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29.10.25

ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa recensione

[...] Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare, ma che comunque fa parte della famiglia. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. E il nostro modo di amare non è diverso, Amal.[...] 
grazie a https://www.unavaligiariccadisogni.it/ per la citazione e la sua ottima recensione  e  i consigli   sul  suo facebook  Il mio percorso di lettura a tema... - » Una Valigia ricca di Sogni    per  capire  cosa  sta avvenendo In Palestina\ Israele 


 
ho finito di leggere ogni mattina a jenin di Susan Abulhawa con le lacrime agli occhi , non    sono    come m'ero promesso ed in parte c'ero riuscito ,a non  piangere.
A quanto già detto nel post precedente di cui avevo abbozzato una recensione a metà lettura posso   confermare     che ogni matina  a Jenin di   Susan Abulhawa che esso è un romanzo struggente che può fare per la Palestina ciò che il “Cacciatore di aquiloni” ha fatto per l’Afghanistan. Racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di "senza patria". Attraverso la voce di Amal, la brillante nipotina del patriarca della famiglia Abulheja, viviamo l'abbandono della casa dei suoi antenati di 'Ain Hod, nel 1948, per il campo profughi di Jenin. Assistiamo alle drammatiche vicende dei suoi due fratelli, costretti a diventare nemici: il primo rapito da neonato e diventato un soldato israeliano, il secondo che invece consacra la sua esistenza alla causa palestinese. E, in parallelo, si snoda la storia di Amal: l'infanzia, gli amori, i lutti, il matrimonio, la maternità e, infine, il suo bisogno di condividere questa storia con la figlia, per preservare il suo più grande amore. La storia della Palestina, intrecciata alle vicende di una famiglia che diventa simbolo delle famiglie palestinesi, si snoda nell'arco di quasi sessant'anni, attraverso gli episodi che hanno segnato la nascita di uno stato e la fine di un altro. In primo piano c'è la tragedia dell'esilio, la guerra, la perdita della terra e degli affetti, la vita nei campi profughi, condannati a sopravvivere in attesa di una svolta. L'autrice non cerca i colpevoli tra gli israeliani, racconta la storia di tante vittime capaci di andare avanti solo grazie all'amore.Mi rilasso dalla tensione accomunata dalla sua lettura e in alcuni casi rilettura visto il mal funzionamento ( è un modello vecchio ) di ipad del kindle questa play list
concordo con questa recensione di © Maria Elena Bianco presa da https://www.lefrasipiubelledeilibri.it/ogni-mattina-a-jenin-susan-abulhawa/ “Pervasi dal sapore terroso della morte, quei giorni si conficcarono nei miei ricordi come particelle di polvere insanguinata, come l’odore dolciastro della vita in decomposizione e della terra bruciata”. Questo è un libro duro, specie letto da un occidentale con la vita facile. Tra le pagine la questione palestinese raccontata attraverso quattro generazioni che ci fanno camminare in un arco di tempo di 60 anni, dal 1941 al 2002. Una vita. È una saga familiare ma non di quelle a cui siamo abituati, no, è una storia atroce, dolorosa, particolare, intensa, dura. Vera. Ed è scritta con una delicatezza e poesia unica. La famiglia Abulheja, dal patriarca ai figli della nipote, Amal, voce narrante che ci racconta la sua storia, ci aiuta a capire cosa sia davvero l’atrocità della guerra. È una storia che trasuda umanità malgrado la storia di polvere e sangue in sottofondo. Commovente. Una volta entrati nel duro mondo di Amal, di sua madre Dalia, dei suoi fratelli, non ci si puó staccare da quelle pagine… Una donna che scrive di donne in un contesto in cui le donne non hanno potere di scelta e che insegna moltissimo. Nessuna delle donne protagoniste del libro ha vita facile, nessuna, eppure emerge sempre il coraggio, la forza, la resilienza. Ogni donna, anche quella mai nata, insegna al lettore una lezione.So di aver letto un capolavoro che spero leggiate.Consigliatissimo.

28.10.25

Halloween: quando la conoscenza fa più paura dei demoni di elisa lapenna

 https://nessundatodisponibile.blog/


 pensi che Halloween sia la festa di Satana, il problema non è la zucca. È la tua ignoranza benedetta.Ogni anno, la stessa processione di opinioni infervorate:


“È una festa americana!” 
“È un rito satanico!” “È solo un carnevale macabro per ragazzini travestiti!”

E ogni anno, nessuno che apra un libro prima di parlare.
Le vere origini: il Samhain celtico
Molto prima che il cristianesimo accendesse le sue candele, i popoli celtici celebravano Samhain, il passaggio tra la fine del raccolto e l’inizio dell’inverno. Era il momento in cui il mondo dei vivi e quello dei morti si sfioravano, un tempo sacro di trasformazione, introspezione e rispetto per la natura.

Non c’erano mostri né diavoli, ma fuochi accesi per onorare gli spiriti e proteggere la comunità. Era la festa della ciclicità, del rinnovamento, della consapevolezza che la morte non è una fine, ma un ritorno.
Dalla persecuzione alla demonizzazione
Quando il cristianesimo si diffuse in Europa, si trovò davanti popoli che non avevano bisogno di intermediari per credere nel sacro. La terra, il sole, la luna e il fuoco bastavano. E questo, per chi voleva imporre un solo Dio e un solo potere, era inaccettabile.
Non potendo cancellare le antiche tradizioni, la Chiesa le assorbì e ribattezzò: Samhain divenne All Hallows’ Eve, la vigilia di Ognissanti. Ciò che restava, invece, fu condannato come superstizione, eresia, stregoneria.
Fu così che le sacerdotesse divennero streghe, le erbe curative divennero pozioni, e i riti della terra furono bollati come “opere del demonio”. Molti pagani vennero perseguitati, processati, arsi vivi. Il fuoco sacro dei campi si trasformò in rogo inquisitorio.
Dalla luce alla colpa: la distorsione del sacro
Curioso, vero? Le nostre chiese traboccano di corpi sanguinanti, croci, spine e dolore, come se la santità coincidesse con la sofferenza. Un’estetica macabra, eppure chiamata “sacra”.
I pagani, invece, soprattutto i Celti, veneravano la terra, la fertilità, l’equilibrio. Per loro, la morte era un passaggio naturale, non una punizione. L’oscurità non faceva paura: era solo una parte del tutto.
Poi arrivò la dottrina della colpa: il corpo divenne peccato, la conoscenza divenne pericolo, la donna divenne tentazione. E da allora abbiamo imparato a temere tutto ciò che non comprendiamo, a chiamare “male” ciò che non possiamo controllare.
La zucca e la conoscenza
La zucca non è un feticcio del demonio, ma una lanterna accesa nella notte, un simbolo di luce dentro una testa vuota. Halloween non celebra il male, ma ricorda che la paura nasce dall’ignoranza.
La vera oscurità non è fuori: è dentro chi rifiuta di capire, chi preferisce la condanna alla comprensione, la fede cieca al pensiero critico.
Halloween non è la notte dei demoni. È la notte in cui la conoscenza fa paura a chi non la possiede.

Riyad Idrissi: da Sadali a Cagliari con amore, dedica il gol contro il Verona ai genitori

da https://www.cronachedallasardegna.it/
27\10\2025

Foto: Cagliari calcio
 Riyad Idrissi, vent’anni ieri ha segnato il suo primo gol in serie A con la maglia del Cagliari contro il Verona e lo ha dedicato ai suoi genitori, che per lui hanno fatto tanti sacrifici. Come altri non avrebbero fatto dice.Riyad è di origini marocchine, nato e cresciuto a Sadali e formatosi calcisticamente nelle giovanili del Cagliari calcio, ruolo difensore.Dopo una stagione in serie B nel Modena, esordisce in prima squadra nella partita di Coppa Italia contro la Virtus Entella il 16 agosto 2025 e nel campionato di serie A il 24 agosto contro la Fiorentina.Ieri Fabio Pisacane lo mette in campo titolare dall’inizio della partita e lui ricambia la fiducia del mister segnando la sua prima rete in serie A, che da il via alla rimonta rossoblù contro il Verona al Bentegodi, poi conclusa da Felici.Idrissi gioca sia nella Nazionale U21 italiana che nella Nazionale marocchina. Lo scorso mese ha giocato con gli Azzurri contro il Montenegro e la Macedonia del Nord, portando a casa due ottime prestazioni personali.Amante della Sardegna e dei culurgiones fatti in casa che quando torna a Sadali pare non gli fanno mai mancare, Idrissi rappresenta al meglio il futuro del calcio isolano, fatto di passione, lavoro e sacrificio.Applausi e continua così Riyad.


Maria Vittoria Dettoto

L'Azione Centrata del Vasaio Trovare l'equilibrio nel cuore del movimento consapevole.da Apri la Mente Daily

“Non puoi fermare le onde, ma puoi imparare a cavalcarle.” - Jon Kabat-Zinn

Un giovane allievo si lamentava con la sua maestra vasaia. “Non riesco a trovare l’equilibrio,” diceva. “Medito la mattina e trovo la calma, ma appena inizio a lavorare, il mondo esterno mi trascina via e perdo il mio centro.” La maestra lo invitò al tornio. Prese un pezzo di argilla e lo gettò sulla ruota che girava. “L’equilibrio che cerchi nel ritiro è facile,” disse. “Ma l’equilibrio della vita non è immobilità. È
questo.” Le sue mani rimasero ferme e centrate, mentre l’argilla girava vorticosamente. L’argilla premeva contro le sue mani, e le sue mani premevano contro l’argilla. “Vedi? La ruota gira, l’argilla si muove. Le mie mani danzano con essa. Ma il mio centro,” e indicò il suo ventre, “è fermo. Non puoi fermare la ruota della vita. Ma puoi imparare a rimanere centrato mentre gira. L’equilibrio non è fuggire dal movimento; è trovare la quiete al suo interno.” La Neuroscienza dell’Azione in “Flow” L’esperienza del vasaio è nota in psicologia come “Flow” (flusso), un concetto introdotto da Mihaly Csikszentmihalyi. È uno stato di “azione consapevole” in cui siamo così immersi in un’attività che il tempo sembra svanire e il nostro senso di sé si fonde con l’azione. Neurologicamente, è uno stato di efficienza suprema. La corteccia prefrontale, sede del nostro critico interiore e della nostra auto-coscienza, riduce la sua attività (un fenomeno chiamato “ipofrontalità transitoria”). Smettiamo di analizzarci e ci affidiamo all’azione. Allo stesso tempo, le aree del cervello legate al compito sono altamente attivate e c’è un rilascio di neurochimici del benessere come la dopamina e l’anandamide. Jon Kabat-Zinn, fondatore dell’MBSR, spiega che la mindfulness è il fondamento per raggiungere questo stato. La pratica della mindfulness (essere presenti senza giudizio) allena la nostra capacità di rimanere “centrati”, come il vasaio. Questa consapevolezza diventa l’ancora stabile che ci permette di impegnarci con la “ruota che gira” della vita senza essere sbalzati via dall’ansia o dalla distrazione. Strategie per l’Equilibrio in Movimento L’equilibrio sostenibile si trova nell’azione, non nella fuga da essa. Inizia ancorandoti al respiro. Prima di iniziare un compito impegnativo, fai tre respiri profondi. Senti il tuo “centro” (spesso nell’addome). Questo è il tuo punto di quiete. Ritorna lì con l’attenzione ogni volta che ti senti sbilanciato. Pratica l’intenzione singola (Single-Tasking). Invece di dividere la tua attenzione, dedica un blocco di tempo a una sola cosa. Quando scrivi, scrivi. Quando ascolti, ascolta. Questa è l’essenza dell’azione centrata e combatte la frammentazione del multitasking. Esegui un compito quotidiano “come un rituale”. Scegli un’azione banale (lavare i piatti, preparare il caffè) ed eseguila con la piena attenzione di un maestro vasaio. Senti l’acqua, l’odore, il movimento delle tue mani. Questo allena il muscolo della presenza nell’azione. Controlla la tua postura. Il nostro corpo riflette la nostra mente. Quando ti senti stressato, probabilmente sei teso e sbilanciato. Fai un check-in posturale: raddrizza la schiena, rilassa le spalle, senti i piedi a terra. Un corpo centrato supporta una mente centrata. Ascolta il “feedback” dell’argilla. Se senti troppa resistenza o frustrazione in un compito, non spingere più forte. È un segnale che sei fuori centro. Fai una pausa, respira, e poi riprendi con un approccio più morbido e consapevole. Distingui tra azione e reazione. La reazione è impulsiva, sbilanciata e parte dall’amigdala. L’azione consapevole nasce da un centro calmo, anche se è rapida. Allenati a inserire una micro-pausa (un respiro) tra lo stimolo e la tua risposta.Pratica della Mattina: Il Rituale del Vasaio Siediti con la schiena dritta e le mani appoggiate sulle ginocchia, con i palmi rivolti verso l’alto. Chiudi gli occhi. Immagina la tua giornata come un tornio che gira. Immagina i tuoi compiti e le tue interazioni come l’argilla su di esso. Ora, senti le tue mani (la tua azione) e il tuo respiro (il tuo centro). Visualizzati mentre modelli la giornata con mani ferme, gentili e presenti, rimanendo perfettamente calmo e centrato mentre la ruota gira. Sussurra a te stesso: “Sono il centro calmo nel cuore del movimento.” L’Arte dell’Azione Centrata Spesso crediamo che l’equilibrio sia uno stato di immobilità, un lusso da trovare in vacanza o in un ritiro. Ma la vita è movimento. La vera sfida, e la vera maestria, è trovare l’equilibrio mentre danziamo. È imparare a essere come il vasaio: pienamente impegnati con il mondo, ma incrollabilmente connessi al nostro centro di quiete interiore. Non possiamo fermare la ruota, ma possiamo scegliere come rispondere al suo movimento. Possiamo irrigidirci e spezzarci, o possiamo respirare, trovare il nostro centro e imparare a modellare la nostra vita con la grazia e la potenza di un’azione consapevole.

27.10.25

È UN UOMO MA DEVE GIOCARE CON LE DONNE 🤔

da
Cracks +

 Laker Jackson, un ragazzo di 14 anni che si identifica come uomo, può partecipare solo alla squadra femminile di basket a causa di un errore nel suo certificato di nascita. Alla nascita, è stato erroneamente registrato come donna e, sebbene la sua famiglia abbia corretto il documento anni dopo, le autorità sportive continuano a considerare l'atto originale per determinare la sua idoneità. Quando ha cercato di unirsi alla squadra maschile, gli è stata negata la partecipazione e gli è stato detto che poteva fare le prove solo con la squadra femminile. “Mi è sembrata una follia. L'anno scorso ho giocato con la squadra maschile in estate”, ha dichiarato Laker. Nonostante le valutazioni che confermano la sua identità maschile, la lega mantiene la sua posizione e afferma che neppure un test cromosomico sarebbe sufficiente per cambiare la loro decisione. INCREDIBILE!

diario di bordo n 153 anno III Il gesto eroico dei minatori di Portixeddu ( fluminimagiore ) Nel 1877 hanno salvato da un naufragio l’equipaggio di un mercantile inglese., Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi nonostante internet e il web

unione  sarda   26\10\2025

L’intero equipaggio di un mercantile inglese salvato dall’eroico intervento dei minatori di Poertixeddu che, per quel gesto, ricevettero il ringraziamento della regina Vittoria d’Inghilterra. La ricerca per la catalogazione di un percorso dedicato agli appassionati di trekking nel territorio di Fluminimaggiore ha

permesso di riportare alla luce una suggestiva storia della fine del 1800 ormai sepolta dal tempo e sconosciuta anche a tanti fluminesi.
Il percorso
Tutto ha inizio con la ricerca sull’origine dei toponimi delle località, attraversate dal cammino Dei Bombaroli per la catalogazione dei sentieri in cui era impegnato Fabio Ravot, escursionista di Buggerru, che conosce ogni metro e la derivazione dei nomi degli incantevoli luoghi che vanno da Portixeddu e Capo Pecora. «Tutti tranne uno – racconta – non conoscevo l’origine del nome della cala di Su Bastimentu». La piccola “spiaggia” costituita da ciottoli di granito è ubicata nel tratto compreso tra la Grotta dei Colombi e l’insenatura di Muru Biancu. «Con molto impegno nelle ricerche – aggiunge Ravot – sono venuto a sapere che il nome derivava da un fatto accaduto nel 1877, proprio davanti alla costa e di cui ho trovato unica traccia nel Quaderni di Storia Fluminese degli storici locali Bruno e Alberto Murtas, padre e figlio».
La nave
Così si è scoperto che “Su Bastimentu” era un mercantile battente bandiera inglese, che, il 21 febbraio del 1877, si inabissò col mare in tempesta. L’equipaggio rischiava di annegare ma fu tratto in salvo dai minatori della miniera del villaggio di Portixeddu, che accorsero in soccorso dei naufraghi. Purtroppo il nostromo William Tucker di 31 anni, morì il giorno dopo a Fluminimaggiore e fu sepolto presso il vecchio cimitero del paese. «Per rendere omaggio al gesto eroico dei minatori – raccontano gli storici, Alberto e Bruno Murtas – la regina Vittoria d’Inghilterra, inviò all’allora sindaco Giacomo Garrucciu un cofanetto di palissandro, con due cucchiai e altri monili d’argento». Le notizie acquisite sul mercantile hanno permesso a Ravot di scoprire che un concittadino emigrato in Inghilterra stava già eseguendo delle ricerche in terra britannica. Si tratta di Aurelio Zanda, 64 anni: «Mi sono recato a Londra nell’archivio reale. – racconta lo stesso Zanda – Da lì sono riuscito a risalire al nome dell’imbarcazione, un veliero bialbero chiamato Thetis, dell’armatore Butson. L’equipaggio trasportava in Italia stagno e ritornava dopo mesi in Inghilterra carico di sardine. Era stato costruito e varato a Foewy. E proprio in questo centro della Cornovaglia, sono riuscito a risalire al nome del comandante della nave nel 1877. Si chiamava William Bealle. È morto nel 1925 ed è sepolto nel cimitero di Foewy. Ora le mie ricerche saranno dedicate al povero nostromo Tucker, che era originario del Goland. Vorrei dedicargli anche una croce con una targa in bronzo, presso il vecchio cimitero dove è sepolto». Intanto si prosegue la valorizzazione del sentiero dei Bombaroli. «Tracciare questo sentiero è stato per me come aprire un libro – conclude Ravot – che mi ha raccontato questa storia avvincente».

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Dall’isola al mondo sulle onde radio. Una passione che non conosce crisi e non è solo un vezzo romantico, un hobby d’altri tempi. Dove c’è una crisi, un’emergenza, una calamità naturale, i radioamatori non possono mancare ed è una rete che viene mantenuta ben oliata, pronta a intervenire e ad aprire le comunicazioni davanti a un’eventuale impossibilità di usare gli altri mezzi. Se il cellulare è muto, se internet non va, la radio c’è sempre. In Sardegna gli iscritti all’A.R.I., l’associazione radioamatori italiani, sono 160 e una rappresentativa isolana, il team Sardegna “IIØIARU”, si è appena consacrata come campionessa dei contatti radio nell’evento diploma 130/100 , una sfida indetta per i 130 anni della radio e i 100 della Iaru, l’Unione internazionale dei radioamatori.
La gara
Dal 15 settembre, al 15 ottobre oltre 63 mila radioamatori da tutto il mondo si sono collegati via radio con i loro colleghi italiani, 500 operatori divisi in 50 squadre. In 31 giorni, sono stati effettuati 650.410 collegamenti da 237 nazioni, la squadra sarda ne ha stabilito quasi 43 mila e si è aggiudicata il primo posto nella propria categoria e nella classifica generale. La procedura, immutata da decenni, prevede che un radioamatore invii con la propria radio un segnale e che dall’altra parte del globo, qualche altro radioamatore risponda. Il team era“capitanato” dalla Sezione A.R.I. di Olbia, con il supporto di soci delle sezioni di Cagliari, Carbonia, Capoterra e Sassari. «La squadra era composta da trenta radioamatori collegati dalle loro stazioni in tutta la Sardegna», racconta Roberto Alaimo della sezione olbiese, coordinatore nazionale delle stazioni marconiane.
Lo spirito di Marconi
Aleggia in Gallura lo spirito di Guglielmo Marconi che nel 1932, quando già aveva inventato la radio e vinto un Nobel, mise in contatto con le onde ultracorte il semaforo di capo Figari e quello di Rocca di Papa a una distanza di circa 270 chilometri. Oggi è la stazione marconiana IYØGA, dove intorno al 25 aprile, si celebra – come in tutto il mondo – il Marconi day in uno scenario mozzafiato. La stazione è gestita dalla sezione di Olbia nata nel 1974 e presieduta da Lucio Siddu.
La Protezione civile
L'A.R.I. e i suoi soci sono legati alla Protezione civile nazionale, in prima linea in tutte le maxi emergenze. Partecipano tutti i mesi alle prove di sintonia sulla “rete nazionale Zamberletti”, dislocati, a rotazione, nelle varie prefetture italiane e nei Centri radio mobili operativi, convocati dal ministero degli Interni. L’esercitazione serve per verificare che le apparecchiature siano pronte all’uso e che il territorio nazionale sia raggiunto in ogni più remota località. Per avere la patente di radioamatore serve una formazione e un esame e il comitato regionale Sardegna organizza corsi on line.
Radioamatore speciale
«Sempre più giovani si avvicinano a questo mondo», racconta ancora Roberto Alaimo, sulla radio ISØJMA: «Tra i nostri soci c’è Emanuele Delogu che ha preso la patente a 19 anni». Spesso c’è una tradizione familiare. «Io sono radioamatore dal 1983, e lo era anche mio padre Michele». Tra i ricordi, l’incontro con un radioamatore illustre, nell’etere IØFCG. «Ero invitato a un evento e mi hanno presentato Francesco Cossiga. Quando ha saputo che ero anche io un radioamatore ha voluto sapere tutto della mia strumentazione, di come avevo iniziato. È stata una piacevole chiacchierata». Cosa unisce i radioamatori? «Passione, curiosità per scienza e tecnologia e spirito di fratellanza».

la tragedia , la commedia , la polemica

 LA  TRAGEDIA

Ce ne  sarebbero   tante  di tragedie  di cui parlare  . Ad esempio   : morti bianche \  sul lavoro,  violenza  politica e  giovanile,femminicidi  \  violenza  di genere, ecc . Ma oggi  preferisco   soffermarmi   siugli incidenti automobilistici .   Qualcuno dirà , ma  non è una novità , ne  succedono tutti  i  giorni   n'è piena   la  cronaca  locale e   spesso come tappabuchi in  quella   nazionale   . Vero . Ma    purtroppo   essi sono  in  aumento per    imprudenze (  velocita  ,  nessuna  protezione ) ,  cmportamenti   impropri  ( cellulare  ,  droga , alcool  )   , oltre  scarsa manutenzione  e  situazione   pessima  delle strade  , destino e  condanna morale e  giuridica   per un semplice bicchiere   e  odio degli haters    . Ma   in quest'ultimo caso,riportato  sotto c'è  dietro  una storia   particolare .   ecco  la     cronaca   

da L'ECO DELLA BARBAGIA di Giorgio Ignazio Onano La morte di Omar Masia, 25enne di #Calangianus, ci insegna di come il destino sia al tempo stesso spietato e crudele.Nella notte, la bmw su cui Omar viaggiava con degli amici è precipata da un ponte lungo la strada Baldu- L’Agnata, ferendo i suoi 4 amici e non lasciando scampo a Omar.Ma a rendere ancor più sconvolgente questa tragedia è apprendere che all’arrivo dei soccorsi, tra i vigili del fuoco, ci fosse anche il padre di Omar, sconvolto quando tra le lamiere ha scoperto che ci fosse il figlio. Penso al dolore di un genitore abituato a salvare vite umane, e in contempo trovatosi a fronteggiare il dolore immenso di non poter fare altrettanto con l’amato figlio. Al papà di Omar, alla mamma e a tutta la famiglia va il nostro pensiero. Vi siamo vicini.

COMMEDIA  

Anche    per  le commedie  ce ne sarebbero tante da riportare , perchè la vita è fatta anche di commedia non solo dal punto di vista letterario\ artistico .

  da   https://www.noitv.it/

LUCCA - Enrico Casella si è visto svuotare completamente il conto corrente per via di uno scambio di persona con un omonimo di Potenza. All'INPS risultava che fosse scomparso a maggio, e che i familiari avessero indebitamente percepito la pensione per mesi. Ci ha raccontato la sua settimana da "morto"

Enrico Casella, di Ponte a Moriano, era morto il 19 maggio. Solo che non lo sapeva. A dichiararlo defunto a sua insaputa era stato l’INPS, che a ottobre gli ha svuotato il conto corrente per riprendersi i mesi di pensione riscossi dal presunto decesso in poi. La prima ad accorgersi dei problemi è stata la “vedova” – o meglio – la moglie. Cercando di pagare la spesa, Angelita Giuntoli si è vista rispondere di non avere credito sufficiente sul conto. Stupita, e pensando a un errore informatico, ha tentato un prelievo al bancomat, con lo stesso esito. Ha allora contattato la banca e si è sentita rispondere che il conto corrente era bloccato in seguito alla morte del coniuge. E non solo: era anche a zero, anzi con un ammanco di circa 62 euro.Da lì sono iniziate le tribolazioni della coppia, per capire cosa fosse potuto accadere. Per prima cosa, Enrico Casella è corso all’Ufficio anagrafe del Comune di Lucca, per farsi rilasciare un “Attestato di esistenza in vita”. Non tanto per sincerarsi di non essere morto, cosa di cui era ragionevolmente convinto, ma per avere in mano un documento che lo aiutasse ad affrontare di petto la burocrazia. Nel pomeriggio di venerdì 17, Banca ING ha comunicato che il conto cointestato ai coniugi era stato completamente svuotato dall’INPS, che si era fermato solo per mancanza di ulteriori fondi. A quel punto, è iniziata la corsa per avere un appuntamento presso la sede di Lucca dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, che gli è stato dato martedì 21 ottobre.Lì l’ex ferroviere di Ponte a Moriano – che ha 64 anni – è venuto a sapere dell’errore. Un suo omonimo, un anno più vecchio di lui, era effettivamente morto il 19 maggio a Potenza e qualcuno, in Basilicata, aveva per errore scambiato la scheda e inserito la notizia del decesso nella sua pratica. Ovviamente, ha ricevuto le scuse, un prezioso documento con la certificazione “Decesso non avvenuto” e, nel giro di 24 ore, anche il riaccredito delle somme sul conto. Ma i disagi non sono finiti: ora, per esempio, dovrà riattivare tutte le domiciliazioni bancarie delle varie utenze, e sincerarsi che non fossero stati attivati pignoramenti o procedure contro gli eredi. E Casella vuole ora andare fino in fondo alla vicenda, facendo causa per ottenere un risarcimento, perché questa settimana è stata un vero choc per la famiglia e, come racconta il pensionato, “ho potuto mangiare solo perché ho dei figli che mi hanno prestato i soldi, e ho potuto riavere i miei risparmi solo perché sono ancora abbastanza giovane e attivo. Ma cosa sarebbe successo se avessi avuto venti anni di più?”.

POLEMICA
 
Stavolta non viene da  me  . ma dalla  stessa  destra  destra    

 da open tramite msn.it 

Al raduno di Predappio tornano i saluti fascisti. La strigliata di Orsola Mussolini a Forza Nuova: «Siete qui solo per cercare visibilità»



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Sono circa un migliaio — 700 secondo la Questura — i manifestanti che domenica 26 ottobre hanno preso parte alla camminata dalla piazza di Predappio, paese natale di Benito Mussolini in provincia di Forlì, fino al cimitero di San Cassiano. Un appuntamento ormai annuale per i nostalgici del ventennio fascista e della Marcia su Roma. Dopo due anni, davanti alla cripta del Duce sono tornati anche i saluti romani. Nonostante l’invito della famiglia Mussolini a mettere la mano sul cuore, decine di manifestanti hanno alzato il braccio teso dopo il rito del “presente”. Il colore predominante, come di consueto, è stato il nero. Tra i manifestanti, tante teste rasate ma anche qualche famiglia con figli.
Roberto Fiore presente ma non partecipa al corteo
Al raduno organizzato dalle pronipoti del Duce si è aggiunta quest’anno anche Forza Nuova, formazione politica di estrema destra, con il suo leader Roberto Fiore. La questura aveva intimato ai militanti di Fn di manifestare solo dopo le 15 e non anche alla mattina con il solito corteo. I membri di Forza Nuova, però, hanno ignorato questa disposizione, sostenendo che l’atto recherebbe «una firma digitale scaduta». Fiore è arrivato a Predappio in mattinata, ma in piazza ha avuto un breve colloquio con dirigenti della Digos e alla fine ha deciso di non partecipare alla camminata verso la cripta.
La pronipote del duce contro Forza Nuova
A punzecchiare i militanti di Forza Nuova è Orsola Mussolini, pronipote del duce e organizzatrice del raduno. «Quest’anno – ha spiegato – la manifestazione è stata resa più complicata dalla presenza di una forza politica che non nomino nemmeno, ma che ha creato condizioni non buone soltanto per ottenere visibilità, mentre noi siamo qui riuniti solo per un momento di preghiera». A proposito della Marcia su Roma del 1922, il cui anniversario ricorre il 28 ottobre prossimo, la pronipote di Mussolini sostiene che «non ci fu alcun colpo di Stato. Benito è stato eletto secondo lo Statuto Albertino e prima di lui con le stesse procedure sono stati eletti 26 presidenti del Consiglio».

26.10.25

Rossano Putzu, vita e opere del genio del girarrosto L’artigiano di Serrenti crea pezzi unici ispirati alle Ferrari e alle moto da Gran premio:

 unione  sarda  del  26\10\2025 

Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

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Rossano Putzu, 71 anni, di Serrenti, è per tutti “il genio del girarrosto”. Da anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente.


Il girarrosto creato da Rossano Putzu, di Serrenti

Ne ha realizzati a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari. Non solo tema motori, comunque; una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama.


Una delle creazioni di Rossano Putzu

Un’arte, la sua, che potrebbe sopravvivergli: il nipote Diego, 12 anni, è più appassionato a quanto succede nel suo laboratorio che dentro lo schermo di uno smartphone anni porta in giro per l’Italia e per il mondo un pezzo della Sardegna più autentica, l’arte culinaria. Lo fa costruendo dei particolari girarrosti artistici in grado di sostenere la cottura di decine di maialetti contemporaneamente. Che sia lui a prendere un volo o i suoi tanti amici sparsi per il pianeta a raggiungerlo nel suo laboratorio a Serrenti, osservarlo all’opera significa assistere a una coreografia di movimenti precisi che ha affinato nel corso degli anni.
La vita
Rossano viene da una famiglia numerosa, affidato a suo padrino all’età di sei anni si ritrova a Cagliari, spesso a bordo del peschereccio di colui che definisce affettuosamente un maestro di vita, dove inizia a imparare i fondamentali di quella che diventerà una vera e propria passione. «Ogni notte era una festa – racconta Putzu – e tante erano le persone che si fermavano a mangiare con noi, è così che ho imparato ad arrostire i pesci da piccolissimo». Per molti anni si guadagna da vivere facendo il meccanico, poi a un certo punto della sua vita queste due passioni sembrano intrecciarsi e Rossano inizia a dedicarsi alla progettazione e costruzione di particolari girarrosti con design di moto e auto da corsa, dando vita a un’arte unica nel suo genere. Ne ha costruiti a centinaia, dalla moto di Valentino Rossi con il numero 46 alla Ferrari, e non solo a tema motori, una delle sue ultime creazioni è ispirata ai Giganti di Mont’e Prama: «Sono oltre 40 anni che mi dedico a questa passione, alcuni lavori richiedono moltissimo tempo, per la moto di Valentino Rossi ho impiegato più di otto mesi. L’impegno è ben ripagato, di recente ho avuto il grande onore di ricevere un riconoscimento al talento artistico dai miei compaesani».
L’erede
Nessuno dei suoi figli la condivide, ma sembra avere inaspettatamente contagiato suo nipote Diego, un dodicenne più incuriosito dal nuovo girarrosto di nonno Rossano che dall’ultimo modello di smartphone in commercio. «Sin da piccolissimo osservo mio nonno arrostire e costruire i suoi girarrosti – racconta Diego – e ho sempre desiderato poter partecipare, con il tempo ho capito che stava diventando una vera e propria passione. Una delle preparazioni che mi affascinano di più è quella della Carapigna, quest’anno ho finalmente memorizzato la ricetta e ho potuto mettere in pratica le mie abilità realizzando così un grande sogno. Spero di poter portare avanti nel tempo la passione di mio nonno». La Carapigna è un sorbetto tipico della Sardegna, di cui Rossano custodisce gelosamente un’antica ricetta scritta a carbone: «Sin da bambino ha mostrato interesse per quello che faccio – spiega Rossano – quando arrostisco mi osserva sempre incuriosito, si vede che è qualcosa a cui tiene, ha appreso subito la preparazione della Carapigna e ora la realizza in autonomia». Rossano potrebbe aver trovato un degno erede della sua passione e chissà, magari tra qualche anno sarà proprio Diego a sfornare qualche originale creazione in acciaio inox.

Alberto lerza e carlo acutis “Santi a confronto: il dolore che parla e quello che viene raccontato

leggo   su  google news  più precisamente      su la stampa  del   23 Ottobre 2025 alle 07:00   articolo  ( riportato    sotto integralmente  )  di Antonio Giaimo  che  si  vuole    fare  beato  Alberto Lerza  un  bambino di  8 anni  morto    di  tumore    e da  una fede tenace.  Infatti il  titolo 


Alberto, 8 anni e una fede tenace: si pensa alla beatificazione per il “bimbo che parlava con Gesù”
Nel ricordo del figlio scomparso nel 2024 per un tumore i genitori hanno creato il «Pulmino dei sogni»: regalano ad altri piccoli malati momenti di svago lontano dall’ospedale




Il piccolo Alberto Lerza e la benedizione a Pinerolo del "Pulmino dei sogni" creato dai genitori in sua memoria

Nel ricordo del figlio scomparso nel 2024 per un tumore i genitori hanno creato il «Pulmino dei sogni»: regalano ad altri piccoli malati momenti di svago lontano dall’ospedale
«Lui per me è stato il mio padre spirituale. I ruoli si sono invertiti». È racchiuso in una sola frase quel rapporto d’amore fra Federico Lerza e il suo piccolo Alberto, a cui un tumore, a meno di 8 anni, ha cancellato un anno fa il futuro. «Con lui io e mia moglie abbiamo fatto un percorso di speranza, di dolore, ma anche di luce. Alberto ha affrontato la malattia pensando solo agli altri. Quando ero seduto accanto al suo letto, mi diceva: “Papà, questa è la mia strada, non la tua. Stai sereno, io parlo con Gesù”. Dentro di lui c’era qualcosa di diverso».
“Un bimbo che sorprendeva”
Per questo bambino, cresciuto a Prarostino e sepolto a Pinerolo nella cappella dei frati Cappuccini, ora c’è chi pensa potrebbe essere avviato il processo diocesano da seguire per la beatificazione. Chi guarda a questa possibilità è il vescovo emerito di Pinerolo, Pier Giorgio Debernardi, che ha conosciuto Alberto. «Ricordo bene il suo sguardo, la capacità che aveva di dare risposte che stupiscono. Era un bambino eccezionale: in modo semplice affrontava i temi religiosi. Diceva che per lui Dio era tutto. Una 
Federico Lerza ed Elisa Di Girolamo, papà e mamma di Alberto,
con il Pulmino dei sogni davanti al Regina Margherita
riflessione profonda, che ti puoi aspettare da un adulto e non da un bambino. Alberto ha affrontato il suo dolore pensando a chi gli stava vicino. E diceva sempre: “È il Signore che mi ha illuminato”».
Il coma e il risveglio
C’è un episodio che ricorda il papà: «I medici ci avevano detto che, prima della fine, sarebbe entrato in coma. È quello che è accaduto. Poi lui si è risvegliato, ci ha guardato e ci ha detto: “Sono andato in un posto bellissimo: le persone intorno a me ballavano e cantavano. Ho incontrato Gesù, che mi ha detto che non era ancora la mia ora e che dovevo quindi tornare indietro”». E aggiunge: «Nei 17 mesi — tanto è durata la malattia — Alberto ha dimostrato un grande coraggio e una maturità che non ti aspetti da un bambino».
Il processo diocesano per la beatificazione
Il processo diocesano, primo tassello verso la beatificazione, richiede tempi lunghi. Si potrà aprire, se il vescovo lo autorizza, solo cinque anni dopo la morte. Il cuore di Alberto si è fermato il 24 settembre dello scorso anno. Si dovranno sentire tutte le persone che l’hanno conosciuto e raccogliere testimonianze precise sulla vita di questo bambino.
Il ricordo del vescovo
Il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, ricorda: «Alberto mi ha colpito per la sua serenità. È un bell’esempio di fiducia in Dio. Vedremo cosa si potrà fare». Ma un contributo per ricordarlo l’ha già dato nel libro che il padre del bambino ha scritto, «Angelo della speranza». Il vescovo ha redatto la prefazione: «I medici non davano speranze. Il male aveva vinto. Eppure lui sorrideva. Senza rabbia, senza paura, senza tristezza». E aggiunge: «Un libro da leggere tutto d’un fiato. Una carezza per l’anima, ossigeno per la tua mente. È uno squarcio di cielo. Una palestra per allenare la tua speranza. Un sentiero per trovare la fiducia nella vita. Per dire, ad ogni pagina, che la vita merita».



dopo aver  letto e  riportato la  sua storia   mi  viene  qualche  dubbio   sulla richiesta   di beatificazione  . Infatti  da  quel  poco  che so di  teologia  e  di dottrina  della chiesa  mi  sembra  ancora  presto  . Infatti  se    da  un  lato    ci  sono  i presupposti necessari per avviare il processo di beatificazione, in modo che tu possa valutare se le informazioni in tuo possesso su "Alberto Leza" possano essere rilevanti:
  1. Fama di Santità: È il presupposto fondamentale. Deve esserci un'opinione diffusa e autentica tra i fedeli (la "vox populi") che la persona abbia vissuto una vita integra, ricca di virtù cristiane praticate in modo eroico, o che sia stata un martire (cioè sia morta per la fede).

  2. Apertura della Causa: La causa può essere avviata solo dopo la morte del fedele (di solito, non prima di cinque anni, salvo dispensa del Papa). Viene avviata a livello diocesano dal Vescovo, su richiesta di un Postulatore, e la persona in questione viene chiamata Servo di Dio.

  3. Verifica delle Virtù Eroiche/Martirio: La fase diocesana raccoglie documenti e testimonianze per dimostrare che il Servo di Dio ha praticato le virtù (Fede, Speranza, Carità e le virtù cardinali) a un livello "eroico", cioè superiore alla media.

In sintesi, affinché ci siano i presupposti per la beatificazione di "Alberto Leza", sarebbe necessario:

  • Che esista una fama di santità significativa e duratura su di lui.

  • Che sia stata ufficialmente aperta una Causa da parte della sua diocesi di appartenenza.

Se la persona è un tuo conoscente o una figura locale, l'informazione sulla possibile Causa di Beatificazione (che inizia a livello diocesano) potrebbe non essere ancora nota a livello globale. 
 Ho  fatto  attraverso internet  come suggerito   da Gemini Ia   : «  In quel caso, potresti provare a cercare informazioni presso la diocesi in cui ha vissuto e/o è morto.»    ed  ecco in sintesi    in risultato   Dai risultati di ricerca aggiornati, è possibile stabilire quanto segue in merito ai presupposti per la sua beatificazione:

  • Fama di Santità (o Martirio):

    • Sì, il presupposto principale è presente: la vicenda di Alberto Lerza è caratterizzata da una forte e crescente fama di santità, non solo a livello locale (Diocesi di Pinerolo).

    • La sua storia è stata ampiamente diffusa dai media cattolici e dal libro scritto dal padre, Federico Lerza, intitolato Alberto, l'angelo della speranza.

    • La testimonianza chiave è l'impatto spirituale che Alberto ha avuto sulla sua famiglia e su coloro che lo hanno conosciuto, in particolare la sua capacità di trasmettere la fede e l'abbandono al Signore anche di fronte a una malattia terminale (un vero e proprio "miracolo di conversione" per il padre, come testimoniato).

    • L'eroicità delle virtù si manifesterebbe nella sua forte e matura fede dimostrata a un'età giovanissima, superiore a quella che si aspetterebbe dalla media dei fedeli.

  • Stato della Causa:

    • L'apertura di una Causa di Beatificazione (che in una prima fase fa definire il candidato Servo di Dio) richiede normalmente l'attesa di cinque anni dalla morte della persona.

    • Alberto Lerza è deceduto il 24 settembre 2024.

    • Pertanto, la Causa non può essere ancora stata aperta ufficialmente, salvo una dispensa da parte del Papa (come avvenuto per San Giovanni Paolo II), che è un evento molto raro.

    • Tuttavia, il notevole impatto della sua testimonianza e la diffusa fama di santità sono fattori che, in futuro, possono portare all'apertura ufficiale del processo diocesano.

Ecco quindi che nel caso di Alberto Lerza, esistono forti presupposti per l'avvio della causa di beatificazione, in quanto è ampiamente riconosciuta la sua fama di santità e l'esercizio "eroico" delle virtù cristiane in età infantile. Tuttavia, a oggi (ottobre 2025), la causa non è ancora stata avviata formalmente in quanto non è trascorso il periodo di attesa di cinque anni richiesto dalle norme canoniche (che scadrà nel settembre 2029).Se mai dovesse essere  accolta   la  proposta io  preferisco   la   sua beatificazione rispetto a quella Il "beato dei millennials" era Carlo Acutis, morto nel 2006, che è stato canonizzato a settembre 2025, diventando il primo santo millennial della Chiesa cattolica.  In quanto Alberto ha  dato prova  di fede  con il martirio    e  l' accettazione    della  sofferenza   cosa  non  da  poco  in tempi come  questi   che  ci deprimiamo   e  piangiamo  davanti  alla  malattia  o ne  chiediamo la morte  prematura   perchè non sopportiamo le  sofferenze  .Mentre Carlo lo  ha  fatto  e testimoniato   attraverso il web   e  di quello   sono capaci   tutti  sia  chi  ha   poca fede     che   grande  fede   e sente  la  vocazione    come lui .  Infatti.  in  Alberto Lerza: c'è  il martirio dell’infanzia in quanto Morto a 8 anni per una malattia tumorale, Alberto è ricordato per la sua serenità mistica e per frasi come “Papà, questa è la mia strada, non la tua. Io parlo con Gesù”.La sua figura è legata a un dolore puro, non mediato, che si trasforma in testimonianza spirituale.La narrazione attorno a lui è ancora locale, intima, fragile, e rischia di essere travolta da una mediatizzazione che spettacolarizza il dolore infantile e per  questoi che  preferisco aspettare  anzichè  farlo  subito .Infatti  per🧑‍💻 Carlo Acutis:  definito  il santo dei millennial  e  processo  rapido   è Morto a 15 anni di leucemia fulminante, Carlo è stato beatificato nel 2020 e canonizzato nel 2025. tanto  da  essere   noto come il “patrono di Internet”, per la sua passione per il web e la creazione di siti dedicati all’eucaristia.E' vero   che La sua figura è stata istituzionalizzata, con un miracolo riconosciuto (guarigione di una studentessa dopo un trauma cranico).Ma poichè il suo corpo è esposto ad Assisi, perfettamente conservato, in una narrazione che unisce tecnologia, fede e marketing spirituale.Ecco le

🔍 Differenze chiave

AspettoAlberto LerzaCarlo Acutis
Età alla morte8 anni15 anni
Causa della morteTumore infantileLeucemia fulminante
Narrazione dominanteIntimità mistica, dolore puroSantità digitale, miracolo riconosciuto
Riconoscimento ufficialeNessuno (per ora)Beatificazione e canonizzazione
SimboloBambino che parla con DioRagazzo che evangelizza online
Rischio narrativoSpettacolarizzazione del doloreBranding spirituale




a voi decidere quale sentire di più

25.10.25

che bisogno abbiamo di hallowen Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casa Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

   a  grande  richiesta   approffondisco   quanto  detto   in   :  ‹‹  voi  festeggiate  hallowen    io  il grande  cocomero  ››  aggiungendo  ai siti del  post   precedente  un altro articolo  sulle  usanze    mortuarie   

  fonte    unione  sarda 


Il fascino de Su Prugadoriu, quando le anime tornano a casaNella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà

Un momento del rito de su prugadoriu a Seui (foto d'Archivio)

Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà.
È Sa notti ’e is animas, la notte delle anime, un rito antico che attraversa i secoli e le generazioni, e unisce memoria, devozione e comunità.
Prima che Halloween varcasse i confini del mondo anglosassone, nell’Isola si accendevano già le zucche — concas de mortu — per illuminare il cammino degli spiriti che tornavano a visitare i propri cari.
Dal tramonto del primo novembre fino alla mezza giornata del 2, le case sarde si aprono a una ritualità intima e collettiva: è il tempo di Su Prugadoriu, parola che in sardo significa “purificazione”. Secondo l’antica credenza, le anime dei defunti, ancora sospese tra la terra e il Paradiso, si preparano in quei giorni alla loro ascesa definitiva. E i vivi, in un gesto di pietà e di amore, diventano custodi del loro passaggio, offrendo preghiere, cibo e piccole donazioni.
A incarnare questa tradizione sono soprattutto i bambini, che percorrono le strade dei paesi bussando di porta in porta e chiedendo: “Mi donada su prugadoriu?” (mi dà il purgatorio?) e ricevono in cambio dolci, frutta secca o piccole offerte.
È un gesto che richiama il trick or treat anglosassone, ma con un significato profondamente diverso: qui non si tratta di gioco, non ci sono maschere, ma è un atto di carità verso le anime bisognose, un modo per “sfamare” i morti e tenerne viva la memoria.
Le famiglie rispondono con un augurio che è una benedizione: «A is animas dei nostusu, e bengada dividiu cun cussas animas chi non s’arregodanta» (alle anime dei nostri cari e con quelle anime che nessuno più ricorda).
Parole pronunciate con la stessa delicatezza con cui si accende una candela davanti a una fotografia sbiadita.
Nei piccoli centri dell’interno, la tradizione è ancora più corale: a Esterzili, per esempio, sul sagrato della chiesa di San Michele, gli adulti si ritrovano attorno a un grande falò. Si arrostiscono castagne, si beve vino nuovo, si prega e si suonano le campane “a morto” per tutta la notte.
È un modo per vegliare insieme, per condividere il ricordo e trasformarlo in vita. Anche i giovani chierichetti partecipano alla raccolta delle offerte per is animeddas, destinate alle messe in suffragio dei defunti, in un intreccio di fede e solidarietà che rinsalda la comunità.
Sulle tavole, non possono mancare is culurgionis, i celebri ravioli sardi dalla chiusura a spiga. In quei giorni sono più di un semplice piatto: la loro forma, che ricorda il ciclo della semina, è un simbolo del legame tra vita e morte, tra ciò che finisce e ciò che rinasce.
Nella notte delle anime, ogni casa diventa un altare. Le zucche intagliate e illuminate rappresentano la luce che guida i defunti nel loro viaggio verso l’eterno. In questa atmosfera sospesa, dove il sacro si mescola al quotidiano, la Sardegna rinnova un’antica promessa: ricordare i morti per restare vivi, custodire il passato per non smarrire il futuro.

Procuratrice Ancona, 'non tutti i casi di violenza sono uguali'

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