


Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà




E è vero che come ho già detto nel post precedente : << ci sarà qualcuno\a che raccoglie l'eredità di Pippo Baudo oppure la sua morte è Una parabola comune, un mondo culturale definitivamente tramontato.? >> è stato un pilastro della tv italiana . Ed è giusto parlarne , ma qui si esagera Infatti come dice il post istangram riportato sotto
Ci sono due pesi e due misure nell'informazione . Io non avrei saputo dirlo meglio
| san Agostino di Botticelli |

Pippo Baudo e Raffaella Carrà erano il compromesso storico dell'Italia nazional-popolare.Erano la TV che ha costruito una lingua e un sentire comuni, una vera e propria koinè, erano il calore del sabato sera in famiglia (ed erano anche la fuga per reazione dialettica da quell'abbraccio soffocante) - da Chissà se va a Sanremo, con un'infinita teoria di canzoni e cantanti ed artisti di ogni tipo; erano la festa e lo specchio di un'Italia che non c'è più - con pregi e difetti, vizi e virtù, ma ora come ora riesco solo a vederne le qualità.Pippo Baudo era poi siciliano, di Militello in val di Catania (un paese bellissimo), e il pensiero va inevitabilmente ai miei (di madre era quasi coetaneo).Una parabola comune, un mondo definitivamente tramontato.
Infatti la mia domanda credo che dìsarà destinata a non trovare riposta in quanto : << riposta è importante solo quando fai domanda giusta . cit karate kid 4>> perchè nel bene e nel male con lui se ne va un pezzo profondo, articolato, pulsante della televisione italiana. Non soltanto un conduttore, non solo un volto noto. Pippo come dicono le croinache era un radar, un direttore d'orchestra che sentiva la musica prima che iniziasse, un visionario con lo smoking addosso e il fiuto dei grandi talent scout americani, quelli che con uno sguardo capiscono se c'è una scintilla.
In un Paese che spesso inciampa nel provincialismo e nella nostalgia, Baudo ha saputo essere classico senza mai diventare vecchio. Ha attraversato decenni con la leggerezza di chi conosce bene il proprio mestiere: la conduzione come arte, la diretta come coreografia, il palco come un'estensione della propria anima. Perché Pippo non presentava, accoglieva. Accoglieva gli spettatori, i concorrenti, i cantanti, i comici e soprattutto i giovani.
L'elenco di coloro che "ha lanciato Baudo" somiglia più a una galleria di ritratti che a una semplice lista qui su : <<Pippo Baudo - Wikipedia >> per ulteriori approfondimenti .
leggo con sconceto da Lorezo Tosa da cui ho usato le prime righe per il titolo del post che
Anche l’ultima frontiera è stata superata. Era solo questione di tempo prima che fosse messa lì nero su bianco.Lo ha fatto Walker Meghnagi, Presidente della Comunità ebraica di Milano. Lo ha fatto Walker Meghnagi, Presidente della Comunità ebraica di Milano. Che, in un’intervista surreale a “La Stampa”, ha pronunciato una frase di una gravità e un’ignoranza storica spaventosa. “Per fortuna c’è la Presidente del Consiglio Meloni e il resto della destra che ci difende. Altrimenti torneremmo al ‘38.Se al governo ci fossero Schlein, Conte, Bonelli e Fratoianni, a noi ebrei sparerebbero in strada".
Siamo arrivati al punto che uno dei massimi rappresentanti della comunità ebraica in Italia inneggia pubblicamente a una destra erede in linea diretta e mai pentita di chi proprio nel ‘38 firmò e promosse il Manifesto della Razza.Eredi mai pentiti di quelli che mandarono gli ebrei su treni piombati nei campi di sterminio.Eredi mai pentiti di chi nel ‘38 era alleato con Hitler.Gente che ancora oggi tiene orgogliosamente i busti di Mussolini in casa, non celebra il 25 aprile ed è incapace di dichiararsi nel 2025 antifascista.E, se fossi in uno dei quattro leader , [ma al loro posto non ci so stare corsivo mio ] vergognosamente accusati di antisemitismo, denuncerei immediatamente quest’uomo per gravissima diffamazione.Per tutelare sé stessi da un’accusa volgare e infamante.Ma anche - e con ancora più forza - per difendere la sinistra da qualunque accostamento al 1938 e a totalitarismi che sono storicamente, politicamente e culturalmente di DESTRA ESTREMA. E sempre lo saranno. E i primi a doverne chiederne le dimissioni immediate sono proprio i membri della comunità che questo individuo rappresenta.Altrimenti non è più il delirio di un singolo ma un’allucinazione collettiva. Un passo in avanti verso l’abisso.
Francesca Barca: Cos’è la mascolinità?
Francis Dupuis-Déri: La “mascolinità” è una rappresentazione, un modello, direi persino un riferimento ideologico. Sempre concepito, in modo consapevole o meno, in un rapporto diseguale e gerarchico con la femminilità.
Il concetto di mascolinità non esiste senza quello di femminilità; non esiste il maschile senza il femminile. Negli ultimi anni la mascolinità è stata oggetto di discussione, spesso in maniera scollegata dal concetto di femminilità. Che sia in modo implicito o esplicito, la mascolinità viene presentata e percepita come superiore alla femminilità: gli uomini vengono considerati più razionali (mentre le donne sarebbero eccessivamente emotive), più attivi e creativi (le donne più passive), più autonomi (le donne, invece, più dipendenti), più forti, aggressivi e violenti (le donne, al contrario, sarebbero più delicate, pacifiche e premurose).
Tutto questo è un costrutto ideologico, basato su stereotipi tratti da testi religiosi o divulgativi, semplicistici e spesso fallaci, o ancora su una preistoria immaginaria, su un presunto determinismo genetico o ormonale. Ma resta il fatto che ha un impatto sulla realtà, sulla nostra socializzazione, sulle aspettative che abbiamo riguardo alle persone o a noi stessi.
Come dovrebbe essere definita la cosiddetta “crisi della mascolinità”?
Come spiego in La crise de la masculinité, si tratta di un discorso che si sente almeno dai tempi dell’antichità romana in Europa, e che è diffuso in tutto il mondo. Questa retorica sostiene che gli uomini stanno male, soffrono, perché le donne starebbero prendendo troppo spazio, occupando il “nostro” posto in quanto uomini, e perché le femministe ci starebbero criticando in maniera ostile… Gli uomini vengono, in quest’ottica, dipinti come vittime delle donne e la soluzione sarebbe quella di rivalorizzare la mascolinità tradizionale, messa in ginocchio dalla femminilizzazione della società.
È importante sottolineare che questo discorso “vittimistico” degli uomini si esprime ed esiste, indipendentemente dal regime politico, giuridico (compreso il diritto di famiglia e del lavoro), economico e, anche, indipendentemente dalla cultura e dalla religione dominante. Questo tipo di discorso può emergere anche nei paesi più poveri, così come in quelli più ricchi. Oggi, alcuni degli uomini più potenti al mondo, come Elon Musk, Mark Zuckerberg e Donald Trump, sostengono che stiamo attraversando una cris i della mascolinità.
Potrebbe spiegarci cosa sono l’antifemminismo e, più precisamente, il mascolinismo?
Detto nella maniera più semplice possibile, l’antifemminismo è una forza che si oppone al desiderio o alla volontà delle donne di essere libere e uguali agli uomini. Come spiega la sociologa Mélissa Blais, l’antifemminismo, come qualsiasi forza politica o movimento sociale, è composto da molti elementi e si mobilita su diversi fronti. Ad esempio, l’antifemminismo cattolico è molto attivo nella lotta contro il diritto all’aborto (in nome di Dio). L’antifemminismo "mascolinista" si basa sull’idea di una crisi della mascolinità, utilizzata per giustificare i ruoli di genere e la divisione sessuale del lavoro. L’antifemminismo di estrema destra si interseca con il mascolinismo, il suprematismo bianco e la xenofobia, in nome della difesa della famiglia come pilastro nazionale.Ancora, l’antifemminismo di sinistra o anticapitalista ripete che le questioni delle donne sono secondarie, che le femministe dovrebbero piuttosto dedicarsi a movimento di massa o a un partito, per combattere contro la classe capitalista e il capitalismo, e che devono soprattutto astenersi dal criticare il sessismo e la violenza sessuale all’interno delle organizzazioni progressiste, perché questo dividerebbe le forze del movimento…
Il discorso mascolinista che si sente oggi sembra molto simile a quello pre-MeToo, o precedente ai passi avanti ottenuti dai movimenti femministi. C’è una differenza?
Il mascolinismo utilizza molto spesso lo stesso argomento di fondo: gli uomini stanno soffrendo perché le donne si sono spinte troppo oltre, uscendo dal ruolo che la società aveva loro attribuito, come l’essere oggetti sessuali, compagne docili, madri casalinghe. Ma i sintomi della crisi possono variare in base al contesto.
La storica Eve-Marie Lampron ha chiaramente mostrato (nel suo capitolo del libro Le mouvement masculiniste au Québec : L’antiféminisme démasqué, 2015) che, durante la Rivoluzione francese, il discorso mascolinista si esprimeva in tutti i campi politici, con i repubblicani che accusavano il re Luigi XVI di essere effeminato e sottomesso dalla regina Maria Antonietta, mentre i monarchici accusavano i repubblicani di permettere alle “loro” donne di marciare per le strade indossando pantaloni. Sappiamo anche che, prima che il divorzio venisse liberalizzato, si sentiva ripetere lo stereotipo che gli uomini fossero dominati dalle mogli all’interno del matrimonio, considerato una prigione. E da quando il divorzio è stato liberalizzato, si sente dire che le ex mogli continuano a dominare gli uomini, “estorcendo” le pensioni alimentari. Che siano sposati o divorziati, gli uomini possono continuare ad affermare di essere dominati dalle donne. Come hanno messo in luce le ricerche di Angela Davis, Patricia Hill Collins e bell hooks, il discorso sulla crisi della mascolinità è stato espresso anche all’interno del Black Power negli anni Sessanta e Settanta, quando le afro femministe venivano criticate per la loro presunta dominazione sulla comunità.Molti argomenti ricorrono da almeno 20 o 30 anni, come l’idea che gli uomini non possano più corteggiare con le donne e che siano proprio queste ultime ad avere il completo controllo nei rapporti sessuali, oppure che le difficoltà scolastiche dei maschi siano la prova di una crisi della mascolinità, anche se, una volta terminati gli studi, gli uomini ottengono risultati migliori delle donne nel mercato del lavoro.Negli Stati Uniti, dagli anni '90 si ripete che gli “angry white men” (“uomini bianchi arrabbiati”) sarebbero vittime di una terribile ingiustizia economica a favore delle donne e delle minoranze afroamericane e migranti, che ruberebbero loro il lavoro... La vittoria elettorale di Donald Trump è stata spiegata dicendo, per esempio, che questi uomini “comuni” erano i grandi perdenti della deindustrializzazione.Invece, se si osservano i dati, si può notare che gli stati americani che hanno più supportato Trump, come il Nebraska e il Wyoming, registrano un divario retributivo annuo, per lavoro a tempo pieno, di circa 15mila dollari tra lavoratrici e lavoratori, a favore… degli uomini! Perché succede? Perché i lavori a predominanza maschile, come il lavoro in fabbrica, l’attività mineraria, quella di silvicoltura e l’autotrasporto offrono stipendi migliori rispetto ai lavori considerati femminili.In sostanza il discorso sulla crisi della mascolinità non è nuovo, e si ripete da generazioni, spesso con gli stessi falsi argomenti. Inoltre, ricerche condotte in diversi paesi hanno mostrato che il mascolinismo viene usato da tempo per screditare le analisi femministe e le mobilitazioni contro la violenza maschile, sia in Québec, che in Spagna o in Francia (si veda L’antiféminisme et le masculinisme d’hier à aujourd’hui 2018).Il mascolinismo, o il discorso sulla crisi della mascolinità, è stato fin dal principio uno dei pilastri del fascismo italiano e successivamente della propaganda nazista; si basava sulla tesi secondo cui gli uomini italiani o ariani erano stati “traditi” durante la Prima guerra mondiale da un'élite liberale decadente e femminilizzata, e che il fascismo avrebbe ripristinato la mascolinità virile e la famiglia patriarcale. In altre parti del mondo, come in Spagna, il discorso fascista ha fatto propria questa tesi della femminilizzazione degli uomini e della nazione, proponendo la stessa soluzione: una mascolinità aggressiva che conquista, per esempio attraverso la colonizzazione (si veda il lavoro di Marie Walin sulla Spagna).Ancora oggi, l’estrema destra partecipa al mascolinismo, anche attraverso internet, come rivelano numerosi studi.
Si sentono spesso espressioni come “femminismo radicale”, “femminismo totalitario” o persino “femminazi”. Ci può aiutare a contestualizzare?
Gli antifemministi non si definiscono tali naturalmente, negano di essere antifemministi e preferendo giocare sulla divisione retorica tra femministe “buone” e “cattive”. Si sentirà quindi dire che il femminismo è “andato troppo oltre”. Queste persone se la prendono soprattutto con le “neofemministe” radicali o estremiste. Ma se entriamo nei dettagli, per capire a chi si rivolgono, ci rendiamo conto che il loro obiettivo sono praticamente tutte le femministe di oggi... Il discorso vittimistico dei maschilisti suggerisce che il femminismo odierno imponga alla società un vero e proprio “totalitarismo” e che gli uomini non possano più dire nulla, che siano vittime di un sessismo anti-maschile. Per quanto riguarda il termine “feminazi”, la paternità è attribuita a Rush Limbaugh, un conduttore radiofonico reazionario attivo negli Stati Uniti negli anni '90. Quando si conosce la storia e ci si riflette seriamente, l'espressione “feminazi” è triplicemente scandalosa e ridicola. Ovviamente, è un insulto alla memoria dei milioni di vittime dei nazisti. In secondo luogo, l'espressione è un insulto al femminismo, uno dei movimenti sociali più pacifici, persino molto moderato, considerando le ingiustizie e le violenze storiche e pratiche che le donne devono affrontare. Ad esempio, per quanto riguarda gli omicidi di donne – i femminicidi – uccise dai loro partner o ex partner, cosa fanno le femministe? Niente di molto radicale, se ci pensiamo bene: nessuna rivolta contro gli uomini, nessuna operazione di vendetta (impiccagioni, fucilazioni, villaggi distrutti, come hanno fatto ripetutamente i nazisti), nessuna formazione di milizie armate o attentati, come fanno i neonazisti. Si sente spesso dire che le femministe “castrano” gli uomini, ma in realtà non fanno nulla, a differenza dei veri nazisti che torturavano - e persino castravano - realmente le loro vittime...

Dopo la morte nei giorno scorsi all'età di 80 anni di Maurizio Fercioni ( foto sotto a sinistra ) considerato il primo t...