7.7.22

disastri ecologici Fake news e media tradizionali di - Francesco Sylos Labini

 


12 h 

Fake news e media tradizionali: la Gabanelli proprio ieri sosteneva che sia necessario sapere chi finanzia certi siti web che spargono fake news. Il problema delle fake news non sono né i siti web e neppure i bot i troll o i gruppi di psicopatici che sono sempre esistiti. Il problema delle fake news è ben più profondo perché riguarda l’informazione tradizionale che traina tutto il resto e per questo c’è ancora gente che paga per comprarsi gruppi editoriali tv ecc. il foglio è poi una eccezione perché paga pantalone ma un quotidiano gestito da provocatori che spargano idiozie e fake news su qualsiasi argomento è davvero un caso molto particolare. In questo caso farei davvero una eccezione all’aforisma di Voltaire (che poi non è suo) e alla mia indole liberale e lo chiuderei anche domani tanto per diminuire l’inquinamento e le fuoriuscite di liquami

Ps penso che la cosa migliore da fare sia. Ignorare il foglio sempre e comunque ma questa volta faccio una eccezione

Lecco, toglie "con la forza" smartphone e tablet alla figlia: ora la madre dovrà svolgere lavori socialmente utili

leggedo    tale news   sotto riportata   mi viene  da    commentare   meglio un abuso simile che un figlio\a rincoglionato dal cellulare o finito nelle grinfie di pedofili . piena solidarieta alla mamma

da https://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/

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Lecco - Ha rischiato di costare caro a una madre lecchese la decisione di imporre alla figlia adolescente - con una determinazione tale da sfociare in una querela presentata dall’ex marito - una disconnessione forzata da web e social. Il tentativo di correggere la

ragazza, ritenuta troppo dipendente da cellulare e tablet, è quindi finito in un’aula del tribunale di Lecco e sfociato in una messa in prova della madre cinquantenne che ora dovrà svolgere 180 ore di lavori socialmente utili in un Comune della Brianza lecchese. L’accusa per la madre dell’adolescente - 15 anni all’epoca dei fatti - era di aver abusato dei metodi correttivi e di lesioni. In aula durante il dibattimento tra le parti non è stato trovato alcun accordo e anzi - alla specifica richiesta del giudice - non è stata ritirata la querela da parte dell’ex marito. L’episodio nel dicembre del 2018, quando la donna, dopo numerosi inviti alla figlia che trascorreva intere giornate nella sua camera tra cellulare e tablet, le ritira tutti i dispositivi: scoppia così una lite e la figlia finisce al Pronto Soccorso dell’ospedale di Lecco per aver riportato alcune contusioni. Il padre - separato da qualche mese - viene informato e sporge querela. I carabinieri raccolgono una serie di elementi e la donna viene mandata a processo. L’imputata, assistita dagli avvocati Maria Cristina Vergani e Roberta Succi rispettivamente del foro di Monza e Milano, non trova un accordo con l’ex marito, assistito dall’avvocato Nadia Invernizzi, che si è costituito parte civile e, nell’udienza di ieri davanti al giudice monocratico Paolo Salvatore, la scelta della giustizia cade sulla "messa alla prova".Nessuna condanna per quel gesto - aver ripreso con metodi forti la figlia minorenne - ma in cambio dovrà svolgere servizi di pubblica utilità. "Ho optato per questa scelta solo per evitare a mia figlia di essere chiamata a testimoniare in un procedimento che l’avrebbe vista contrapposta al padre", ha fatto mettere a verbale dell’udienza la 50enne che, prima di entrare in aula ha risarcito figlia ed ex marito. "Ho voluto uscire velocemente da questa situazione", è stato il suo unico commento al termine dell’udienza.

Un ragazzo si è riunito con la propria madre biologica dopo 20 anni; stavano lavorando nello stesso posto

 lo so che    sono noioso   o sembrerò un vecchio  ma  essendo cresciuto  con anime che  trattavano argomenti  simili   e con  racconti   simili da parte dei nonni  specie quelli paterni  ,  certe  storie mi  affascinano ancora  .


 da  https://curiosandosimpara.com/2022/06/25/

Un ragazzo si è riunito con la propria madre biologica dopo 20 anni; stavano lavorando nello stesso posto

Benjamin Hulleberg è un ragazzo di 21 anni che vive nello stato dello Utah insieme alla sua famiglia adottiva da quando aveva solamente pochi giorni di vita. Angela e Brian Hulleberg, i suoi genitori adottivi, non gli hanno mai nascosto le sue origini e hanno sempre espresso la loro gratitudine nei confronti di Holly, la ragazza che l’aveva messo al mondo e che molti anni prima, il giorno del Ringraziamento, aveva dovuto separarsi da lui.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Per questo, Benjamin ha sempre avuto il desiderio di poter incontrare la propria madre biologica, tuttavia, non conoscendo nemmeno il suo congnome era consapevole che non sarebbe stata una ricerca facile. Nonostante questo, con l’appoggio di Angela e Brian si iscrisse ad un registo di adozioni e fece il test del DNA con la speranza di ritrovare mamma Holly.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Quando nacque Benjiamin, Holly aveva solamente 16 anni e per questo si vide costretta a fare una scelta molto difficile, ma, nonostante questo, il suo bambino continuava a rimanere al centro dei suoi pensieri. Per i primi tre anni dopo l’adozione gli Hulleberg avevano continuato ad inviarle lettere e foto, in seguito, quando l’agenzia di adozioni a cui si era rivolta venne chiusa, non ebbe più alcuna notizia.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Non riuscendo a darsi pace, Holly provò a cercare il proprio figlio sui social network e riuscì a trovarlo nel 2019, quando il ragazzo aveva circa 18 anni. Nonostante le sue ricerche fossero andate a buon fine, Holly non aveva il coraggio di entrare come un fulmine a ciel sereno nella vita di quel giovane che aveva tanti progetti e sogni da realizzare, per questo, inizialmente decise di non contattarlo e di “osservarlo da lontano”.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Tuttavia, il 19 novembre del 2021, il giorno del 20° compleanno di Benjamin, la donna ha deciso di inviargli un messaggio per fargli tanti auguri e, con sua grande sorpesa, il ragazzo non ha perso tempo e le ha chiesto di potersi incontrare il prima possibile.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Così, la sera successiva la famiglia di Benjamin e quella di Holly si sono incontrati a cena ed è stata per tutti un’emozione unica. Durante l’incontro, oltre a lacrime di gioia, baci e abbracci, madre e figlio si sono resi conto di lavorare nello stesso posto da almeno due anni. Infatti, entrambi sono impiegati presso il St. Mark’s Hospital di Salt Lake City, Holly come assitente medico presso il reparto di cardiologia, mentre Benjamin come volontario presso l’unità di terapia intensiva neonatale.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Durante un’intervita Holly ha raccontato che: “Ogni mattina entro dal reparto di maternità per andare a lavoro. Di fatto, sono passata direttamente dalla terapia intensiva neonatale ogni singolo giorno. Abbiamo parcheggiato nello stesso garage e siamo stati sullo stesso piano, non avevamo idea di essere così vicini“.

Instagram/St. Mark’s Hospital

Da quando si sono riuniti, Benjamin ha stretto un legame anche con i suoi due fratellastri minori e, almeno una volta a settimana, si incontra con Holly per bere un caffè e per fare due chiacchiere insieme a lei.


6.7.22

Scompiglio sui social dopo l'allarme dei camici bianchi sul concerto della band romana in programma nel giorno del picco dei contagi. "Ci sono concerti ogni giorno, perché ve la dovete prendere con loro?"

 hanno perfettamente    ragione   ma medici e  governo   se ne accorgono adesso   che la situazione  è pericolosa   . Ma prima    davanti ad altre manifestazioni di massa dov'erano   ? 


"I Maneskin sono il vostro caprio espiatorio". "Ci sono concerti ogni giorno, perché ve la dovete prendere con loro?". "Allora mi rimborsate voi i biglietti del treno e la stanza dell'hotel a Roma?" . queste sono state almeno fin ora   le reazioni  dei fans  all'appello di medici ed epidemiologi  su  Repubblica per rimandare il concerto-evento dei Maneskin di sabato 9 luglio al Circo Massimo (Rock in Roma), per cercare di evitare una nuova impennata di contagi, ha creato scompiglio sui social, agitando i fan della band romana e non solo."Non rompete il ca****, sono mesi che aspetto questo evento", alza i toni un utente.  anti poi gli attacchi alle istituzioni: "Il governo prima fa il libera tutti, togliendo mascherine ovunque (ovviamente tranne scuole e università) e poi si chiede agli artisti di annullare i concerti ora. Ma noi chi  paghiamo per rappresentarci al governo, gli artisti?". Da parte loro gli organizzatori dell'evento non commentano e non replicano in maniera ufficiale alle esortazioni dei medici, si limitano a non mettere in dubbio il regolare svolgimento del concerto.


Qualcuno riadatta anche il famoso testo dei Maneskin 'Zitti e buoni': "Voi siete fuori di testa, ma diversi da loro". Altri non usano mezzi termini dopo aver letto il parere dei medici: "Siete degli ipocriti: dove eravate quando suonava Vasco? Non avete visto le spiagge piene per Jovanotti?". I commenti con i paragoni con altri eventi e manifestazioni vanno per la maggiore: "A Milano Fedez riempie la piazza, a Siena 15 mila persone si sono radunate per il Palio. Nessuno ha detto nulla: fate ridere". "E poi lasciate migliaia di persone libere di girare negli aeroporti senza mascherine". Secondo   repubblica  del 06 LUGLIO 2022 : <<  [.... ]I fan, che hanno comprato il biglietto a luglio 2021, esortano "Damiano a non cedere". Sui social il tema è molto caldo. "Abbiamo fatto i vaccini, preso il virus...adesso basta, dobbiamo conviverci", è un altro pensiero molto comune. C'è anche chi è più riflessivo: "Non è mica una pizza tra amici, sapete cosa vuol dire organizzare o spostare un concerto simile?". "Lavorano tante persone per questo evento, in un settore che è stato già devastato dalla pandemia. Chi dà da mangiare a questi lavoratori se dovesse saltare tutto?". Qualcuno prova a trovare una soluzione per venire incontro alle esigenze di tutti: "Mascherina e tampone negativo all'ingresso, può andare bene?". Anche se nei commenti qualcuno precisa che "è impossibile tenere la mascherina a un concerto dei Maneskin con 40 gradi". In merito un utente ha già coniato il nuovo nome: "Dai Maneskin ai Maskerin è un attimo".>>

Quindi  contagio  più contagio  meno    io  credo che   si farà  ci sono troppi interessi  e   soprattutto problemi d'ordine  pubblico .  La cosa  andava  regolamentata prima  

Da analfabeti a diplomati e ora pronti per l’Università La nuova vita di Barry, Milly e Dikson arrivati dall’Africa con i barconi. L’incontro con donne speciali che li hanno adottati e fatti studiare



Da analfabeti a diplomati e ora pronti per l’Università


la nuova sardegna del 06 luglio 2022

                                            Silvia Sanna

La nuova vita di Barry, Milly e Dikson arrivati dall’Africa con i barconi. L’incontro con donne speciali che li hanno adottati e fatti studiare


Uno in fuga dalla miseria, un altro spinto dalla voglia di libertà, il terzo che sul gommone c’è finito per caso e in Sardegna è sbarcato a petto nudo, con le sole mutande che aveva indosso. Tre storie di tre ragazzi, di due madri e di una comunità chioccia che li ha protetti, indirizzati, amati. Si chiamano Barry, Milly e Dikson: hanno 27, 24 e 23 anni, sono arrivati tra il 2015 e il 2016 dalla Guinea Conakry, dal Mali e dalla Nigeria. Oggi sono diplomati, dopo una full immersion sui libri che si è chiusa con tre anni di Serali all’Alberghiero di Arzachena. E ci hanno preso gusto perché, come dice Barry «lo studio ti aiuta a trovare il tuo

posto nella società». E infatti tutti e tre sognano di continuare a studiare all’Università e nel frattempo si godono la meritata e sudata Maturità. Ecco i voti: Barry 77, Milly 75 e Dikson 73. Giusti? «No – dice Dikson – secondo me io meritavo qualche punto in più».Barry e Milly. Il primo, ex analfabeta, ha superato brillantemente l’esame orale parlando del Notturno di D’Annunzio. E anche Barry, in quei momenti, ha ricordato la sua esistenza precedente, segnata dalle privazioni, dalla povertà e dall’assenza di prospettive. «Oggi ho la sensazione di vivere una “vita rovesciata”: nel 2016 sono stato soccorso dopo un lungo viaggio in mare sul barcone, ora sono io che soccorro gli altri in ambulanza con la Protezione civile di Lungoni. È bello, mi sembra di dire grazie». Milly invece fa il giardiniere per la “Cmn garden” di Santa Teresa e nel tempo libero divora libri di storia: «Già da bambino in Mali mi incantavano le vicende dei grandi personaggi, le storie dei luoghi e dei monumenti, la scoperta del passato. Volevo studiare ma in famiglia non c’erano soldi: mio padre faceva il contadino, mia madre è morta quando ero bambino. Sul barcone avevo tanta paura ma salirci era l’unico modo per sopravvivere». La svolta per Barry e Milly è arrivata nel 2016 a Porto Pozzo, quando nei paraggi del centro migranti che li ospitava una signora si è rivolta a Milly per strada parlando in francese: era Alessandra Correzzòla, quella che loro oggi chiamano mamma e che negli ultimi 6 anni è stata anche insegnante, amica e compagna di scuola. «Alessandra ci ha aiutato a imparare l’italiano – dice Barry – a me che ero analfabeta ha insegnato tutto. Grazie a lei siamo andati a scuola, prima alle Medie e poi alle Superiori». Aggiunge Milly: «Alle Serali si è iscritta anche lei, nonostante il diploma e la laurea l’avesse già: ha preso 98, meritatissimo. E poi ci ha dato una casa quando il Centro migranti ha chiuso e noi non sapevamo dove andare. Lei e la sua famiglia sono diventati la nostra famiglia». Ma non è stato tutto facile, perché soprattutto all’inizio la diffidenza era tanta: «Le prime volte in ambulanza la gente non voleva farsi toccare da me – dice Barry – ero il ragazzo di colore che non parlava l’italiano. Secondo alcuni dovevo solo guardare». «Il problema è che spesso si tende a giudicare senza sapere nulla dell’altro – aggiunge Milly – ho capito che spetta anche a noi farci conoscere e apprezzare, il rispetto te lo devi guadagnare».Dikson. Il 1 ottobre del 2016 aveva 16 anni quando è salito sul barcone che dalla Libia lo avrebbe portato in Italia. Il viaggio è durato 6 giorni e lui ha pianto tutto il tempo: «Avevo paura, ero solo, non avevo nulla e volevo tornare a casa mia in Nigeria. Ora ringrazio chi mi ha convinto a partire». Quella di Dikson è un’altra storia incredibile, segnata dagli incontri e dalle coincidenze. «Non ho mai conosciuto i miei genitori naturali, appena nato sono stato affidato a un’altra famiglia con cui ho vissuto sino ai 16 anni e da cui sono stato trattato bene. Ma soldi non ce n’erano, mio padre faceva il saldatore e mamma era casalinga. Non ho potuto studiare e sono andato presto a lavorare, a raccogliere meloni nei campi. Un giorno ho conosciuto un signore. Mi ha detto: “Ci sai fare, vieni con me a lavorare nella mia campagna». Quando sono arrivato ho scoperto che dovevo occuparmi di raccogliere l’erba per dare da mangiare alle mucche e alle capre. E se non trovavo abbastanza erba, quello mi picchiava. Un incubo durato più di un mese sino a quando non è arrivato il fratello e mi ha portato via. Io pensavo mi riaccompagnasse a casa, invece ho scoperto che organizzava i viaggi dei migranti sui barconi. Mi ha detto “parti, tanto se non muori nel viaggio morirai qui”. Sono sopravvissuto e arrivato a Cagliari». Poi il trasferimento ad Aglientu e come per Barry e Milly, una donna, una madre, nel suo cammino: «Si chiama Anna Franca Satta, prima mi ha insegnato a leggere e a scrivere e poi mi ha adottato. Sono suo figlio dal 2020. Mia madre mi ha fatto studiare, le Medie a Valledoria e poi l’Alberghiero ad Arzachena. Grazie a lei mi sono diplomato e quasi non mi sembra vero. Sono arrivato in mutande, lei mi ha ridato la vita»

Il fatidico sì in terapia intensiva convinto di morire. Ma il cuore compatibile arriva, 12 ore dopo il matrimonio .,La storia surreale del tifoso che si è perso a San Siro: ha vissuto 11 anni da vagabondo a Milano





L'uomo, 47 anni, ora è salvo. Una cerimonia con un bouquet fatto con i tappini delle provette del sangue, palloncini e cuori rossi illuminati dalla luce del diafanoscopio



Il matrimonio in terapia intensiva, pensando che quelle fossero le ultime ore della sua vita e che non restasse altro che soddisfare il desiderio di sposare la sua compagna, da cui ha avuto una bimba che ora
ha due mesi. Una cerimonia in fine vita organizzata in cardiochirurgia dove un uomo di 47 anni era stato ricoverato per un grave infarto che lo aveva portato ad essere alimentato con l' ecmo, la ventilazione extracorporea.
Invece il destino ha voluto diversamente, il cuore compatibile che avrebbe potuto salvarlo è arrivato, l’équipe del direttore della cardiochirurgia Mauro Rinaldi è entrata in sala operatoria e ora la coppia potrà rivivere la cerimonia con amici e parenti.
Ma la cerimonia in terapia intensiva resterà indimenticabile, una cerimonia così insolita con un bouquet fatto con i tappini delle provette del sangue, palloncini e cuori rossi illuminati dalla luce del diafanoscopio davanti all’ufficiale del Comune di Torino.
Dopo la segnalazione del Centro Nazionale trapianti della disponibilità di un cuore compatibile, sono iniziati subito i preparativi per il trapianto. Il donatore era a Napoli, il cuore nuovo arriva dopo dodici ore dal matrimonio e il trapianto viene eseguito da Massimo Boffini con Erika Simonato e Matteo Marro.
L’intervento è durato sette ore, l’Ecmo può essere rimossa. Dopo qualche giorno il trasferimento nell’Unità coronarica della cardiologia diretta da Gaetano De Ferrari. “Che questo sia un inizio di una nuova vita felice insieme” commenta il direttore generale della Città della Salute Giovanni La Valle.

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La storia surreale del tifoso che si è perso a San Siro: ha vissuto 11 anni da vagabondo a Milano
da www.fanpage.it/sport/calcio/


🗣"Vado un attimo in bagno, ci vediamo tra poco".
va bene che il tempo è un concetto relativo, ma 11 anni non sono esattamente "poco". La storia di Rolf Bantle è tanto assurda quanto incredibilmente vera ed assomiglia ai peggiori incubi che si fanno da bambini, con la differenza che qua parliamo di un uomo di 60 anni che è letteralmente sparito nello stadio Meazza in una calda sera di agosto.⁣⁣
Il tifoso infatti si perde nell'impianto milanese e non riesce a tornare dov'è il suo gruppo: "Improvvisamente mi sono trovato in un settore completamente diverso", racconterà una vita dopo.⁣⁣
Ed allora assiste alla partita dal suo nuovo posto e vede il Basilea crollare sotto i colpi di Adriano (doppietta), Stankovic e Recoba.⁣⁣
Finito il match, Rolf cerca la macchina dei suoi amici fuori dallo stadio, ma non la trova. In tasca ha solo 20 franchi svizzeri e 15 euro. Il cellulare non ce l'ha e non ricorda a memoria il numero di casa, né qualsiasi altro numero che lo possa mettere in contatto con una voce amica che gli dia una mano. Passa una notte per strada, poi il limbo in cui è precipitato si estende come una voragine spazio-temporale che finisce per inghiottirlo. Casa sua diventa il quartiere Baggio, non lontano da San Siro: "Ben presto non ho più avuto motivi per tornare a casa". ⁣⁣
Possibile che nessuno in Svizzera si sia posto il problema della sua scomparsa? In realtà l'ufficio di tutela di Basilea ne denuncia due settimane dopo la sparizione, ma – complice il fatto che nessuno in patria fa pressioni per ritrovarlo – Rolf può sparire piano piano nella nebbia milanese, fino ad arrivare al 2011, quando l'avviso di ricerca viene ritirato. Nessuno lo cerca più, di fatto si pensa che sia morto. ⁣⁣
Ad aprile inciampa su un marciapiede, cade e si rompe un femore. Portato in ospedale, si scopre che non ha copertura sanitaria. A quel punto, essendo cittadino svizzero, interviene il Consolato che si prende cura di lui. Dopo 11 anni di vita da vagabondo fa ritorno a Basilea, ricoverato nell'ospedale universitario. Poi viene trasferito in una casa per anziani e oggi si gode la sua nuova vita.⁣

Con una decisione carica di dignità, Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ha appena annunciato che non parteciperà alla commemorazione della Strage di via D’Amelio.

 Apprendo da  Lorenzo Tosa    la  deciione  di Francesca  Borsellino   e  ella  famiglia     di non  prestarsi alle  celebrazioni ufficiali     ed  ipocrite   puliscicoscienza      per  il 30  enale della  morte  del padre  paolo  .  Ha ragione lorenzo Tosa : << Con una decisione carica di dignità, Fiammetta Borsellino, figlia di Paolo, ha appena annunciato che non parteciperà alla commemorazione della Strage di via D’Amelio. E con lei
tutta la famiglia. >> Brava , finalmente un familiare delle vittime di mafia e di stato perchè secndo la verità storica dietro le stragi compresa qiuella di via d'Amelio no c'è solo la classica mafia , che rifiuta i rituali puliscoscieza di uno stato complice e colluso . Un modo forte, e chiarissimo, per manifestare il proprio dissenso contro quei pezzi di Stato che a parole celebrano ipocritamente Borsellino e, nei fatti, non hanno mai fatto nulla per far emergere la verità sulle stragi.“Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro” ha detto. “Dopo trent'anni di depistaggi e di tradimenti, noi non ci rassegniamo e continueremo a batterci perché sia fatta verità sull'uccisione di nostro padre.È per questo motivo che diserteremo tutte le manifestazioni ufficiali per la strage di via D'Amelio fino a quando lo Stato non ci dirà la verità su cosa è avvenuto davvero. L’unico posto dove mi sento a mio agio a parlare di papà è la scuola”.

I guanti di Zoff, il fischietto di Klein, le agende di Brera. Lo scrittore Pietro Trellini ha trasformato l'amore per la partita dell'82 in un libro senza precedenti


Leggi anche
 https://www.open.online/2022/07/05/40-anni-italia-brasile-mundial-1982/ la  ricostruzione di quella  partita
 
Tutto è cominciato con delle foto che non si trovavano. "Andai più volte a casa di Giuseppe Calzuola, nel quartiere Portuense, per chiedergli di recuperare le immagini che aveva scattato il giorno di Italia-Brasile nel 1982. "Non so più dove le ho messe", rispondeva invariabilmente. Mettemmo la casa sottosopra, senza esito. Il fotoreporter Calzuola era stato in Spagna come free lance, si era pagato la trasferta di tasca sua, e ogni giorno vendeva i momenti immortalati con una Nikon F3 MD-4 ai giornali romani, tra cui Repubblica. Era amico di Falcao, che a Roma viveva in un albergo vicino alla sua abitazione, e che lui, seppur di fede laziale, accompagnava regolarmente al mare. Non so quante volte sono andato a casa di Calzuola. Poi un giorno, miracolo!, sono spuntati fuori i negativi. Li aveva stipati in una scatola di scarpe e stavano lì da allora. Glieli ho comprati. Nel tempo ho acquisiti altri scatti, alcuni li ho trovati ai mercatini, da quelli web a Porta Portese, ho rimediato persino un album di famiglia nel quale le foto della partita si mescolavano a ricordi privati. Alla fine avevo accumulato tremila immagini".


Piero Trellini (foto di Concetto Vecchio)



Seduto in un ristorante di Prati, Piero Trellini, l'autore de La partita. Le immagini di Italia-Brasile (Mondadori), prima di ordinare un piatto di fettuccine dispiega sul tavolo una mappa che ha disegnato sui padroni del calcio italiano. "L'impresa con il Brasile ha origini remote, nasce da Angelo Rizzoli", spiega. Sul poster ci sono segnati i nomi dei dirigenti del dopoguerra: Riva, Sordillo, Carraro, Franchi, Matarrese, che s'intrecciano con il mondo editoriale, il Corriere della Sera, la nascita di Repubblica, e il potere di allora, dalla Dc alla P2.
È un libro fotografico per modo di dire. È piuttosto un pezzo di biografia della nazione raccontata con enorme talento e altrettanto gusto per i dettagli. Trellini è andato a caccia di ogni cimelio possibile, trovando una gran quantità di immagini mai viste (Tardelli e Cabrini in piscina, Zoff con la sporta delle compere, Gentile che affronta a muso duro Lino Cascioli del Messaggero); possiede il fischietto e il cartellino dell'arbitro Klein (domani sarà a Roma, ospite della Rai), il report della sfida, la felpa originale degli Azzurri, i guanti di Zoff, il programma ufficiale, le bottiglie di Coca cola con il logo della manifestazione, i tappi, i cuscini usati quel giorno allo stadio, il biglietto, il disco inciso da Junior, Povo Feliz ("Voa, canarinho, voa"), il modellino del pullman, le figurine Panini, i ritagli dei giornali. Nel libro figura riprodotto anche Octopus, il gioco elettronico portatile con cui era solito rilassarsi Bruno Conti.
Trellini come un moderno Indiana Jones si è calato nei panni dell'archeologo di un evento fondante dell'identità italiana. Ha trovato persino il cartello che un giornalista affisse al Majestic di Barcellona, l'albergo che ospitava gli inviati italiani, quasi tutti convinti che saremmo stati seppelliti sotto una gragnuola di gol. C'è scritto, col pennarello rosso: "Ore 15,30. Partenza del pullman per i signori giornalisti che desiderano assistere all'allenamento del Brasile". "Aiuto, arriva il Brasile", titolò del resto Repubblica il pezzo di Gianni Brera in prima pagina. "L'Italia di Ridolini va a Barcellona", era il titolo del Giornale, diretto da Indro Montanelli, il 24 giugno. "L'armata di Brancazot", ripeteva la stampa, non avrebbe avuto scampo contro gli dei della Selecao.

La prima pagina di Repubblica del 6 luglio 1982



Trellini è un uomo timido. Ha 52 anni. Ne aveva dodici il giorno di Italia-Brasile 3-2. È diventato giornalista, scrittore. Nell'ultimo anno ha pubblicato altri due libri fuori dal comune, L'affaire. Tutti gli uomini del caso Dreyfus, un'inchiesta di 1376 pagine, e Danteide, altre 576 pagine. "Scrivo impetuosamente", risponde alla domanda su come faccia a passare disinvoltamente dalla Divina commedia a Paolo Rossi. Ma è la partita - la più bella del calcio mondiale - il suo chiodo fisso. La vide a casa sua, ai Parioli. Le cinque e un quarto del pomeriggio, l'ora delle corride. "Era un giorno d'estate infuocato, lunedì 5 luglio 1982, al fischio finale uscimmo per strada, mio padre disse "andiamo a prendere i passaporti in commissariato", adesso che ci ripenso mi pare una richiesta assurda, che stride con l'emozione violenta che provavamo in quel momento. O forse lo disse perché tutto ci pareva irreale, e mentre c'incamminavamo la gente attorno a noi sventolava tricolori, si abbracciava, suonava il clacson, urlava la sua incredulità. Avevamo battuto contro ogni pronostico una squadra di mostri. Era la prima volta che vedevo festeggiare attorno a me. Italia-Brasile 3-2 è stato il primo evento collettivo felice della nostra generazione. Venivamo da una sequela di lutti e tragedie: il sequestro Moro nel 1978, Ustica e la strage di Bologna nel 1980, Vermicino nel 1981. E adesso invece ci buttavamo nelle fontane dalla felicità".

Il biglietto di Italia-Brasile



Italia-Brasile 3-2 pone fine agli anni di piombo. Forse è per cristallizzare quel frammento irripetibile di beatitudine che Trellini ha iniziato sin da subito a riempire di appunti e foto i quadernoni scolastici. Suo padre all'indomani gli portò i quotidiani freschi di stampa. "Mi piacque il titolo "Il Brasile siamo noi", lo fecero Il Tempo, raccontando la cronaca di Gianfranco Giubilo, Il Corriere dello sport e Il Messaggero. Ho capito dopo un po' che ogni fatto, anche il più insignificante, andava visto da più punti di vista. Poi un giorno su Ebay ho scoperto che l'arbitro israeliano Abraham Klein metteva all'asta il cartellino e il fischietto. Gli ho scritto un lungo messaggio. Siamo entrati in contatto. L'ho intervistato, e mi ha rivelato che in quel Mundial la sua preoccupazione era per il figlio Amit, dato inizialmente disperso nella guerra in Libano".
Tre anni fa Trellini ha pubblicato La partita, un altro libro mondo, che ha vinto il premio Bancarella. "Questo di adesso è il dietro le quinte di quel mio lavoro". Sulle tribune del Sarria, lo stadio scalcinato alla periferia di Barcellona, quel giorno c'erano i maestri della letteratura, Vargas Llosa (a cui rubarono il manoscritto del suo ultimo libro, Historia de Mayta), Mario Soldati, Giovanni Arpino, Oreste del Buono, Manlio Cancogni. E c'era soprattutto Gianni Brera, che nella sua agenda annota: "Assisto a una conferenza stampa e ne provo pietà". Trellini ha recuperato le agende di Brera alla Fondazione Mondadori. Quattro mesi prima era passato a Repubblica dal Giornale, convinto da Mario Sconcerti, e col viatico di Giorgio Bocca: il pezzo d'esordio è del 20 marzo 1982. Rappresentò il più grande colpo di calciomercato giornalistico di quell'epoca, che, notò Brera con soddisfazione, fece lievitare le vendite di Repubblica del 15 per cento. Brera vi segnava se vinceva o perdeva a carte, quanti soldi aveva in tasca, a che ora si addormentava. Lui e Mario Sconcerti saranno i cantori della partita per il nostro giornale.

L'agenda di Gianni Brera



Repubblica tenne una posizione signorile nei confronti di Bearzot e dei suoi giocatori, (Brera regalò una pipa al mister), che invece furono oggetto di una campagna di stampa violentissima e con pochi eguali, che li spinse al famoso silenzio stampa dopo il primo turno. Una storia nella storia. Vittorio Sermonti, il grande dantista, ne fece un libro, Dov'è la vittoria, appena ristampato da Garzanti, che è uno spaccato impressionante sul giornalismo del tempo, un misto di grandezza, arroganza e delirio di onnipotenza. Non c'era il web, non c'erano i social, le grandi firme erano divinità. Nel libro si vedono le foto delle liti tra i calciatori e i giornalisti, immortalati da Calzuola. Trellini pubblica i ritagli più velenosi, i pezzi al limite della diffamazione. Dice: "Italo Cucci, che dirigeva Il Guerin Sportivo, difese sempre il ct. Anche Franco Mentana, il padre di Enrico, della Gazzetta dello sport, e Bruno Amatucci di Avvenire, lo fecero, Amatucci pare suggerì a Bearzot di mettere Gentile in marcatura su Zico".




Spagna '82 è il primo Mondiale del marketing, che è allora nella sua fase pioneristica, "e quindi è bello da raccontare". Trellini ha scoperto che il 5 luglio non doveva esserci nessuna partita, ma Horst Daessler, il boss dell'Adidas, propose di spalmare le partite, per invogliare gli investimenti degli sponsor. L'audience tv fu colossale. Trentadue milioni di italiani erano quel giorno davanti al piccolo schermo. Al Sarria si cuoceva, 40 gradi, eppure la partita fu un inno alla bellezza.
Tutti sappiamo dov'eravamo il pomeriggio di Italia-Brasile 3-2. Abbiamo una nostalgia lancinante di quell'istante estivo. Sono arrivate le fettuccine e Trellini ripiega nello zaino la sua mappa. Dice: "Ogni suo elemento ha avuto un senso drammaturgico, la sequenza degli atti, i conflitti degli attori, la trepidanza del coro. Italia-Brasile 3-2 ha una struttura perfetta, una scrittura hollywoodiana unita agli atti drammatici di Aristotele". Cosa ha capito, gli chiediamo. "E' una storia di padri e figli, Bearzot e Paolo Rossi, Brera e Sconcerti, Klein e il suo ragazzo in guerra; in questi quarant'anni io sono cambiato naturalmente, anche le mie motivazioni hanno subito delle stratificazioni. Prevale in me, su tutto, sempre l'elemento favolistico: è una favola moderna". Ne ha ricavato anche un documentario per Sky documentaries, visibile da ieri, scritto con Giovanni Filippetto e Luigi Cruciani.





Nelle foto del libro si vedono i giocatori mentre fanno acquisti, trascinano le valigie, non c'erano i trolley, i calciatori hanno facce antiche, alcuni come Gentile e Bergomi i baffi, nessuno di loro esibisce un tatuaggio. Non c'è domanda che non abbia una risposta, vi è pubblicato persino l'elenco di chi sedeva in tribuna autorità (Signorile, Altissimo, Scotti, Montezemolo), e poi le scarpe Adidas taroccate di Falcao, cosa disse Michele Plastino in diretta, era in tribuna da clandestino. E cosa dettò Sconcerti ai nostri dimafonisti.
Piero Trellini è a sua volta un romanzo. Ha rischiato di morire nell'attentato a Bali nel 2002. Si è sposato tre volte. Ha inventato Unico 740 del fisco. Dopo la laurea in lettere ha fatto l'investigatore privato per Tom Ponzi, "inseguivo le persone con la mia Polo blu, aspettandole anche dieci ore sotto casa. E poi da giornalista per Film Tv m'intrufolavo sui set, per entrare in quello di "Gallo cedrone", mi spacciai per un fotografo spagnolo amico di Verdone, seppi così dov'era la lavorazione, poi una volta lì mi travestii da elettricista, entrai con la cassa di attrezzi, alla fine mi portai a casa la sceneggiatura".
Dice: "La scrittura per me è un mezzo per raccontare delle storie, per recuperare quello che non viene detto, per illuminare quello che non è stato notato". Anche gli azzurri hanno nostalgia di quell'istante estivo. Dopo l'uscita de La Partita, tre anni fa, lo chiamò dapprima Marco Tardelli, ("ti ringrazio per tutto questo"), e subito dopo Dino Zoff. Gli chiese semplicemente "Ma come hai fatto?".

che palle adesso con la tragedia della marmolada parte la retorica di corpi che non hanno sepoltura e i familiari una tomba su cui piagerli

  DI COSA STIAMO PARLANDO 

repubblica  5\7\2022


Marmolada, il day after: “Sepolti per sempre”. L’incubo dei soccorsi sul ghiacciaio in bilico d
Il dilemma è se far saltare il resto del seracco a rischio crollo. Ma dopo un’altra frana non si scaverebbe più per cercare i dispersi








Che palle adesso iniziano i soliti tormentoni ed appelli per non avere una toma in cui piangere e portare i fiori .Lo sapete che nel vangelo sta scritto polvere siamo e polvere ritorneremo . E poi sia che abbiano una tomba o meno sempre morti sono .Ma basta usciamo da quel rituale che :


I nostri morti vanno seppelliti, hanno bisogno di una tomba e di un giorno per essere ricordati. Al morto va data «sistemazione». L’antropologia culturale questo problema l’ha trattato senza rispetto da quando è nata come scienza del comportamento e spiega che i defunti devono avere un posto dove stare (altrimenti sarebbero dappertutto) e devono avere un giorno per essere ricordati (diversamente li avremmo in mente tutti i giorni e sarebbe altrettanto insopportabile). Dalle lapidi i morti ci ricordano la nostra ultima denominazione, «il fu», e non vogliamo pensarci troppo.

  da https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/cronaca/17_novembre_01/

è vero    che sempre   secondo  l'articolo precedente  

 quelli che non possono piangere e vivono la condanna di dimenticare e rivivere ogni giorno l’assenza del loro caro. Il rito funebre è la sepoltura sono i rituali che servono alla rassegnazione, aiutano a sopravvivere nonostante la menomazione, sono il viatico e l’accettazione definitiva della perdita come fatto irreversibile, fino a quando la stessa menomazione non diventerà parte di una nuova interezza. 

Ma  a  volte bisogna  farsi forza    è piangerli  dentro  il  cuore   come  fece  mia  nonna materna  quando all'epoca  aveva  3   anni  , suo  fratello  ragazzo  del 1899  mori   durane  la  prima guerra  mondiale   saltando   su una mina  , ma    non  si  è  mai ( anche    recuperando il  suo foglio matricolare    di solito  molto preciso  )  riusciti a sapere    dove  fu sepolto   in  quanto  evidentemente   come tutti i luoghi del fronte    s'estendeva   giorno per  giorno    e le  sommarie  sepolture  venivano distrutte  dai bombardamenti  avversari . 

5.7.22

la Piciridda con i piedi sulla sabbia

  IL  film   la piciridda Storia intensa e commovente diretta egregiamente da un regista giovane , esordiente ed promettente e bravo Paolo Licata ed interpretata da un cast di attori di tutto rispetto fra cui la piccola Marta Castiglia che interpreta in maniera eccellente il personaggio di Lucia la Picciridda UNA STORIA DI DONNE INCASTONATE IN UNA NATURA IMPERVIA, RACCONTATA TRA I SILENZI DEI NON DETTI. un film triste . toccante.drammatico soprattutto la scena dello stupro familiare e la paura a parlarne in un contesto " arcaico " del sud degli 50\70 e la cui reazione e ribellione è " rivouzionaria per il contesto culturale dell'epoca . Ottimo , è quello che mi è piaciuto di più il ruolo e l'interpretazione di donna Maria la nonna di Lucia un ruolo fatto di Durezza senza perdere la tenerezza . E .... mi fermoi qui on voglio svelare troppo e togliere il la curiosità di vederlo . Comunque se volete qui su Picciridda - Con i piedi nella sabbia - Film (2019) - MYmovies.it  trovate  ulteriori  dettagli . Io  Posso solo dire grazie a https://www.cgentertainment.it/premiere/ per averlo messo disponibile free e live .

L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA

da  Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...