Tutto è cominciato con delle foto che non si trovavano. "Andai più volte a casa di Giuseppe Calzuola, nel quartiere Portuense, per chiedergli di recuperare le immagini che aveva scattato il giorno di Italia-Brasile nel 1982. "Non so più dove le ho messe", rispondeva invariabilmente. Mettemmo la casa sottosopra, senza esito. Il fotoreporter Calzuola era stato in Spagna come free lance, si era pagato la trasferta di tasca sua, e ogni giorno vendeva i momenti immortalati con una Nikon F3 MD-4 ai giornali romani, tra cui Repubblica. Era amico di Falcao, che a Roma viveva in un albergo vicino alla sua abitazione, e che lui, seppur di fede laziale, accompagnava regolarmente al mare. Non so quante volte sono andato a casa di Calzuola. Poi un giorno, miracolo!, sono spuntati fuori i negativi. Li aveva stipati in una scatola di scarpe e stavano lì da allora. Glieli ho comprati. Nel tempo ho acquisiti altri scatti, alcuni li ho trovati ai mercatini, da quelli web a Porta Portese, ho rimediato persino un album di famiglia nel quale le foto della partita si mescolavano a ricordi privati. Alla fine avevo accumulato tremila immagini".
Piero Trellini (foto di Concetto Vecchio)
Seduto in un ristorante di Prati, Piero Trellini, l'autore de La partita. Le immagini di Italia-Brasile (Mondadori), prima di ordinare un piatto di fettuccine dispiega sul tavolo una mappa che ha disegnato sui padroni del calcio italiano. "L'impresa con il Brasile ha origini remote, nasce da Angelo Rizzoli", spiega. Sul poster ci sono segnati i nomi dei dirigenti del dopoguerra: Riva, Sordillo, Carraro, Franchi, Matarrese, che s'intrecciano con il mondo editoriale, il Corriere della Sera, la nascita di Repubblica, e il potere di allora, dalla Dc alla P2.
È un libro fotografico per modo di dire. È piuttosto un pezzo di biografia della nazione raccontata con enorme talento e altrettanto gusto per i dettagli. Trellini è andato a caccia di ogni cimelio possibile, trovando una gran quantità di immagini mai viste (Tardelli e Cabrini in piscina, Zoff con la sporta delle compere, Gentile che affronta a muso duro Lino Cascioli del Messaggero); possiede il fischietto e il cartellino dell'arbitro Klein (domani sarà a Roma, ospite della Rai), il report della sfida, la felpa originale degli Azzurri, i guanti di Zoff, il programma ufficiale, le bottiglie di Coca cola con il logo della manifestazione, i tappi, i cuscini usati quel giorno allo stadio, il biglietto, il disco inciso da Junior, Povo Feliz ("Voa, canarinho, voa"), il modellino del pullman, le figurine Panini, i ritagli dei giornali. Nel libro figura riprodotto anche Octopus, il gioco elettronico portatile con cui era solito rilassarsi Bruno Conti.
Trellini come un moderno Indiana Jones si è calato nei panni dell'archeologo di un evento fondante dell'identità italiana. Ha trovato persino il cartello che un giornalista affisse al Majestic di Barcellona, l'albergo che ospitava gli inviati italiani, quasi tutti convinti che saremmo stati seppelliti sotto una gragnuola di gol. C'è scritto, col pennarello rosso: "Ore 15,30. Partenza del pullman per i signori giornalisti che desiderano assistere all'allenamento del Brasile". "Aiuto, arriva il Brasile", titolò del resto Repubblica il pezzo di Gianni Brera in prima pagina. "L'Italia di Ridolini va a Barcellona", era il titolo del Giornale, diretto da Indro Montanelli, il 24 giugno. "L'armata di Brancazot", ripeteva la stampa, non avrebbe avuto scampo contro gli dei della Selecao.
La prima pagina di Repubblica del 6 luglio 1982
Trellini è un uomo timido. Ha 52 anni. Ne aveva dodici il giorno di Italia-Brasile 3-2. È diventato giornalista, scrittore. Nell'ultimo anno ha pubblicato altri due libri fuori dal comune, L'affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus, un'inchiesta di 1376 pagine, e Danteide, altre 576 pagine. "Scrivo impetuosamente", risponde alla domanda su come faccia a passare disinvoltamente dalla Divina commedia a Paolo Rossi. Ma è la partita - la più bella del calcio mondiale - il suo chiodo fisso. La vide a casa sua, ai Parioli. Le cinque e un quarto del pomeriggio, l'ora delle corride. "Era un giorno d'estate infuocato, lunedì 5 luglio 1982, al fischio finale uscimmo per strada, mio padre disse "andiamo a prendere i passaporti in commissariato", adesso che ci ripenso mi pare una richiesta assurda, che stride con l'emozione violenta che provavamo in quel momento. O forse lo disse perché tutto ci pareva irreale, e mentre c'incamminavamo la gente attorno a noi sventolava tricolori, si abbracciava, suonava il clacson, urlava la sua incredulità. Avevamo battuto contro ogni pronostico una squadra di mostri. Era la prima volta che vedevo festeggiare attorno a me. Italia-Brasile 3-2 è stato il primo evento collettivo felice della nostra generazione. Venivamo da una sequela di lutti e tragedie: il sequestro Moro nel 1978, Ustica e la strage di Bologna nel 1980, Vermicino nel 1981. E adesso invece ci buttavamo nelle fontane dalla felicità".
Il biglietto di Italia-Brasile
Italia-Brasile 3-2 pone fine agli anni di piombo. Forse è per cristallizzare quel frammento irripetibile di beatitudine che Trellini ha iniziato sin da subito a riempire di appunti e foto i quadernoni scolastici. Suo padre all'indomani gli portò i quotidiani freschi di stampa. "Mi piacque il titolo "Il Brasile siamo noi", lo fecero Il Tempo, raccontando la cronaca di Gianfranco Giubilo, Il Corriere dello sport e Il Messaggero. Ho capito dopo un po' che ogni fatto, anche il più insignificante, andava visto da più punti di vista. Poi un giorno su Ebay ho scoperto che l'arbitro israeliano Abraham Klein metteva all'asta il cartellino e il fischietto. Gli ho scritto un lungo messaggio. Siamo entrati in contatto. L'ho intervistato, e mi ha rivelato che in quel Mundial la sua preoccupazione era per il figlio Amit, dato inizialmente disperso nella guerra in Libano".
Tre anni fa Trellini ha pubblicato La partita, un altro libro mondo, che ha vinto il premio Bancarella. "Questo di adesso è il dietro le quinte di quel mio lavoro". Sulle tribune del Sarria, lo stadio scalcinato alla periferia di Barcellona, quel giorno c'erano i maestri della letteratura, Vargas Llosa (a cui rubarono il manoscritto del suo ultimo libro, Historia de Mayta), Mario Soldati, Giovanni Arpino, Oreste del Buono, Manlio Cancogni. E c'era soprattutto Gianni Brera, che nella sua agenda annota: "Assisto a una conferenza stampa e ne provo pietà". Trellini ha recuperato le agende di Brera alla Fondazione Mondadori. Quattro mesi prima era passato a Repubblica dal Giornale, convinto da Mario Sconcerti, e col viatico di Giorgio Bocca: il pezzo d'esordio è del 20 marzo 1982. Rappresentò il più grande colpo di calciomercato giornalistico di quell'epoca, che, notò Brera con soddisfazione, fece lievitare le vendite di Repubblica del 15 per cento. Brera vi segnava se vinceva o perdeva a carte, quanti soldi aveva in tasca, a che ora si addormentava. Lui e Mario Sconcerti saranno i cantori della partita per il nostro giornale.
L'agenda di Gianni Brera
Repubblica tenne una posizione signorile nei confronti di Bearzot e dei suoi giocatori, (Brera regalò una pipa al mister), che invece furono oggetto di una campagna di stampa violentissima e con pochi eguali, che li spinse al famoso silenzio stampa dopo il primo turno. Una storia nella storia. Vittorio Sermonti, il grande dantista, ne fece un libro, Dov'è la vittoria, appena ristampato da Garzanti, che è uno spaccato impressionante sul giornalismo del tempo, un misto di grandezza, arroganza e delirio di onnipotenza. Non c'era il web, non c'erano i social, le grandi firme erano divinità. Nel libro si vedono le foto delle liti tra i calciatori e i giornalisti, immortalati da Calzuola. Trellini pubblica i ritagli più velenosi, i pezzi al limite della diffamazione. Dice: "Italo Cucci, che dirigeva Il Guerin Sportivo, difese sempre il ct. Anche Franco Mentana, il padre di Enrico, della Gazzetta dello sport, e Bruno Amatucci di Avvenire, lo fecero, Amatucci pare suggerì a Bearzot di mettere Gentile in marcatura su Zico".
Spagna '82 è il primo Mondiale del marketing, che è allora nella sua fase pioneristica, "e quindi è bello da raccontare". Trellini ha scoperto che il 5 luglio non doveva esserci nessuna partita, ma Horst Daessler, il boss dell'Adidas, propose di spalmare le partite, per invogliare gli investimenti degli sponsor. L'audience tv fu colossale. Trentadue milioni di italiani erano quel giorno davanti al piccolo schermo. Al Sarria si cuoceva, 40 gradi, eppure la partita fu un inno alla bellezza.
Tutti sappiamo dov'eravamo il pomeriggio di Italia-Brasile 3-2. Abbiamo una nostalgia lancinante di quell'istante estivo. Sono arrivate le fettuccine e Trellini ripiega nello zaino la sua mappa. Dice: "Ogni suo elemento ha avuto un senso drammaturgico, la sequenza degli atti, i conflitti degli attori, la trepidanza del coro. Italia-Brasile 3-2 ha una struttura perfetta, una scrittura hollywoodiana unita agli atti drammatici di Aristotele". Cosa ha capito, gli chiediamo. "E' una storia di padri e figli, Bearzot e Paolo Rossi, Brera e Sconcerti, Klein e il suo ragazzo in guerra; in questi quarant'anni io sono cambiato naturalmente, anche le mie motivazioni hanno subito delle stratificazioni. Prevale in me, su tutto, sempre l'elemento favolistico: è una favola moderna". Ne ha ricavato anche un documentario per Sky documentaries, visibile da ieri, scritto con Giovanni Filippetto e Luigi Cruciani.
Nelle foto del libro si vedono i giocatori mentre fanno acquisti, trascinano le valigie, non c'erano i trolley, i calciatori hanno facce antiche, alcuni come Gentile e Bergomi i baffi, nessuno di loro esibisce un tatuaggio. Non c'è domanda che non abbia una risposta, vi è pubblicato persino l'elenco di chi sedeva in tribuna autorità (Signorile, Altissimo, Scotti, Montezemolo), e poi le scarpe Adidas taroccate di Falcao, cosa disse Michele Plastino in diretta, era in tribuna da clandestino. E cosa dettò Sconcerti ai nostri dimafonisti.
Piero Trellini è a sua volta un romanzo. Ha rischiato di morire nell'attentato a Bali nel 2002. Si è sposato tre volte. Ha inventato Unico 740 del fisco. Dopo la laurea in lettere ha fatto l'investigatore privato per Tom Ponzi, "inseguivo le persone con la mia Polo blu, aspettandole anche dieci ore sotto casa. E poi da giornalista per Film Tv m'intrufolavo sui set, per entrare in quello di "Gallo cedrone", mi spacciai per un fotografo spagnolo amico di Verdone, seppi così dov'era la lavorazione, poi una volta lì mi travestii da elettricista, entrai con la cassa di attrezzi, alla fine mi portai a casa la sceneggiatura".
Dice: "La scrittura per me è un mezzo per raccontare delle storie, per recuperare quello che non viene detto, per illuminare quello che non è stato notato". Anche gli azzurri hanno nostalgia di quell'istante estivo. Dopo l'uscita de La Partita, tre anni fa, lo chiamò dapprima Marco Tardelli, ("ti ringrazio per tutto questo"), e subito dopo Dino Zoff. Gli chiese semplicemente "Ma come hai fatto?".