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7.12.25

“HO SCOPERTO IL PIACERE NEL BDSM, SOPRATTUTTO NEL DOLORE E NELLA SOTTOMISSIONE, CHE MI FA SENTIRE LIBERO. È NORMALE?” – UN LETTORE SCRIVE A “LEGGO” PER PARLARE DELLA SUA PASSIONE PER IL SADOMASO

 

Da  dagospia  tramite www.leggo.it

 

bdsm

«Ho scoperto il piacere nel BDSM, soprattutto nel dolore e nella sottomissione, che mi fa sentire libero». Un lettore - che si firma L. - scrive a Leggo per chiedere aiuto riguardo a questa recente scoperta della sua intimità. Nella rubrica “A Nudo” analizziamo la sua storia grazie al punto di vista della psicologa e sessuologa Rosamaria Spina.

 

Gentile Dottoressa,

Le scrivo per un consiglio professionale riguardo a una confusione nella mia identità sessuale e attrazione, che coinvolge uomini, donne o entrambi. Ho scoperto il piacere nel BDSM, soprattutto nel dolore e nella sottomissione, che mi fa sentire libero. Vorrei sapere se è normale e sano provare piacere in queste pratiche, o se ci possa essere qualcosa di problematico, dato che esulano dalla sessualità tradizionale. La ringrazio molto per il Suo parere, che ritengo importante.

 

Distinti saluti

L.

 

LA RISPOSTA DELLA DOTTORESSA: IL BDSM NON È PERVERSIONE

Gent.le L.,

non le nascondo che il suo messaggio mi incuriosisce molto. Perché collega i dubbi rispetto alla sua identità sessuale con la scoperta dell’interesse per le pratiche BDSM? Certo, è comune che in momenti di esplorazione si intreccino desideri rivolti a uomini e donne, ma le due cose non sono necessariamente collegate: l’orientamento sessuale indica verso chi ci sentiamo attratti, mentre le preferenze sulle pratiche riguardano come viviamo la nostra sessualità.

bdsm 11

 Il BDSM, infatti, è trasversale a ogni orientamento. 

Detto ciò, mi sento di tranquillizzarla: non c’è nulla di anomalo nel provare piacere da dinamiche di dolore o sottomissione. Se guardiamo a ciò che viene definito “tradizionale”, è chiaro che ne usciamo, ma “non tradizionale” non è sinonimo di patologico. Significa semplicemente non convenzionale. 

Per chiarire: un tempo si parlava di “perversioni”, termine che sottolineava la devianza da una norma morale. Oggi la scienza usa il concetto di parafilia, cioè un tipo di eccitazione legato a situazioni o stimoli meno comuni, fuori dalla norma sociale — non dalla normalità. Il BDSM rientra tra le parafilie, ma non è una perversione.

pratiche bdsm

 Ovviamente è importante distinguere quando una parafilia resta sana e quando può diventare problematica. Esistono infatti degli indicatori utili per capire in quale contesto ci si muove. 

Se non è vissuto con disagio, se non è l’unico modo per provare eccitazione, se c’è consenso, se si svolge in modo sicuro e se c’è condivisione: nessun pericolo. 

Se invece genera disagio in lei o nel partner, se diventa l’unica modalità per eccitarsi o avere rapporti, se porta a situazioni rischiose o prive di consenso, oppure se c’è costrizione — allora sventola una bandierina rossa che merita attenzione.

outfit bdsm

 

Se, stando a queste indicazioni, sente di rientrare nel primo caso, si tranquillizzi: non c’è nulla di sbagliato.

 Negli ultimi anni tante forme di espressione sessuale sono state sdoganate, ma il terreno resta scivoloso e i dubbi sono comprensibili. Prima di spaventarsi, valuti bene i punti sopra. E se qualcosa la confonde o la preoccupa davvero, un professionista potrà accompagnarla con maggiore precisione.

 



non sempre chi lavora con le carni necessariamente odia gli animali . simone cabras Il macellaio amico dei cavalli Nella vita vende carne, per passione è allevatore: «Ma i puledri non si toccano»

unione sarda 7\12\2025


 

Ad allevare cavalli da competizione, in tutto il Sud Sardegna, sono rimasti in pochissimi. Ancora meno sono quelli che hanno reso i propri animali in grado di gareggiare con i migliori esemplari della nazione. Da Monserrato alle grandi arene dell’equitazione italiana, è questo il percorso dei cavalli di Simone Cabras, 38 anni, macellaio di professione e allevatore per passione. Insieme al fratello Luca si occupa di tre puledre, la più giovane delle quali un mese fa è arrivata all’undicesimo posto – i partecipanti erano più di duecento – alla Fieracavalli di Verona, la più importante competizione equestre d’Italia. La specialità? Il salto a ostacoli, con balzi che superano un metro e trenta d’altezza.
La storia
«Ho iniziato da ragazzino, nel 2000. In casa abbiamo sempre avuto i cavalli, quindi come sport decisi di fare equitazione e da lì è partita la passione per l’allevamento», racconta Cabras, che per un po’ ha montato da sé gli equini. «Oggi per mancanza di tempo li affidiamo a un cavaliere professionista, Pietro Arba, che partecipa alle manifestazioni ippiche». Quella di Verona non è stata l’unica soddisfazione: gli ottimi risultati ottenuti in Sardegna hanno permesso di accedere anche alle finali nazionali di salto a ostacoli di Arezzo. Successi frutto di anni di lavoro. «Le cavalle vengono fatte inseminare da maschi con buoni curriculum da saltatori. Li nutriamo e ce ne prendiamo cura mattina e sera. Quando arrivano al periodo della doma possono iniziare a saltare e vengono portati ad allenarsi all’ippodromo. Nel periodo di riposo tornano a Monserrato». Dove la famiglia Cabras tiene anche i buoi che ogni primo maggio trainano Sant’Efisio. Ma avere tanti animali a casa e vendere carne ogni giorno non sono in conflitto. «La nostra è una famiglia di macellai, è un contesto in cui siamo nati. Chiaramente non macelliamo i nostri cavalli, sono intoccabili. Adesso hanno due-tre anni, ma possono fare attività fino a venti. In altri anni siamo riusciti ad avere fino a sette esemplari e con ognuno di loro si instaura un legame».
Legame
Ecco perché, anche se il tempo è poco, l'impegno è destinato a durare. «Ci vuole tempo e pazienza, ma è una passione. Allevare e allenare un cavallo che poi riesce a fare una lunga carriera agonistica e ottenere buoni risultati è una soddisfazione».

Luigi Natale Il poeta della difesa: «I miei versi per la sarda mater» Dopo aver calcato i campi di calcio, Sergio Atzeni e Mario Luzi gli hanno cambiato la vita: «Scrivo per capire»

da unione sarda 7\12\2025



Da Virdis e Zola a Mario Luzi il passo può essere molto breve: la poesia, che si scriva su un libro o la si manifesti in campo con il pallone tra i piedi, è sempre una forma d’arte che dà emozione. E chi è stato un difensore tenace ma anche molto elegante in campo, oggi sale sul palco di Guasila, dove è stato premiato durante il Festival dell’Altrove, oppure su quello di PordenoneLegge (la città friulana che lo ha accolto) per recitare con la stessa classe e raffinatezza versi che vengono dall’anima, dal suo io più intimo e che raccontano la provenienza, «il vissuto e la sarda mater».
Scrivere
Luigi Natale, classe 1957, ex calciatore professionista, originario di Orotelli, ha superato il timore che imponeva uno status altezzoso agli “dei di Eupalla", così Brera definiva i giocatori, per avere piena coscienza della sua arte, del suo voler scrivere appunto «per capire». I silenzi da vero barbaricino colpirono Mario Luzi, uno dei grandi del Novecento: «Gli piaceva molto questo passare anche ore senza una parola che contraddistingueva i nostri incontri, a Firenze», racconta oggi Natale. L’ardire di consegnare qualche testo scritto a Luzi ha regalato all’ex calciatore l’ingresso nella cerchia del poeta e anche il coraggio di rendere la poesia un modo di comunicare con il resto del
pianeta, dopo anni trascorsi prima a dare calci a un pallone e poi a osservare coloro che arrivavano al “football” con l’idea di costruire una carriera. «Per alcuni decenni sono stato lontano da quel mondo, non ho visto una partita, fino a riavvicinarmi quando il Pordenone è andato in B e grazie anche alla conoscenza e all’amicizia con Andrea Carnevale», racconta.
La carriera
Tornando indietro, si rivedono i campi polverosi di Orotelli e l’arrivo a Nuoro, non ancora maggiorenne, in una squadra che militava nell’allora Serie D semiprofessionistica, con un presidente, Fulvio Bonaccorsi, e molti calciatori che hanno fatto la storia della società verdazzurra. «Nel 1972 nelle giovanili trovai allenatori come Genesio Sogus, Zomeddu Mele, Ottorino Cusma, poi due anni più tardi la prima squadra con Mingioni, Chicco Piras, i fratelli Picconi, Solinas, Motti, Napoli, Di Bernardo, Virdis e Gentile», ricorda. Il Quadrivio si riempiva, «5-6000 persone ogni domenica», una festa. E quel giovane che era stato convocato in Nazionale Under 18 («non mi rendevo conto di cosa volesse dire, rientravo a Nuoro e andavo a giocare al torneo dei Bar a Ottana, finché non me lo disse anche Gigi Riva: “Sei stato in Nazionale”») approda poi al Cagliari nella squadra che vince il campionato di B, con Marchetti, Gigi Piras, Casagrande.
Il girovagare per l’Italia a quel punto diventa quasi normale: Mantova, Livorno, Torres, ancora Nuorese e poi Rende. Per poi stabilirsi a Pordenone dove l’amore incontrato un’estate in Sardegna diventa «la sposa» con cui condividere anche la passione per la letteratura, emersa peraltro già in tenera età: «La maestra Lia Zoppi, dopo aver letto un mio pensierino in prima elementare, rimase colpita e anni più tardi mi rivelò che aveva capito questa mia attitudine».
L’incontro
Poi però c’è stata un’altra spinta decisiva: «Chi mi ha convinto a scrivere e a farlo senza timore è stato un grande tifoso rossoblù che io ho incontrato proprio quando militavo nel Cagliari e a cui, quasi di nascosto, feci vedere i miei scritti: si chiamava Sergio Atzeni». Così la classe del libero che portava la palla fuori dall’area si è trasformata in versi che edizione dopo edizione (Ospite del tempo, 1998; Il telaio dell’ombra, 2001, con Prologo di Mario Luzi; Orizzonti sottili, 2005; L’orlo del mondo, 2012; Il mare che aspetta, 2018; La terra del miele, racconti di Sardegna ed altri mari, 2014 e Neve vento sassi, 2024, per citarne alcuni) parlano della sua terra, del suo vissuto e «dell’amore per la vita, alla ricerca della bellezza. La poesia sfida la banalità e il pensiero unico. L’arte è prossima e vicina alla natura umana», bisogna farla emergere. I grandi poeti della nostra epoca diventano esempi per chi vuole con la poesia «custodire ciò che ci rende umani», amare la vita e imparare a conoscerla attraverso la scrittura. Fino a raccontare la sua arte sul palco di PordenoneLegge o del Festival dell’Altrove di Guasila. Non alza più una coppa, ma declama un verso, elevando le parole al dio della poesia Apollo, prima che i ricordi del Quadrivio e del Sant’Elia prendano di nuovo il sopravvento.





6.12.25

malinconia natalizia

canzone suggerita
CSI - Depressione caspica

Di  solito    la  malinconia      viene   dopo    le  feste . Ma  da qualche  anno  ,  starò  invecchiando , saranno vicini   i  50  anni  avviene   anche prima  .  Infatti   Stamattina durante il mio turno nella bottega del commercio equo e solidale sento provenire dalla via sopra le musiche natalie degli zampognari ( una delle tante iniziative natalize del mio paese ( bidda ) .Ma anzi che allegria come tutte le musiche di natale sia classiche che contemporanee mi mettono tristezza . Meno male , parafrasando il detto \ proverbio chiodo scaccia chiodo , che tristezza scaccia tristezza con questa canzone che puntualmente come ognianno ripropongo contro le lvetuste e caramellose \ melliflue tipiche canzoni natalizie .


A questo punto chiarisco che non sono diventanto anche se non completamente e non odio il natale in quanto in esso sono contenuti , come credo anche dentro di voi , i ricordi più belli e formativi della nostra opera d'arte che è la vita . Ma odio non il natale come un  cringe  cioè    comer Ebenezer Scrooge personaggio     del canto  di natale di  Charles Dickens    tradotto   nel cartone  animato  il   Canto di Natale di Topolino   in se ma come esso viene mercificato e consumato . proprio come sembrano voler dire I sansoni
 

 con questo video.
Con questo è tutto cari amici vicini e lontano

che ... ogni annoa novembre \ dicembre le polemiche sulle luminarie Xmas che evocano il fascismo: e la giunte di sinistra che le fanno rimuovere




Puntuale come  le  polenìmiche   strumentali  sull'albero di Natale, le lucine sui balconi e i panettoni sugli scaffali, è arrivata anche quest'anno la polemica sulle luminarie "Xmas". Il primato nel 2025 se lo aggiudica Rutigliano, in provincia di Bari, primo comune ad aver fatto notizia per lo scontro sulla scritta che per gli antifascisti militanti e radicali evoca il fascismo, per i cattolici è un richiamo alla "Messa di Cristo" e che per tutti gli altri, semplicemente, è un modo come un altro per illuminare la città. Ma da quello  che  leggo  su il  giornale    tramite  msn.it  



[--- ]
a "vincere" sono sempre i primi, la cui sensibilità sembra essere maggiormente degna di attenzioni rispetto a quella dei cattolici e, pertanto, anche quest'anno, la luminaria "Xmas", che spesso è l'unico legame che molte città mantengono con le origini religiose della festa, è stata eliminata. Il suo richiamo, sbrilluccicante e frivolo per gli antifà richiamerebbe la X-Mas, la flotilla di Junio Valerio Borghese della Repubblica Sociale Italiana.
A Rutigliano era stato scelto di addobbare un corridoio luminoso con diverse luminarie "Xmas", che oltre a dare colore dava anche un tocco di allegria perché il font scelto era divertente e adatto al periodo spensierato. Ma, come ha denunciato la sezione locale di Fratelli d'Italia, sono state tolte, "per accontentare i pseudo-ideologi della maggioranza. Caro sindaco, potevi preservare i tuoi valori ma soprattutto la tua dignità". Il partito di opposizione non è stato tenero con il sindaco, che viene accusato di aver rinnegato le sue radici cattoliche e scoutistiche. Ma Giuseppe Valenzano, che è in carica dal 2019 ed è attualmente al suo secondo mandato, si difende dalle accuse e sostiene che siano stati quei valori "che mi hanno spinto a prendere questa decisione. Essere a servizio di una comunità, essere primo cittadino, vuol dire essere il 'Sindaco di tutti'".
Di tutti ma non di chi vede in quella luminaria un baluardo del Natale cattolico, verrebbe da dire, perché Valente nel suo post ha spiegato di aver assecondato la richiesta di chi ha "fatto presente che la scritta Xmas potesse essere accostata a cose che, col Natale, nulla hanno a che fare. Avendo la possibilità di compiere scelte diverse, abbiamo preferito farla sostituire con altro soggetto luminoso". La definisce "soluzione che non crea divisioni ma unisce, proprio come suggerisce lo spirito del Natale stesso". Sono le stesse motivazioni di fondo, vagamente buoniste, di chi giustifica l'eliminazione dei riferimenti religiosi dai canti di Natale o di chi giustifica il divieto del presepe.

Ma per piacere! la scritta abbreviata #Xmas può funzionare in un #paeseanglosassone come #abbreviazione di #Christmas, ma in Italia si chiama Natale, quindi logico che questa scritta diventa un chiaro riferimento #fascista.
Mi chiedo ma non sarebbe più semplice e realistico scrivere CHRISTMAS, senza seguire le #modecristianofobe anglosassoni che hanno messo la X per cancellare la parola CHRIST?
Comunque, cortocircuito a #sinistra, che usavano ed usano la parola xmas per non richiamare Christ e sentirsi '#inclusivi'.
Ora, dovranno tornare a utilizzare il nome giusto e reale, per essere 'inclusivi' in inglese, del Natale.

5.12.25

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti







 
 Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo tatuatore d’Italia, è morto a 80 anni. Nel 1972 aveva fondato il Teatro Parenti con Andrée Ruth Shammah, Franco Parenti, Giovanni Testori e Dante Isella che      trovate  qui   su questo   articolo  di fanpage   per   maggiori    notizie  a     riguardo .  un po' di rimpianto  ad  non essere  riusciti  ad   (  ma  pazienza  cosi va la vita )   intervistarlo  per il nostro blog ,  appassionat si.a  di storie  sia    d'arte  e  di tatuaggi    pur    non avendone  nessuno   per  carattere  incostante  e mutevole      essendo sempre  alla ricerca di un centro   di gravità permanente  che  mi fa  sempre  cambiare idea e  parere  e    non avere   un pensiero definitivo  .Ma  sopratutto  paura   che  mi succeda  come   il protagonista    del video  sotto 

     
Ho  letto  coincidenza    o casualità  ? sulla la  nuova sardegna  4\12\2025   un intervista   di Caterina  cossu   al designer, artista e tatuatore di fama mondiale Pietro Sedda (  foto in alto  a  destra ) .


L’intervista
Da Milano a Cabras, dal tatuaggio all’home restaurant: la nuova vita di Pietro Sedda
di Caterina Cossu



Per strada gli capita spesso di imbarazzarsi: che sia a New York, in Oriente o tra le stradine di San Giovanni di Sinis, le persone lo riconoscono e gli chiedono un autografo: «Non penso mai che quello che ho fatto nella vita sia di ispirazione per qualcun altro, invece lo è. Oggi ho mollato un po’, ma le persone continuano a chiamarmi “maestro”, vengono a tatuarsi da me con un atteggiamento di reverenza. Non mi ci abituo, non mi piace autocelebrarmi».Definire Pietro Sedda designer, artista e tatuatore sembra riduttivo: la sua fama è arrivata ovunque nel mondo grazie a progetti con partner come Bmw, Fritz Hansen, il collega Diego Brandi. Oggi ha 56 anni e si era ripromesso che entro i 60 sarebbe tornato lì dove tutto è iniziato, con nuovi stimoli e nuovi progetti.

Come si è evoluta la sensazione di tatuare?

«Mi piace essere metodico: leggo le mail appena arrivo, preparo da me la mia postazione. Lo studio ora risulta un ambiente intimo, confortevole, ed è un grande cambiamento dal precedente, super affollato. Invito sempre a stare tranquilli e godersi quel momento. Cerco di parlare il meno possibile, perché se si parla di meno si capisce di più l’esigenza del cliente, si crea questo filo rosso ed è molto soddisfacente. Ho sempre potuto scremare le richieste, faccio capire quando non voglio fare qualcosa e che è un’arte che voglio esercitare con entusiasmo e non per fare marchette. Mi rendo conto di trasmettere autorità, questo sì, ma è il mestiere che lo impone: non puoi tatuare ed essere titubante. E poi sono convinto che i progetti belli nascano da soli, non c’è bisogno di forzare nulla nella vita».

Come ha iniziato?

«Il mio primo laboratorio è stata una botteguccia a Oristano: si chiamava Officina Alzheimer e realizzavo oggetti di design con materiale di recupero. Mi ricordo ancora Lo Scomodino, fatto di chiodi, era un luogo pieno di oggetti assurdi e clienti attirati dalla loro eccentricità. Uno di questi fu proprio Renato Soru, a cui devo il mio primo lavoro su commissione di un certo rilievo: negli anni in cui nasceva Tiscali, infatti, mi chiese di realizzare cinque grafiche per le tessere ricaricabili, usavamo ancora le lire».

Come si è guadagnato l’appellativo di “maestro”?

«Nasco come artista visivo, pittore. Ai tempi in cui ho definito la mia proposta, era un’estetica che nel mondo del tatuaggio non esisteva (si riferisce allo stile contaminato dalla cultura olandese del Seicento, le incisioni botaniche dell’Ottocento, dai viaggi soprattutto in Oriente e Giappone, definito surreale, neo-tradizionale e pittorico, tra fumetto e Bad Painting, ndc). Ora magari è passato talmente tanto tempo che chi tatua oggi non sa che sta copiando me».

Perché non ha più voglia di dedicarsi solo al tatuaggio.

«Sono stanco: Milano è alienante, e io ho dato tanto, a questo mestiere specialmente. Mi sono trasferito a Cabras da una settimana e già ho i miei ritmi: qui vado al mare a mangiare una focaccia, cerco asparagi, faccio altre scelte. Il mondo del tatuaggio è complesso ed è cambiato negli ultimi anni, soprattutto dopo il Covid. Dieci anni fa avevo l’agenda piena con una programmazione a 6 mesi, oggi se riesco a programmarne uno intero è l’eccezione, così è anche per i colleghi in tutto il mondo. Non c’è un'età giusta per cambiare, c’è il momento per farlo».

 I suoi ravioli sembrano gioielli...

 «In vista ho cambiamenti categorici, come riprendere la pittura. Ora però sono concentrato sull’home restaurant, la mia nuova creazione è Musubi - Al Giardino di sera. Cucino io, una fusion tra cucina sarda ed etnica: sono di Oristano, ma i miei genitori sono originari di Ovodda e Desulo, la Barbagia mi abita. Di contro, ho viaggiato per tutto il mondo, e la cucina unisce le mie esperienze. Sto iniziando in giardino, arrivo a un massimo di 12 coperti per volta, e ho sempre voluto farlo: dopo le medie i miei mi impedirono di iscrivermi all’alberghiero, imponendomi l’Istituto Tecnico».

Le hanno già detto che è un progetto ambizioso per la piccola Cabras?

«Certo, mi hanno proposto di farlo a Milano, ma ho risposto dicendo che non mi fermo a questo: voglio realizzare a breve il sogno di aprire un ristorante. Ho studiato Alta cucina a Milano, l’anno prossimo parto due mesi per approfondire in Giappone. In cucina ho riportato la mia poetica e l’esordio quest’estate è stato più che incoraggiante. Ho portato a Cabras una ventata di sapori nuovi e inaspettati».

Andare “fuori” è imprescindibile per chi vive l’insularità?

«No, lo è a prescindere dal luogo dove si vive: favorisce il percorso personale: solo con il confronto si può avere una reale crescita. Nonostante oggi viviamo immersi nella cyber technology, viaggiare ed esporsi è imprescindibile per la definizione della propria tempra, nel bene e nel male. L’insularità non è un escamotage per dire che si è potuto fare qualcosa. Io provengo da una famiglia benestante e sono stato supportato. Ma non è il luogo a determinare le possibilità».

Si dice che i sardi tra loro si confrontino sempre nel male però.

«Non parlerei di invidia ma di una permalosità dilagante, soprattutto nel Campidano. Però arriva un punto in cui, come ho fatto io, te ne puoi anche fregare e andare avanti. Ho raggiunto una maturità e ho fatto un percorso tale, che oggi mi permette di poter fare quello che voglio. A chi dubita rispondo con una domanda: “Volete rimanere come lo stagno, immobili”?»

Procuratrice d'Ancona Monica Garulli, 'non tutti i casi di violenza sono uguali'




© Provided by ANSA

(ANSA) - ANCONA, 04 DIC - "Questa storia lascia l'amaro in bocca, non si possono trattare tutti i casi di violenza nello stesso modo. Credo che questo caso avrebbe meritato una corsia preferenziale, che nel caso in specie non c'è stata". Così la procuratrice capo della Repubblica ad Ancona, Monica Garulli, ha risposto alle domande dei cronisti sul femminicidio avvenuto ieri a Pianello Vallesina di Monte Roberto (Ancona).
Nazif Muslija, il 50enne principale sospettato e ancora ricercato, doveva frequentare un percorso per uomini maltrattanti della durata di un anno. Un percorso legato al suo patteggiamento a un anno e dieci mesi di reclusione per le aggressioni e i maltrattamenti alla moglie, Sadjide Muslija, trovata morta ieri con segni di violenza in casa. L'uomo aveva un anno di tempo per svolgere il percorso da quando la sentenza era passata in giudicato a settembre 2025: avrebbe dovuto fare incontri ogni due settimane per una durata totale di 60 ore. L'avvocato dell'uomo, Antonio Gagliardi, ha tuttavia affermato che "non c'era posto per l'uomo nell'associazione indicata dal percorso". La Procura sta preparando un fermo con mandato internazionale a carico dell'uomo, indagato per omicidio volontario.
"Io penso che nel momento in cui si individua una struttura deputata al percorso di recupero, per evitare il pericolo di recidiva bisogna comprendere qual è il pericolo di recidiva e differenziare i percorsi a seconda della gravità dei fatti. - ha aggiunto Garulli - Credo che questo caso avrebbe meritato una corsia preferenziale che nel caso in specie non c'è stata. La legge però non lo consente, perché il giudice quando emette una sentenza deve individuare e subordinare la sospensione condizionale della pena alla partecipazione al percorso. Poi c'è la parte dell'esecuzione che è rimessa a organi diversi da quelli giudiziari e non abbiamo possibilità di intervento. Lì andrebbero meditate le situazioni che hanno una valenza prioritaria, ma il giudice non può intervenire dando una corsia preferenziale, ma penso che sarebbe auspicabile. Bisogna modellare il trattamento in relazione alla gravità della situazione, bisogna che si consideri questo aspetto, che è un profilo sostanziale, non formale". (ANSA).





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Oltre all'articolo preso  dal  n  della  scorsa settimana  di topolino   che trovate sotto ,vi segnalo , amati delle due ruote , questo progetto di www.lentamente.net . « un progetto nato da un gruppo di amici con in comune la passione per i motorini e per tutti quei veicoli inadeguati che a volte usiamo per i nostri piccoli viaggi e per le nostre avventure.Attraverso questo sito ed attraverso i principali social raccontiamo le nostre avventure , piccole imprese di riders con mezzi assolutamente inadatti per queste fantastiche esperienze. Attraverso il nostro BLOG e tramite i canali social ci scambiamo consigli, stringiamo amicizie e creiamo gruppi di viaggio fantastici »  









4.12.25

Manuale di autodifesa I consigli dell’esperto anti aggressione Antonio Bianco puntata n LX IMPARATE A “LEGGERE” IL LINGUAGGIO DEL CORPO

 Il linguaggio del corpo da solo non basta a prevenire femminicidi o violenze, ma può essere un segnale precoce utile se integrato con educazione, linguaggio rispettoso e interventi culturali e istituzionali. La prevenzione passa soprattutto da un cambiamento sociale e comunicativo, non solo dall’osservazione dei gesti.  Infatti    ha  ragione   Antonio Bianco nella puntata  odierna   sul settimanale   Giallo (  foto a  sinistra  ) il linguaggio     del corpo  può avere  un ruolo    🔍in quanto esprime  

  • Segnali di disagio o paura: posture chiuse, sguardi sfuggenti, tensione muscolare possono indicare che una persona si sente minacciata. Riconoscerli può aiutare a intervenire prima che la situazione degeneri.

  • Indicatori di aggressività: gesti ampi e invadenti, tono di voce crescente, avvicinamenti fisici forzati possono segnalare un rischio imminente.

  • Limiti: il linguaggio del corpo è interpretativo e non sempre affidabile. Non può sostituire strumenti di prevenzione strutturali come educazione, supporto psicologico e tutela legale.

Però oltre  al  linguaggio del corpo  anche     🗣️ Il linguaggio verbale  può  fungere  come prevenzione Gli studi sottolineano che il linguaggio verbale e culturale è centrale nella prevenzione della violenza di genere:Il presidente Mattarella ha ribadito che “parità significa educazione al linguaggio del rispetto”, evidenziando come parole e comunicazione possano alimentare o contrastare stereotipi e abusi.Espressioni sessiste e stereotipi verbali  , e  scritti  " murali  " ( vedere    elenco  da  ragazze  da    struprare  sui bagni  scolastici )  rafforzano la cultura patriarcale e normalizzano la violenza.Mentre  l’uso di un linguaggio inclusivo e consapevole contribuisce a ridurre discriminazioni e a promuovere rispetto.Infatti      dati recent  📊 hanno  dimostratro     che   nel 30,9% dei femminicidi la vittima aveva già subito maltrattamenti, e nel 25% minacce: segni “visibili” che spesso non vengono presi sul serio.Ecco quindi     che   i segnali (verbali e non verbali) esistono, ma servono strumenti sociali e istituzionali per riconoscerli e intervenire. Ora   però  se  da  un   lato è  utile    ci  sono  come in tutte  le cose   dei ⚖️ Rischi e sfide. Infatt
  • Interpretazione soggettiva: il linguaggio del corpo può essere frainteso, rischiando di colpevolizzare la vittima.

  • Spettacolarizzazione mediatica: concentrarsi solo sui gesti rischia di ridurre la violenza a “segnali da decifrare”, invece di affrontarne le radici culturali.

  • Soluzione reale: educazione al rispetto, linguaggio inclusivo, supporto alle vittime e responsabilità istituzionale.

👉 In conclusione, il linguaggio del corpo può essere un campanello d’allarme, ma la vera prevenzione dei femminicidi e delle violenze passa da:  educazione, linguaggio rispettoso, cambiamento culturale e interventi concreti non  solo   ,  ma   in mancanza o presenza lasciata all'improvvisazione  , la sensazione   come  dice  lo  stesso Bianco    nell'articolo   citato    è un arma  di  prevenzione e   di autodifesa    

un confessionale moderno davanti al quadro di Carracci divide . il caso della chiesa di Santa Maria della Carità a bologna il caso dai social passa alla Soprintendenza ., Pavarotti ‘ghiacciato’, il pasticcio di Pesaro fa il giro del mondo: dall’Europa all’America, passando per l’Africa

premetto  ch e  non  sono  contrario   all'arte  moderna    e contemporanea    o quando meno  ad  ispirazione  e  contami.nazione ei classici   ma     qui si tratta   di deturpamento mancanza di rispetto per i monumenti  antichi  


da https://incronaca.unibo.it/archivio/2025/12/02/



                            Il confessionale sotto il quadro di Carracci
                        (foto realizzata per la parrocchia da Alessandro Ruggeri)


Nella chiesa di Santa Maria della Carità, in via San Felice, nell’ultimo mese c’è una novità. Un parallelepipedo nero, lucido, imponente, ai piedi dell’opera di Annibale Carracci “Crocifissione e santi” del 1583. È il nuovo confessionale insonorizzato, riscaldato e ventilato in cui il prete don Davide Baraldi ascolterà i peccati dei suoi parrocchiani. I molteplici significati associati da Baraldi alla nuova installazione, la superfice lucida per riflettere sé stessi, la geometria che vuole ricordare il movimento dell’abbraccio, l’assenza di un tetto per permettere allo sguardo che si alza di chi è seduto all’interno di incrociare quello del Cristo in croce di Carracci, non hanno però convinto i detrattori. In prima fila il Comitato per Bologna storica e artistica, che in una comunicazione sul proprio profilo Facebook ha parlato di “sinistro squallore” e ha auspicato che venga ristabilito il necessario rispetto culturale per il quadro di Carracci, a loro dire oscurato dal confessionale, arrivando anche a richiedere la rimozione coatta del “lugubre catafalco”.
Mentre l’esposto del Comitato viene analizzato dalla Soprintendenza, ufficio periferico del Ministero della cultura per la tutela dei beni culturali, il verdetto dei commentatori sotto il post è abbastanza unanime: “un frigorifero”, “un bagno chimico”, “un rifiuto dimenticato durante un trasloco”, “e il cardinale Zuppi non ha niente da ridire?”. C’è anche chi dalla rabbia dimentica di parlare in italiano e passa al dialetto: “Oddiomè che brot lavurir…int onna cisa…al starev mei int on uffezi postal” (Oddio che brutto lavoro…in una chiesa…starebbe meglio in un ufficio postale). Se si vanno a guardare le opinioni di chi invece ha scritto sotto l’annuncio del nuovo confessionale sulla pagina della parrocchia, si trova un clima del tutto diverso, che loda l’innovazione e il valore artistico della struttura.
I pareri negativi di sicuro non scoraggiano don Davide Baraldi, primo ideatore e sostenitore dell’opera, che rivendica il sì ricevuto dalla commissione di arte sacra della diocesi. «Anche Carracci che oggi viene considerato un classico – aggiunge il prete - fu aspramente criticato dai suoi contemporanei per le innovazioni che aveva apportato. Arte sacra e contemporanea possono coesistere».

da Open
Il comitato per Bologna storica e artistica promette battaglia: «Incompatibile con il contesto storico della cappella, oscura il quadro di Carracci»

Per alcuni è un’opera innovativa, per altri è un «obbrobrio». È scoppiata la polemica tra i fedeli di Santa Maria della Carità, a Bologna, per un nuovo confessionale installato nella chiesa. Inaugurato a inizio autunno, contestualmente alla fine dei lavori di restauro. A prima vista, l’opera è piuttosto impattante e assomiglia a una sorta di monolite nero, posto peraltro proprio sotto la “Crocifissione e santi”, un’opera di Annibale Carracci datata 1583.
Le proteste dei fedeli
A scagliarsi contro l’opera non sono solo alcuni parrocchiani, ma anche il Comitato per Bologna storica e artistica: «È incompatibile con il contesto storico della cappella, oscura il quadro e offende la memoria del Carracci». Anche sui social il nuovo confessionale non ha ricevuto molti commenti negativi. «Sembra un frigorifero», scrive un utente. «Un bagno chimico», suggerisce un altro. Mentre c’è chi arriva addirittura a chiedere un «intervento coatto di rimozione» e prepara un esposto da presentare alla Soprintendenza.







Comitato per Bologna Storica e Artistica
22 ottobre ·


Avevamo inizialmente pensato di tacere - “per carità di patria” - il nome della chiesa. Ma un articolo ha già mostrato il nuovo "confessionale" di Santa Maria della Carità in tutto il suo sinistro squallore collocato sotto la "Crocifissione e Santi", il primo capolavoro di Annibale Carracci nonché dipinto rivoluzionario noto in tutto il mondo. Non servono ironie: l’oggetto si commenta da sé. Ci limitiamo a poche, necessarie osservazioni. La cosiddetta “tutela dei monumenti” appare ormai estinta: un simile intervento, in altri tempi, non sarebbe stato né autorizzato né tollerato. Lasciano allibiti, nell’articolo online, anche i richiami all’arte contemporanea - o meglio, alle convinzioni correnti, del tutto errate, sull’arte contemporanea - ormai invocata per avallare qualsiasi cosa, anche la più orrenda, in modo acritico, trasformandola in un comodo passe-partout. E, per quanto discutibile, neppure l’arte contemporanea merita un simile trattamento. La trasformazione della cappella in un obbrobrio, e la presenza di un oggetto pseudo-artistico che nulla ha a che vedere con il dipinto di Annibale e la chiesa, impongono una riflessione urgente sullo stato della vigilanza istituzionale e sull’effettiva capacità di garantire il rispetto dovuto ai grandi artisti del passato e ai monumenti della città. Chiediamo pertanto che vengano intraprese alcune azioni semplici ma necessarie per ristabilire un minimo di civiltà e rispetto culturale:
1. Rimuovere quanto prima l’elemento estraneo, incompatibile con il contesto storico-artistico della cappella e fonte di evidente offesa alla memoria di Annibale Carracci, nonché alla sensibilità dei Bolognesi di ieri, di oggi e di domani.
2. Ripristinare l’altare originario, dal momento che, fino a prova contraria, si tratta pur sempre della cappella di una chiesa. Anche il "vero" confessionale, collocato nella cappella di fronte, andrebbe rimosso per restituire alla cappella il suo aspetto tradizionale.
3. Disporre un intervento coattivo, qualora non si intendesse procedere spontaneamente alla rimozione - nella speranza che, per eludere ogni responsabilità, non ci venga opposto l’argomento secondo cui, essendo il lugubre catafalco “appoggiato” e non murato, possa legittimamente restare lì in eterno. Se tutto questo non dovesse avvenire – come è probabile – è evidente che non esistono più risposte istituzionali alla mancanza di rispetto per i monumenti.
La spiegazione di don Davide
A difendere l’opera, invece, ci pensa don Davide, il parroco della chiesa di Santa Maria della Carità, che ha spiegato ai fedeli il significato del confessionale “atipico”: «Il rivestimento esterno, oscuro e lucido crea un effetto specchiato, così che chi si avvicina a questo sacramento possa prima di entrare guardarsi meglio». All’interno, il confessionale è riscaldato, ventilato e insonorizzato. Le sedute sono una di fronte all’altra, disposte – spiega ancora don Davide – «in una geometria che riproduce il movimento dell’abbraccio».
Il paragone con il quadro di Carracci
Le spiegazioni del parroco, che veste quasi i panni del critico di arte contemporanea, non hanno convinto i detrattori. Ma don Davide ha un’ultima arma da sfoderare: il parallelismo con l’opera di Carracci che campeggia proprio sopra il confessionale. «Noi oggi guardiamo al Carracci come a un classico, ma in realtà il suo fu un lavoro di rottura, d’avanguardia, anche per il modo in cui questa Crocifissione utilizza la luce, e che a molti non piacque». Proprio come il nuovo confessionale della discordia.


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da  Il Resto del Carlino  tramite  msn.it 


Pesaro, 2 dicembre 2025 – Ma davvero? Nel giro di 48 ore la statua di Luciano Pavarotti, tombata fino alle ginocchia nell’ovale di plexiglass della pista natalizia di ghiaccio a Pesaro, è diventata una figuraccia planetaria. La vicenda è finita sulle testate di mezzo mondo come esempio di come non si celebra un’icona della cultura italiana.
giro nel mondo in meno di 48 ore
Dal Brasile al Portogallo, dall’Argentina alla Bolivia, passando per il Regno Unito, l’Uganda e la Germania: tutti stanno raccontando lo stesso incredulo copione. O Globo, quotidiano brasiliano, titola indignato: "Estátua de Pavarotti fica ‘presa ao gelo’ em pista natalina na Itália e causa indignação em viúva do tenor: ‘Absurdo’ ("Statua di Pavarotti resta ‘intrappolata nel ghiaccio’ in una pista natalizia in Italia e provoca l’indignazione della vedova del tenore: ‘Assurdo’". Il Diário de Notícias, dal Portogallo, rincara: "Autarca pede desculpa à família do tenor" ("Il sindaco chiede scusa alla famiglia del tenore"). In Argentina, Radio Rafaela parla di "escultura ‘congelada’ hasta las rodillas" (scultura ‘congelata’ fino alle ginocchia).


E in Bolivia il sito Instantáneas sintetizza impietoso: "Pesaro encierra la estatua de Pavarotti en una pista de hielo navideña" (Pesaro imprigiona la statua di Pavarotti in una pista di pattinaggio natalizia) e aggiunge, riferito al sindaco Andrea Biancani, "el alcalde de Pesaro se disculpò". Del pasticcio si è accorto anche l’Uganda: il Nile Post spiega che "Italian town freezes Pavarotti statue knee-deep in Christmas ice rink" (una città italiana ha congelato la statua di Pavarotti fino alle ginocchia in una pista di ghiaccio natalizia"). E la Bbc, con la solennità inglese di un requiem, commenta che "Pavarotti statue frozen knee-deep in ice rink strikes wrong note in Italy" (La statua di Pavarotti, congelata fino alle ginocchia nella pista di ghiaccio, stona in Italia). Bbc Radio 5 ha anche contattato la redazione di Pesaro del Resto del Carlino per un’intervista, per capire come sia potuto succedere questo pasticcio.

La statua di Pavarotti 'affogata' nella pista del ghiaccio: il video a Pesaro
In Europa i primi a fare da detonatore dopo gli articoli del Carlino erano stati The Telegraph, The Guardian, The Times, l’Independent, Der Spiegel e Die Welt: tutti a chiedersi, tradotto in pesarese, "Ma davvero?" Nicoletta Mantovani a Londra, ignara del nuovo allestimento, era trasecolata guardando le foto. Una doccia gelata, letteralmente. La vedova del Maestro aveva parlato di "ridicolizzazione" della memoria di Pavarotti.
Sui social l’ironia dell’hashtag coniato dal sindaco di PesaroDa Pesaro il sindaco Andrea Biancani, raggiunto oggi al telefono, si è detto "molto impegnato" per rispondere a domande dirette. Giorni prima, però aveva presentato le sue scuse alla famiglia Pavarotti tramite questo giornale. Un passo obbligato, prima che l’eco del pasticcio attraversasse almeno tre continenti in meno di un giorno. E mentre i portali internazionali continuano a rilanciare la notizia, sui social esplode l’ironia: l’hashtag coniato da Biancani #DaiUnCinqueAPavarotti, nato per "sdrammatizzare", oggi rimbalza nelle lingue più disparate. E il risultato è che Pesaro, Capitale Italiana della Cultura 2024, teoricamente abituata a ben altre luci, si ritrova immortalata come la città che ha messo in freezer il Maestro.

cosa è la speranza ?

in sottofondo Dio è morto - Francesco Guccini - con testo in scorrimento   partendo dall 'horror club di Dyla Dog n 471 Una finestra Sul...