"La tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare,
gridando forte senza aver paura contando cento passi lungo la tua strada"
Allora.. 1,2,3,4,5,10,100 passi! ''
Oltre un pezzo riportato sopra tratto dalla famosa cento passi dei Mcr come colonna di sottofondo sonora d'oggi ne uso due . La prima è Geometrie dell'anima di Paolo fresu di cui riporto sotto il video e con cui le note dell'animo umano si sciolgono sulla melodia di questa incantevole e sublime melodia
la seconda è non è tempo per noi di Ligabue di cui trovate qui un bellissimo video che non metto onde evitare un troppo appesantimento nell'aprire la pagina del blog a chi ha nel pc poca ram , con troppi video nel post
Ma Priam d'inizare il post d'oggi . è doveresa una precisazione
N.B
non metto i nomi e d'essi sono coperti da ***** ( chi già causa di miei comportamenti inqualificabli e da c... su facebook lo sà , chi non lo sà pazienza ) non per censura o d'autocensura , ma perchè , chi ha letto il manifesto del blog e le faq ( con relativi tag d'aggiornamenti ) dvrebbe saperlo rispetto è uno dei cardini dei questo blog e ( anche se non sempre ci sono riuscito nel corso dela mia opera d'arte fin qui realizzata in quanto consideravo questo " equazione " privato=pubblico privato=pubblico ) della mia pagina di Facebook ( in cui i post del blog vanno in automatico ), ma soprattutto perchè fa parte del rispetto non fare nomi e cognomi di persone che non hai davanti o metterle alla berlina ( cem spesso ho fatto nele pagine di facebook , a scopo provocatorio per attirare loro l'attenzione e per il motivo sopracitato ) e fanno in maniera cannibale i media ) , metaforicamente parlando , quando non sono o diventate , personaggi pubblci, oltre che problemi riguardanti la loro riservatezza quella che ipocriticamente il potere chiama privacy
Lo sciocco non perdona e non dimentica. L’ingenuo perdona e dimentica. Il saggio perdona, ma non dimentica.( proverbio cinese )
Dal proiverbio sopra riportato e dalla prima canzone dela colonna sonora d'oggi mi è venuto in mente ed ho trovato il coraggio per parlare di una tappa del mio viaggio .
Prima ero sciocco poi dopo i casi di **** e ***** che usavo la come arma contro i torti della vita non il perddono , ma la vendetta e fotunatamanrre che sono diventat non violento ( altra tappa del mio viaggio ne ho parlato nei post precedenti di questo blog , mi pare se non erro nel 2006\7 ) altrimenti continuando cosi sarei finito come la sto storia in parte vera ma in maggior parte leggendaria di il bandito e campione di Costante Girandego ( campione di ciclismo ) \ Sante Pollastri ( il bandito ) narrata in vari libri e nella canzone iL bandito ed il campione e ora recentemente in un fiction tv . Poi mi son detto ma che c... sto facendo perchè mi creo rimorsi inutili . D'allora dopo oil male che ho fatto ad ****** e recentemente a ******* mi sto incamminando definitivamente , un percorso che avevo già iniziato prima dell'ultimo caso ma che procedeva a tentoni , e ora procede rettilineo nella mia strada fatta di curve ( perchè la retta via è per chi ha fretta come dice una famosa canzone contemnuta nel ll'ultimo cd tabula rasa elettrificata degli ex Csi ) fatta di cadute e riprese , fino a farmi diventare almeno per ora poi chi sà ,dato che l'opera d'arte \ bviaggio si sà quando inizia ma non quando finisce una via di mezo tra l'ingenuo e il saggio . Adessoi la prossiam tappa e la saggezza . Ma per il momento , meglio , uan via di mezzo in quanto gli antichi dicono In medio stat virtus In altre parole è il proverbio il meglio è nemico del bene soprattutto da me che cerco ancora perdonatemi l'ultima citazione musicale ancora una canzone di Ligabue una vita da mendiano
Io non canterei vittoria a proposito del presunto "fallimento" del simposio Vespa-Bertone-Berlusconi. E attenti a considerare quest'ultimo un fesso. Non lo è affatto. Il suo lessico è elementare, ridotto all'osso: tipico delle persone incolte e dei pubblicitari. Per questo fa leva sul popolo italiano, notoriamente poco incline alla lettura e all'approfondimento. E', soprattutto, un ladro di linguaggio, astuto nel cooptare le parole più in voga per stravolgerne il senso. Avete notato come si è disinvoltamente appropriato del termine "bavaglio"? Dai suoi tg, soprattutto quello sulla prima rete Rai, ha fatto sapere che l'imbavagliato è lui, in nome d'un diritto che non può essere assoluto: quello della libertà di stampa. Perché prima di essa esiste il diritto alla privacy, come usa dire con orribile anglismo, e che è tutt'altra cosa dall'intimità.
A rigor di termini sarebbe pure incontestabile, e infatti egli spera che molti italiani lo seguano. Ci pare di udirli, gli adoratori di "Silvio": c'ha ragione, è un bravo ragazzo (malgrado le 74 primavere, “Silvio” è sempre il bravo e intraprendente ragazzotto della porta accanto), vuole proteggere i “fatti nostri”. Senonché sono state proprio le sue televisioni, in 25 anni, a spadellare qualsiasi fatto nostro, a far dilagare l'onda volgare e melmosa del voyeurismo: grandifratelli, uominiedonne, e lui stesso, col suo corpo, le sue avventure sessuali (per B. le donne non contano come persone, ma come oggetti) squadernate a destra e a manca. Ora, proprio lui, invoca la "pràivasi". Credibile come uno squalo affamato davanti a una preda ferita, ma gli italiani possono cascarci. Quanti slogan disattesi, dal 1994 ad oggi! Il primo fu "Il nuovo miracolo italiano", seguito da "un milione di posti di lavoro" per giungere ai più recenti "daremo un posto fisso a tutti", "via la tassa dalla prima casa", per tacere del martellamento, durato quasi un anno, sul tema della "sicurezza" e delle fantomatiche ronde, subito fallite, anzi mai iniziate, di cui nessuno ormai parla più.
Egli sa che basta far colpo, promettere senza mantenere, soprattutto senza faticare: perché i cittadini, vale a dire il pubblico, sono, per sua stessa ammissione, come un bimbo di dodici anni nemmeno troppo intelligente.
Anche per questo piace così tanto alla Chiesa (intesa come gerarchia vaticana) e non si speri venga meno tale alleanza: i preti la sfrutteranno fino all'ultimo. Sia perché naturalmente inclini ai regimi di destra, anche dittatoriali, sia perché troppi sono i vantaggi materiali che possono trarre da questa (santa?) alleanza; e non si dimentichi che il Vaticano è lo Stato più materialista e mondano esistente sulla terra. La cena a casa di Vespa e il suo corredo simbolico-blasfemo può e deve farci fremere di orrore, soprattutto a noi credenti, ma stupirci, no davvero: rientra nella normalità delle cose. Potere puro, o meglio: fondamentalismo del potere.
Insomma Berlusconi continua a godere dell'appoggio d'Oltretevere, del resto la pseudo-opposizione è inetta e inesistente, quindi ci propineranno tutto ciò che vorranno. Ma per fortuna non verrà promulgata alcuna legge sulle coppie di fatto, alleluia.
P.S.: Ho usato "per fortuna", e non "grazie a Dio", perché Dio, in tutta questa storiaccia, non c'entra un beneamato cavolo, povero Cristo.
Il ragazzo e la ragazza si diramano, tra fiumi d'asfalto e ampie soleggiate di grigio, sul far del giorno, timidi e lenti. Le parole leggere, semplici, feriali sottolineano ancor più quel silenzio sospeso, l'angolo del cuore dove la vita scorre aerea, normale e miracolosa. Sono giunti insieme, lui non osa abbracciarla, si limita a starle al fianco, tra sbiaditi bagolari e cespugli di maggiociondoli, superstiti in città, e par di respirare un'aria marina, in questo calmo scampolo d'estate. E' un giorno senza pensieri, vuoto e circolare, un sentiero pedestre nell'autostrada del mondo.
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Figlio d'arte (suo padre, morto l'anno scorso, era il decano della categoria), Roberto Gerina ha respirato per la prima volta l'aria di un'edicola che aveva quattordici anni. «Quel giorno ho capito che questo lavoro non avrà mai fine». Nel senso che ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a leggere la Gazzetta su un iPad, sfogliare un romanzo sul pc, perdersi in una Rete che propone miliardi di notizie e non ne garantisce neppure una. Tutt'al più, per rispondere ai morsi della crisi che ha assottigliato la clientela, bastano piccole integrazioni e vendere, insieme a Repubblica e al Corriere della Sera, magliette, biglietti del bus, occhiali da presbite.
Cagliaritano, 45 anni, due figli, Roberto Gerina ha gestito per una vita l'edicola che sta di fronte alla stazione ferroviaria. La vicinanza di un albergo (e dunque d'un portiere di notte) lo ha convinto nel '91 a non chiudere mai: ventiquattr'ore su ventiquattro a disposizione di clienti che, a seconda della fascia oraria, arrivavano senza cravatta, truccati, travestiti, qualche volta semplicemente disperati e insonni. «Il mondo notturno è molto, molto movimentato». Lo ha capito talmente bene che anni fa ha deciso di allargarsi per venire incontro ai più esigenti: «E ho aperto due porno shop».
Nel cuore dice che però gli è rimasta l'edicola. In quella vicina alla stazione, che ha segnato la sua vita, adesso c'è dentro il fratello. Lui ne ha appena rilevato un'altra, sempre in via Roma, sempre sotto i portici ma di fronte alla Darsena, insomma dove puntano le invasioni barbariche un minuto dopo lo sbarco dalle navi vacanziere. Appena ha messo mano alla nuova postazione, Gerina ha avviato quella che si dice una radicale ristrutturazione abbattendo lo storico separè metallico che garantiva un minimo di discrezione e di privacy: sugli scaffali c'erano riviste porno di tutto il mondo, comprese quelle (apprezzatissime) americane e tedesche in vendita a 25 euro la copia. Roba per soli ricchi. «Quell'angolo appartato non aveva più senso. Le riviste hard, ormai, si vendono alla luce del sole». Cioè nella vetrina affacciata sul marciapiede, nel viavai compresso e nervoso della folla che transita a un passo dal Consiglio regionale.
«Non lo nego, a Cagliari siamo stati i primi a vendere un certo tipo di giornali e di filmini. Il giro c'era. Ne valeva la pena». In tempi non lontanissimi, dice Gerina, un'edicola come quella della stazione manteneva serenamente tre famiglie e «a fine mese assicurava circa sette milioni di lire». Col cambio della moneta è cambiato tutto. «Oggi si guadagnano 2.400-2.500 euro lordi al mese lavorando, perché sia chiaro, dalle sei e un quarto del mattino alle otto e mezzo di sera». Come si fa a stare mezza giornata in una gabbia?
«Ci si abitua. Il mio spazio di lavoro è di un metro per due. Ci sto bene, non mi sento stretto. Ho il mio sgabello, sto comodo. Se ho caldo tengo la porticina spalancata, nei momenti di noia guardo la tivù che ho sistemato in alto, fra le t-shirt per turisti». Realizzato?
«Ho smesso di studiare che stavo in quarta superiore. Vivere in edicola mi ha permesso di leggere moltissimo, non solo Tex e Diabolik che sono stati e restano la mia droga. Mi guardo intorno e capisco d'essere stato fortunato. Dal mio gabbiotto vedo un mare scintillante, davanti agli occhi ho sempre uno spettacolo interessante». Quattordici ore di lavoro non schiantano?
«No, perché questo è un mestiere che puoi fare solo per passione. Ti fa conoscere e capire un sacco di gente. Mio padre m'aveva dato un solo consiglio: sorridi, agli altri non importa nulla dei fatti tuoi». Basta questo per fare l'edicolante?
«La gentilezza e un sorriso, soprattutto verso le facce spente che arrivano qui dopo colazione in marcia verso l'ufficio. Diventiamo una specie di quieta abitudine». Confidenti e confessori.
«Bisogna ammortizzare i furori del prossimo. Mantenendosi, per esempio, politicamente corretti. Io espongo, uno a fianco all'altro, Il Giornale, la Stampa, il Fatto, Repubblica. E quando una signora, indicando Libero, mi ha chiesto cosa ci facesse un giornale comico tra giornali veri, ho risposto con un mezzo sorriso. Mai aprire una discussione politica, sarebbe la fine». Il nocciolo duro dei guadagni è fatto dai quotidiani?
«Certo, a cominciare da quello locale naturalmente. Ci sono edicole che vendevano 240-250 copie di sola Unione Sarda. Prima di Internet, intendo». Insieme ai giornali vendete di tutto.
«Gli omaggi di quotidiani e riviste intasano. Ho un settimanale di larghissima tiratura che sta offrendo contenitori di plastica per alimentari: sta andando molto bene». Scarpe e camicie, no?
«Lucidalabbra per adolescenti, abbronzanti, pettini, teli da mare. Mica è colpa nostra se l'editoria cerca di conservare la clientela proponendo una sorta di supermercato. Un tempo andavano forte le enciclopedie, ora non le comprano manco morti». Non interessano più?
«La ragione è un'altra: si chiama crisi. Anche se da sempre abituati a svegliarsi col giornale, tanti hanno scoperto che il quotidiano non è un bene di prima necessità. Figuriamoci le enciclopedie, che costano un sacco di soldi». Sono molti quelli che non comprano e sbirciano gratis?
«In genere i pensionati. Scorrono le prime pagine, si fermano anche interi quarti d'ora per leggere un articolo. Poi, magari senza voltarsi a guardarmi, se ne vanno». Tutt'altro genere quelli delle riviste specializzate.
«Spesso mi sono chiesto cosa si può trovare in mensili come Stufe e camini, Salotti o Big Hunter, che vende abbigliamento per cacciatori. Da un po' abbiamo anche la collana I santi protettori: dieci immaginette, tre euro e cinquanta». Insomma, vendete. Internet non vi ha cancellato.
«Internet ha lettori che già non leggevano i giornali cartacei, e nemmeno libri se è solo per questo. Il problema vero è un altro: crisi. Te ne accorgi dalle chiacchiere di ogni giorno che in giro non ci sono più soldi. Più che internet ci ha causato danni immensi la liberalizzazione voluta dal ministro Bersani. È colpa sua se oggi chiunque può vendere giornali».
Qualcuno sostiene che sia più facile superare il test per l'ingresso a Medicina che ottenere l'autorizzazione ad aprire un'edicola. Nella città di Cagliari ce ne sono 150, in Sardegna 1.400 d'inverno e 1.700 d'estate. Impossibile calcolare il fatturato: costi di gestione quasi zero, tutto quello che non si vende viene restituito. Il guadagno netto per copia venduta oscilla (a seconda che si tratti di quotidiani o di periodici) tra il 19 e il 24 per cento del prezzo di copertina. Gerina afferma che il panorama non è affatto così florido. «Tant'è che sono molte le edicole in vendita». A quanto? Il prezzo medio è di cento, centodiecimila euro ma ce ne sono alcune che possono arrivare tranquillamente a trecento. Anche se poi, dice Gerina, trecentomila euro per un'edicola non te li dà nessuno. Siete una casta?
«Sì, una casta che inizia a lavorare all'alba e tira avanti tutta la giornata. Sugli edicolanti ci sono molti luoghi comuni. Campiamo, certo. Ma fatichiamo molto». Una volta si viveva di solo porno.
«Il porno, lo ammetto, ha avuto una stagione d'oro. Lo compravano tutti: uomini, donne, ragazzi, preti». Donne, preti?
«Mio padre aveva tre clienti affezionate: ogni settimana acquistavano il meglio dell'hard per sole donne. Preti? Uno sicuramente. Oggi non li riconosci più perché non vengono a comprare in abito talare». Tramonto di un'epoca.
«Quasi. Ora si vendono bustoni con tre quattro pezzi per meno di dieci euro. Stanno andando un pochino meglio solo i racconti supertabù, novelle maiale per un pubblico fedelissimo. Poi, cos'altro c'è? Qualche dvd si vende ancora. Ho clienti che però vogliono solo il dischetto e non tutta la confezione perché dà nell'occhio». Il porno-lettore è riconoscibile a distanza?
«Di solito, sì. Uno mi ha fatto tenerezza. Era un ladro, ma per vergogna». Cioè?
«Tenevo apposta un certo porno vicino ai quotidiani. Lui, un signore elegante sulla cinquantina, ha preso L'Unione Sarda e ha agganciato anche la rivista che stava sotto. Pago il giornale, mi ha detto. No signore, gli ho risposto io, paga il giornale e anche Le Ore. Fortuna che non se l'è presa». In che senso?
«Da quel giorno, sciolto il ghiaccio, è venuto a comprare regolarmente il settimanale porno infilandolo in un quotidiano qualunque». Richieste non soddisfatte?
«Sì, una. Solito tipo di signore, elegante e di mezza età, mi ha chiesto se avevo riviste con ragazzini molto, molto giovani». Voleva dire bambini?
«L'ho fatto scappare. Gli avrei messo le mani addosso, proprio come ho fatto con un ladro tossico». C'è un nesso fra tossicità e furto?
«Ovvio. Approfittando di un attimo di disattenzione, uno di quegli scheletri ambulanti mi sfila una notte un pacco da quindici pezzi di Dylan Dog. Ho chiesto al portiere dell'albergo di sostituirmi per un attimo e sono corso in piazza del Carmine. E chi ti trovo?» Chi?
«Il tossico che svendeva i miei giornali. Non gli ho detto nemmeno una parola. L'ho steso di botte e me ne sono andato non solo con Dylan Dog ma con tutta la sua bancarella. Giusto per fargli capire come gira il mondo».
NUORO. Lei nuorese e lui scozzese. Hanno scelto di sposarsi in Barbagia rispettando le tradizioni: lui, un informatico di Edimburgo, in kilt e lei, una consulente turistica, circondata dal coro nuorese dei Canarjos. Poi, pranzo in campagna a base di porcetto arrosto. La prima notte di nozze? In una “pinnetta” ( usate dai pastori come transumanti come abitazioni fino a gli anni del 2 dopo guerra qui per chi aprla e comprende il sardo o qui in italiano ulteriori news ) sinistra )
dalla nuova sardegna del 20 giugno 2010
Nadia Cossu
Nuoro, nozze con sposo in kilt: è show
Rito celtico tra informatico scozzese e consulente nuorese
NADIA COSSU
NUORO. Don Aldo, sul portone della Cattedrale di Nuoro, accoglie Christopher a braccia aperte: «Questo è un giorno storico». Saluta lui, in gonnella scozzese verde, e tutta la famiglia in kilt arrivata dalla patria di William Wallace.
«Questa città e questa chiesa vi danno il benvenuto». Barbara Cabras (31 anni, di Nuoro) e Christopher Hall (35, di Edimburgo)
hanno scelto la Barbagia per pronunciare il «sì». E lo hanno fatto circondati dagli amici e dai parenti
ma anche dalla marea di turisti in trasferta a Nuoro che ieri mattina hanno scattato foto più alla comitiva in kilt che al monumento sacro dedicato a Santa Maria della Neve. «Tutto mi sarei aspettato - dice nel piazzale della chiesa un turista genovese - fuorché vedere qui un matrimonio celtico».
Eppure succede, in una città e in una provincia che da sempre ben conservano e difendono le proprie tradizioni. Usanze che si mescolano, storie che si incontrano. A un certo punto il coro Sos Canarios che si è appena esibito col costume sardo in un altro matrimonio in Cattedrale, scatta le foto insieme agli scozzesi in gonnella plissettata. Ed è festa comune.
«Ci siamo conosciuti a Londra nel 2000 - racconta Barbara con un filo d’emozione - frequentavamo lo stesso corso per imparare la lingua giapponese». E da quel momento tra la bella nuorese, consulente turistica trapiantata nel Regno Unito, e l’affascinante programmatore informatico di Edimburgo è scoppiato l’amore. «Volevo sposarmi nella mia terra - dice ancora Barbara - ci tenevo molto e Chris è stato subito d’accordo».
E così ieri le campane di Santa Maria della Neve a mezzogiorno hanno suonato a festa, la marcia nuziale ha accompagnato gli sposi fin davanti all’altare dove don Aldo Cottu li ha uniti in matrimonio.
Poi il pranzo di nozze nella fattoria didattica Istentales, sotto la quercia secolare di Badde Manna, un posto suggestivo scelto da Barbara per respirare, e far respirare agli ospiti, la forte tradizione barbaricina. Sono andati a ruba porcetto arrosto, trippa, coratella, sanguinaccio. Antipasti, primi, secondi, un vero successo. Gli scozzesi hanno divorato il menù sardo e apprezzato il vino della Barbagia, mentre dalla loro terra hanno portato uno straordinario liquore al basilico. Quindi spazio alle danze con l’orchestra arrivata appositamente dalla Scozia: violini, contrabbasso, flauto traverso. Musica celtica nell’azienda di Gigi Sanna, il cantante degli Istentales. Un connubio perfetto, suoni che appartengono a mondi diversi e che per una sera hanno creato un’unica melodia.
E poi, manco a farlo apposta, è da poco uscito l’ultimo lavoro degli Istentales: il cd si intitola “Onora s’istranzu”. In una delle pagine interne del disco Gigi Sanna scrive: «Perché noi sardi siamo sempre disponibili ad accogliere le persone che arrivano da fuori, a rispettarle facendole sentire come fossero a casa loro». E ieri, Nuoro e Badde Manna, s’istranzu lo hanno onorato davvero. Gli sposi non hanno passato la prima notte da marito e moglie in una lussuosa stanza d’albergo. Hanno dormito nella vecchia capanna dei pastori, su pinnetu, che si trova nel cortile della fattoria. Maria Paola Masala, factotum dell’azienda, ha curato ogni minimo dettaglio. Stoffe bianche con ricami tipicamente sardi, luci soffuse, profumi, grano sul letto. Una scenografia che ha emozionato Chris e Barbara.
----------------
la seconda è una storia di un ragazzo costretto «a fare la vita dell'uomo-ragno» «Le battutacce sui nani? Sono il frutto dell'ignoranza. dall'unione sarda del 20 giugno 2010
GUSPINI Al Sant'Elia, in curva nord, annegava nel gorgo degli striscioni rossoblù. Centotrentacinque centimetri - certificati dalla carta d'identità - di tifo pallonaro oscurati da bandiere sventolanti. Giuseppe Pusceddu ( foto sotto a sinistra è stato un ultrà della corrente sconvolts prima, furioso poi: «Il calcio è la mia vita».A trentacinque anni si dichiara «momentaneamente disoccupato, solo qualche serata extra nei bar». La serenità racconta di non averla mai perduta, neppure davanti ai sorrisini rivelatori, alle battute taglienti: «Certi atteggiamenti possono darmi fastidio, ma non mi sonomai vergognato della statura».
Quando ha saputo che non sarebbe cresciuto?
« I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
Quando ha saputo che non sarebbe cresciuto?
«I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
I problemi di tutti i giorni?«Mi devo arrampicare anche per prendere lo zucchero, in un certo senso sono un super eroe: faccio la vita dell'uomo ragno». Battutacce?
« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza». Sport?«Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura». Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze». L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora». In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato». Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza». Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta».
Uno simpatico?
«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli». Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella». Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via». Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo». Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo». Cosa detesta?
«Le bugie». Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari». E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto». Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?» Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso». Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato». Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura». Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?» Sì.
«I soldi. Ma per ora va bene così». Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide». Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».
I problemi di tutti i giorni?
«Mi devo arrampicare anche per prendere lo zucchero, in un certo senso sono un super eroe: faccio la vita dell'uomo ragno».
Battutacce?
« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza». Sport?«Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura». Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze». L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora». In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato». Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza». Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta». Uno simpatico?
«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli». Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella». Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via». Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo». Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo». Cosa detesta?«Le bugie». Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari». E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto». Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?» Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso». Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato». Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura». Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?» Sì.«I soldi. Ma per ora va bene così». Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide». Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».
E così, grazie al decreto "interpretativo" , la legge non è più uguale per tutti, ma solo per i privilegiati. Parlare di abuso di potere mi sembra persino limitativo. Qui siamo di fronte a un vero e proprio "potere assoluto". Mi ricorda la celebre battuta di Mel Brooks-Luigi XVI: "Bello fare il re". Ma questa fa meno ridere.
Il poco onorevole Nicola Di Girolamo lascia, ma i compagni di partito gli tributano l'onore dell'applauso, come a un caduto in battaglia. A Milano, il bravo ragazzo Milko Pennisi viene cuccato con le mani nella marmellata, anzi, nella mazzetta. Denis Verdini finisce nei casini per gli stessi motivi. La Chiesa intanto è travolta dagli scandali pedofili e il gentiluomo del Papa Angelo Balducci, tra una Messa e l'altra, trovava il tempo per farsi procurare robusti fotomodelli per sentirsi meno solo. Il Vaticano ha promesso il massimo rigore e tempestività per punire crimini commessi soltanto quarant'anni fa (i tempi della Chiesa, si sa, non sono quelli miserrimi dei comuni mortali). Hanno persino scoperto che la pedofilia "è un grave peccato". Complimenti per il discernimento! Per certi alti e potentissimi prelati l'omosessualità adulta, consenziente e dichiarata è un abominio inammissibile, mentre è tollerata quella occulta, pervertita e violenta che sfocia nella pederastia: basta resti sommersa. Il prete pedofilo, al massimo viene spostato in un'altra diocesi. Si sono mai domandati perché padre Dante pose i "sodomiti" nel girone dei violenti, non dei lussuriosi? "Molti fur cherci/e litterati di gran fama". Abbiamo udito, tanto per cambiare, illustri porporati tuonare contro il fumo di Satana introdottosi nella Chiesa per colpa, ovviamente, degli omosessuali. Satana esiste e agisce, questo è assolutamente sicuro, ma quella praticata dai pochissimo reverendi padri non è una condizione umana, problematica quanto si vuole, ma degna di ascolto e rispetto. E', appunto, un atto prepotente, nefando, malsano, frutto di una sessualità deviata e distorta, e di una subcultura sessuofoba e misogina che la alimenta. Ma figuriamoci se avvieranno una riflessione seria sul fenomeno.
Continua la campagna contro acqua privata e l'assassinio del Lambro che, come la caccia, ha dimostrato che pure sulla tutela ambientale il dio denaro, l'idolo muto, ha messo le zampe (e la coda). Verrà un giorno... Presto, speriamo.
Viva gli sposi. Angelo Izzo ha impalmato Donatella Papi, giornalista. "E' il mio angelo", insomma il suo alter-ego, dice della dolce consorte il neomarito estasiato. Nel frattempo ha disinvoltamente confessato che nel generoso periodo di semilibertà concessogli da giudici maschi, malgrado le inutili proteste di Donatella Colasanti (ora morta di cancro al seno, malattia curabile nel 90% dei casi, ma che la donna aveva trascurato per ottenere una giustizia che non le è arrivata), in quel periodo, dicevamo, qualche marachella ha continuato a commetterla. Sarà robetta di ordinaria amministrazione, qualche altro stupro, qualche altro assassinio di donne, certo la parte del leone è stata fatta con una sventurata donna con la figlia quattordicenne, violentate e uccise. "E' stato un lavoro relativamente semplice", ci ha informati, con un tono da travet. Proprio così: lavoro. Del resto la mogliettina lo considera innocente. Un vero Angelo, insomma.
Funzionari dello Stato in odor di sagrestia incassano tangenti poi chiedono la benedizione del prete. Devoti frequentatori di stanze vaticane si trastullano con piaceri ben più carnali (e carnosi). Angeli caduti sposano vergini stregonesche che curiosamente si chiamano con lo stesso nome delle loro vittime sacrificali. La più grande astuzia del diavolo è far credere che non esiste, sentenzia Baudelaire. Eppure, qui, si vede benissimo. Siamo entrati in Quaresima, e la prima domenica ci presenta Cristo tentato dal demonio. Un motivo forse ci sarà.
Prezioso libro, La pazienza del giardiniere di Paolo Pejrone (Einaudi). Prezioso perché antico, secolare; perché dalle sue pagine si sprigionano aromi, e sentori: di Liguria, di viottoli, di mulattiere che s'inerpicano chissà dove, improbabili e impossibili, simboli di lotta e laboriosità. Specchi di pietra, che riflettono volti essenziali, affaticati e contratti, dove la frappola è bandita e persino il sorriso, parco, è attraversato da venature severe. Volti che coltivano, accudiscono, accolgono la natura, talora squillante, più spesso discreta, insinuante, capricciosa, elementare. C'è una strana, domestica maestosità negli aranci aggrappati ai cancelli di vetusti "casoni", proprio perché non chiedono nulla: non attendono l'elogio, non destano meraviglia e, quando questa scoppia, è imprevedibile, balenante, tra il verde cupo del fogliame e l'azzurro intenso di scaglie di mare. E' una felicità al tempo stesso segreta e dilagante; una felicità bambina.
Cancelli e casoni erano il mio mondo, anni fa. Erano la zia che raccoglieva gli ancor lunghi capelli in un'interminabile, finissima treccia d'aglio; e, con perizia da ricamatrice, li avvolgeva poi sulla nuca, a formare un sapiente chignon. Erano densi lucori d'olio, cucine come aie o rustici saloni, sempre un po' in penombra, bizzarre chiese laiche dove il rito si confondeva col ticchettio della pendola e le scarabattole degli avi. Santuari agresti, le cui divinità erano carciofi, carote, topinambur setosi e bitorzoluti. A quei tempi non amavo molto i fiori, perché li celebravano tutti; non le rose, riso d'amore, con quei nomi agghiaccianti di duchesse e regine. Preferivo di gran lunga gli alberi e l'orto, dove l'umano tornava humus, radice e terra, e conviveva tra filari di pomodori e viti, minuto, non invasivo. Restava voce, confusa nel giallo della zucca e il brillìo profondo dell'alloro. Pochi libri si occupavano di questa vegetazione, salvo quelli degli specialisti, mentre per me l'orto era essenzialmente poesia.
In quello di Pejrone ho ritrovato questa poesia. Nulla vi è escluso: non le buganvillee liberty delle ville signorili, non il buffo ombrello dei pini marittimi, non l'esotico delle palme scapigliate, e nemmeno le brutte "giardinetterie" delle nostre autostrade. E, appunto, l'orto, l'orto che ride, che ama e ricambia l'amore, che non è un vezzo decadente, ma famiglia, rispetto. Mitizzato o eccessivamente realistico, l'orto è sempre stato maltrattato dalla letteratura. E' stato dannunziano: artificioso, pietrificato, disossato e prepotentemente umano, anzi, super-umano; o ha significato indigenza, come i marci sterrati pasoliniani dove crescevano, stenti e acciaccati, cavoli fiori per miserabili deschi. Io, invece, nell'orto vedo pace, riconciliazione.
Ride l'orto, e splende il giardino, perché sono pieni: di vita, di ogni vita. Anche di quella insidiosa, che si fronteggia, direi si rigenera, con altra vita: dalla cicala al passero, alla cincia, al pettirosso. Giardiniere era Pascoli, giardiniere era Manzoni; e, quindi, eccelsi catalogatori. Ma non compilavano elenchi: dipingevano arcobaleni.
La pazienza è virtù vegetale, come la speranza. E rincuora, di quando in quando, sedersi sopra un sasso, e aspettare.
Questo blog vuole invece ricordare Paolo Borsellino, martire della legalità e della democrazia, che oggi avrebbe compiuto 70 anni (e Rocco Chinnici 85). Non oso chieder loro perdono per l'oblio degli italiani. Mi limito alla vergogna. Infelice quel Paese che ha bisogno d'eroi, ma disgraziato quel Paese che sceglie eroi sbagliati.
Esprimiamo la nostra solidarietà per queste persone che hanno visto tutto quel poco che avevano distruggersi in un secondo. C'è chi parla di più di 100000 morti.
Il sisma di magnitudo 7 della scala Richter si è verificato il 12/01/2010. L'epicentro è stato localizzato a 15 km a sud-ovest della capitale, Port-au-Prince. Crollate decine di palazzi, ci sono migliaia di vittime. Si scava tra le macerie alla ricerca dei dispersi.
Per le Donazioni
UNICEF:- c/c postale 745.000, causale: 'Emergenza Haiti'; - carta di credito online su www.unicef.it, - chiamando il numero verde UNICEF 800745000;- attraverso comitati locali dell'UNICEF presenti in tutta Italia (elenco sul sito-web http://www.unicef.it/).
LA CROCE ROSSA ITALIANA: - Conto Corrente Bancario C/C BANCARIO n° 218020 presso: Banca Nazionale del Lavoro-Filiale di Roma Bissolati -Tesoreria - Via San Nicola da Tolentino 67 - Roma intestato a Croce Rossa Italiana Via Toscana, 12 - 00187 Roma. Coordinate bancarie (codice IBAN) relative sono: IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020 Causale PRO EMERGENZA HAITI- Conto Corrente Postale n. 300004 intestato a: Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 - 00187 Roma c/c postale n° 300004 Codice IBAN: IT24 - X076 0103 2000 0000 0300 004 Causale: Causale PRO EMERGENZA HAITI - Donazioni on line È anche possibile effettuare dei versamenti online attraverso il sito web della CRI www.cri.it all'atto della scelta del progetto selezione "Pro emergenza Haiti".
LA CARITAS: Per sostenere gli interventi in corso si possono inviare offerte a Caritas Italiana tramite C/C POSTALE N. 347013 specificando nella causale: "Emergenza terremoto Haiti".
ALTRE
UniCredit Banca di Roma Spa, via Taranto 49, Roma - Iban: IT50 H030 0205 2060 0001 1063 119 Intesa Sanpaolo, via Aurelia 796, Roma- Iban: IT19 W030 6905 0921 0000 0000 012 Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma- Iban: IT29 U050 1803 2000 0000 0011 113 CartaSi e Diners telefonando a Caritas Italiana tel. 06
Prodotti: Haiti e' uno dei paesi piu' poveri del pianeta - e' classificato al 148 posto su 179 secondo l'Indice di Sviluppo Umano dell'UNDP - e fatica a riprendersi da anni di violenza, insicurezza e instabilita' e da una lunga serie di calamita' naturali.
Mi sento stanca, di quella stanchezza buona, profonda, lineare, fisicamente intatta e indisturbata, che si compiace del suo molle sopore. L'automobile mi riporta a casa. E' sufficiente socchiudere gli occhi, ed eccomi sola. Con un unico accompagnatore: Renato Zero e la sua musica.
Il mio amore per lui, che dura ormai da oltre trent'anni, nacque in sventagliate oasi di luce: al mare, in estate, lo ascoltai la prima volta; sempre al mare, tempo dopo, lo vidi in tv: ed era proprio Capodanno, un Capodanno del '78 trascorso ancora in famiglia, assieme a un cugino già adolescente. Poi ancora al mare, finalmente dal vivo. Allora esilissimo, irriverente, sfacciato, fin troppo provocatorio, un capolavoro di glam e di follia, il giovanotto nudo, come in seguito l’avrei chiamato, portava avanti una protesta tutta intima dove il sesso celava una spiritualità inattesa, da bimbo ferito.
Quel desiderio di colore non era nato forse in un’anima troppo costretta al buio? Di “anime buie” avevo appunto parlato in un post del maggio scorso ispirato a Salvami, brano antichissimo riproposto anche nell'ultimo tour di Zero, conclusosi poco prima di Natale. Lo scorso dicembre milanese è stato, a tutti gli effetti, un mese "renatesco", iniziato con l’imprevedibile Zero Day allo Iulm e suggellato da tre trionfali concerti. Renato – anche coreografo - ha concepito il palcoscenico come un immenso ventaglio, che si apriva e si chiudeva con la maestosità e la leggiadria di enormi ali di farfalla, dal ritmo cadenzato, solenne e mellifluo insieme; e impreziosito da ologrammi dove comparivano gli antichi costumi di scena e le copertine dei suoi numerosi album. Uno show essenziale ma ricco, di musica e di voce, talora potente talora carezzevole, sofferta e grintosa, ma mai invasiva, sempre calibrata. Con la maturità Zero, che non è mai stato immune da certi barocchismi, sembra voler rinunciare all’orpello con la consapevolezza che, su quel palco, basta davvero solo lui. E avanza, anche. È significativo che abbia aperto questo suo nuovo percorso con Vivo, tratto da quell’album fatale che, da solo, gli avrebbe comunque regalato un spicchio d’eternità nel mondo della musica moderna: Zerofobia. Si trattava, già dal lontano ’77, d’un manifesto programmatico, tanto più efficace quanto involontario.
Renato è vissuto e sopravvissuto, spingendosi oltre sé stesso, accettando qualche compromesso secondo alcuni suoi detrattori, i quali però ignorano sempre il tributo che l’artista deve pagare all’uomo, soprattutto nel caso di Zero, nel quale i due momenti sono spesso mescolati. Ho percepito onestà in questo spettacolo, che ha voluto essere popolare ma non piacione, ammiccando al pubblico senza però arruffianarselo troppo. Unica concessione al Renato “per tutti” (mi verrebbe da dire: “per famiglie”), I migliori anni della nostra vita, fra l’altro interpretata con classe, e una spruzzata, di cui invero non si avvertiva il bisogno, del Dono con Mentre aspetto che ritorni. Ma chi sperava nei grandi classici da stadio, Cercami, Magari, Amico da intonare sventolando cuoricini luminosi – e sempre prescindendo dalla vena inquieta che quei pezzi pure presentano –, è rimasto a bocca asciutta. Non c’è stato spazio nemmeno per Il cielo, pensata come il naturale compimento di Salvami e sbocciata, inattesa e commossa, da un groppo di sfrenatezze disperate, ma tramutata poi, con gli anni, in una liturgia da stadio, più chiesastica che religiosa; per il Renato “asciutto” che si avvicina ai sessanta, un po’ acciaccato ma con la voglia, ancora disarmante e fanciullesca, di confidarci i suoi timori, simili (auto)celebrazioni non hanno più molto senso.
“Poco zucchero”, direbbe Faust’O; poiché il Renato autentico sta altrove, in un remoto ma mai sopito antro da sibilla. E sa ancora graffiare, irridere e provocare. Non più un’ambigua libellula dalle ali di nerofumo, ma l’ormonauta del sesso senza perifrasi, diretto e prosaico; quindi, inerme. Non un nuovo crooner come ha inopinatamente azzardato qualcuno, ma il soul man che si diverte davvero a duettare con Mario Biondi (Non smetterei più) e Fiorella Mannoia (quest’ultima, interprete anche di una personale versione di Cercami).
Un’altra gioventù non è una replica. Renato ha una solidità ancestrale, da bravo figlio della terra. È vitale come un sessantenne, non vispo come un ragazzino. Non gli saremo mai abbastanza grati per questa sua ostinazione a non parodiarsi, a rimanere sempre e comunque ciò che è, nel bene e nel male. Nonostante abbia già tutto scritto. Giunto al successo nel ’77, il suo in verità era già un approdo. Nella sua precedente gipsoteca musicale, incompiuta, e perciò geniale e fascinosa, aveva ormai affastellato di tutto: il primo (e l’unico) ad aver affrontato in termini appropriati la pedofilia, con un brano restituito in questo tour, grazie al chitarrista Fabrizio “Bicio” Leo, all’originaria matrice rock, nervosa e tragica, cronachistica e smembrante, accompagnato da un video in cui migliaia di occhi infantili dalla consistenza di molluschi si disfacevano sotto mani tramutate via via in artigli e adunchi rami secchi. E, su tutto, il lungo lamento di Renato, straziante ma senza dolorismo, cristallino e lesivo come una vetta aguzza.
Era comparsa la già ricordata Salvami, ma pure bislacchi provini incisi chissà come, un po’ nonsense, un po’ futuristici, un po’ nevrastenici come 113 che qui Renato ha rivestito da canzone “vera”, con accompagnamento carioca e relativo poncho-volant incorporato. E il Cristo che si sfarina di Potrebbe essere Dio risale al 1980.
Tutto si conclude con Gli unici, una dedica al pubblico, o anche a sé stessi, per essere ancora qui, soddisfatti e ammaccati, ma tutto sommato integri. E curiosi della vita. Con Mi vendo, nel modo in cui l'aveva presentata, Renato avrebbe potuto benissimo chiudere la sua avventura artistica: in effetti, in seguito, nulla è rimasto più uguale nella musica italiana. Ma quel personaggio che poteva vivere, o ansimare, solo di frenesia (M. Del Papa), che "piaceva ai camionisti" come lui stesso ha ricordato, era necessariamente destinato a durare nei cupi bagliori d’una notte, dopo averne assorbito i miasmi incrostati e bituminosi. “Ho sempre avuto la sensazione che se fossi arrivato fino ai 18 anni avrei avuto un mazzo così – ha dichiarato Renato in una recente intervista -, poi, quando ho visto che arrivavo a trenta, ho detto sarò come Gesù, me ne andrò a 33. Passati i 33, mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa di strano. Poi, ora che ho festeggiato i 59 anni, non so più spiegarmelo”. E grazie al cielo resta questo stupore, e la grandezza e la fatica del tempo che avanza. Senza che il Nostro sia diventato un umorista. Intanto, sono giunta a casa. Ho concluso il mio viaggio e mi sono accorta di non essere affatto sola, come pensavo all'inizio; con me ho portato volti, ma anche case, marciapiedi, fermate del metrò, rimpianti. Vapori. Lo devo a lui, agli amici che hanno condiviso questa mia passione, nonché ai compagni di viaggio di Renato (Giampiero, Roberto, Mariano) che mi hanno permesso di condividere con tanti questa nuova, erratica avventura.
… sono le tracce dell’amore che lasciano nostalgie gli indelebili ricordi che a volte fanno male , e tra i padri fondatori e i maestri del pensiero han per te un’arte antica che ancora vive …
… è un tesoro che regna in molti cuori e giustifica le mille occasioni di momenti emozionali si perdono nel vuoto in un solo grido , è la voce dell’anima che sale da quella croce …
… sono tracce che dal nulla mi distoglie e dal mio canto triste afferro e ferro ferri di cavallo, un gioco del pensiero che da sfogo ai poeti maledetti agli uomini che vivono nell’egoista sfera …
… e con mani tese abbraccio i confusi questi arrivano da lontano e camminano a piedi nudi, su di un barcone si sono avventurati e in cerca di una patria la dignità le ha lasciati soli …
… e farà sognare a sera le menti pure felicemente in epoche future, il ricordo di te e le incerte storie delle mie attese e di un anello ci fa catena …
… sono tracce che tu donna lasci su questa terra in un piazzale di una piccola fermata: qui ti perdi e ti innamori fingi di addolorarti e ti consoli per un uomo fai le pazzie poi ti accorgi che non è sincero …
… tracce che a volte si sporcano nel fango ,di sangue! imbrattate di melma fan ristagno, ma poi a porgerti gli omaggi è sempre il vagabondo e a capo chino si schifa e mendica perdono …
… e vorrei e lo desidero con tutto il mio cuore di raggiungere te e le bianche mete, i miei versi cantarli sempre all’infinito varchino l’ oceano e si posano su fogli colorati …
… sono i ricordi che ognuno lascia prima di morire una parte di noi ha le ali e al di là si sente meno solo, una presenza dell’anima in ognuno fa dimora traccia un percorso di una vecchia storia …
… lascio tracce ovunque c’è cammino ci sei tu e non mi vedo , nel mio cantuccio ora faccio nido aspetto mezza notte e vi saluto.
Miei cari amati amici blogger, il giorno di Santo Stefano sono andata a fare la classica passeggiata serale a Piazza Navona, come ogni anno ,se resto a roma per le feste. La tristezza, desolazione, angoscia, rabbia e rimpianti impazzano nella mente, nel cuore e nell'anima ... Ma chi l'ha ridotta così?! ... A chi dobbiamo questo squallore che nemmeno nel paesino più abbandonato è paragonabile, chi ha permesso tutto ciò?! ... Mi spiego. La nostra bellissima piazza era famosa per il suo mercatino. Popolato esclusivamente da veri artigiani che arrivavano ogni anno da ogni regione d'italia. Artigiani del pane, con dolciumi e antiche tradizioni, artigiani della pelle, del legno, del vetro, ceramica, stoffa, monili, bigiotteria finissima, intagliatori, tutto rigorosamente fatto a mano e mille altre cose. Tante idee regalo davvero piacevoli, per non parlare dei dolciumi, dal classico castagnaccio al croccante, torrone e zucchero filato, lacci di liquerizia, lupini, olive, bruscolini, giuggiole e more. Le caldarroste con la vecchietta o vecchietto tipo befana. Caldarroste nostrane, cotte a carbonella. E ancora, dove sono finiti gli artisti di strada? .. Dai burattinai, marionette, mangiatori di fuoco, acrobati, danzatori e suonatori che arrivavano da ogni parte del mondo con i loro spettacoli???? .. E i famosi pittori, paesagisti, ritrattisti e caricaturisti????? ... Tutto sparito ed io vorrei sapere perchè! ... Sapete cosa c'è oggi al loro posto? ... tanti mini bar ambulanti che vendono panini in plastica, ciambelle giganti fritte con un olio che olio non è, fatte da indiani del bangladesh al servizio dei cinesi che gestiscono gli affari e forniscono gli ingredienti, altri indiani che vendono giocattoli cinesi luminosi e tossici, bancarelle tutte uguali con dolciumi di dubbia provenienza e fabbricazione. Souvenir scadenti, orribili riproduzioni del colosseo made in cina. Insomma di tradizionale non c'è più nulla, il made in cina impazza con mille schifezze, poveri bambini odierni che non vedranno mai i vero natale di Piazza Navona, una volta famoso nel mondo. Le signore vestite da befana, vere artiste di strada che improvvisavano spettacoli insieme ai babbi natali, oggi uno fisso e fintissimo solo per la foto di rito con tanto di slitta, credo cinese anche quello e nulla più, tutto sparito in una bolla di sapone da anni. Mi chiedo perchè e a chi dobbiamo questo scempio. Il mercatino con relative bancarelle ha un senso solo se vengono proposti prodotti artiginali rigorosamente genuini e regionali. Trasformare una tradizione in una delle piazze più belle di roma per vendere ciarpame cinese o similari è delittuoso. Fuori i nomi dei responsabili che l'hanno permesso, le mafie sono annidate ovunque e in ogni luogo. Di antico è rimasta solo la giostrina con i cavalli, sembra presa in ostaggio da una finitissima modernità nonchè nociva e orribile, spariti anche le tradizionali cartomanti e i maghi, divertente modo per farsi predire ll futuro nell'anno che verrà. Dimenticavo i prestigiatori e la cosa più belle di tutte, la poesia e il romanticismo che sono andati a farsi benedire, i giochi di luce proiettati sulle facciate dei palazzi e i concerti, tutto cancellato, perchè?!!
Ne approfitto per farvi i migliori auguri per uno strepitoso 2010, con un grido che viene dal cuore, ARIDATECE GLI ARTIGIANI DI CASA NOSTRA, GLI ARTISTI DI STRADA, I PITTORI, CARICATURISTI E MUSICISTI VERI DA SEMPRE PADRONI DI PIAZZA NAVONA .... CIAO
Miei cari amati amici blogger, il giorno di Santo Stefano sono andata a fare la classica passeggiata serale a Piazza Navona, come ogni anno ,se resto a roma per le feste. La tristezza, desolazione, angoscia, rabbia e rimpianti impazzano nella mente, nel cuore e nell'anima ... Ma chi l'ha ridotta così?! ... A chi dobbiamo questo squallore che nemmeno nel paesino più abbandonato è paragonabile, chi ha permesso tutto ciò?! ... Mi spiego. La nostra bellissima piazza era famosa per il suo mercatino. Popolato esclusivamente da veri artigiani che arrivavano ogni anno da ogni regione d'italia. Artigiani del pane, con dolciumi e antiche tradizioni, artigiani della pelle, del legno, del vetro, ceramica, stoffa, monili, bigiotteria finissima, intagliatori, tutto rigorosamente fatto a mano e mille altre cose. Tante idee regalo davvero piacevoli, per non parlare dei dolciumi, dal classico castagnaccio al croccante, torrone e zucchero filato, lacci di liquerizia, lupini, olive, bruscolini, giuggiole e more. Le caldarroste con la vecchietta o vecchietto tipo befana. Caldarroste nostrane, cotte a carbonella. E ancora, dove sono finiti gli artisti di strada? .. Dai burattinai, marionette, mangiatori di fuoco, acrobati, danzatori e suonatori che arrivavano da ogni parte del mondo con i loro spettacoli???? .. E i famosi pittori, paesagisti, ritrattisti e caricaturisti????? ... Tutto sparito ed io vorrei sapere perchè! ... Sapete cosa c'è oggi al loro posto? ... tanti mini bar ambulanti che vendono panini in plastica, ciambelle giganti fritte con un olio che olio non è, fatte da indiani del bangladesh al servizio dei cinesi che gestiscono gli affari e forniscono gli ingredienti, altri indiani che vendono giocattoli cinesi luminosi e tossici, bancarelle tutte uguali con dolciumi di dubbia provenienza e fabbricazione. Souvenir scadenti, orribili riproduzioni del colosseo made in cina. Insomma di tradizionale non c'è più nulla, il made in cina impazza con mille schifezze, poveri bambini odierni che non vedranno mai i vero natale di Piazza Navona, una volta famoso nel mondo. Le signore vestite da befana, vere artiste di strada che improvvisavano spettacoli insieme ai babbi natali, oggi uno fisso e fintissimo solo per la foto di rito con tanto di slitta, credo cinese anche quello e nulla più, tutto sparito in una bolla di sapone da anni. Mi chiedo perchè e a chi dobbiamo questo scempio. Il mercatino con relative bancarelle ha un senso solo se vengono proposti prodotti artiginali rigorosamente genuini e regionali. Trasformare una tradizione in una delle piazze più belle di roma per vendere ciarpame cinese o similari è delittuoso. Fuori i nomi dei responsabili che l'hanno permesso, le mafie sono annidate ovunque e in ogni luogo. Di antico è rimasta solo la giostrina con i cavalli, sembra presa in ostaggio da una finitissima modernità nonchè nociva e orribile, spariti anche le tradizionali cartomanti e i maghi, divertente modo per farsi predire ll futuro nell'anno che verrà. Dimenticavo i prestigiatori e la cosa più belle di tutte, la poesia e il romanticismo che sono andati a farsi benedire, i giochi di luce proiettati sulle facciate dei palazzi e i concerti, tutto cancellato, perchè?!!
Ne approfitto per farvi i migliori auguri per uno strepitoso 2010, con un grido che viene dal cuore, ARIDATECE GLI ARTIGIANI DI CASA NOSTRA, GLI ARTISTI DI STRADA, I PITTORI, CARICATURISTI E MUSICISTI VERI DA SEMPRE PADRONI DI PIAZZA NAVONA .... CIAO
C'era una volta una gatta che aveva una macchia nera sul muso e una vecchia soffitta vicino al mare con una finestra a un passo dal cielo blu. Se la chitarra suonavo la gatta faceva le fusa ed una stellina scendeva vicina vicina poi mi sorrideva e se ne tornava su. Ora non abito più là tutto è cambiato non abito più là ho una casa bellissima bellissima come vuoi tu. Ma io ripenso a una gatta che aveva una macchia nera sul muso a una vecchia soffitta vicino al mare con una stellina che ora non vedo più...
NON SCAMBIATEMI PR BAMBINO SE OGGI , DEDICHERÒ IL POST AL MIO GATTO , MORTO DOPO 17 QUASI 18 ANNI DI COMPAGNIA .
Addio "frattelino " grazie x avermi accompagnato fin qui . Mi è dispiaciuto non averti potuto salutare bene prima d'uscire in giro per poi tornare e trovarti addormentato per sempre . Di non averti dato , visto quanti esami hai preparato con me , di vedermi laureato .in tempo . Comunque la tia morte sarà un incentivo per studiare e lavorare aLla tesi con più impegno
QU SOTTTO TROVATE DEI VIDEO SU DI LUI DA ME GIRATI , PRIAM CHE LA MALATTIA NE PRENDESSE COMPLETAMENTE IL SOPRAVVENTO
Ho visto Dio spargere polline sulla terra e con gran pazienza creare le api e il loro ronzio era una musica e ho chiesto loro un po' di miele, per farne una canzone, una canzone di prima foglia.
Poi mi sono seduto sull'erba ed Eva scioglieva i suoi capelli, bella più delle sue sorelle, bella con i suoi occhi sogno d'oriente e non c'era nessun serpente, solo un gufo che ci guardava mentre ci amavamo sotto l'albero del pane.
E poi abbiamo visto le formiche correre come delle dannate, correre ed erano in tante perchè era crollato il loro nido, per colpa di un'antilope dalle lunghe corna.
Erano mille e non cadevano erano mille e non s'uratavano, eppure correvano come matte sino al fiume di quel mondo dal sole giallo.
Eva ha capito che nessuna, nessuna superava la sua sorella che nessuna si permetteva di essere migliore d'un'altra sino al fiume sino al fiume.
Eppure sua sorella piantò dei pali sulla terra, eppure sua sorella disse è mia questa terra e forse per questo che poi è finita e forse per questo che poi siamo andati via e lei aspettava un altro figlio e lei era tanto diversa da me.
Sono una renna ubriaca con le corna troppo lunghe per colpa di una moglie che si finge gelosa per colpa di un destino crudele.
Sono una renna si una renna con il pelo delicato un mantello da far invidia a un industriale del borgo ma è mio e non lo lascio nemmeno in prova al figlio degenere di quel cornuto che sputa sugli stranieri.
Sono una renna giocosa colpita dal complesso d'Edipo fuggita alla sua emozione per colpa di un depravato che mi faceva lavorare come un dannato un pancione barbuto uscito dalla quinta strada o forse da un romanzo di Dostojevsky
E bevo per non pensare per non amare e per non ballare che i Lapponi danzano troppo troppo sul finire del giorno.
Bevo vino di Francia Corta ma non disdegno nemmeno un Primitivo di Manduria perchè sono una renna clandestina ma mai cretina.