Senza titolo 1488

continuando con il post  precedente su hallowen  volevo segnalarvi che ho   ho dimenticato di parlare delle tradizioni   sarde    dei morti   , lo  faccio  qui , giocando d'anticioo   ,  verso tutti  quelli i m'accuseranno    di non essere completo   .

ecco cosa  sta  facendo  l'Isre. ( Istituto Superiore Regionale Etnografico)   locale

'NUORO. Dolcetto, scherzetto! Macché... molto meglio “Su mortu mortu”. Halloween non è roba che può attecchire in terra di Barbagia. E se radici giallo-arancioni ci sono che tentano di insidiarsi in zona Ortobene, bisogna estirparle subito. Perché una cosa deve essere chiara: a Nuoro e dintorni mai si dovranno vedere streghe che volano sulle loro scope magiche.

 L’orizzonte del Redentore non è adatto neppure per i mostri che saltano fuori dalle tombe allo scoccare della mezzanotte, per i lupi mannari che ululano puntando la luna, per gli gnomi che escono come formiche dalle querce. Niente di tutto questo potrà succedere nel cuore della Sardegna, soprattutto adesso che l’Isre ha deciso di dare battaglia alle dilaganti zucche d’importazione, quelle di Halloween appunto. Battaglia: nel senso che l’Istituto superiore regionale etnografico punta tutto sul patrimonio locale, lascia alle spalle ogni forma di globalizzazione di massa e valorizza gli aspetti nostrani della festa di Ognissanti. Il Museo deleddiano apre così a “Su mortu mortu”. «Da domani e fino al 7 novembre - annuncia Paolo Piquereddu, direttore dell’Isre, l’istituto che oltre a quello deleddiano gestisce in città il Museo del costume - tutti i bambini che entreranno nella Casa natale di Grazia Deledda avranno l’occasione di rivivere l’antica tradizione della questua-dono».
 Per una settimana intera, insomma, i piccoli nuoresi potranno bussare al vecchio portone di Cosima, in pieno centro storico, con spirito diverso dal solito. E quando verrà chiesto loro «chi è?», risponderanno: «Su mortu mortu». Nella cambusa che fu della famiglia Deledda, poi, il personale dell’Isre consegnerà ad ogni bambino un sacchetto pieno zeppo di caramelle, cioccolattini, noci, nocciole, castagne e persino un pappassinu. In omaggio, inoltre, anche una “Guida breve” al Museo deleddiano. «L’iniziativa durerà una settimana intera - spiega ancora Piquereddu - per permettere a tutte le scuole cittadine di potersi muovere in comitiva». Uno strappo alla tradizione, dunque, che invece celebrava “Su mortu mortu” nella sola giornata di Ognissanti.
 «Quella che a Nuoro è chiamata “Su mortu mortu”, è una tradizione che nei paesi del circondario assume nomi diversi» racconta il direttore dell’Isre. A Siniscola, per esempio, rito identico è quello di “Su petti coccone”, mentre Orgosolo celebra “Sa candelaria”, seppure alla vigilia del Capodanno.
 Dal 1989 alla guida dell’Istituto etnografico, 57 anni da compiere, Piquereddu sottolinea che comunque sia, al di là delle singole varianti, «in fondo tutte le questue hanno un significato analogo: i bambini in qualche modo rappresentano il mondo dei morti». È ai piccoli, infatti, che spetta il compito di mettere in collegamento la sfera quotidiana con la sfera dell’eternità. «Tutte queste feste vengono celebrate tra l’autunno e l’inverno, ossia in un periodo in cui la terra è morta, in attesa della primavera» continua il direttore dell’Isre. Il che non era certo cosa da niente nella società agropastorale della notte dei tempi. «Per il mondo contadino, era un lungo momento di ansia, pieno di interrogativi sulla nuova annata. Perciò la gente cercava di superare questo periodo propiziando i morti con un buon trattamento ai bambini che chiedevano la questua» parla sempre Piquereddu. I morti che per una notte tornano nel mondo dei vivi, infatti, sono destinati a rientrare presto sotto terra. E sotto terra potranno influire, eccome se potranno influire!, sulla fertilità dei campi coltivati a grano. Questo, in soldoni, il retroscena recondito di “Su mortu mortu”.
 «Ma anticamente anche a Nuoro si celebrava, come a Orgosolo, “Su candelariu” - aggiunge Paolo Piquereddu -. È la stessa Grazia Deledda che ce lo ricorda nei suoi scritti sulle tradizioni popolari». Allora, il 31 dicembre, ai bambini veniva donato un piccolo pane, “Sa candeledda”. E se qualcuno osava andare contro l’antica usanza, i questuanti come rispondevano? Con la minaccia. «Non no dazes sa candeledda? Cras manzanu in terra nighedda». Cioè: non ci date il pane? Domani finirete nella tomba. Che in fondo in fondo, manco a dirlo è la stessa minaccia di «dolcetto, scherzetto» by Halloween. Ora come ora, tuttavia, i due riti sono ben lontani l’uno dall’altro, anche se l’uso della zucca e delle candele accese all’interno non è poi una novità neanche in Sardegna: «Vedi la tradizione di Sant’Andrea a Bono» dice il direttore dell’Isre.
 Ognissanti come pure “Su mortu mortu”, comunque, a differenza della festa celtica, sono appuntamenti religiosi, un modo per celebrare i morti, una ricorrenza che va a beneficio dei defunti. Halloween, invece, è una minaccia incombente sui vivi, chiamati a proteggersi (con una zucca in testa) dalle grinfie del diavolo. Lo stesso diavolo che a Nuoro può soltanto piangere: contro


NUORO. Dolcetto, scherzetto! Macché... molto meglio “Su mortu mortu”. Halloween non è roba che può attecchire in terra di Barbagia. E se radici giallo-arancioni ci sono che tentano di insidiarsi in zona Ortobene, bisogna estirparle subito. Perché una cosa deve essere chiara: a Nuoro e dintorni mai si dovranno vedere streghe che volano sulle loro scope magiche.
 L’orizzonte del Redentore non è adatto neppure per i mostri che saltano fuori dalle tombe allo scoccare della mezzanotte, per i lupi mannari che ululano puntando la luna, per gli gnomi che escono come formiche dalle querce. Niente di tutto questo potrà succedere nel cuore della Sardegna, soprattutto adesso che l’Isre ha deciso di dare battaglia alle dilaganti zucche d’importazione, quelle di Halloween appunto. Battaglia: nel senso che l’Istituto superiore regionale etnografico punta tutto sul patrimonio locale, lascia alle spalle ogni forma di globalizzazione di massa e valorizza gli aspetti nostrani della festa di Ognissanti. Il Museo deleddiano apre così a “Su mortu mortu”. «Da domani e fino al 7 novembre - annuncia Paolo Piquereddu, direttore dell’Isre, l’istituto che oltre a quello deleddiano gestisce in città il Museo del costume - tutti i bambini che entreranno nella Casa natale di Grazia Deledda avranno l’occasione di rivivere l’antica tradizione della questua-dono».
 Per una settimana intera, insomma, i piccoli nuoresi potranno bussare al vecchio portone di Cosima, in pieno centro storico, con spirito diverso dal solito. E quando verrà chiesto loro «chi è?», risponderanno: «Su mortu mortu». Nella cambusa che fu della famiglia Deledda, poi, il personale dell’Isre consegnerà ad ogni bambino un sacchetto pieno zeppo di caramelle, cioccolattini, noci, nocciole, castagne e persino un pappassinu. In omaggio, inoltre, anche una “Guida breve” al Museo deleddiano. «L’iniziativa durerà una settimana intera - spiega ancora Piquereddu - per permettere a tutte le scuole cittadine di potersi muovere in comitiva». Uno strappo alla tradizione, dunque, che invece celebrava “Su mortu mortu” nella sola giornata di Ognissanti.
 «Quella che a Nuoro è chiamata “Su mortu mortu”, è una tradizione che nei paesi del circondario assume nomi diversi» racconta il direttore dell’Isre. A Siniscola, per esempio, rito identico è quello di “Su petti coccone”, mentre Orgosolo celebra “Sa candelaria”, seppure alla vigilia del Capodanno.
 Dal 1989 alla guida dell’Istituto etnografico, 57 anni da compiere, Piquereddu sottolinea che comunque sia, al di là delle singole varianti, «in fondo tutte le questue hanno un significato analogo: i bambini in qualche modo rappresentano il mondo dei morti». È ai piccoli, infatti, che spetta il compito di mettere in collegamento la sfera quotidiana con la sfera dell’eternità. «Tutte queste feste vengono celebrate tra l’autunno e l’inverno, ossia in un periodo in cui la terra è morta, in attesa della primavera» continua il direttore dell’Isre. Il che non era certo cosa da niente nella società agropastorale della notte dei tempi. «Per il mondo contadino, era un lungo momento di ansia, pieno di interrogativi sulla nuova annata. Perciò la gente cercava di superare questo periodo propiziando i morti con un buon trattamento ai bambini che chiedevano la questua» parla sempre Piquereddu. I morti che per una notte tornano nel mondo dei vivi, infatti, sono destinati a rientrare presto sotto terra. E sotto terra potranno influire, eccome se potranno influire!, sulla fertilità dei campi coltivati a grano. Questo, in soldoni, il retroscena recondito di “Su mortu mortu”.
 «Ma anticamente anche a Nuoro si celebrava, come a Orgosolo, “Su candelariu” - aggiunge Paolo Piquereddu -. È la stessa Grazia Deledda che ce lo ricorda nei suoi scritti sulle tradizioni popolari». Allora, il 31 dicembre, ai bambini veniva donato un piccolo pane, “Sa candeledda”. E se qualcuno osava andare contro l’antica usanza, i questuanti come rispondevano? Con la minaccia. «Non no dazes sa candeledda? Cras manzanu in terra nighedda». Cioè: non ci date il pane? Domani finirete nella tomba. Che in fondo in fondo, manco a dirlo è la stessa minaccia di «dolcetto, scherzetto» by Halloween. Ora come ora, tuttavia, i due riti sono ben lontani l’uno dall’altro, anche se l’uso della zucca e delle candele accese all’interno non è poi una novità neanche in Sardegna: «Vedi la tradizione di Sant’Andrea a Bono» dice il direttore dell’Isre.
 Ognissanti come pure “Su mortu mortu”, comunque, a differenza della festa celtica, sono appuntamenti religiosi, un modo per celebrare i morti, una ricorrenza che va a beneficio dei defunti. Halloween, invece, è una minaccia incombente sui vivi, chiamati a proteggersi (con una zucca in testa) dalle grinfie del diavolo. Lo stesso diavolo che a Nuoro può soltanto piangere: contro ormai, ci si mettono pure quelli dell’Isre. Che con questa iniziativa va avanti nel programma legato al Museo deleddiano. Una nuova politica museale («museografia viva» la chiama Piquereddu) che vuole fare della Casa Deledda una casa da frequentare, che oltre all’allestimento stabile propone novità legate a quanto succede fuori dalle mura del cortile. La cucina e la dispensa mostreranno i segni del tempo: ogni stagione avrà i suoi frutti. E anche le tradizioni scandiranno il calendario. Come questa edizione di Ognissanti, un rito che a dire il vero sopravvive ancora nel rione Santu Predu come pure in qualche quartiere periferico. Da domani, invece, “Su mortu mortu” tornerà su tutta Nuoro.



ed  ecco  tutte le tradizioni   che rischiano dio scomparire  a causa   della moda  importata   dall'america  cioè  halloween 

 di Manglio Brigaglia


Arriva la notte di Halloween. I bambini l’aspettano con ansia. Preparano le zucche, svuotate e intagliate per accenderci dentro una candela che evochi uno spaventoso teschio dagli occhi ardenti, preparano le maschere da streghe, fantasmi e maghi cattivi per andare a bussare alle porte imponendo l’aut aut hollywoodiano: dolcetto, scherzetto. Ormai questi preparativi si fanno nelle scuole, le maestre mettono in campo tutta la loro fantasia per preparare la gran mascherata dei bambini. Ai bambini, ma neanche - ahimé - alla maestra, nessuno gli ha detto che questa usanza importata pari pari dall’America esiste già da secoli in tutta Europa. In Sardegna non era neppure un’usanza: era quasi un obbligo, una di quelle tappe legate alle tradizioni popolari attraverso cui i bambini sperimentavano la loro prima socializzazione in contatto con la comunità dei grandi. Il Giorno dei Morti (e in parte anche i giorni vicini, cominciando dalla notte fra l’ultimo di ottobre e la Festa dei Santi) aveva due fondamentali fili di tradizione: da una parte quello più triste e orroroso del ricordo dei morti di famiglia, dall’altro quello lieto e scherzoso dedicato ai bambini. In ogni paese della Sardegna si credeva che, nel giorno dei morti, loro, i defunti, tornassero silenziosi a visitare la casa e quelli che ci abitavano. A sera si mangiavano “sos maccarrones de sos mortos”, e un piatto di maccheroni di preparava per loro, che di notte sarebbero venuti silenziosi a gustarli. Il grande piatto era uno solo, ma per ogni morto bisognava mettere una forchetta, avendo cura di non infilarla nei maccheroni: sennò, diceva la tradizione, la mattina i parenti distratti si sarebbero svegliati con le forchette infilzate nelle cosce (anche se non ha notizia di neppure uno di questi infilzamenti, evidentemente perché la gente faceva molta attenzione a rispettare la regola). A Mores - scriveva G. Calvia Secchi, studioso di queste tradizioni - si credeva che “certe macchie verdastre, che si presentano alle volte sulla pelle di certi individui, fossero morsi dei morti”. C’erano, per quel giorno, un pane e dei dolci speciali. A Ghilarza, per esempio, si faceva un pane morbido, detto “moddizzosu”, che la panificazione sarda conosce anche per altre occasioni. A metà fra il pane e il dolce c’era il “pane e saba”, o il pane di sapa, in cui si metteva a frutto il mosto della vendemmia recente per confezionare un pane dolce, che poteva poi durare sino a Natale. Il dolce dei morti erano i “pabassinos”, che la Deledda, in un suo famoso scritto giovanile sulle tradizioni popolari di Nuoro, descrive così: “Dolci di uva passa, di mandorle, di noci e di nocciole, riunite in una specie di poltiglia impastata con sapa e con acqua inzuccherata. I più aristocratici vengono ricoperti da uno strato, sa gappa, di zucchero e di treggea (microscopici confetti, che da qualche parte chiamavano “diaulinos”, diavolini). “Se ne fanno anche - aggiungeva - di pino e di pasta gramolata con uova e manteca”. Il “pabassino” era il dolce essenziale della cerimonia di “su mortu-mortu”, l’Halloween sardo, di diversi secoli più vecchio di questo che da un decennio in qua stiamo importando via tv. Era al centro della questua che in origine veniva fatta, la sera di Tutti i Santi, dai sacrestani e dai chierichetti: giravano per il paese armati di un campanello. ognuno con la sua bisaccetta, e bussavano a ogni porta chiedendo “su mortu-mortu”. In altri paesi si diceva “sos mortos”, in Gallura “li molt” e molti”. «Il frutto di questa bizzarra raccolta - è sempre la Deledda che ne parla - i sagrestani se lo spartiscono in santo amore, e lo divorano allegramente, durante la notte, mentre suonano i tristi rintocchi mortuari». Ai sagrestani seguivano i bambini, approssimativamente mascherati: bussavano, gli veniva aperto, i regali erano pane, fichi secchi, mandorle e noci. Sciamavano a gruppi per il paese, erano felici e non lo sapevano. I bambini di questo Halloween saranno felici anche loro, ma ai grandi gli si stringe il cuore.

le  fonti dei due  articoli sono dela nuova sardegna  del 31\11\2006

Commenti

EvaCarriego ha detto…
vado a ritirare la busta di leccornie per domani, per l'appunto: non si sa mai, in terra nighedda
Lordpolo ha detto…
Io lo facevo ad Olbia non più tardi di una quindicina d'anni fa, forse per merito del cugino semi-oranese.

Mai sentito di una tradizione simile a Cagliari invece, dove vivo - ciò provocava naturalmente un'invidia indicibile da parte dei miei compagni di classe maurreddini :-D

(quindicina?? Come passa il tempo, sigh)

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