin), e possibilmente dall’altra parte del televisore, un modo elegante per dire scegliamo il conflitto comodo, quello con morale semplificata e senza conseguenze sul portafoglio né sulla tournée né sulle anime belle.
Alla fine i VIP non si dividono più in due categorie, piuttosto in quattro: quelli che parlano e vengono presi a sassate digitali, quelli che tacciono e vengono presi a sassate digitali, quelli che dicono “basta la guerra” e vendono più biglietti, e quelli che scelgono un solo nemico perché il secondo complicherebbe l’etica del profilo, il tutto mentre l’algoritmo accompagna con cori angelici, pardon, con cori di follower che con un like si sentono la coscienza pulita.
Comunque sia il top resta sempre Vasco con “Gli spari sopra”, un capolavoro di vaghezza poetica: mai capito se gli spari sono sopra per noi, sopra per voi, sopra per nessuno, sopra e basta, e perché poi sopra e non sotto, sopra cosa? Forse è questa la vera chiave della comunicazione dei VIP: dire cose che suonano importanti, di cui non si capisce esattamente il senso, così ognuno ci legge quello che vuole. E intanto il concerto finisce, il pubblico applaude, e la guerra, sopra o sotto, può tranquillamente continuare da un’altra parte.

14.8.25

Era stato sbeffeggiato da Salvini sui social, il No Ponte Dario Costa, risponde con un video: «Le è stato dato troppo potere, ora mi augurano la morte»

Questo ragazzo si chiama Dario Costa, è un siciliano di 21 anni, ed è appena stato sottoposto a una vergognosa gogna nientemeno che dal Vicpresidente del Consiglio Matteo Salvini. Tutto per cinque secondi di video, tagliati e decontestualizzati da un video molto più lungo, nei quali Dario ha definito il Ponte sullo Stretto “un atto delinquenziale”. Una frase dura, certo, ma che affonda in un passato purtroppo esistente e per nulla campata per aria. Anzi. Eppure tanto è bastato perché Salvini
trasformasse quei cinque secondi in un video di scherno indegno, con tanto di montaggio al rallentatore derisorio, trasformando all’istante Dario nel bersaglio di migliaia di odiatori, che in poche ore gli hanno tirato addosso di tutto: insulti, offese, addirittura minacce di morte. Siamo al punto che un ministro dei Trasporti di 50 anni bullizza stavolta  direttamente    senza    cani da  guardia  un libero cittadino di 20\  anni  - non iscritto a nessuna associazione o partito - solo per aver espresso una critica (comprensibile) sul Ponte sullo Stretto. Questa è l’idea di libertà e di democrazia di Matteo Salvini. Così povero di argomentazioni da essere costretto a fare il bullo con un ragazzo che protesta.
Ma   ha  trovato  qualcuno  che nn  piega  la  testa   e ha  pronta  la  risposta  . Dario Costa – questo il nome del 21enne di Messina protagonista della clip – ha risposto al ministro con un video  che    trovate  sotto  











su TikTok: «Caro Salvini, lei non è un ministro ma un uomo cui è stato dato troppo potere – dice – Mi hanno augurato morte, infarto, castrazione chimica, tumori e minacciato di pestaggio». Costa ha dichiarato che denuncerà alla polizia postale gli autori degli insulti social. «Ha fatto tutto questo – dice nell’ultima sferzata al ministro – perché ha paura del dissenso»

13.8.25

Chiede a ChatGPT come sostituire il sale nella sua dieta quotidiana e finisce in ospedale in preda alle allucinazioni

Gli esperti , ma lo dice anche il buon senso , avvertono che gli strumenti di IA ( e anche internet in generale ) possano si fornire si informazioni generali , ma per i consigli medici e alimentari dovrebbero essere verificati e controllati con operatori sanitari qualificati onde evitare gravi conseguenze come il caso ( vedi articolo sotto per iulteriori dettagli ) di un 60enne di cui non sono state rese note le generalità ha finito ha chiesto a ChatGPT come creare del sale casalingo ed è finito in ospedale in preda alle allucinazioni. Il problema dell'errore di Chatgpt ( e credo delle altre IA ) sta nel fatto che il bromuro di sodio fio agli anni \5\80 era inserto nei farmaci che acquistavamo in farmacia tramite ricetta medica, ovvio che l'intelligenza artificiale lo ha consigliato , si è basato su quello che trovato sulle notizie magari non  aggiornate  o complottiste estreme   sanitarie  .



L'articolo Chiede a ChatGPT come sostituire il sale nella sua dieta quotidiana e finisce in ospedale in preda alle allucinazioni   da me  riportarto  proviene da Open.








Un 60enne di cui non sono state rese note le generalità ha finito ha chiesto a ChatGPT come creare del sale casalingo ed è finito in ospedale in preda alle allucinazioni. Il caso è riportato dalla rivista scientifica statunitense Annals of Internal Medicine: Clinical Cases ed è citato oggi sul Corriere della Sera.
La richiesta a Chat Gpt
L’uomo, dopo essersi informato sui possibili effetti nocivi del sale da cucina sulla salute umana, ha chiesto al popolare chatbot (versione 3.5 o 4) un valido sostituto. La risposta di ChatGPT è stato il bromuro di sodio. Valido però per «per altri scopi, come la pulizia», spiega il paper. Una opzione che però l’AI non avrebbe menzionato. Così, dopo averlo acquistato on line il 60enne lo ha inserito nella sua dieta quotidiana. Tre mesi dopo si è presentato in ospedale nel pieno di un episodio psicotico, convinto che un vicino di casa lo volesse avvelenare. E si è ammalato di bromismo, un’intossicazione cronica debellata negli anni. Ha accusato per settimane paranoie, allucinazioni, disturbi della memoria, confusione mentale. Tutti sintomi della sindrome che «si riteneva contribuisse fino all’8% dei ricoveri psichiatrici, poiché i sali di bromuro erano presenti in molti farmaci da banco destinati a una vasta gamma di disturbi, tra cui insonnia, isteria e ansia», spiegano sulla rivista scientifica. Il caso è emblematico per sottolineare i limiti dell’intelligenza artificiale, spesso nelle diagnosi fai da te, che possono «potenzialmente contribuire allo sviluppo di conseguenze negative per la salute che potrebbero essere evitate».


Gli etiopi deportati all’Asinara dai fascisti: 88 anni dopo il ricordo sull’isola



  nuova  sardegna  12\8\2025


Sassari
Yeweinshet Beshah-Woured compirà 94 anni il prossimo 13 settembre, ma nei suoi occhi celesti, profondissimi, si vede ancora quella bambina: sei anni appena quando, nel 1937, venne strappata alla sua casa di Addis Abeba, deportata in Italia, all’Asinara, insieme alla madre e al fratello. Il padre, funzionario vicino all’imperatore Hailé Selassié, era stato fucilato dai fascisti. Allora lei partì senza sapere dove stava andando e cosa sarebbe accaduto.


Oggi è tornata, 88 anni dopo, consapevole. Con lei sessanta etiopi, una delegazione dei discendenti dei quasi 300 prigionieri e prigioniere – tra cui ambasciatori, ministri, alti funzionari dell’Impero e i loro familiari – che il regime fascista deportò all’Asinara tra il 1937 e il 1939, in seguito all’attentato contro il Viceré Rodolfo Graziani. Donne e uomini, bambine e bambini costretti a vivere un incubo di paura e miseria. I sopravvissuti riuscirono a ricostruirsi un’esistenza. Altri e altre no. Con l’isola condividono ’eternità

Per ricordarli, sono arrivati da ogni parte del mondo – Stati Uniti, Canada, Germania, Francia, Inghilterra, Etiopia – chi con addosso abiti tradizionali, chi con fotografie in bianco e nero tra le mani e una quiete luminosa sui volti. Nessun rancore. Nessuna ricerca di colpe e colpevoli. Solo la forza composta della volontà di restituire dignità e memoria, etiopi e italiani insieme.
Davanti all’ex ospedale di Cala Reale, sotto un sole cocente e una brezza leggera, è stata scoperta una targa commemorativa che finalmente restituisce un nome e un luogo a quel capitolo doloroso e taciuto della nostra storia. E lì, in quel momento tanto atteso, è accaduto qualcosa di raro e necessario: «A nome dei cittadini italiani, vi chiediamo scusa per quanto inflitto al vostro popolo», ha tuonato senza remore Paola Fontecchio della cooperativa Sealand Asinara, curatrice dell’evento. Nessuna paura di finire nelle sabbie mobili della diplomazia di governo. Una frase pronunciata con schietta umanità, che ha dato carica ad uno dei più begli applausi mai vissuti di recente in questo piccolo mondo.
A seguire, le voci della delegazione si sono levate dapprima in preghiere e poi in un canto tradizionale etiope, per rendere omaggio, per restituire e nulla più. «Sono tornata per chi non può più farlo», ha detto Yeweinshet Beshah-Woured, nel piccolo cimitero di Campo Faro, dove riposano i resti di alcuni deportati, come anche, quelli di Gideon, il figlio di appena due anni della Principessa “melograno d’oro” Romanework Hailé Selassié. Moglie di Merid Bayané, uno dei comandanti della resistenza anti italiana, dopo la fucilazione del marito per la principessa e i suoi quattro bambini si aprirono le porte della deportazione. Visse, insieme a centinaia di altri connazionali, mesi durissimi, segnati da umiliazioni, privazioni e da un dolore profondo.
Oggi, insieme, etiopi ed italiani, non più vittime da una parte e carnefici dall’altra, sono solo uomini e donne uniti dal desiderio di riscrivere un pezzo di storia. Un’occasione per trasformare la memoria individuale in coscienza collettiva. Balacho è nato in Etiopia ma in Germania ha costruito la sua vita adulta. È arrivato sull’isola per ricordare suo nonno, suo bisnonno e il suo prozio, tre uomini ritenuti scomodi e per questo arrestati e deportati in questi luoghi: «Nella nostra cultura è qualcosa di cui si fatica a parlare, perché è considerato motivo di vergogna – ammette Balacho – molti di loro sono morti, molti sono stati uccisi in prigione. Hanno voluto dimenticare quel periodo, e a noi bambini non hanno mai raccontato cosa fosse successo: il cosa, il come, il perché. Questo silenzio è stato molto dannoso per la nostra memoria storica. La storia è come un cerchio: speriamo che non si ripeta, ma quasi sempre finisce per riaccadere, ancora e ancora».Senza dubbio si è scritta una nuova pagina di storia per l’isola. Ne è convinto il direttore del Parco, Vittorio Gazale, non solo testimone oculare ma tra i fautori di questo evento: «Abbiamo tanto da imparare da questo popolo fiero – meraviglioso esempio di civiltà– che è arrivato sull’isola senza rancore nei confronti di noi italiani per quanto subito. Sono arrivati col solo desiderio di ricostruire una memoria, insieme a noi, al nostro fianco». L’evento è stato realizzato con il contributo della Fondazione di Sardegna, in collaborazione con l’Ente Parco Nazionale dell’Asinara, il Comune di Porto Torres, l’Associazione delle Guide Esclusive dell’Asinara e la Rete Educando Asinara, con il contributo di ricercatori italiani e africani impegnati nel recupero delle verità coloniali dimenticate.

diario di bordo n 141 anno III Maria Ermakova crolla a pochi metri dal traguardo, nessuno la può toccare: vince e perde conoscenza., Fiorello fa la spesa al supermercato, elogio all’umiltà nei commenti: “Gira con la lista di sua moglie”


Cos'è altro lo sport se non lo spingersi a toccare i propri limiti dando il massimo per onorare la competizione cui si sta partecipando? Se poi si vince pure, le circostanze drammatiche in cui lo si è fatto aggiungono quell'aura di epos che si ricorderà per l'intera vita. Nelle ultime ore tutti i media russi hanno esaltato l'impresa di Maria Ermakova, che ha vinto i 10000 metri nei campionati nazionali di atletica leggera a Kazan.



                          Maria Ermakova crolla a pochi metri dal traguardo, 




Maria Ermakova crolla, si rialza e vince i 10000 metri ai campionati russi di atletica leggera

La giovane mezzofondista aveva un vantaggio abissale sulle altre concorrenti nell'ultimo giro della prova, quando all'ingresso del rettilineo finale ha iniziato a rallentare sempre di più, fino a caracollare quasi al passo e infine crollare a pochi metri dal traguardo. Sono stati momenti drammatici, in cui nessuno poteva toccare la Ermakova per rialzarla o aiutarla in qualche modo, pena la squalifica immediata, visto che tutti speravano che ce la facesse a fare in qualche modo quei pochi passi che la separavano dall'arrivo e da una vittoria ormai certa.
In quel momento Maria ha pensato a tutti i sacrifici fatti per arrivare fin lì e ha attinto a quello che le era rimasto dentro: muscoli, nervi e cuore. Si è rialzata e barcollando ha superato il traguardo, accasciandosi poi sulla pista. Completamente sfinita, a quel punto ha perso conoscenza. Gli operatori sanitari sono intervenuti rapidamente e hanno portato via la Ermakova dallo stadio su una sedia a rotelle.


"Sono felice di essere viva, mi sento immortale"

"Quattro giri prima, mi sentivo come se le mie gambe fossero di ovatta – ha raccontato la Ermakova successivamente ai media russi, scherzando anche un po' – Non ricordo com'è stato il mio arrivo. Sono felice di essere viva, mi sento immortale. Solo dopo ho realizzato cosa avevo fatto, perché alla fine non ho capito niente".
Maria Ermakova si era presentata ai campionati russi come una delle atlete più promettenti del Paese. Ai Giochi BRICS del 2024 ha vinto il bronzo nei 5000 metri per la Russia, nello stesso anno ha ricevuto il titolo di "atleta dell'anno" nella categoria "Stella nascente". Lo scorso febbraio ha battuto il record nazionale Under 23 nei 3000 metri indoor. Adesso arriva questo successo di grande peso, col suo nuovo personale (32'24"44): la seconda classificata, Albina Gadelshina, è arrivata dopo quasi un minuto (33'10"15), un'eternità.





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Fiorello fa la spesa al supermercato, elogio all’umiltà nei commenti: “Gira con la lista di sua moglie”




"Ma quel viso non mi è nuovo?". Conoscerete benissimo la sensazione di aver visto un volto familiare in luogo pubblico, magari proprio come è accaduto a questa utente su TikTok tra gli scaffali della pasta e dei sughi pronti. Fiorello incontrato casualmente al supermercato e tutto si è trasformato in un fenomeno virale.
Dove si trovava Fiorello
È quanto successo a un'utente di TikTok che, nella notte tra l'11 e il 12 agosto, ha pubblicato un video che ritrae Fiorello durante una normalissima spesa a un supermercato che si trova nella cittadina di Santa Margherita di Pula, in Sardegna.
Una normalità che fa notizia
Nel filmato, lo showman siciliano passeggia tra le corsie del supermercato con la lista della spesa alla mano. Un'immagine di quotidianità che ha colpito gli utenti: Fiorello in versione casalinga, lontano dai riflettori e dalle telecamere, intento in una delle attività più comuni al mondo. Il dettaglio che più ha attirato l'attenzione? La lista scritta a mano che tiene ben salda tra le dita, presumibilmente compilata dalla moglie Susanna Biondo. Un particolare che ha scatenato una valanga di commenti affettuosi da parte dei fan. Fiorello e Susanna Biondo sono degli habitué della Sardegna, e in particolare di Santa Margherita di Pula.
Le reazioni dei fan al video pubblicato su TikTok
Le reazioni dei fan non si sono fatte attendere. Grandi commenti positivi per questa "normalità". "Fiorello è un uomo semplice, gira tra le corsie del supermercato con in mano la lista fatta dalla moglie", scrive un utente. Altri aggiungono: "Lui è un grande. Si è formato dal nulla, famiglia umile e non si è montato la testa", "Anche lui con la lista scritta dalla moglie, è un essere semplice come tutti". Ci si sorprende, e sembra strano, che anche Fiorello faccia la spesa proprio come tutti. Strano, vero? Eppure, è così.

12.8.25

Perché i giornali esaltano Kelly Doualla, campionessa europea nei 100 metri femminili U20 a 15 anni? Ecco la risposta A vanacci e xenofobici nostrani

 DI COSA STIAMO PARLANDO
https://l-nk.it/7urfsR
Era difficile concentrare in sole sei righe l’intero repertorio razzistoide e islamofobo del leghista e purtroppo non solo medio. Ma l’ex generale Vannacci ancora una volta è riuscito nell’impresa.Parlando della (splendida) medaglia d’oro nel triplo di Erika Saraceni agli Europei Under 20, Vannacci ha scritto:


Il tutto senza neanche il coraggio di nominare il vero bersaglio delle sue frecciate: Kelly Doualla. Il cui oro è stato celebrato non perché nera ma perché a 15 anni ha compiuto imprese e tempi che nessuna prima di lei neanche a 18 anni aveva realizzato.Ma è possibile che una bellissima vittoria a livello europeo di una quindicenne [ vedere fotosopra] debba,essere usata per delle becere ,già superate dalla storia ,idee ( se tali  si possano chiamare ) ?.       
 Lo so che 


ma davanti al riemergere di vecchie ideologie che hanno causato fra il XIX e Il XX secolo razzismo , persecuzioni, due guerre mondiali , olocausti , segregazione., ecc non riesco a riesco a far finta di niente . E a considerare anacronistico o macchiette simili persone e pensieri . lo so che replicare a tali persone è come tale detto 

Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi".

ma sono allo stesso tempo convinto che se educati come  fa  Daryl Davis    [...] un musicista e attivista
R&B e blues americano. I suoi sforzi per combattere il razzismo coinvolgendo i membri del Ku Klux Klan (KKK) hanno convinto decine di uomini del Klan ad andarsene e denunciare il KKK. Conosciuto per il suo energico stile di pianoforte boogie-woogie,Davis ha suonato con musicisti come Chuck Berry,[Jerry Lee LewisB. B. King,[Bruce Hornsby
È il soggetto del documentario del 2016  Accidental Courtesy: Daryl Davis, Race & America [ .....  segue  su Wikipedia alla  voce Darly Davis  voce enciclopedica  presente  anche  in italiano per  chi non mastica  inglese. ] Ma  sopratutto  perchè credo (  per  me   è  stato cosi  tra i  13\15  anni  ) che  possa succedere come nel finale del film The Best of Enemies (2019) doponilmprotagonista ex kkk   discutendo  e confrontandosi cambia idea e strappa pubblicamente la tessera di tale organizza,ione neonazista . Ora dopo questo  sfogo ecco  Perché i giornali esaltano Kelly Doualla, campionessa europea nei 100 metri femminili U20 a 15 anni? Ecco la risposta come mai l'atleta azzurra ha avuto più spazio mediatico di quello delle altre (magnifiche) medaglie d'oro di Erika Saraceni e Diego Nappi?, chiedono in modo provocatorio certi account social. Il motivo ha poco a che fare con i complottismi. Basta dare uno sguardo ai numeri di un talento che corre nella gara regina dell'atletica 



Da ilfattoquotidiano  10 Agosto 2025



di Domenico Cannizzaro 


Da un paio di giorni le pagine sportive dei quotidiani parlano dell’impresa di Kelly Doualla, atleta italiana che ha dominato i 100 metri agli Europei U20 in Finlandia, a Tampere. E come spesso capita, intorno ai campioni sportivi azzurri c’è sempre una polemica. Per qualsiasi motivo. Sinner “non è italiano”, Tamberi è “esuberante”, Jacobs è “americano” e adesso, più sottilmente: “Perché le altre due medaglie d’oro Diego Nappi ed Erika Saraceni non sono così celebrati?” è la domanda che rimbalza in modo provocatorio su diversi profili social.
Non che a lei freghi molto (“Mi piacciono Paola Egonu e Myriam Sylla: sono nera e


italiana come loro, i commenti razzisti me li faccio scivolare addosso” ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera). Ma proviamo a mettere ordine. Partiamo dalle basi: no, Doualla non è sulle prime pagine dei giornali “perché è nera”, come si legge in alcuni commenti social. Altra premessa: complimenti a Erika Saraceni (ma ilfattoquotidiano.it come il resto della stampa italiana ne aveva già esaltato le gesta) – che nel salto triplo ha vinto stabilendo il record dei campionati e migliorando il record nazionale di categoria – e complimenti anche a Diego Nappi, che ha vinto i 200 metri con un gran tempo. Ma nell’impresa di Kelly Doualla c’è di più, dal punto di vista tecnico-sportivo e quindi giornalistico. Lo dicono i dati che parlano di un talento dalle potenzialità più che notevoli e che come tale va trattato (e tutelato e coltivato).
Kelly Doualla (in alto   al centro  foto  Francesca Grana per la Federazione italiana atletica leggera) Ha fermato il cronometro di Tampere a 11″22. Un tempone. È così che Doualla è diventata la più giovane U20 di sempre a vincere nella specialità. Basterebbe già questo per rendere onore all’impresa della 15enne azzurra. Ma c’è altro: in primis, parliamo della gara regina dell’atletica leggera. I 100 metri – che sia maschile o femminile – rimangono la gara più vista e più popolare. E nulla cambia se sia ai Mondiali, agli Europei o alle Olimpiadi. Per lo stesso motivo l’Italia ha esultato – “scioccata” – per l’oro di Marcell Jacobs nei 100 maschili dei Giochi di Tokyo, in quei 20 minuti che hanno cambiato la storia dello sport italiano che portarono anche il trionfo di Gimbo Tamberi nel salto in alto.Con il suo 11″22 (al Festival olimpico della gioventù europea di Skopje aveva anche chiuso in 11″21), è già la terza italiana più veloce della storia dopo Zaynab Dosso (11″01) e Manuela Levorato (11″14). E ha ancora 15 anni: Doualla ha vinto contro avversarie di due, tre, quattro anni più grandi di lei (e nell’età che porta dall’adolescenza alla piena maturità atletica fa tutta la differenza del mondo). Alle sue spalle la medaglia d’argento è finita al collo della diciottenne britannica Mabel Akande (11”41), il bronzo alla diciassettenne ucraina Uliana Stepaniuk (11”53). 19 centesimi di distacco sulla seconda, un’enormità sui 100 metri. Più giovane U20 di sempre a vincere nella gara regina dell’atletica, terza italiana più veloce della storia, trionfo netto contro avversarie anche tre o quattro anni più grande. Numeri che possono essere sufficienti per dare una risposta a “perché tutti parlano di Kelly Doualla”. Anche per i margini di miglioramento che può avere un’atleta che ha davanti a sé anni di possibile perfezionamento della tecnica, della preparazione atletica e di quella psico-agonistica.

Chi è Kelly Doualla

Kelly Ann Doualla è nata a Pavia il 20 novembre 2009 da genitori camerunensi, entrambi operatori sanitari e da tempo in possesso della cittadinanza italiana. Doualla abita a Sant’Angelo Lodigiano, in provincia di Lodi e da anni si allena con il Cus Pro Patria Milano con l’allenatore Walter Monti, che le fa disputare gare anche con i maschi di 16 e 17 anni (e spesso vince).Doualla inizia a praticare atletica a livello agonistico molto presto e nel 2022 si fa notare ai Giochi Studenteschi, facendo registrare negli 80 metri un tempo migliore anche del vincitore maschile della categoria: 9″79 e seconda classificata staccata di circa 30 metri. A gennaio 2025 ha segnato il nuovo record europeo Under 18 nei 60 metri, vincendo ad Ancona in 7″23 e tre settimane dopo si è migliorata di altri 4 centesimi, mancando di un solo centesimo il record mondiale di categoria, alla finale dei Campionati italiani Allievi nei 60 indoor.Adesso l’impresa in Finlandia: la vittoria della finale dei 100 metri donne agli Europei U20 con un tempo di 11″22, con ben diciannove centesimi di vantaggio sulla seconda classificata. È la più giovane vincitrice della storia su questa distanza nelle 28 edizioni dell’evento, a 15 anni e 261 giorni di età, anche se lei non ci pensa, come ha dichiarato a corriere.it: “Non penso mai al fatto che ho solo 15 anni”.Ma non c’è solo la velocità. Doualla infatti è forte anche nel salto in lungo, con un record personale di 6,24 metri. La giovanissima atleta ha già partecipato a un raduno delle nazionali giovanili italiane. Insomma, un talento grezzo dell’atletica italiana ancora da affinare, considerando che ha soltanto 15 anni. E chi se ne frega delle critiche. Kelly Doualla le schiva, fugge. Un gioco troppo facile per chi corre i 100 metri a 15 anni in 11″21.


Le basta    come  risposta   Signor  Vannacci  ?






la vita da Grandi di Greta Scarano (2025)



in convalescienza per una frattura alla caviglia , ho visto su Netflix La vita da grandi, regia di Greta Scarano (2025) era dalla mia visione di : Mio fratello rincorre i dinosauri film del 2019 diretto da Stefano Cipani un adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol e dalla serie Tutto chiede salvezza composta da due stagioni tratta dall'omonimo romanzo di Daniele Mencarelli. ch non vedevo film di tale genere .Un buon folm sull'autismo , toccante , poetico , delicato , non pietoso . Il film è stato accolto con recensioni positive da parte della critica cinematografica, che ne ha apprezzato regia e sceneggiatura, oltre che le capacità attoriali di De Angelis e Tuci.
Concordo con Manuela Santacatterina di Movieplayer.it scrive che la tematica dell'autismo viene raccontata «con autenticità, rispetto e ironia e senza forzature, [...] una riflessione sul terrore del fallimento e sulla necessità di iniziare a pensare che essere felici - o almeno provarci - è più importante che "sistemarsi"» trovando che nella sceneggiatura non vi sia alcun «calo narrativo o una stonatura», apprezzandone scenografie, costumi e la fotografia.Azzeccata è anche la recensione diMatteo Pivetti, per Sentieri selvaggi definisce il film «un’opera quadrata, che nei canoni del genere funziona perfettamente», trovando la regia «molto efficace nei vari passaggi».Cosi come quella di Camillo De Marco di Cineuropa apprezza la regia di Scarano, scrivendo che «dirige con sensibilità ed empatia» e ritenendo che «la pianeggiante sceneggiatura [...] non offre momenti particolarmente drammatici come ci si aspetterebbe visto l’argomento» poiché affronta una «neurodiversità lieve» ma  che «fornisce allo spettatore una buona riflessione sulla responsabilità, sui legami familiari e la consapevolezza».
Vittoria Sertori su CineFacts loda il film sostenendo che «ci spinge a guardare al di là delle etichette e delle diagnosi come autismo, disabilità ma anche responsabilità, e a liberarsi da una serie di sovrastrutture [...] per ritrovare il gusto di scoprirsi liberi e mutevoli, capaci di riconoscere i propri desideri senza vergognarsi di esprimerli.». Alcuni   come  Lorenzo Ciofani del Cinematografo si   soffermano sulla capacità attoriale di De Angelis, descrivendola come garante di «credibilità» e «capace di incarnare il carattere complessivo di un territorio, e che nella sua presenza sempre magnetica, [...] perfino buffa quando si concede la possibilità di essere difettosa», facendo un parallelismo con il testo del brano Litoranea interpretato dall'attrice con Elisa, facente parte dell'album Ritorno al futuro/Back to the Future.
Voto 7

11.8.25

Sembra poco, ma in un’epoca e in un mondo che tace e fa finta di nulla, sui crimini israeliani le parole di un’icona sportiva planetaria come Momo Salah è uno dei più grandi giocatori africanifanno eccome la differenza.

 da  lorenzo  tosa 



Momo Salah è uno dei più grandi giocatori africani della storia e uno dei più forti in attività in senso assoluto.Ma oggi ha fatto qualcosa per cui ci vuole coraggio, cuore, dignità.Salah ha preso una posizione durissima nei confronti dell’Uefa per il tributo fiacchissimo e pavido che il massimo organo calcistico europeo ha riservato a Suleiman Obeid, il calciatore palestinese morto ammazzato dall’esercito israeliano mentre era in coda per il cibo a Gaza, senza che l’Uefa scrivesse una sola parola sul fatto che sia stato ucciso, in quali circostanze e soprattutto da chi.A quel punto su X Salah ha commentato senza mezzi termini.“Potete dirci come è morto, dove e perché?”.Poche parole che raccontano tutto. Non del calciatore ma dell’uomo. E non è neppure la prima volta che Salah si schiera pubblicamente su quanto sta accadendo a Gaza.Sembra poco, ma in un’epoca e in un mondo che tace e fa finta di nulla, le parole di un’icona planetaria fanno eccome la differenza.È da questi particolari che si riconoscono i campioni veri.

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...